mercoledì 6 luglio 2011

“POCA FAVILLA GRAN FIAMMA SECONDA” –

“POCA FAVILLA GRAN FIAMMA SECONDA” – CHI HA PAURA DELLA FREEDOM FLOTILLA?
by Massimo Mandolini-Pesaresi
Published in Italiano, Narghile,
on 04/07/2011
Country: Israel, United States,
Tags: activism, Arab Spring, Democracy, Economic Crisis, Gaza, Gaza blockade, Greece, Human Rights, Israel, United States
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La tormentata vicenda della Freedom Flotilla non si è ancora risolta, mentre attivisti di tutto il mondo sono impegnati a esercitare pressione sul governo greco e su quello degli US, affinché le navi possano essere lasciate libere di proseguire il loro viaggio fino a Gaza. E’ stata anche annunciata una campagna di boicottaggio, sia turistico che dei prodotti, contro la Grecia.

In questo clima di apprensione, tensione e speranza, viene spontaneo interrogarsi sulle ragioni delle concertate manovre volte a fermare il convoglio. Vediamo di esaminare alcune di tali motivazioni.

Che Israele abbia tutto l’interesse di bloccare la Freedom Flotilla, è ovvio. Da mesi il governo israeliano è alla ricerca di un ‘face-lift’. Nel timore di diventare uno stato pariah (come il Sud Africa dell’Apartheid), Israele si è lanciato in una campagna di PR volta a presentare una nuova immagine dello stato sionista: “Israele che non ti aspetti”, come suonava appunto il titolo della manifestazione che ‘occupò’ Piazza Duomo a Milano per dieci giorni, il mese scorso.

In tale linea si colloca la recente, storica visita di Netanyahu negli US, durante la quale abbiamo assistito al deprimente spettacolo dei Congressisti pronti a festeggiare e applaudire (29 ovazioni!) il PM. Il loro zelo, ai limiti del patetico, è certo giustificato: le elezioni presidenziali sono vicine e il bisogno di cash per la campagna elettorale è drammaticamente urgente, e la Lobby israeliana tiene i cordoni della borsa. In questa prospettiva va letta anche la vergognosa dichiarazione della Clinton, che la Flotilla costituisce “un irresponsabile atto di provocazione” [i].

Ci sono poi strategie in un panorama geopolitico più circoscritto: mi riferisco, ad esempio, alle recenti ‘nozze’ Netanyahu-Papandreou (come persuasivamente sostiene un articolo di Barak Ravid, “Netanyahu’s big fat Greek Wedding.” [ii]

La Grecia, un paese ridotto sul ciglio di una catastrofe finanziaria, è facile preda di ricatti sia dall’esterno sia dai suoi autocrati indigeni. Inoltre Papandreou è ben consapevole che la terra gli sta tremando sotto i piedi a causa delle proposte misure di austerity, e non può permettersi l’ostilità dei potenti, vicini o lontani. (Sugli sforzi di Washington di iniziare un rapporto privilegiato di ‘collaborazione’ con la Grecia, si veda, ad esempio, il dispaccio diplomatico (10 febbraio 2010), relativo a un incontro fra l’Ambasciatore americano, Daniel V. Speckhard e il Ministro degli Esteri greco, Dimitri Droutsas.) [iii]

Si direbbe che l’ ‘Asse del Male’ (Axis of Evil), costituito fondamentalmente dalla linea Washington-Tel Aviv, si espanda in questo caso verso Atene (e indirettamente verso i centri del potere finanziario e corporativo della UE). Se il mastino Netanyahu abbaia forte e va a stringere ‘alleanze’ sul suolo ellenico, sono i padroni d’oltre-Atlantico che gli permettono simili esibizioni.

Tale complesso gioco di forze può certo spiegare una complicità fra USA, Israele e Grecia, ma resta il fatto che le manovre sono rivolte contro un pugno di attivisti disarmati. Incutono davvero tanto timore questi intellettuali pacifisti?

Il timore che essi incutono va, a mio parere, ben al di là della circoscritta azione di solidarietà con il martoriato popolo di Gaza, sottoposto da anni a una punizione collettiva [iv] per aver scelto, con libere e democratiche elezioni, dei candidati (Hamas), che non sono graditi ai ‘padroni’ (cioè, le forze di occupazione israeliana e i boss di Washington).

La vera paura è forse che la piccola impresa di solidarietà possa incoraggiare e galvanizzare attivisti di tutto il mondo a seguirne l’esempio e combattere con le efficaci armi di una protesta e resistenza non-violente il potere costituito. In altre parole, si teme che la ribellione dalle province si propaghi al cuore dell’ ‘Impero’.

Il malcontento – la rabbia, direi meglio – ha raggiunto negli US livelli pari a quelli della grande Depressione del ’29. Tale rabbia può essere deviata nel senso di una involuzione di tipo fascistoide (e a questo si adoperano attivamente partiti della specie del Tea Party), ma esiste il rischio, ed un rischio reale, che essa invece sfoci in azioni democratiche – come si è visto appunto nelle massicce proteste del Vermont – capaci di alterare profondamente l’attuale situazione di privilegio assoluto da parte di una frazione del popolo americano.

In questi tempi di comunità globale e virtuale, gli effetti rimbalzano da un punto all’altro del pianeta. Se Kamal ‘Abbas, uno dei leader di Piazza Tahrîr, ha inviato un messaggio di solidarietà ai manifestanti del Vermont, esiste una chiara consapevolezza che la Primavera Araba può portare a inattese (e indesiderate) fioriture negli Stati Uniti o in altri paesi occidentali. Meglio quindi soffocare sul nascere ogni simile velleità democratica.

Se il gioco è ormai a livello globale, e globale è anche la repressione, parimenti planetaria è la solidarietà, pronta a mobilitarsi in ogni momento critico. In questo week-end di Independence Day, migliaia di attivisti sono impegnati a telefonare agli uffici dello State Department o a inviare messaggi alle sedi consolari greche, affinché il Capitano Klusmire [v] (Audacity of Hope) venga rilasciato dalle autorità elleniche e la nave possa finalmente salpare con le altre verso Gaza. La consapevolezza di tale solidarietà può, e deve, darci fiducia e coraggio in questo difficile momento.



Massimo Mandolini Pesaresi, July 4th,, 2011



[i] Ad una conferenza stampa, il 24 giugno, Hillary Clinton ha dichiarato fra l’altro, che la Flotilla “entrando nelle acque territoriali israeliane può creare una situazione in cui gli Israeliani hanno il diritto di difendersi”(” by entering into Israeli waters and creating a situation in which the Israelis have the right to defend themselves.”). Il Segretario di Stato non ha comunque chiarito in che modo un convoglio umanitario possa porre una minaccia a una delle maggiori potenze militari del mondo. (Si veda anche l’articolo di Stephen Zunes, “Washington Okays Attack on Unarmed US Gaza Flotilla Ship”, Salem-News, 1 luglio 2011, http://www.salem-news.com/articles/july012011/gaza-safety-sz.ph)/

[ii] Haaretz, 1 luglio 2011, http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/netanyahu-s-big-fat-greek-wedding-1.370794 (Ringrazio l’amico Roberto Iannuzzi per la gentile segnalazione). (L’articolo è consultabile qui in versione italiana (ndr) )

[iii] Wikileaks Cablegate: http://wikileaks.org/cable/2010/02/10ATHENS77.html

[iv] Si ricordi che la nozione stessa di “punizione collettiva” costituisce una violazione del diritto internazionale.

[v] Secondo un comunicato diffuso dal gruppo US BOAT TO GAZA, il Capitano Klusmire è attualmente detenuto in cella d’isolamento, senz’acqua né servizi igienici, e non ha ricevuto alcuna visita dal personale dell’Ambasciata Americana ad Atene (un diritto che gli è garantito dalla legge internazionale) Aggiungo qui la nota personale che, quando oggi ho chiamato l’Ambasciata per esprimere il mio sdegno al trattamento del Capitano, il funzionario ha seccamente risposto che ne erano al corrente.

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