Anche i Fratelli Musulmani all'incontro di ieri con il vice presidente Omar Suleiman, benedetto dall'Amministrazione Obama. Gli islamisti potrebbero garantire quella "transizione ordinata" che desiderano gli Usa per il nuovo-vecchio Egitto
Il Cairo, 07 febbraio 2011, 2011 (nella foto il vice presidente egiziano Suleiman e il premier israeliano Netanyahu) – Entro marzo verrà formato un Comitato congiunto per le riforme costituzionali e saranno approvati provvedimenti a favore della libertà di stampa. E’ questo il risultato dell’incontro – approvato entusiasticamente nel corso della notte dal presidente Usa Barack Obama – avuto ieri dal vice presidente egiziano Omar Suleiman con alcune forze dell’opposizione, inclusi i «nemici» (fino a 10 giorni fa) Fratelli Musulmani e i (pseudo) comunisti di Tagammo. Un incontro al quale ha partecipato anche il magnate copto Neguib Siwiris – amico e alleato del presidente-faraone Hosni Mubarak – dove però non è stato invitato Mohammed El Baradei, uno dei principali rappresentanti del fronte della rivolta cominciata il 25 gennaio. Non c’erano neanche, ma per loro volontà, rappresentanti del movimento del 6 Aprile, principale promotore delle manifestazioni anti-Mubarak. Il regime perciò si affida alla collaborazione delle formazioni politiche tradizionali dell’opposizione, a quel «dissenso decorativo» come ama definirlo con intento dispregiativo lo scrittore Alaa Aswani, per uscire dal crisi che lo ha gravemente scosso e per mettere a tacere i milioni di voci che continuano a chiedere le dimissioni immediate di Mubarak (che il primo ministro Ahmed Shafik ha di nuovo escluso).
Anche ieri, nella domenica dedicata ai martiri, decine di migliaia di egiziani hanno affollato Piazza Tahrir, simbolo della rivolta, dove si sono svolti anche riti religiosi cristiani e musulmani, ad indicare che il nuovo Egitto, unito nella lotta ad un regime brutale e servitore degli interessi statunitensi, non si piega alle manovre da bassifondi della politica. L’inevitabile, dopo due settimane, ripresa di buona parte delle attività lavorative non significa che la rivolta è finita. La «rivoluzione del 25 gennaio» invece continua e una buona parte degli egiziani è scontenta della scelta del vice presidente Omar Suleiman – sostenuta a gran voce da Washington – come l’uomo della transizione. Non pochi ricordano che Suleiman che ieri si è seduto al tavolo del dialogo anche con i Fratelli Musulmani, aveva demonizzato gli islamisti nei suoi passati contatti con gli americani, come dimostrala serie di cablogrammi diplomatici statunitensi in possesso di Wikileaks, pubblicati dall’agenzia di stampa britannica Reuters. I dispacci coprono il periodo 2006-2008. Suleiman è stato capo dei servizi segreti egiziani e in questa veste è stato più volte interpellato dalle autorità americane. In un cablogramma del 15 febbraio 2005, l’allora ambasciatore Francis Ricciardone riferisce che Suleiman accusava la confraternita islamica di avere generato «almeno 11 gruppi estremistici» tra cui la Jihad islamica egiziana e Gamaa Islamiya. In un altro dispaccio del febbraio 2006, si dà conto di un incontro tra Suleiman e l’allora direttore dell’Fbi Robert Muller. I Fratelli, disse Suleiman al suo interlocutore, «non sono nè un’organizzazione religiosa nè sociale e neanche un partito politico, sono una combinazione di tutti questi fattori» e «attraverso la religione sono in grado di influenzare e mobilitare le masse». In un altro dispaccio del 2 gennaio 2008 l’ambasciatore Ricciardone affermava che Suleiman gli aveva ripetuto di essere preoccupato di una possibile alleanza tra i Fratelli Musulmani e gli iraniani, definiti «diavoli». Oggi invece il vice presidente corteggia gli islamisti che, in cambio della legalizzazione (la cercano da decenni) e di varie garanzie politiche, potrebbero addirittura diventare i garanti della sopravvivenza del regime. Nena News
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