martedì 8 febbraio 2011

EGITTO: OGGI NUOVE MANIFESTAZIONI ANTI-MUBARAK

Il rais ordina aumenti dei salari e delle pensioni, prova a migliorare la sua immagine ma altre centinaia di migliaia di egiziani torneranno a manifestare in Piazza Tahrir e in altre citta'

Il Cairo, 08 febbraio 2011, Nena News (foto di Mohammed Hossam Eddin)- Hosni Mubarak prova migliorare la sua immagine. Il rais contestato da milioni di egiziani ha ordinato di aumentare pensioni e salari ai dipendenti pubblici e di creare un fondo per risarcire i danneggiati dalla crisi che da due settimane travolge il paese. Ha persino evocato una commissione d’inchiesta incaricata di indagare sui massacri di manifestanti (oltre 300 morti) compiuti dalla polizia. Ma Piazza Tahrir non gli crede e percio’ non si svuota. Gli egiziani oggi terranno nuove manifestazioni anti-Mubarak, al Cairo e in altre citta’, a conferma che la “rivoluzione del 25 gennaio”, che qualcuno ora chiama la “rivoluzione del Nilo”, non e’ finita e andra’ avanti.

Nena news vi propone il resoconto della situazione in Egitto che pubblica oggi il quotidiano il Manifesto

Trecento anime della bidonville di Duweika ieri reclamavano una casa davanti all’ufficio locale del governatore del Cairo. Una abitazione vera. Con pareti, porte e finestre, non fatta di lamiera come quella dove vivono come bestie. «Siamo disperati, anche noi siamo esseri umani chiediamo di avere una casa», urlavano uomini e donne bloccati dal muro formato da una cinquantina di poliziotti e guardie private. La rivolta dei miserabili che affollano la periferia della capitale egiziana potrebbe seguire a quella della classe media, di operai, intellettuali e dissidenti esplosa in Piazza Tahrir e in altre città. Una insurrezione che ora il regime di Mubarak prova a spegnere annunciando riforme e cambiamenti di facciata e persino un aumento dei salari. Da aprile quelli di impiegati e funzionari pubblici saliranno del 15%, così come le pensioni militari e civili. A deciderlo è stato proprio Mubarak, il raìs che la «rivoluzione del 25 gennaio» vorrebbe mandare in esilio.

Presiedendo ieri la prima riunione plenaria del nuovo governo, Mubarak ha anche ordinato al ministro delle finanze di creare un fondo di 840 milioni di dollari destinati a indennizzare i proprietari di negozi, fabbriche e automobili vittime di furti, atti vandalici o saccheggi avvenuti nei giorni scorsi. Qualcuno scrive che gli Stati Uniti preparano una exit strategy «onorevole» per Mubarak, attraverso il ricovero in una clinica tedesca nei dintorni di Baden-Baden. Ma il raìs non pare affatto sul punto di lasciare subito il potere e il paese come chiedono da 15 giorni milioni di egiziani. E rallentano pure gli Stati Uniti. Il segretario di stato Hillary Clinton – amica, assieme al marito ed ex presidente Bill, per un ventennio di Mubarak – ha detto che chiedere una uscita di scena immediata al presidente egiziano potrebbe complicare piuttosto che aiutare la transizione. Ne esce rivalutato l’ex inviato speciale Usa Frank Wisner, sconfessato brutalmente da Obama per aver affermato che gli Usa puntano ancora su Mubarak per una «transizione ordinata» in Egitto. In fondo aveva detto quello che, con ogni probabilità, pensano a Washington.

Il regime regge, appoggiandosi comodamente sulle Forze Armate. I militari provano a ripulire Piazza Tahrir, senza usare la forza ma ostacolando chi cerca di entrare nel luogo simbolo della «rivoluzione». Anche i giornalisti. Da ieri per accedere in Piazza Tahrir ci vuole l’accredito della televisione di stato che viene rilasciato dopo due giorni. I soldati sono gentili ma anche fermi nel rispettare gli ordini ricevuti. Ieri all’alba hanno anche aperto il fuoco in aria per far arretrare verso il centro della piazza le migliaia di manifestanti anti-Mubarak. Una mossa inutile – nessuno ha fatto marcia indietro – ma che fa temere scenari inquietanti per i prossimi giorni. Da parte sua il vice presidente Omar Suleiman, con la benedizione di Barack Obama puntella il regime e spacca le opposizioni attraverso il «dialogo» avviato due giorni fa. Ieri i nasseristi hanno lasciato la trattativa ma è centrale la posizione dei Fratelli Musulmani che domenica sono stati invitati con tutti gli onori alla trattattiva con il vicepresidente (che invece non ha convocato uno dei principali rappresentanti delle opposizioni, Mohammed ElBaradei). Oggi gli islamisti decideranno cosa fare. La leadership non intende rinunciare ad un possibilità mai avuta negli ultimi anni di negoziare con il regime; i militanti più giovani vorrebbero rimanere assieme al movimento 6 Aprile, principale promotore delle manifestazioni anti-Mubarak.

«Il regime sta flirtando con la Fratellanza» ha ammesso Mohamed el Baltagi, uno dei dirigenti del movimento islamico fondato nel 1928 da Hassan al Banna e illegale in Egitto da decenni. «La Fratellanza vuole il cambiamento e le riforme democratiche ma il suo primo obiettivo è quello di ottenere il riconoscimento ufficiale e di poter svolgere la sua attività alla luce del sole», spiega Ayman Hamed, giornalista esperto di movimenti islamici. D’altronde perchè i Fratelli Musulmani dovrebbero mantenere una linea di intransigenza verso il regime se ora anche gli Stati Uniti, sostenitori prima di Mubarak e ora di Suleiman, fanno aperture senza precedenti. «Gli Stati uniti riesaminano il loro rapporto con i Fratelli Musulmani». Era questo il titolo di un articolo sul Washington Post che descriveva il superamento delle teorie dei neocon sul «conflitto di civiltà» tanto care all’ex presidente George W. Bush. In casa americana l’Islam politico sembra fare meno paura e a Washington ora si considera seriamente la possibilità che i Fratelli Musulmani possano dare una mano ad un regime stretto alleato di Washington in Medio Oriente e che ha garantito il rispetto degli accordi di Camp David con Israele.

Per il ritorno della calma in Egitto, dice l’analista Nabil Abdel Fattah, e il contenimento delle proteste, il coinvolgimento dei FM potrebbe dimostrarsi fondamentale. «Le cronache di questi anni – dice Abdel Fattah – ci hanno abituato a considerare gli islamisti come le prime vittime del regime, soggetti ad arresti arbitrari e abusi. E’ vero ma in parte perchè Mubarak non ha mai affondato i colpi e la Fratellanza da parte sua ha evitato di chiamare alla sollevazione contro il potere. Un rapporto di mutua utilità che ha garantito agli islamisti la possibilità di ritagliarsi spazi politici e persino di partecipare alle elezioni, con liste di indipendenti, pur essendo illegali». Fratelli Musulmani pilastri del regime in cambio di riconoscimenti e garanzie? E’ prematuro (e poco corretto) affermarlo mentre i giochi non sono decisi ai vertici della confraternita. Però i FM in passato hanno contribuito, talvolta senza una piena consapevolezza, a spegnere rivolte e contestazioni. I «Battaglioni» del fondatore al Banna furono usate in funzione anti-sindacale e contro partiti o movimenti indipendentisti. In non pochi casi vennero usati dai servizi di re Farouk per reprimere la sinistra. La Cia considerò i Fratelli egiziani utili contro il comunismo durante il periodo di Gamal Abdel Nasser e nell’estate del 1953 il giovane ideologo del movimento islamico, Said Ramadan, incontrò nella stanza ovale il presidente americano Dwight D. Eisenhower. Sono tempi lontani, immaginare il ripetersi oggi di certi scenari del passato è antistorico, ma la «rivoluzione del 25 gennaio» deve guardarsi anche da una parte dell’opposizione che punta più a rapportarsi con un regime che indosserà in futuro una maschera meno mostruosa che ad un vero rinnovamento democratico.

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