lunedì 29 aprile 2013

Sulla cittadinanza onoraria a Grossman proposta dal comune di Cagliari

“Hanno letto qualcosa dell'autore?” Chiede il giornalista di un giornale sardo a proposito della proposta del comune di dare la cittadinanza onoraria di Cagliari a David Grossman e della protesta conseguente dell'ass. Sardegna -Palestina. A suo avviso non c'è ragione di negare tale onorificenza allo scrittore israeliano da lui ritenuto “uomo di pace” e non “uno spietato sionista degno compare del male assoluto secondo un certo retroterra antisemita”. In fondo è uno dei più importanti scrittori del mondo e del resto si potrebbe dare la cittadinanza onoraria anche a uno scrittore palestinese. Alla prima questione risponderei, -si, caro giornalista. Abbiamo letto qualcosa e più di qualcosa. Ma questo aspetto lo approfondirò più avanti. Riguardo la seconda questione sarei tentata di proporre di dare la cittadinanza onoraria alla memoria di Mahmud Darwish, uno dei più grandi, forse il più grande poeta del mondo, per compensare un po' quel premio nobel per letteratura che gli fu negato grazie alle pressioni israeliane in quanto Darwish era palestinese. Ma confesso di trovare davvero fastidioso questo stile equidistante. Perchè si dovrebbe concedere tale onoreficenza a uno scrittore palestinese solo per compensare quella di Grossman? Forse che i palestinesi esistono in conseguenza degli israeliani e non sono invece un popolo ricco di cultura e di storia che annovera tra le sue fila giganti della letteratura e della poesia? Ma veniamo a Grossman: le sue ambigue posizioni politiche sono state già spiegate dal documento dell'ass. Sardegna-Palestina, quindi non le ripeterò. Voglio citare invece alcuni stralci di un'intervista in cui lo scrittore afferma: ”Viviamo nella paura di non poter esistere più, la terra ci trema sempre sotto i piedi. Nei vostri media appariamo forti e arroganti in realtà siamo terrificati. Adesso siamo 6 milioni, come le vittime della Shoah (e come i profughi palestinesi). Ogni 10 anni c'è una nuova fonte di angoscia: oggi è l'Iran, potrebbe dotarsi di nuove armi atomiche”. In questo quadro gli israeliani sono dipinti ancora una volta come vittime. Magari vittime colpevoli, ma sempre vittime. Loro sono terrificati...e cosa dovrebbero dire i bambini di Gaza preda dell'embargo e esposti ad ogni possibile pericolo dai bombardamenti agli spari nella buffer zone, dalla denutrizione all'avvelenamento del suolo dell'aria e delle acque? E mentre l'Iran “potrebbe” dotarsi di nuove armi atomiche Israele queste armi le possiede già essendo l'unica potenza nucleare del Medio Oriente. Grossman, che fa parte del famoso terzetto (di scrittori propagandisti di Israele e considerati pacifisti da chi non li ha letti bene) assieme a Oz e Yoshua, in occasione dell'uccisione da parte di Israele di 9 attivisti della nave “Mavi Marmara” diretta a Gaza per rompere l'assedio, dopo aver giustamente criticato l'operato della marina israeliana aggiunge: “E' chiaro che le mie parole non esprimono consensi alle motivazioni nascoste o evidenti e talvolta malvage di alcuni partecipanti del convoglio diretto a Gaza. Non tutti sono pacifisti animati da intenzioni umanitarie”. Ed ecco che il suo dissenso, la sua critica vengono sminuiti e annegati nel suo omologarsi alla posizione ufficiale israeliana secondo cui quelli non erano pacifisti, ma “nemici di Israele” che come sappiamo deve difendersi. La sua opinione sui palestinesi con i quali predica il dialogo emerge da un altra intervista in cui si esprime in questi termini: “Siamo circondati da nemici! I palestinesi non sono partner cordiali né affidabili”. Certo, se i palestinesi fossero più gentili le cose andrebbero meglio... La situazione psicologica degli israeliani che è stata descritta da Grossman come una situazione di continuo terrore è diversamente spiegata da un altro scrittore israeliano il poeta Aharon Shbtai: “Tutti i traumi di una società caratterizzata dall’omicidio politico e dallo sfruttamento di terre occupate vengono interiorizzati individualmente suscitando problemi che isolano l’individuo in una massa nazionalistica. Questi problemi sono sempre visti come privati , l’individuo diventa un paziente, e affonda in un’eterna infanzia come i “Giganti dell’età dell’argento” di Esiodo ciascuno “allevato per cento anni al fianco della propria madre” un perfetto idiota che gioca come un bimbo dentro le pareti domestiche.” Per gli scrittori funziona il metodo della cooptazione, essi vengono per così dire adottati, se sono un po’ dissidenti o si oppongono a parole all’occupazione tanto meglio, saranno poi più credibili quando sosterranno il regime nelle situazioni importanti, come ad esempio bombardamenti e invasioni, o imbrogli gonfiati al massimo come la generosa offerta di Barak che Arafat avrebbe rifiutato. “Gli scrittori di questo tipo non consegnano un messaggio politico alla letteratura” aggiunge Shabtai: “al contrario sublimano nella cultura ciò che è politico. Sotto la loro penna l’occupazione diventa la psicomachia dell’anima bella, tormentata di Israele. Sono riusciti a farne un cliché del discorso culturale israeliano. Alla fine l’occupazione è stata espunta dal campo della lotta politica per diventare grafomania”. Come scrittrice credo molto nella potenza della parola e penso che lo scrittore non possa rimanere ad osservare il mondo, lo scrittore deve partecipare e prendere posizione cercando di influenzare, per quello che può il pensiero generale. Questo lo sanno bene anche al dipartimento per la letteratura del ministero degli esteri israeliano. Dan Orian che dirigeva questo settore vede la letteratura israeliana come parte dello sforzo di pubbliche relazioni prodotto da Israele. Egli ha affermato “La cultura è uno strumento magnifico per aiutare la carretta a correre liscio”. “La letteratura ha una funzione etica e politica. E uso politico nel senso classico. Ciò che mette alla prova la letteratura è la misura in cui essa coopera o meno con il regime nel costruire il consenso. Nelle condizioni barbariche in cui ci troviamo , agli scrittori si richiede di prendere la parola, di assumere una posizione politica chiara ed etica, in una parola di resistere” conclude Aharon Shabtai. La letteratura israeliana è spesso usata per farci dimenticare i crimini di Israele che tenta attraverso essa di presentarci una faccia diversa. Più umana, più accettabile, rendendoci partecipi e se possibile complici. Questa funzione propagandistica è svolta egregiamente dal terzetto Oz-Yoshua-Grossman. Ciò che ha sempre amareggiato i palestinesi è stata la difficoltà di raccontare la propria storia mentre la narrazione israeliana veniva universalmente accolta. Questo riconoscimento allo scrittore David Grossman è un riconoscimento all'ipocrisia di Israele la cui politica è di commettere crimini efferati e poi di negare tutto.

25 aprile a Cagliari

No alla strumentalizzazione delle vittime dell’olocausto!

Cagliari,25 Aprile 2013- Come tutti gli anni, dal 1981, anche oggi ho partecipato al corteo del 25 aprile, il giorno della festa di liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti, con la bandiera palestinese, per condividere con i compagni e gli amici cagliaritani l’emozione e i valori universali della liberazione di tutti i popoli e, soprattutto, per ricordare il sacrificio estremo dei partigiani che hanno combattuto e sconfitto i nazi-fascisti, regalando la libertà a tutti gli italiani e scrivendo una nuova costituzione italiana. Il 25 aprile per me come palestinese è sempre stata l’occasione per esprimere la mia solidarietà ai compagni sardi e ricevere gli auguri, con l’auspicio che un giorno festeggeremo insieme la liberazione della Palestina dall’occupazione israeliana. Oggi, 25 aprile 2013, ho trovato in testa al corteo la bandiera israeliana. Per me vedere la bandiera di uno stato che da decenni occupa la Palestina e reprime la sua popolazione privandola della libertà è stata una spiacevole sorpresa. È possibile? Cosa rimane del significato della liberazione? Ho chiesto spiegazioni agli organizzatori; quelle che mi sono state fornite le ho trovate poco convincenti: che non era la bandiera di Israele, ma la bandiera della Brigata ebraica, o che, in mancanza della bandiera della Brigata ebraica, hanno portato quella israeliana. Naturalmente non ho niente contro la brigata ebraica, ma bisogna ricordare che Israele non esisteva ancora e poi, come mai solo questa anno si è sentita questa esigenza? Come mai neanche una volta negli ultimi 32 anni? Non convinto da queste banali e semplicistiche giustificazioni, ho chiesto che venissero rispettati i valori della libertà e della solidarietà con i popoli oppressi che lottano per la libertà e che fosse tolto quel simbolo di occupazione e oppressione, portato in modo provocatorio da alcuni sionisti che odiano g li arabi, e i palestinesi in particolare, e negano il diritto alla libertà e all’autodeterminazione del Popolo palestinese. Per l’incuranza degli organizzatori, nonostante un grande numero di partecipanti condividesse le mie osservazioni, con tristezza e rabbia, ma non rassegnazione – tutt’altro – ho deciso di non sfilare dietro la bandiera di un stato che occupa la mia terra e massacra la mia gente. Sui numerosi siti web sionisti è possibile rinvenire un “vomito” di offese e aggressioni razziali odiose nei confronti dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina e dei palestinesi di Cagliari. Addirittura, qualcuno ci intima di andare via dall’Italia. Dopo che ci hanno cacciato dalla Palestina con la forza delle armi ci vogliono pure cacciare di nuovo, ma noi qui in Sardegna siamo a casa, siamo stati accolti benissimo dai sardi, siamo nella nostra seconda patria, e continueremo a lottare, insieme a tutte le persone libere e amanti della giustizia, contro la falsificazione della verità, l’arroganza e l’odio per una speranza di pace per i palestinesi e di salvezza dal sionismo per gli ebrei. Alla luce di tutto ciò mi chiedo se è un caso, quest’anno per la primissima volta, la presenza della bandiera israeliana alla manifestazione del 25 aprile, o non sia da inserire in una precisa strategia che ha qualche nesso con l’ultima visita, lo scorso febbraio, dell’ambasciatore israeliano a Cagliari e con il suo incontro con la nomenclatura sarda, tesa a screditare il lavoro di divulgazione attraverso la conoscenza e la cultura, e non la mera propaganda strumentale, promosso in questi ultimi anni dall’Associazione palestinese attraverso l’impegno di tante persone lontanissime da ogni “deriva estremista e violenta” come ha dichiarato alla stampa Mario Carboni, presidente di Chenàbura-Sardos pro Israele, con il solito tono pseudo-conciliante! Fawzi Ismail, Presidente Associazione Amicizia Sardegna-Palestina

Le parole sono pietre, caccia ad Amira Hass

Le parole sono pietre, caccia ad Amira Hass Per la giornalista lanciare sassi è un'azione quasi naturale di fronte all'occupazione. Il sito 972mag.com: «La maggior parte degli israeliani non riconosce ai palestinesi alcun diritto di resistenza». Lei e il suo giornale Haaretz, denunciati alla polizia di Gerusalemme per «istigazione al terrorismo» di Nicola Perugini, Neve Gordon * La nota giornalista israeliana Amira Hass, vincitrice di numerosi premi per la sua coraggiosa attività di indagine sull'occupazione israeliana della Palestina, è finita sotto attacco. Il 4 aprile due organizzazioni israeliane hanno chiesto al procuratore generale Yehuda Weinstein di lanciare un'indagine contro Hass, accusandola di fomentare la violenza e il terrorismo nel suo recente articolo «La sintassi interna del lancio di pietre palestinese», pubblicato da Ha'aretz il giorno prima. La voce critica di Hass è ben nota. Durante i suoi molti anni di attività giornalistica, Hass ha riportato le esperienze e le vicende dei palestinesi. Non ha mai nascosto il suo desiderio di contribuire al dibattito su quali siano le pratiche legittime di resistenza e su come la battaglia palestinese possa prendere una nuova forma al fine di invertire il trend esistente di violazioni e privazioni contro la popolazione occupata. La giornalista, nel suo ultimo articolo, ha coerentemente sostenuto che la disobbedienza civile e la resistenza, nelle loro forme possibili, hanno bisogno di un'organizzazione sistematica dal basso. Ma mentre gran parte del furore è stato indirizzato contro il contenuto dell'articolo di Amira Hass - «la giornalista incoraggia o no il lancio di pietre?» - la questione importante nella faccenda è stata ignorata. Ci dovremmo chiedere: chi dà la caccia ad Amira Hass. Il piano pro-coloni Le lettere inviate al procuratore generale dallo Yesha Council (la principale organizzazione rappresentativa dei coloni) e dal Legal Forum for the Land of Israel per chiedere un'indagine contro la giornalista sono infatti parte di un piano strategico più ampio orchestrato da alcuni attori sociali israeliani il cui obiettivo è di affinare la grammatica di espropriazione, privazione e violazioni esistenti. In compagnia di queste due organizzazioni, vi è infatti una pletora di gruppi come NGO Monitor, Im Tirtzu, Regavim e Shurat HaDin che utilizzano gli strumenti legali dei diritti umani come sintassi funzionale alla perpetuazione del regime israeliano di democrazia coloniale. Le loro campagne sono condotte in diversi modi, tra i quali l'etichettatura di coloro che resistono al progetto coloniale israeliano come «terroristi», e dunque persone che abusano dei diritti umani. Le attività del Legal Forum for the Land of Israel illustrano questo punto. Fondato nel 2004, il Forum, a quanto risulta dal suo sito, è «dedito alla protezione dei diritti umani in Israele, rafforzando il governo e preservando l'integrità nazionale dello stato di Israele e del popolo ebraico». Una delle prime iniziative di questo gruppo legale e di pressione è stata la difesa dei «diritti umani dei coloni» poco prima del ritiro da Gaza. Il Forum ha presentato una petizione alla Corte Suprema israeliana contro ciò che consideravano la risistemazione forzata e lo spossessamento ai danni di cittadini ebrei. Da allora, il Forum è diventato un'istituzione solida che lavora per un certo tipo di cambiamento attraverso il sistema legale. «Le attività sono svolte da avvocati professionisti, esperti legali e finanziari, così come da studenti volontari che credono», a quanto sostiene l'organizzazione, «nel cambiamento politico e sociale». Nel corso degli anni, il Forum e i gruppi «gemelli» hanno depositato numerose petizioni nei tribunali israeliani al fine di proteggere i diritti umani dei coloni. I loro principali obiettivi sono due: da un lato fare pressione sul parlamento al fine di rafforzare ulteriormente l'apparato legale di espansione delle colonie e di spossessamento dei palestinesi, sia in Cisgiordania sia in Israele (soprattutto nel Negev); dall'altro lato, queste organizzazioni usano il discorso dei diritti umani per disciplinare chiunque trasgredisca i confini politici, legali e morali del corpo coloniale. Le ONG, gli accademici e i giornalisti che si azzardano a criticare le pratiche coloniali israeliane vengono dipinti come soggetti che abusano dei diritti umani. Un articolo pubblicato sul sito del Legal Forum il 15 marzo scorso offre un assaggio di come i diritti umani sono utilizzati al fine di rafforzare il progetto coloniale di Israele. Festeggiando la recente nomina di Moshe Ya'alon come Ministro della Difesa del nuovo governo, l'articolo, dal titolo «Un nuovo governo - Nuove opportunità», racconta che il forum ha preparato un dettagliato piano di lavoro al fine di prevenire la «discriminazione razziale in relazione alle questioni concernenti l'accesso alla terra in Giudea e Samaria (la Cisgiordania). Attualmente - scrive il Legal Forum - ci sono molte leggi che discriminano solo gli ebrei che cercano di acquistare terra e costruire in questa regione». La nuova «sintassi» Nonostante l'argomento secondo cui i coloni sarebbero un gruppo che subisce «discriminazione razziale» e che il loro diritto alla colonia sia violato possa sembrare uno scherzo o una completa inversione di valori morali, esso è condiviso non solo dalla rete di organizzazioni affini al Forum, ma anche dalla maggioranza dei politici israeliani: da Yesh Atid, passando per il Likud, a HaBeit HaYehudi. Esso costituisce uno dei due vocabolari della nuova sintassi utilizzata da questi gruppi. L'altro vocabolario si traduce negli attacchi legali simili a quello contro Amira Hass. I dissidenti israeliani che si oppongono alla colonizzazione vengono ammoniti attraverso minacce legali, e avvisati che opposizione, resistenza, o anche solo immaginare una decolonizzazione, potrebbero costituire un atto criminale. Le iniziative e gli interventi di questi israeliani sono considerati estremamente pericolosi per il corpo politico, poiché mettono in discussione il diritto di Israele alla colonia. Una chiara indicazione che tale sia l'obiettivo di queste iniziative sempre più sistematiche ci viene da un articolo uscito il 9 aprile su Ha'aretz sull'affare Amira Hass; un articolo scritto da Sara Hirschhorn, ricercatrice dello Schusterman Center for Israel Studies e dell'Università di Brandels. Hirschhorn, che sta svolgendo una ricerca sul movimento dei coloni, sostiene che con il suo articolo Amira Hass si sia affiancata ai palestinesi nella disumanizzazione dei coloni. I coloni, sostiene Hirschhorn, sono stati troppo a lungo privati delle loro «libertà fondamentali», e la «parte più scioccante della 'sintassi interna' (del lancio di pietre di cui parla Hass) è il mancato riconoscimento dell'altro (il colono) come essere umano». I detrattori di Hass, in altre parole, non solo sono interessati a silenziare i dissidenti israeliani, ma mirano anche a dare una nuova forma al modo in cui l'impresa coloniale e i coloni vengono rappresentati in pubblico. L'obiettivo non è solo quello di costituire il progetto coloniale di Israele come una pratica legalmente legittima, ma anche di trasformare il discorso sui diritti umani in uno strumento per cancellare la distinzione tra dominante e dominato. All'interno di questo immaginario, i coloni sono divenuti vittime, e qualsiasi tentativo di smantellare l'esistente costituisce una grave violazione da contrastare con forza. * Ricercatori dell'Institute for Advanced Study, Princeton

sabato 27 aprile 2013

I genitori si Samer Issawi

Samer Issawi: "La mia vittoria è di tutta la Palestina"

Il prigioniero palestinese scrive una lettera al suo popolo dopo l'accordo raggiunto con Israele: "Questa vittoria dimostra all'occupazione che la Giustizia vince sempre". venerdì 26 aprile 2013 09:24 Rehovot, 26 aprile 2013, Nena News - Dio è grande, lode a Dio. Ringrazio Dio prima di tutto per questa vittoria e per la sua generosità nel concedermela. Per cominciare questa lettera, vorrei scusarmi con tutti quelli che mi hanno sostenuto in questa battaglia, una battaglia di dignità e fedeltà ai martiri di Gaza e ai feriti e ai sofferenti a causa delle ostilità a cui sono stati esposti quando i sionisti hanno tentato, fallendo, di liberare il soldato israeliano "da dentro la lattina", come la chiamano. Tuttavia, hanno trovato di fronte a sé un grande spazio aperto: nonostante le tecnologie avanzate che possiedono, nonostante il sostegno di tutto il mondo e nonostante i servizi di intelligence di tutti gli altri Paese a loro disposizione, non sono stati in grado di liberarlo. Speravo che il mio rilascio fosse immediato e questo era il mio punto di partenza, ma dopo che un gruppo di prigionieri politici ha cominciato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per sostenermi, temendo per la loro salute e preoccupato per il movimento dei prigionieri - non volevo che soffrissero per colpa mia delle stesse cose di cui ho sofferto durante il mio sciopero della fame - sono stato costretto ad accettare l'ultima offerta che mi hanno fatto, una pena di otto mesi di prigione, che comincia dal momento della firma dell'accordo, e poi il ritorno nella mia amata Gerusalemme. Lode a Dio, le richieste che ho mosso con lo sciopero della fame, fedele ai martiri, sono state rispettate e dall'inizio i miei obiettivi sono stati: la difesa della dignità della nostra nazione e far luce sulle violazioni da parte dell'occupazione dell'accordo "Adempimenti dei Libero", la proibizione del ri-arresto dei prigionieri politici rilasciati con tale accordo, il no alla riapplicazione delle sentenze precedenti, lo stop alla politica dell'estradizione e il diritto al ritorno nella nostra terra. In secondo luogo, i negoziati che sono stati condotti con me inviando un team di negoziatori sotto la supervisione di specialisti e agenti dello Shabak sono stati estenuati e sono continuati per diverse ore al giorno, ma io non mi sono mosso. La prima offerta che mi hanno fatto è stata l'esilio a Gaza per dieci anni, che ho rifiutato completamente. Poi mi hanno offerto la deportazione in un Paese a mia scelta; per cui ho risposto che, con piene capacità mentali e libero da qualsiasi debolezza della volontà, rigettavo totalmente l'idea dell'estradizione, anche se mi avessero esiliato nell'onorevole Gaza. Anche se è parte della mia patria, ho insistito che intendevo ritornare a casa, tra le braccia dei miei genitori e della mia famiglia, al mio villaggio. Ho detto e ho ripetuto: o Gerusalemme, o il martirio. Non c'è una terza opzione. Ho rifiutato di piegarmi all'occupazione e alle sue umiliazione e ho rifiutato di essere un ponte per farli attraversare e ho rifiutato di abbandonare il sangue dei martiri e lo sguardo dei feriti, caduti per la liberazione dei prigionieri politici. Il mio semplice rifiuto dell'estradizione è stato la mia prima vittoria sull'occupazione, anche il rifiuto dell'esilio a Gaza perché questo mi riporta alla mente le operazioni di espulsione forzata dei palestinesi nel 1948 e nel 1967. Stiamo ancora conducendo una lotta per la liberazione della terra e il ritorno dei rifugiati, e non per aggiungere altri profughi. I metodi sistematici che "Israele" applica al fine di espellere i palestinesi dalle loro terre e sostituirli con dei mercenari è l'essenza del crimine, per questo rigetto l'idea della deportazione ovunque avvenga. Ho detto loro: "Preferisco morire nel mio letto d'ospedale che essere espulso da Gerusalemme. Gerusalemme è la mia anima e la mia vita e, se venissi strappato da lì, sarebbe come se la mia anima fosse strappata al mio corpo. Non c'è vita senza Gerusalemme o senza Al Aqsa , nessuna terra è abbastanza per me dopo Gerusalemme, per cui il mio ritorno deve avvenire a Gerusalemme o da nessun'altra parte". Non l'ho considerata come una questione personale che riguarda solo Samer Issawi, ma una questione nazionale, le convinzioni e i principi che ogni palestinese che ama la sua terra rispetta. Il team di negoziatori ha allora capito che l'estradizione non sarebbe potuta essere una possibilità e che avrebbe dovuto essere cancellata dall'agenda. Ho anche informato la corte militare che avrei boicottato le loro udienze e che considero quella corte illegale e la sua presenza su terra palestinese illegale. Come posso essere giudicato da una corte illegale, dove i magistrati che mi giudicano per essere entrato nei territori palestinesi sono parte di un tribunale costruito illegalmente su terra palestinese? Gli ho detto che la mia presenza di fronte a quella corte sarebbe stata un riconoscimento della sua legittimazione e della presenza dell'occupazione su terra palestinese, su cui invece non c'è alcun dubbio. Così la corte militare è stata costretta a inviare i magistrati in ospedale al fine di capire le ragioni del mio rifiuto a presentarmi. Ho dato loro la risposta, che ha acceso la loro irritazione e la loro ira e questa la considero la mia seconda vittoria sull'occupazione. Dopo che hanno scartato l'idea della deportazione, hanno cominciato a parlare degli anni di effettiva detenzione e il loro primo suggerimento è stato 10 anni. Così ho cominciato a diminuirli e ridurli dopo aver affermato che volevo essere rilasciato e sono riuscito a giungere a otto mesi, che considero la mia terza vittoria. La volontà del nemico si è spezzata di fronte alla volontà del popolo palestinese che rifiuta di soccombere. Dopo aver accettato la detenzione per otto mesi, ho richiesto la presenza della mia difesa per completare l'accordo, firmarlo e impostare il procedimento per portare alla luce l'accordo, in modo da sigillare la vittoria che ho cercato fin dal mio arresto, ovvero essere rilasciato a Gerusalemme. Da allora, sono in questo letto di vittoria, inviando i miei saluti a tutti quello che mi sono stati vicino, senza eccezioni. Ho apprezzato tutti quelli che mi hanno aiutato ad ottenere tale vittoria, con azioni, o parole, o preghiere; che la grazia di Dio li benedica per me e per il popolo palestinese. Invio i miei saluti anche a tutti i combattenti che hanno preso parte a questa battaglia, nonostante la sua lunghezza. Hanno resistito a lungo contro l'aggressore e hanno sopportato tutta la sofferenza e il dolore provocati dall'oppressione e dall'occupazione. Ancora, hanno insistito per portare avanti questa battaglia fino alla vittoria nonostante le sofferenze e le disgrazie che li hanno colpiti con arresti continui e feriti, per proiettili di gomma, e nonostante le lacrime che hanno pianto per i gas lacrimogeni. Dopo tanto dolore, oggi siamo qui a celebrare la vittoria che è stata possibile grazie alla vostra persistenza eroica, voi e tutti i popoli liberi del mondo che hanno combattuto con noi; questa vittoria dimostra all'occupazione che la Giustizia vince sempre e che l'Ingiustizia e i suoi autori perdono sempre. Mando le mie benedizioni alle madri dei martiri e saluto le famiglie dei feriti che hanno sacrificato le loro membra per la realizzazione degli "Adempimenti del Libero" e ad un milione e mezzo di gazawi che hanno pagato un caro prezzo, per l'embargo e la fame usati contro di loro per liberare il soldato. Nonostante ciò, la nostra gente di Gaza ha continuato a tenerlo prigioniero, con l'obiettivo di arrivare al più grande scambio della storia della Palestina. Siamo qui oggi, tra tutti i sacrifici e i risultati, con la nostra vittoria che dedichiamo a Gaza. Ho mantenuto la promessa fatta, o martirio o Gerusalemme. La libertà è vicina, se Dio lo vuole. Quando ricordavo i martiri e i feriti di Gaza, che si sono sacrificati per il nostro rilascio, mi sono sentito forte e determinato e sapevo che se avessi ceduto e mi fossi arreso avrei tradito il loro sacrificio per la libertà. La mia vittoria è la loro vittoria e la loro sofferenza è stata la mia sofferenza. E non dimentico di salutare i combattenti sconosciuti di questa battaglia, i media, i giornali e le tv, che hanno giocato un ruolo essenziale in questa grande vittoria. Saluto tutti quelli che mi hanno sostenuto, i poeti, gli scrittori e i cantanti, che hanno portato questa battaglia in ogni angolo del mondo e hanno avuto un ruolo importante quanto gli altri. Ora chiedo che la lotta del movimento popolare continui su tutti i fronti, al fine di combattere per i nostri prigionieri politici. Chiedo anche la continuazione della mobilitazione politica e diplomatica per portare a livello internazionale la questione dei detenuti politici e per giungere di fronte alla Corte Penale Internazionale perché giudichi l'occupazione secondo il diritto internazionale per i crimini che perpetra contro il popolo palestinese. Saluto voi e la vostra resistenza e spero di incontrarvi presto e di poter celebrare la liberazione della Palestina, con la Santa Gerusalemme come capitale. Ci vedremo presto nella Città Santa, se Dio vorrà. Il vostro figlio e il vostro fratello, Samer Issawi, Kaplan Medical Center Traduzione a cura della redazione di Nena News

mercoledì 24 aprile 2013

CARTELLINO ROSSO ALL'APARTHEID ISRAELIANA

di Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus L’associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, ritiene gravemente lesivo della dignità di ogni essere umano libero - nonché dei principi ispiratori della Dichiarazione dei Diritti Umani e della Carta dell’ Onu - far svolgere una manifestazione sportiva di rilevanza internazionale in un paese in cui non vengono rispettati i diritti umani, in cui è praticata l’apartheid, in cui si hanno palesemente in spregio numerosissime Risoluzioni Onu, in cui si uccidono, in casi troppo frequenti per essere “errori”, ragazzini che stanno giocando a pallone e in cui si vieta l’entrata a normali cittadini solo in quanto palestinesi o sostenitori dei diritti dei palestinesi. Riteniamo che la funzione educativa dello sport venga totalmente svilita se il Paese colpevole di tali violazioni non viene richiamato al rispetto della legalità internazionale e non viene sanzionato per i suoi crimini ma, al contrario, viene assecondato, se non premiato, finanche dalle istituzioni sportive le quali, in tal modo, si pongono indiscutibilmente a sostegno del regime di apartheid che caratterizza questo Paese. Riteniamo, quindi, che nel caso specifico, l’unica forma civile che si può praticare per dissociarsi dalla complicità con lo Stato di Israele, macchiato da continui e impuniti crimini in aggiunta al regime di apartheid, sia quello di trasferire le finali Under 21 in un Paese in cui viga un ordinamento statuale effettivamente democratico. Per questo facciamo un ultimo appello al presidente Uefa Michel Platini affinché impedisca che il gioco del calcio diventi un ignobile alleato delle violazioni dei diritti umani. Facciamo anche appello a tutti i media che sicuramente apprezzano lo sport anche in quanto veicolo di educazione alla legalità, affinché pubblichino i numerosi appelli di associazioni e cittadini che chiedono giustizia e non più complicità internazionale e che, nello specifico, boicotteranno la Uefa Under21 perché non vogliono macchiarsi di concorso morale con le pratiche razziste esercitate da Israele. Ricordiamo che il Sud Africa ha abbandonato, almeno dal punto di vista legale, il regime di apartheid proprio grazie alle pressioni internazionali basate sul boicottaggio e proprio per questo aderiamo alla campagna “cartellino rosso all’apartheid israeliana. No alla UEFA under 21 in Israele ” indetta dal comitato BDS Italia (www.bdsitalia.org) e invitiamo tutti a spedire lettere e appelli alla Uefa (info@uefa.com ) e a tutte le tifoserie di natura democratica affinché boicottino l’ Under21 se questo si svolgerà, nonostante tutto, in Israele. Mentre nelle carceri israeliane rischiano di morire, dopo mesi di sciopero della fame, cittadini palestinesi detenuti senza processo e arrestati senza accuse, e tra questi anche giocatori di football che non potranno più giocare, nessuna persona onestamente democratica può sostenere l’impunità israeliana senza sentirsi complice dei suoi delitti. Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni è la nostra unica possibile risposta. NO UNDER 21 IN ISRAELE. Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese, onlus

No alla cittadinanza onoraria che il comune di Cagliari vuole conferire a Grossman

L’intenzione dell’amministrazione comunale della città di Cagliari di conferire la cittadinanza onoraria allo scrittore israeliano David Grossman è un fatto politico grave, quanto di basso profilo; vissuto dalla comunità arabo-palestinese di Cagliari come uno schiaffo morale e politico alle aspirazione di libertà e giustizia del popolo palestinese. I valori morali di David Grossman, ritenuto nella proposta di conferimento della cittadinanza onoraria “sostenitore del dialogo” e “ambasciatore di pace in tutto il mondo”, non coincidono nei fatti con l’atteggiamento tenuto dallo scrittore israeliano in più di una occasione a favore di guerre di aggressione ai danni sia della popolazione libanese (attacco israeliano del sud del Libano nell’estate del 2006), sia di quella palestinese, come l’attacco a Gaza del 2008-2009, in cui le forze armate israeliane sono state ritenute responsabili dall’Onu (“Rapporto Goldstone”) di aver deliberatamente colpito dei civili in più occasioni, specialmente donne e bambini. Lo scrittore è tra coloro che negano il diritto al ritorno del popolo palestinese, diritto fondamentale per la pace, sancito dalle Nazione unite con la risoluzione numero 194 del 1948. In un recente articolo pubblicato dal quotidiano israeliano “Haaretz”, Grossman ha riaffermato tra l’altro anche la legalità dell’occupazione militare israeliana nei territori palestinesi. Tanti intellettuali, scrittori e artisti israeliani di fama internazionale hanno denunciato pubblicamente la dubbia moralità di David Grossman, accusandolo, nel suo “travestimento da uomo di pace”, di essere responsabile della “propaganda ipocrita e bellicosa” di Israele. Per esempio, Yitzhak Laor, nel suo saggio intitolato “Il nuovo filosemitismo europeo e il ‘campo della pace’ in Israele” (Le Nuove Muse, Torino 2008), sottolinea che La responsabilità della propaganda ipocrita e bellicosa ricade anche su intellettuali israeliani che si presentano come “pacifisti”, i “laburisti di servizio”, tra i quali David Grossman, Amos Oz, Abraham B. Yeoshuah. Quegli scrittori, laici e laburisti, travestiti da uomini di pace, che in Israele si proclamano “campo della pace”, sono soprattutto preoccupati, tanto laggiù quanto in Occidente, di essere considerati parte viva dell’intelligentia occidentale. Con quell’obiettivo, assumono il ruolo di esorcizzare, per conto dell’opinione pubblica europea, l’odio e la paura per l’Islam e per gli Arabi e il compito riconosciuto di garantire in Medio Oriente un baluardo in difesa della civiltà occidentale che in cambio accoglie anche, con convenzionale e unanime favore, i modi ipocriti della propaganda diffusa da tutte le loro opere. (Fonte: www.lenuovemuse.it/pub/autore.php?nt=011) Gideon Levy, in risposta alla domanda di Marco Cesareo su cosa pensasse dell’atteggiamento di scrittori come Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman, apertamente favorevoli alla guerra, rispose: Io ho criticato aspramente la guerra denunciando il massacro di civili innocenti e per questa ragione sono stato molto criticato in Israele. Credo che chiunque abbia sostenuto questa guerra debba sostenere anche i crimini di guerra commessi laggiù. Ecco perché sono profondamente dispiaciuto che persone con una moralità del loro calibro si siano schierate a favore di questa guerra perché si è trattato di una guerra immorale. (l’aggressione a Gaza “piombo fuso 2008-2009 ndr) (Fonte: http://www.resetdoc.org/story/00000001199). Il pubblicista e musicista Gilad Atzmon, invece, ritiene che Il mondo, così sembra, sta accogliendo con una grande ovazione il nuovo oratore israeliano, l’autore David Grossman. Le pubbliche relazioni di Israele hanno disperatamente bisogno di un intellettuale retto, un autore che ‘parli di pace’, un uomo che predichi la ‘riconciliazione’, un uomo di shalom. Ieri The Guardian ha pubblicato un discorso di Grossman, tenuto la scorsa settimana a Tel Aviv davanti al monumento eretto in memoria di Yitzhak Rabin. Grossman è un “israeliano illuminato” di 52 anni, un sionista della sinistra moderata che anela a un cambiamento. Ho letto il discorso di Grossman, e devo dire che benché questa persona venga vista come un israeliano intellettuale di sinistra, io vedo riflesso nelle sue parole nient’altro che il cuore della supremazia ebraica, e anche la difesa dei vecchi e crudeli piani razziali sionisti. Grossman, come altri Israeliani, è totalmente immerso nel discorso fanatico e centralista sionista, un discorso di negazione della causa Palestinese; cioè il diritto al ritorno. (Fonte: http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=662) Considerando questi gravi e documentati presupposti che mettono in dubbio, anche all’interno di Israele, l’impegno morale e civile dello scrittore israeliano, non sussistendo di fatto le motivazioni della benemerenza, vi chiediamo di rinunciare al conferimento della cittadinanza onoraria a David Grossman, onorificenza che, non solo non darebbe nessun lustro alla città, ma farebbe di Cagliari un avamposto nel Mediterraneo di propagazione di inimicizia, invece che crocevia di pace e simbolo di “integrazione tra le genti”. Fawzi Ismail Cagliari 21.04.2013

mercoledì 17 aprile 2013

"Vittorio martire della lotta per la libertà"

Attivisti e analisti palestinesi raccontano il dolore del popolo palestinese: "Vik ha pagato il nostro stesso prezzo". E c'è chi punta il dito contro la Giordania. di Emma Mancini Betlemme, 15 aprile 2013, Nena News - Un martire della resistenza palestinese. Un compagno che ha sacrificato la sua vita, come altre migliaia di palestinesi nella lotta per la liberazione dal 1948 ad oggi. A due anni di distanza dalla sua barbara uccisione, Vittorio Arrigoni non è stato dimenticato. Il popolo palestinese continua a celebrarlo, facendo proprio il motto che Vik non si stancava di ripetere: "Restiamo Umani". Due anni fa in Cisgiordania fiaccolate e commemorazioni si susseguirono senza sosta in tutta la Cisgiordania: candele accese e rispettoso silenzio per una morte inattesa quanto incomprensibile. Un dolore vero, quello del popolo di Palestina, come autentica fu la sofferenza per la scomparsa di Rachel Corrie e Juliano Mer-Khamis. "Di fronte ad un simile affronto, ogni palestinese ha provato e prova rabbia e dolore - spiega a Nena News l'analista palestinese e direttore dell'Alternative Information Center, Nassar Ibrahim - Una rabbia derivante dal fatto che un tale atto non rientra affatto nelle dinamiche interne della resistenza. Non è un fenomeno. Da anni accogliamo gli attivisti internazionali che scelgono di battersi insieme a noi. La loro presenza è fondamentale. Vittorio era parte della lotta per la liberazione". Tanto da diventare un target, come target lo sono gli attivisti palestinesi: "A volte gli internazionali pagano lo stesso prezzo che paghiamo noi palestinesi, perché la nostra battaglia è la stessa - prosegue Ibrahim - Diventano obiettivi dell'occupazione israeliana, ma anche di gruppi estremisti e minoritari mossi da interessi personali. Ovvero di coloro che vogliono interrompere il flusso di solidarietà che dall'estero arriva in Palestina. In questo caso, nel caso di Vik, coprendosi con la scusa della religione". "Chi combatte per la libertà, sa di rischiare, sa che può trovarsi di fronte a dolore e sofferenza. Vittorio lo sapeva, ma non ha mai messo in dubbio il suo impegno per la nostra causa, che è una causa internazionale. Vittorio è per noi palestinesi un martire, il suo nome è scritto nella lista di chi merita rispetto e onore. Come celebriamo i nostri martiri, celebriamo Vik, Rachel e Juliano che hanno sacrificato la loro stessa vita per la libertà della Palestina". Ibrahim non si sbilancia sul ruolo di Hamas nella morte di Vittorio Arrigoni ("Non saprei dire quali equilibri interni abbiano portato al suo omicidio"). C'è invece chi ha le idee chiare sulla morte di Vik: dietro il gruppo salafita, ci sarebbe la Giordania. "Ritengo che la responsabile della morte di Vittorio sia l'intelligence giordana - spiega a Nena News Mazin Qumsiyeh, professore alla Bethlehem University e attivista palestinese - All'epoca l'obiettivo di Amman era mettere in cattiva luce il governo di Hamas nella Striscia, mostrare l'enclave come un covo di fanatici ed estremisti religiosi. Per questo, qualche mese prima dell'omicidio, i servizi giordani inviarono i loro uomini a Gaza, dove presero contatti con il gruppo di salafiti che poi rapì e uccise Arrigoni. Ritengo che questo sia il contesto: all'epoca Hamas si manteneva vicino ad Hezbollah e alla Siria, e andava punita". "Questo spiegherebbe perché le forze di sicurezza di Hamas arrestarono subito i responsabili - continua Qumsiyeh - Poi con lo stravolgimento degli equilibri mediorientali, la situazione è cambiata: Hamas ha abbandonato la Siria, si è allontanato da Hezbollah, per avvicinarsi ai Paesi del Golfo, alla Turchia, alla Giordania, dietro soprattutto la pressione del capo del politburo di Hamas, Khaled Meshaal. E così anche il processo ha subito una svolta: dall'opzione lavori forzati alla quasi liberazione". In questi giorni non sono poche le organizzazioni palestinesi che hanno deciso di rendere omaggio a Vittorio, con incontri e meeting per ricordarne l'impegno. La Palestina resta umana. Nena News

lunedì 15 aprile 2013

Ipocrita risposta alla lettera di Samer Issawy

Articolo ipocrita e paternalistico apparso ieri su Hareetz in "sostegno" a Samer Issawi, "prestigiosi Intellettuali", così sono definiti nell'articolo, il top della cultura israeliana, in realtà molti firmatari dell'appello sono convinti sionisti e falsi pacifisti, anzi in molte occasioni sono stati megafono dell'oppressione israeliana, consiglieri per la costruzione del muro, della guerra in Libano, teorici delle colonie illegali nei territori occupati illegalmente da Israele. In questo appello scaricano su un prigioniero moribondo la responsabilità di ostacolare il "processo di pace", ben sapendo quanto questi sono una farsa per coprire un'occupazione inumana e crudele. [nota di Invictapalestina] Prestigiosi Intellettuali israeliani esortano il prigioniero Samer Issawi a porre fine allo sciopero della fame. In un appello pubblico , tra questi Amos Oz e AB Yehoshua dichiarano di simpatizzare con la causa Samer Issawi con la preoccupazione che la sua morte possa però ostacolare gli sforzi per risolvere il conflitto israelo-palestinese. L'appello pubblico giunge in risposta a un messaggio scritto da Issawi e pubblicato su Facebook in cui ha chiesto agli israeliani di intervenire a suo nome. Il prigioniero ha rifiutato cibo solido per otto mesi ed è ora nell'ospedale di Kaplan a Rehovot a causa del peggioramento della sua condizione medica. Il gruppo, che comprende intellettuali quali AB Yehoshua, Amos Oz e Yehoshua Kenaz, ha offerto la sua solidarietà, ma gli intellettuali asseriscono che la sua morte potrebbe ostacolare gli sforzi per risolvere il conflitto tra Israele e i palestinesi. "Abbiamo letto il tuo sciopero della fame con angoscia", scrivono nel messaggio. "Siamo sconvolti dalla tua condizione di deterioramento e riteniamo che l'atto suicida che si sta per commettere aggiungerà un altro aspetto della tragedia e disperazione al conflitto tra i due popoli - Un conflitto che è in cerca di pace da entrambi le parti. "Per favore, Samer Issawi, non sommiamo più disperazione alla disperazione già esistente rafforzando così la speranza in ognuno di noi". Gli autori hanno sottolineato che ci sono "segni incoraggianti e che i nuovi negoziati tra le parti riprenderanno", aggiungendo che queste misure possono ottenerne il rilascio di Issawi con altri palestinesi imprigionati in Israele. "Vi invitiamo a interrompere lo sciopero della fame e scegliere la vita, perché siamo impegnati instancabilmente in uno sforzo verso la pace tra i due popoli, affinché vivano fianco a fianco per sempre in questo paese", hanno concluso gli autori. Lo sceneggiatore Eli Amir, che ha firmato la lettera, ha precisato ad Haaretz che il messaggio non vuole essere "paternalistico". Si continua a leggere nell'appello "Abbiamo recentemente sentito dire che il governo propone di deportarlo in uno degli Stati europei". Samer Issawi ha denunciato la passività di funzionari pubblici, scrittori e la società civile mentre sta morendo di fame trasformandosi in uno scheletro. Noi stiamo cercando di aiutarlo a prescindere da ciò che ha fatto e dalle sue opinioni." Nel 2002, Issawi è stato condannato a 26 anni di carcere per vari capi d'accusa: tentato omicidio, detenzione di armi, commercio di armi, addestramento militare illegale, appartenenza a un gruppo terroristico. Nel 2011 è stato uno dei 1027 prigionieri liberati dal carcere israeliano come parte dell'accordo che assicurò la libertà di Gilad Shalit, ma è stato nuovamente arrestato lo scorso agosto per aver violato i termini della sua liberazione. Poco dopo il suo ritorno in carcere, ha iniziato uno sciopero della fame, e ora è tenuto in vita solo da liquidi arricchiti con vitamine. I medici curanti dichiarano la sua condizione peggiorata drasticamente ed è in reale pericolo per la sua vita. Sabato scorso , la polizia ha arrestato due attivisti di sinistra che hanno cercato di entrare, nell'ospedale dov'è ricoverato, con l'intento di fargli visita. fonte: Chaim Levinson su Hareetz del 13 aprile - Traduzione a cura di Invictapalestina

venerdì 12 aprile 2013

Discorso di Samer Issawi, sul punto di morte.

Israeliani: Sono Samer Issawi in sciopero della fame da otto mesi consecutivi, attualmente ricoverato in uno dei vostri ospedali chiamato Kaplan. La mia situazione è monitorata 24 ore su 24 grazie ad un dispositivo medico che è stato inserito sul mio corpo.I miei battiti cardiaci sono rallentati e il mio cuore può cessare di battere da un momento all'altro. Tutti - medici, funzionari e ufficiali dell'intelligence - attendono la mia resa e la mia morte. Ho scelto di rivolgermi a voi intellettuali, scrittori, avvocati, giornalisti, associazioni e attivisti della società civile per invitarvi a farmi a visita, in modo tale che possiate vedere ciò che resta di me, uno scheletro legato ad un letto d'ospedale, circondato da tre carcerieri esausti che, a volte, consumano le loro vivande succulente, in mia presenza. I carcerieri osservano la mia sofferenza, la mia perdita di peso e il mio graduale annullamento. Spesso guardano i loro orologi e si chiedono a sorpresa: come fa questo corpo così martoriato a resistere dopo tutto questo tempo? Israeliani: Faccio finta di trovarmi innanzi ad un intellettuale o di parlare con lui davanti ad uno specchio. Vorrei che mi fissasse negli occhi e osservasse il mio stato comatoso, vorrei rimuovere la polvere da sparo dalla sua penna e il suono delle pallottole dalla sua mente,in modo tale che egli sia in grado di scorgere i miei lineamenti scolpiti in profondità nei suoi occhi. Io vedo lui e lui vede me; io lo vedo nervoso per le incertezze future, e lui vede me, un fantasma che rimane con lui e non lo lascia. Potete ricevere istruzioni per scrivere una storia romantica su di me, e lo potreste fare facilmente. Dopo avermi spogliato della mia umanità, potrete descrivere una creatura che non possiede null'altro che una gabbia toracica, che respira e soffoca per la fame, perdendo di tanto in tanto coscienza. Ma, dopo il vostro freddo silenzio, il racconto che parla di me, non sarà null'altro che una storia letteraria o mediatica da aggiungere al vostro curriculum, e quando i vostri studenti diventeranno adulti crederanno che i Palestinesi si lasciano morire di fame davanti alla spada dell'israeliano Gilad e voi potrete rallegrarvi per questo rituale funebre e per la vostra superiorità culturale e morale. Israeliani: Io sono Samer Issawi il giovane "Araboush" come mi definisce il vostro gergo militare, l'Uomo di Gerusalemme che avete arrestato senza accusa, colpevole solo di essersi spostato dal centro di Gerusalemme verso la sua periferia. Io sono stato processato due volte senza alcuna accusa perchè nel vostro Paese sono le leggi militari a governare e i servizi segreti a decidere mentre tutti gli altri componenti della società israeliana devono limitarsi a trincerarsi e nascondersi dietro quel forte che continua ad essere chiamato purezza di identità - per sfuggire all'esplosione delle mie ossa sospette. Non ho udito neanche uno di voi intervenire per tentare di porre fine allo squarciante gemito di morte. E' come se ognuno di voi - il giudice, lo scrittore, l'intellettuale, il giornalista, l'accademico, il mercante e il poeta - si fosse trasformato in un affossatore e indossasse una divisa militare. E stento a credere che una società intera sia diventata spettatrice della mia morte e della mia vita e protettrice dei coloni che hanno distrutto i miei sogni insieme agli alberi della mia Terra. Israeliani: Morirò soddisfatto e avendo soddisfatto gli altri. Non accetto di essere portato fuori dalla mia patria. Non accetto i vostri tribunali e le vostre leggi arbitrarie. Dite di aver calpestato e distrutto la mia Terra in nome di una libertà che vi è stata promessa dal vostro Dio, ma non riuscirete a calpestare la mia nobile anima disobbediente. La mia anima si è risanata, si è liberata e ha celebrato il tempo che le avete tolto. Forse capite che la consapevolezza della libertà è più forte di quella della morte... Non date ascolto a quei luoghi comuni, ormai obsoleti perché lo sconfitto non rimarrà sconfitto in eterno così come il vincitore non resterà un vincitore in eterno. La storia non si misura solo attraverso battaglie, massacri e prigioni ma anche e soprattutto dal sentirsi in pace con gli Altri e con se stessi. Israeliani: Ascoltate la mia voce, la voce dei nostri tempi, nonché la vostra voce! Liberate voi stessi dell'eccesso avido di potere! Non rimanete prigionieri dei campi militari e delle sbarre di ferro che hanno serrato le vostre menti! Io non sono in attesa di essere liberato da un carceriere ma sto aspettando che voi vi liberiate della mia memoria. Traduzione Invictapalestina & Rossella Tisci