giovedì 9 aprile 2009

OSTACOLI ALLA PACE

Jeff Halper, Ostacoli alla pace.
Una ricontestualizzazione del conflitto israelo-palestinese, Una Città
Recensione di Paola Canarutto
“La ‘pace’ verrà solo quando ‘gli arabi’ dispereranno di ottenere mai uno Stato tutto per loro che sia davvero vitale e sovrano, solo quando acconsentiranno ad una parvenza di Stato che lasci il controllo esclusivo di Israele su tutto il paese. Che sia attraverso il processo di pace di Oslo, o con I ‘passi unilaterali’ di Sharon, Israele persegue ossessivamente e vanamente un approccio ‘win-lose’, in cui cioè ci sia un solo vincitore, per cui bisogna soggiogare I palestinesi una volta per tutte” (pag. 19).
Jeff Halper è il direttore dell’ICAHD, il Comitato israeliano contro la demolizione di case palestinesi. Vive a Gerusalemme, ed in particolare qui opera l’ICAHD – che non solo denuncia le demolizioni di case, come mezzo per cacciare gli abitanti non ebrei dalla città, ma pure si impegna concretamente a ricostruirne alcune.
Per la demolizione di case, Gerusalemme – che per Israele è, ‘completa e unita’, la propria capitale -, è un ottimo punto di osservazione. La distruzione del quartiere al Mughrabi fu uno dei primi atti successivi alla conquista della parte est della città,nel ‘67; una donna morì sotto le macerie. Il vantaggio ottenuto fu di ottenere una grande piazza, in cui gli ebrei possono pregare davanti al Muro del Pianto. E questo è solo un capitolo nel lungo elenco di distruzioni, iniziate nel ‘48 con la costituzione dello Stato, quando furono rasi al suolo centinaia di villaggi arabi, per far sì che gli abitanti palestinesi,una volta cacciati, non vi tornassero. Poi, quelle a cavallo della Linea Verde, a Gerusalemme Est e a Gaza, a partire dal ‘67. Quindi, quelle per colpire i parenti di coloro che avevano osato rispondere con le armi agli attacchi israeliani; e, soprattutto, le distruzioni di case costruite senza permesso.
Dall’inizio dell’intifada al 2005, Israele ha abbattuto, nel corso di operazioni militari, più di 5.000 case. E sono demolite anche le case dei palestinesi che sono cittadini di Israele, quelle dei villaggi che lo Stato non riconosce, anche se sussistono da ben prima che questo fosse creato. Ed i palestinesi, che sono il 20% della popolazione di Israele, vivono confinati sul 3,5% del territorio.
A Gerusalemme, Israele ha deciso che la popolazione araba non deve superare le proporzioni che aveva nel ‘67. Per mantenere questo ‘equilibrio demografico’, ai palestinesi non è concesso costruire se non nelle zone già edificate; intorno alla città, intanto, si costruiscono sempre più colonie, a cui possono accedere solo ebrei. Oggi i palestinesi sono un terzo degli abitanti di Gerusalemme, ma hanno accesso solo al 7% della superficie urbana residenziale. Ed a coloro che, per questa crisi degli alloggi artificialmente creata, vanno a vivere oltre il confine metropolitano, la cartà di identità gerosolomitana – kfakianamente definita come quella dei ‘residenti permanenti’ – viene confiscata; e chi e è privo deve sottostare a tutte le restrizioni imposte agli altri cisgiordani.
A Gerusalemme, le colonie circondano la parte araba della città, impedendone lo sviluppo ed ostacolandone il contatto con il resto della Cisgiordania. Ma il divieto di costruire riguarda pure le aree cisgiordane definite, con gli accordi di Oslo, ‘zona C’, vale a dire sotto il completo controllo israeliano. Anche lì ai palestinesi non sono concesse licenze edilizie, e chi osa procurarsi un tetto sulla testa vive sotto la continua minaccia dell’arrivo dei bulldozer.
Jeff descrive il sistema di controllo, che divide la Cisgiordania in tronconi, dove i palestinesi possono passare da uno all’altro solo se in possesso di un permesso israeliano. Chiarisce il motivo del fallimento degli accordi di Oslo, nel cui periodo di applicazione raddoppiò la popolazione delle colonie. E spiega perché la tanto reclamizzata ‘generosa offerta di Barak a Camp David fu in realtà tutto meno che generosa: i palestinesi sarebbero comunque rimasti sotto il controllo di Israele.
“Tutto ciò richiede una particolare abilità: bisogna garantire ai palestinesi uno Stato indipendente mantenendone di fatto il controllo totale, e convincere la comunità internazionale ad accettare la situazione. Ecco così la ‘Matrice di controllo, un labirinto di leggi, ordini militari, procedure di pianificazione, limitazioni alla libertà di spostamento, burocrazia kafkiana, insediamenti ed infrastrutture che, dietro la facciata di ‘buona amministrazione’, nascondono il controllo israeliano, facendo sparire il tema dell’Occupazione dall’opinione pubblica” (pag. 25).
Soprattutto, Jeff spiega il motivo di base delle angosce dei governi israeliani, che mirano a tenere i territori occupati nella guera del ‘67, ma non gli abitanti. Che hanno un ‘difetto’ fondamentale: non essere ebrei.
Questo ‘problema demografico’ esclude che si possa dare loro la cittadinanza. Se non se ne vogliono andare ‘con le buone’, ‘occorre’ rinchiuderli in dei bantustan. A governare i quali occorre mettere dei leader palestinesi acquiescenti alla volontà israeliana. In questo modo, l’occupazione si è trasformata in apartheid. Ma la situazione dei palestinesi è peggiore di quella dei neri sudafricani, quando governavano i razzisti bianchi: il Sudafrica aveva bisogno della manodopera nera, mentre Israele ha sostituito la manodopera palestinese con immigrati dalla Cina, dalla Thailandia, e così via.
“Poiché entro la fine del decennio i palestinesi potrebbero sorpassare in numero gli ebrei nell’area compresa tra il fiume Giordano ed il Mediterraneo, Israele considera la ‘bomba demografica’ come la principale minaccia alla propria egemonia. Per contrastare questo trend, Israele persegue attive politiche di trasferimento della popolazione: esilio e deportazione, espropriazione della terra, demolizione delle case ecc., tutto ciò per rendere la vita tanto impossibile da indurre la popolazione a un’emigrazione ‘volontaria’.”. Oggi, dopo la vittoria elettorale della destra e dell’estrema destra in Israele, queste parole - scritte nel 2005 – suonano ancora più profetiche, presaghe di un futuro ancora più nero del presente.
Nel fare chiarezza in un mare di disinformazione, voluta dalla propaganda israeliana ed egregiamente propagandata dai nostri media, il libro di Jeff è fondamentale. Sorgono alcuni dubbi nel leggere le soluzioni che prospetta: fallita l’idea dei due stati, data l’espansione delle colonie; negata dalla stragrande maggioranza degli israeliani ebrei, e non apprezzata nemmeno dalla maggior parte dei palestinesi, l’idea di uno stato unico, in cui i primi si troverebbero ben presto in minoranza, ma i secondi resterebbero comunque, almeno per un primo periodo, sottoposti al volere del gruppo ebraico, Jeff propone l’idea di una confederazione, comprendente anche la Giordania. In questo modo, gli ebrei di Israele non dovrebbero temere di diventare minoranza: anche se tornassero dei profughi palestinesi, questi potrebbero avere la cittadinanza di un altro stato della confederazione.
Fiamma Bianchi Bandinelli aveva suggerito, dalle pagine di Una Città, che questa Unione del Medio Oriente dovrebbe trovar sbocco nell’Unione Europea, e tale sembra a tutt’oggi l’ipotesi più ragionevole: Israele cerca continuamente di migliorare i propri rapporti con la UE, mantenendone fuori i palestinesi. Ipotizzare uno sbocco solo medio-orientale alla confederazione – per ora solo ipotetica – equivale secondo me a proiettare anche nel futuro il dominio israeliano sui palestinesi, stante l’alleanza di USA e Israele con la Giordania (e l’Egitto).
Ma queste sono solo ipotesi. La forza del libro di Jeff sta secondo me molto più nella parte in cui espone con estrema chiarezza lo status questionis, piuttosto che in quella in cui propone soluzioni. Perché è questo che manca, soprattutto in Italia: l’informazione. In mancanza di questa, si accetta la vulgata israeliana, secondo la quale la causa dei problemi non è mai l’occupazione, ma il ‘terrorismo’ – parola che comprende gli attacchi palestinesi contro la popolazione civile, ma mai quelli israeliani. Dal terrorismo palestinese Israele proclama di poter fornire scampo solo imponendo ‘misure di sicurezza’, dai posti di blocco al Muro. Jeff, invece, spiega con estrema chiarezza come Israele abbia espropriato il 24% della Cisgiordania e l’89% della Gerusalemme Est araba, confinando i palestinesi in enclave ed espandendo gli insediamenti; come, durante gli accordi di Oslo, abbia creato un massiccio sistema di autostrade, che agevolano il transito dei coloni, creando nel contempo barriere insuperabili ai palestinesi (le cui auto qui non possono transitare); e come si impossessi dello 80% delle risorse idriche cisgiordane, lasciando ai palestinesi solo quel che resta.
Si può solo sperare che un numero maggiore di libri di questa chiarezza sia tradotto in italiano.

mercoledì 8 aprile 2009

LO STATO FORTEZZA

Israele prepara la più grande esercitazione militare della sua storia


Per sensibilizzare la popolazione alla possibilità di uno immininente scontro armato
Israele sta preparando la più grande esercitazione militare della sua storia. Le manovre militari avverrano in circa due mesi e serviranno ad aumentare la consapevolezza tra la popolazone della possibilità di scoppio di una guerra.
Il quotidiano israeliano Haaretz riporta un intervista con il colonello Hilik Sofer nel quale il militare dice "dobbiamo esercitarci per l'eventualità che, durante una guerra, dei missili possano cadere su ogni parte del Paese senza alcun avvertimento". L'Idf, l'esercito israeliano, vuole convincere la popolazione che in una futura guerra l'intero Paese può diventare zona di frontiera. Il colonnello continua spiegando che l'intenzione dell'esercitazione "è di trasformare la popolazione da passiva ad attiva. Noi vogliamo che i cittadini capiscano che una guerra può scoppiare domattina". Sofer dice "L'intera popolazione parteciperà alle esercitazioni, non solo le scuole". L'esercito israeliano è considerato già uno dei più efficenti e dei più grandi al mondo, in proporzione alla popolazione. Ogni maschio al compimento dei 18 anni deve prestare tre anni di servizio militare e ogni ragazza per 2, fanno eccezione solo gli ebrei ultraortodossi che frequntano le scuole rabbiniche, inoltre tutti gli israeliani sono considerati riservisti fino ai 40 anni.

lunedì 6 aprile 2009

8 APRILE GIORNATA MONDIALE DEI ROM E SINTI

Anche in Italia si celebra la Giornata Mondiale dei Rom e Sinti.

Politici, attivisti, uomini di spettacolo, intellettuali al Campidoglio per un incontro memorabile con la cultura e l'orgoglio di un popolo perseguitato. Iniziative anche a Pesaro, Torino e nelle capitali europee

Roma, 5 aprile 2009. Il Coordinamento Nazionale Antidiscriminazione Sa Phrala, la Federazione Rom e Sinti insieme e il Gruppo EveryOne promuovono un’assemblea pubblica il 7 Aprile a Roma dalle ore 9 alle ore 13, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio per la celebrazione della Giornata Mondiale dei Rom e Sinti, istituita nel 1971 a Londra dall’International Romani Union (IRU) organismo non governativo e non territoriale che rappresenta tutti i Rom e Sinti al mondo, con potere di consultazione presso l’ ECOSOC alle Nazioni Unite dal 1979. Nel meeting, cui parteciperanno autorità parlamentari e rappresentanti delle Istituzioni nazionali e internazionali, sarà illustrato il significato della Giornata Mondiale dei Rom e Sinti: l'8 aprile, come è stato dichiarato nel 1971, durante il Primo Congresso che si tenne a Londra. Lo stesso anno fu fondata l’International Romani Union. E' la prima volta che la Giornata Mondiale dei Rom e Sinti viene celebrata in Italia. L’assemblea sarà aperta e conclusa dalle note di “Gelem Gelem”, l'inno dei Rom e Sinti, cantato dalla grande interprete ebrea Miriam Meghnagi. I promotori illustreranno al pubblico il significato della ricorrenza: Santino Spinelli, fondatore del Coordinamento Nazionale Sa Phrala e rappresentante della International Romani Union in Italia; Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione Rom e Sinti; Giulia Di Rocco, Sevla Sejdic, Vladimiro Torre, Sergio Suffer, Graziano Halilovic, Gian Mario Gillio, Gianluca Magagni, Giulio Russo ed EveryOne. "E' l'occasione di dimostrare pubblicamente, soprattutto per i politici, una volontà reale di combattere razzismo e pregiudizio," spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, leader del Gruppo EveryOne, "come prevedono le Direttive europee. Fino ad oggi in Italia non si è fatto nulla per sostenere progetti di emancipazione e integrazione riservati a Rom e Sinti, nonostante si siano spese tante parole. Nei campi, trasformati in ghetti, la popolazione Rom e Sinta vive senza diritti in condizioni disumane. Ma ancora più tragica è la condizione dei cittadini Rom dell'Unione europea, in particolare i romeni, che sono oggetto di sgomberi iniqui, senza alternative di alloggio, di pestaggi, di insulti razziali, di azioni disumane di allontanamento. Vivono come topi, braccati, costretti a incamminarsi verso il nulla - dopo ogni sgombero - in processioni dolenti e senza speranza. La Giornata dei Rom e Sinti deve essere un momento di celebrazione, ma anche un'istanza perché la società italiana interrompa l'orrore della persecuzione razziale e segua le disposizioni dell'Unione europea, riconoscendo finalmente i diritti di un popolo perseguitato". l'8 aprile a Roma, Torino e altre città italiane si terranno iniziative per celebrare la Giornata Mondiale dei Rom e Sinti, in contemporanea con le capitali europee - da Parigi a Praga, da Londra a Berlino - e città storicamente legate alla cultura Rom e Sinta come Marsiglia, Lubiana, Chandigarh. A Pesaro, nel pomeriggio, performance di Land Art del Gruppo Watching The Sky - intitolata "Omaggio a Virgil Calderar, bambino Rom mai nato" - sulla spiaggia cittadina, per ricordare le vittime dell'Olocausto e delle numerose persecuzioni che hanno colpito il popolo Rom e Sinto, fino ai nostri giorni. "La performance sarà videoripresa," dice Ionut Grancea, giovane artista Rom romeno di Watching The Sky, "e presentata al Parlamento europeo e al Comitato contro le discriminazioni delle Nazioni unite,"

Per informazioni:
Coordinamento Sa Phrala - Ogni persona è tuo fratello
info@everyonegroup.com
spithrom@webzone.it
federazioneromsinti@yahoo.it
Tel. 331 3585406

Una famiglia di Gaza

Gaza, tonnellate di aiuti bloccati marciscono al sole.

Mentre nella Striscia di Gaza c'è una popolazione che vive di stenti e muore per la mancanza di prodotti elementari, le autorità egiziane fanno il "lavoro sporco", loro commissionato da Israele, dall'Unione Europea e dagli Stati Uniti, di imperdire il passaggio attraverso il posto di confine di Rafah di una quantità immensa di prodotti, che il senso di giustizia e di umanità di tutto il mondo sta inviando in aiuto del popolo palestinese imprigionato.

E' insopportabile vedere le immagini di questo video , la loro inequivocabile denuncia, e pensare all'ipocrisia con la quale il mondo bugiardo dei "donatori ufficiali", coordinato da Israele, discute su capitali promessi per la "ricostruzione di Gaza", fondi che mai verranno versati a chi di essi necessita per poter sopravvivere.
Di quale "ricostruzione" si blatera quando al porto israeliano di Ashkelon sono giunti dagli Stati Uniti quasi mille container carichi di armamenti e di esplosivi ad alto potenziale?
Quanti massacri dovrà ancora compiere l'esercito "più morale del mondo" prima che i criminali politici e militari che lo comandano possano essere finalmente condannati dal Tribunale Internazionale di Giustizia o da una qualsiasi Corte internazionale istituita a tale fine?

Quando i mezzi di informazione cominceranno a vergognarsi di come hanno sistematicamente taciuto o travisato le notizie delle innumerevoli violazioni dei diritti umanitari compiute dai soldati di Israele?

mariano

Le immagini del video su Repubblica tv mostrano la denuncia di Music for Peace:

http://tv.repubblica.it/copertina/gaza-gli-aiuti-bloccati/31366?video

Valentina Gallo Afflitto

Responsabile Segreteria


sabato 4 aprile 2009

NIENTE PAURA E' SOLO UNA STRAGE DI MIGRANTI

Nella notte di sabato 28 marzo alcune centinaia di migranti hanno perso la vita nelle acque di quello che ormai dovrebbe esser ribattezzato come il Canale della Morte.

Erano partiti dalle coste libiche in gran numero affrontando un mare spietato, spinti a raggiungere quanto prima le coste italiane, prima che il 15 maggio entri in vigore il Trattato Italia-Libia sul pattugliamento delle coste e dei confini terrestri libici.

Si tratta dell'ennesimo naufragio che ha nelle politiche rapaci del modello neoliberista, nei firmatari e sostenitori del trattato di Schengen, nelle politiche razziste e ciniche degli ultimi governi di destra e centro-sinistra i suoi massimi responsabili. Responsabili che, se le vittime fossero esseri umani, meriterebbero di esser condotti davanti al Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l'umanità.

Ma niente paura, è solo una strage di migranti, esseri senza speranza, invisibili ai più e che già domani saranno gettati dal mare al dimenticatoio dell'insensibile indifferenza della società.

Perché mai considerare quei migranti come degli esseri umani che scappano da condizioni disumane alla ricerca di un futuro più dignitoso, invece di considerarli per quello che oggettivamente sono: incontrollabili macchine in esubero, invasori importuni di notti mondane di gente perbene.

Perché mai continuare a vedere in loro il riflesso della nostra umanità quando invece non sono altro che mammiferi, che per cause ancora sconosciute, si spiaggiano come delfini sulle coste di Lampedusa.

Perché mai indignarsi per quel che accade nel Canale di Sicilia quando in fin dei conti, questi migranti, se la sono cercata. Nessuno gli ha chiesto di venire!

Ma niente paura, sono solo migranti, esseri un po' barbari, che non avendo scelto dove nascere pretendono ora di scegliere dove vivere.

Niente paura, la nostra coscienza non continuerà a subire altri scossoni.

Niente paura, domani è tutto passato.

Vito Correddu

RAZZISMO

http://www.meltingpot.org/articolo14266.html
In questo sito importanti notizie su cosa sta diventando il nostro paese e sulle derive razziste, importante in particolare l'articolo linkato.
A Foggia ci sarà un autobus dell'apartheid, dove viaggeranno gli immigrati da soli, per i locali un altro autobus. Sembra di essere in America nel profondo sud del secolo scorso

BAMBINI

Azione urgente per i bambini palestinesi di Tuba e Maghaer-al-Abeed

Operazione Colomba e Christian Peacemaker Teams (CPT) esprimono preoccupazione per l'incolumità dei bambini palestinesi dei villaggi di Tuba e Maghaer-al-Abeed che frequentano la scuola elementare di At-Tuwani. I bambini affrontano quotidianamente un insidioso cammino tra l'insediamento israeliano illegale (secondo il diritto internazionale) di Ma'on e l'avamposto illegale (anche secondo la legge israeliana) di Havat Ma'on. Per anni, coloni armati hanno attaccato e minacciato i bambini lungo il tragitto da Tuba a At-Tuwani. Nel 2004 la Knesset ha ordinato all'esercito di garantire ai bambini una scorta armata. Tuttavia, poiché i coloni hanno posto un anno fa un cancello lungo la strada, i soldati si sono rifiutati di camminare con i bambini per tutto il tragitto in modo da assicurare la loro incolumità.

Nelle scorse due settimane, gli internazionali di Operazione Colomba e dei Christian Peacemaker Teams hanno avvistato per ben due volte dei coloni al pascolo con le proprie pecore sulla strada, proprio mentre i bambini la percorrevano per tornare a casa. I bambini sono terrorizzati dalla presenza dei coloni a causa degli attacchi fisici e delle minacce di morte subite nel corso degli anni. Dall'incidente verificatosi il 24 marzo scorso, quando i coloni sono comparsi alla fine della strada, gli internazionali e gli stessi bambini hanno ripetutamente chiesto ai soldati di camminare con loro finché non sono certi di essere fuori pericolo. Il 1 aprile, i coloni si sono nuovamente recati sulle terre tra l'avamposto di Havat Ma'on e il villaggio di Tuba mentre i bambini camminavano verso casa. I bambini sono quindi scappati spaventati e in lacrime e hanno raggiunto alcuni membri di Operazione Colomba e del CPT che li attendevano.

Gl internazionali richiedono con il presente appello che le persone interessate si rivolgano all'ufficio comunicazioni del Comando Militare israeliano nel distretto meridionale, al seguente numero di telefono: +972 2 996 7200. Rivolgetevi al Comandante Ben Moha, chiedendo che dia istruzioni ai soldati della scorta di accompagnare i bambini di Tuba e Maghaer-al-Abeed per l'intero tragitto fino alla fine dell'insediamento e dell'avamposto, come previsto dall'ordine militare. Sottolineate per favore come ciò sia particolarmente necessario a causa della ripetuta presenza di coloni nell'area al momento del passaggio dei bambini e ricordate al comandante che i coloni hanno usato violenza contro i bambini per 14 volte nell'anno scolastico 2007-2008 e per 2 volte nel corrente anno scolastico.

Per informazioni più dettagliate sulla scorta ai bambini, incluse mappe, foto e interviste, è disponibile il rapporto “Un viaggio pericoloso” all'indirizzo: www.operazionecolomba.com/un-viaggio-pericoloso.pdf

Oltre a chiedere di telefonare, Operazione Colomba e CPT chiedono di inviare un messaggio all'IDF Public Appeals Office: http://dover.idf.il/IDF/English/Contact+US/
specificando nell'oggetto il nome del Comandante Ben Moha.

Esempio (non più di 75 caratteri):
Subject: Request to Commander Ben Moha
Palestinian school children from Tuba and Magaher-al-abeed must walk past militant settlers from Ma’on and Havat Ma’on to attend school in At-Tuwani. The Knesset recommended in 2004 that the IDF escort these children. Currently soldiers refuse to escort the children far enough to ensure their safety. In order to do so they must accompany the children all the way past the Ma’on chicken barns and past any settlers present.

Fax IDF Public Appeals Office: +972-3-569-9400.
Telefono IDF Public Appeals Office: +972-3-569-1000.

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Operation Dove - Nonviolent Peace Corps
Palestine - Israel
da ONU e medici per i diritti umani denunce di atrocità commesse dall'esercito israeliano:
era solo un bambino di 11 anni e aveva un'unica "colpa": abitare a Tel Hawa, investita in pieno dall'offensiva di terra lanciata dall'esercito israeliano. Era il 15 gennaio, 3 giorni prima del cessate il fuoco. i soldati gli intimarono di camminare davanti a loro e di entrare negli edifici prima di chiunque altro. Un bambino-scudo umano che doveva proteggere i militari dell'esercito più potente del Medio Oriente. a denunciarlo è stato ieri a Ginevra, Radhika Coomaraswamy, inviato speciale dell'ONU per la protezione dei bambini nei conflitti armati. (...)

GULAG ARCHIPELAGO E il futuro della West Bank?

IL NUOVO GOVERNO ISRAELIANO

COMMENTO | di Zvi Schuldiner
IL NUOVO GOVERNO
Guerra, economia e democrazia Bibi & Co. non faranno prigionieri
Benjamin Netanyahu, il disastroso primo ministro israeliano dal '96 al '99, tornato poi come ministro delle finanze tatcheriano nel 2003, ha presentato al parlamento israeliano il più ampio governo della sua storia: 30 ministri e 9 vice ministri. Molti credevano in un «nuovo Netanyahu» e ieri il nuovo primo ministro ha dimostrato che la sua maggiore preoccupazione risiede nel manipolare l'apparato politico.
Nonostante la maggioranza si sia espressa in favore della destra, a causa della cattiva reputazione del governo Olmert e come conseguenza naturale della guerra, già da questa mattina un sondaggio di Ha'aretz mostra che il 54% degli israeliani sono delusi dalla composizione del nuovo governo! Nuovo governo che si trova subito ad affrontare seri problemi su tre dimensioni: pace o guerra e razzismo interno; la situazione economica e il sistema democratico.
Netanyahu preso dall'ambizione personale, non ha incontrato alcun ostacolo nel nominare Avigdor Lieberman come suo ministro degli esteri. Lieberman, a capo del partito nazionalista Yisrael Beiteinu, ha ottenuto una compagine di 15 deputati grazie alla propaganda razzista che ha infuocato la sua campagna elettorale. Le sue idee di lealtà e cittadinanza sono una triste copia di quelle leggi tedesche che gli ebrei preferirebbero dimenticare.
Lieberman, che ha già minacciato di bombardare la Diga di Assuan per dare una lezione agli egiziani e ha letteralmente mandato al diavolo Mubarak, è ora a capo della politica estera israeliana. I suoi difensori lo dipingono come un uomo pragmatico e la cosa gli tornerà utile se la polizia proseguisse le indagini riguardo gravi sospetti di reati economici che avrebbe commesso.
Nell'«occidente civilizzato» molti hanno accolto con un sospiro di sollievo quell'equilibrio che sembrava portare Netanyahu ad un'alleanza con il laburismo di «sinistra». Questa non può essere altro che ignoranza, stupidità o semplice propaganda. Il laburismo non solo non è più di «sinistra», ma almeno dagli ultimi otto anni collabora con la sanguinaria politica dell'estrema destra. Shimon Peres era il premio Nobel che spiegava al mondo la politica di Sharon mentre il ministro della difesa laburista Ben Eliezer continuava la brutale repressione della Seconda Intifada. Chi fu il vero architetto della Seconda Intifada? Ehud Barak, l'allora primo ministro laburista moderato, partecipò ad un preannunciato fallimento a Camp David, accolse la provocazione di Sharon nel settembre del 2000 e cominciò la brutale repressione che portò a termine l'allora comandante dell'esercito Mofaz, mentre inculcava al popolo israeliano e all'«occidente civilizzato» l'idea che non ci fossero partner per la pace e che Israele lottava contro il terrorismo.
La presenza dei laburisti nei governi israeliani dell'ultimo decennio non ha illuminato nuove strade né mostrato moderazione, sino a che non è diventato un utile strumento di propaganda e legittimazione di una politica che non può che essere un vicolo cieco. Ehud Barak non ha mosso un dito per smantellare un solo insediamento nei territori occupati, durante il suo governo anzi si è continuato a costruire sempre più case mentre l'«equilibrato laburismo di sinistra» si preparava per l'ultima guerra a Gaza.
La seconda dimensione non è meno preoccupante: Netanyahu e i suoi alleatisembrano non vedere l'entità della crisi del capitalismo. I suoi segnali sono già approdati anche in Israele ma le demagogiche dichiarazioni che assicurano di combattere la disoccupazione sono già accompagnate da più credibili promesse di denaro pubblico verso milionari falliti. Netanyahu ha ottenuto l'appoggio dei laburisti grazie alla collaborazione del leader dell'Histadrut, Ofer Eini, in cambio di vaghe promesse. Eini prosegue con la linea di alleanze che gli fa preferire un astratta idea di unità nazionale ai reali diritti dei lavoratori. Con lui il laburismo è al governo e ora potrà essere fedele alleato dell'arcaico neoliberalismo di Netanyahu.
La terza dimensione è la più sottile e problematica: 30 ministri e 9 vice ministri in un parlamento di 120 membri significa praticamente paralizzare la vita legislativa, diminuendo ancora la forza ed il prestigio di un organismo che negli ultimi anni si è mostrato sempre più debole. La democrazia israeliana, una problematica etnocrazia in crisi, vedrà così ulteriormente sfilacciarsi i suoi già logorati tessuti.
Il nuovo governo, dice Netanyahu, farà tutto il possibile per raggiungere la pace. Ma lo stesso Netanyahu continua a non parlare di reale indipendenza palestinese e ribadisce la necessità di liquidare Hamas, quando è evidente che solo una Palestina unita potrebbe aprire veri negoziati di pace. Il duo Netanyahu-Barak comporta inoltre un reale e mortale pericolo se gli Stati Uniti non freneranno l'irresponsabile politica israeliana nei confronti dell'Iran, che potrebbe giungere ad un attacco militare di disastrose conseguenze sia per Israele sia per l'intera regione. Il governo israeliano garantisce un futuro problematico per gli israeliani e tutti gli altri popoli della regione.
Traduzione di Mario Croce

venerdì 3 aprile 2009

Un angolo della sede della scuola di musica di Jenin incendiata

hANNO BRUCIATO LA SEDE DI JENIN DI AL KAMANDJATI

Al Kamandjati: incendiata la sede di Jenin
17 03 2009
HANNO BRUCIATO LA SEDE DI JENIN DI AL KAMANDJATI!
riporto il testo come mi e’ arrivato
(find the translations in Arabic and French in the first Comment).

—-
Cari Amici, l’associazione Al Kamandjati vi informa che è successa una catastrofe : il nostro centro di musica a Jenin è stato incendiato ieri, durante la notte. Non conosciamo ancora chi siano gli autori né la causa di questo crimine, ma il fatto è che sino ad ora il centro accoglieva 80 bambini che imparavano a suonare il violino, il violoncello, il flauto, la tromba, il trombone, il piano, la chitarra, l’oud, le percussioni, il canto, la musica d’ensemble orientale e il solfeggio, ed ora essi si trovano privati del loro diritto di imparare musica a Jenin. Questi bambini provengono dal campo di rifugiati di Jenin, dalla città di Jenin, dai villaggi di Zababde, Tubas, Barkin, Jalama, Aarabeh, Fakua’a …. Questo è un crimine contro l’umanità, contro il diritto all’educazione e alla cultura dei bambini palestinesi e della società. Ma questi atti non ci impediranno di continuare il nostro lavoro, poiché la musica raggiunge e fa crescere le anime e gli spiriti, non ciò che è materiale, né i muri


Sono vicino agli amici di Al Kamandjati in questo momento enormemente difficile: amici miei, sono estremamente convinto che la vostra forza, la vostra energia, la vostra passione, e la vostra rabbia, verrano confluite positivamente nella ricostruzione di quanto e’ stato distrutto, contro la vergogna e la vigliaccheria di chi vuole minare la vostra crescita culturale, di identita’, civile e sociale. Tutto quanto si potra’ ricostruire, il popolo Palestinese lo ha sempre dimostrato, me lo avete insegnato voi! e ci riuscirete, ne sono certo! Yallah!
“…sradicare la povertà è un sistema molto più efficace della guerra per combattere il terrorismo…” Muhammad Yunus (Economista - Premio Nobel per la Pace 2006)

STRUMENTI MUSICALI BRUCIATI NELL'INCENDIO DELLA SCUOLA DI MUSICA DI JENIN

NO F35

LETTERA APERTA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
AL PRESIDENTE DEL SENATO
AL PRESIDENTE DELLA CAMERA
AI PRESIDENTI DELLE COMMISSIONI DIFESA
AI CAPI GRUPPO PARLAMENTARI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
L'impegno politico e finanziario previsto dal Programma JSF non è compatibile secondo noi, oltre che con la Costituzione Italiana, per le caratteristiche del sistema d’arma con spiccata connotazione “expeditionary”, cioè per bombardamenti aerei fuori area ben difficilmente motivabili con la difesa del territorio nazionale
con le disponibilità finanziarie nazionali,
tenuto conto del contesto di difficoltà e crisi generale e nazionale ( costo stimato 2009- 2026 di 12,9 miliardi di euro alle condizioni economiche 2008 per l’acquisizione di 131 velivoli e 4,5 miliardi di dollari per il supporto logistico iniziale (con punte intorno a un miliardo di euro impegnati per gli anni dal 2012 al 2016 )
con la conseguente necessità di stabilire diverse priorità negli impegni finanziari pubblici:
- a livello interno le spese sociali essenziali (scuola, sanità, sicurezza e ammortizzatori sociali) e il sostegno a ricerca e produzione per fonti energetiche rinnovabili e pulite (v. esempio della Germania e della Spagna) per rispondere responsabilmente alle emergenze ambientali, climatiche, agricole, idriche e garantire un futuro di sicurezza e di equilibrio alle giovani generazioni
- a livello estero la cooperazione internazionale per risolvere i problemi di squilibrio, povertà, fame, sete, malattie, mortalità (v. Obiettivi del Millennio, vedi impegno a raggiungere lo 0,70 % del PIL nazionale in cooperazione, impegno largamente disatteso dall’Italia, agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi ricchi)
La lettura della situazione internazionale, alla luce del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione dei Diritti Umani, ci motiva a credere che la prevenzione e la soluzione dei conflitti vanno ricercate nella cooperazione internazionale per migliorare le condizioni di vita dei popoli e realizzare il diritto alla vita di ognuno e in un lavoro di riequilibrio delle diseguaglianze verso l’equità sociale dentro le nostre stesse società in crisi.
L’infinito rinnovarsi di alcuni conflitti irrisolti e armati in molte parti del mondo, il costo insostenibile in vittime civili dovunque si scelgano le armi come soluzione dei conflitti, ci obbligano a ricercare forme di costruzione di pace giustizia e sicurezza basate su prevenzione, early warning, interventi civili, diplomazia multilaterale, sostegno alle società civili disarmate.
A partire dagli Stati Uniti d’America, vi sono segnali di cambiamento nella politica internazionale. Non stiamo per caso sbagliando ad immaginare il futuro comune possibile? Quali territori lontani da qui ci immaginiamo di dover bombardare con F35 “stealth and expeditionary”? Nel 2026 ci sarà carburante per farli decollare?
Infine, non crediamo che l’ipotesi-promessa (generica e al condizionale) di 10.000 posti di lavoro sia realistica, per un programma dove la fase di progettazione è già conclusa e si tratta di assemblaggio finale di una parte dei velivoli eventualmente acquisiti da paesi europei, in un settore ad alta tecnologia con un basso rapporto investimento-occupazione. Qualunque altro tipo di investimento darebbe a parità di impegno finanziario maggiori opportunità di occupazione ai lavoratori in Italia.
Invitiamo ad avere il coraggio la lungimiranza e la saggezza di sospendere il programma F35 JSF e di reinvestire in modo costruttivo (sociale, ambientale, internazionale) i fondi pubblici previsti.
NOVARA 31 MARZO 2009
ASSOCIAZIONE PER LA PACE DI NOVARA, MEDICINA DEMOCRATICA, ASS. CRISTIANA CASAGRANDE , LABORATORIO PER LA PACE, TAVOLO NOF35

mercoledì 1 aprile 2009

GIORNATA DELLA TERRA

Care amiche, cari amici,
ricorre oggi il 33° anniversario della Giornata della Terra, giornata
della difesa della terra palestinese dalla distruzione e dalla
confisca da parte dei governanti d'Israele. Nel 1976 i governanti di
Israele, scatenarono un feroce attacco contro la minoranza araba in
Israele. Uccisioni, arresti, confisca di terre, distruzione di case
ed espulsione dei cittadini arabi dalle loro abitazioni e dalle loro
terre, a Gerusalemme, nel Neghev e nella Galilea. Pratica che si
ripete ancora di più oggi, particolarmente dopo la vittoria
dell'estrema destra razzista nelle ultime elezioni israeliane del
mese scorso.

In occasione di questa ricorrenza, credo che è compito di ogni uomo
libero e democratico del mondo di denunciare e condannare i crimini
di guerra israeliani commessi dall'esercito israeliano contro la
popolazione palestinese di Gaza, per affermare e difendere il
diritto del popolo palestinese alla vita e alla sua terra, invio
questa poesia di Samih Al Kassem, amico d'infanzia e di lotte del
grande poeta Darwish,

Il nemico del sole

Perderò, forse, lo stipendio,
come tu lo desideri;
sarò costretto a vendere abito e materasso;
farò, forse, il portatore di pietre;
il facchino,
lo zappino di strada
oppure l’operaio in una officina;
forse sarò anche costretto a cercare nei letami
per trovare un grano da mangiare;
o forse morirò nudo e affamato.
Ciò malgrado non mi rassegnerò mai a te,
o menico del sole!
Ma resisterò fino all’ultima goccia
di suange nelle mie vene.

Tu mi potresti rubare l’ultimo palmo di suolo;
saresti capace di dare alle prigioni
la mia giovane età;
di privarmi dell’eredità di mio nonno:
degli arredamenti, degli utensili casalinghi
e dei recipienti.
Saresti pure capace di dare al fuoco
le mie poesie ed i libri miei
ed ai cani la mia carne.
Saresti – come è vero – un incubo
sul cuore del nostro villaggio,
o nemico del sole!
Ciò malgrado, non mi rassegnerò mai a te
e, fino all’ultima goccia
di sangue nelle mie vene
resisterò!...

Potresti spegnermi la luce che m’illumina la notte
e privarmi di un bacio di mia madre;
i ragazzi vostri sarebbero capaci di insultare
il mio popolo e mio padre;
qualche vigliacco di voi sarebbe capace di
falsificare pure la mia storia;
Tu stesso potresti privare i figli miei
di un abito di festa;
saresti capace di ingannare,
con falso volto,
gli amici miei,
crocifiggermi i giorni su una visione umiliante,
o nemico del sole!
Ciò malgrado, non mi rassegnerò mai a te
e, fino all’ultima goccia di sangue nelle mie vene
resisterò!...

O nemico del sole!
Nel porto vedo degli ornamenti,
dei segni di gioia;
sento delle voci allegre
e degli applausi entusiasti
che infuocano d’allegria la gola;
e nell’orrizonte vedo una vela
che sfida il vento e le onde
sormontando con fiducia i pericoli!

Questo è il ritorno di Ulisse
dal mare dello smarrimento.
Questo è il ritorno del sole
E dell’uomo espatriato!...
Per gli occhi di lui e della amata terra
giuro di non rassegnarmi mai a te
e fino all’ultima goccia di sangue nelle vene,
resisterò,
resisterò,
resisterò!...

W LA GIORNATA DELLA TERRA,
W LA LOTTA DEL POPOLO PALESTINESE
PER UNA PALESTINA LIBERA, LAICA E DEMOCRATICA

Dr. Yousef Salman
Delegato della Mezza Luna Rossa Palesti

pRESIDIO AL CIE

SOLIDALI CON GLI IMMIGRATI

Torino. Solidali con gli immigrati in lotta

Sabato 28 marzo si sono svolte due iniziative in sostegno alle lotte degli
immigrati chiusi nei CIE.
In mattinata si è tenuto un punto info, promosso dalla FAI torinese al
Balon con mostra, distro, musica e volantinaggio. Presenti anche alcuni
lavoratori immigrati in lotta contro il caporalato.
Nel pomeriggio l’Assemblea Antirazzista di Torino aveva proposto un
presidio al CIE di Corso Brunelleschi. Vi hanno partecipato una
cinquantina di antirazzisti. Oltre le tradizionali battiture di ferri,
all’esposizione della mostra sul pacchetto sicurezza ci sono state alcune
dirette di radio Blackout da alcune altre località dove si stavano
svolgendo analoghe iniziative. Purtroppo un violento acquazzone ha
impedito allo striscione gigante con la scritta “libertà” di librarsi in
cielo sollevato da palloncini. Non importa: ci saranno altre occasioni.

Foto del presidio al CIE a quest’indirizzo:
http://piemonte.indymedia.org/article/4527


Il 28 si è data una prima risposta alle urla che, da qualche settimana, si
levano dai CIE di mezz’Italia. Urla nel silenzio.
Quando, a fine febbraio, il governo ha deciso di prolungare la reclusione
dei CIE da due a sei mesi, è partita una disperata resistenza.
Nei CIE di Torino, Milano, Roma, Bari, Gradisca, Bologna, Trapani ci sono
stati scioperi della fame, materassi bruciati, proteste sui tetti. A Bari
in tre si sono cuciti le labbra. Si, proprio così: con ago e filo a legare
le labbra. A Trapani, al Serraino Vulpitta, vi è stato un principio di
rivolta quando in tre si sono tagliati con le lamette.
Il 21 marzo il cortile del CIE di Torino si è sporcato di sangue. Il
sangue di due tunisini che si sono incisi a fondo le braccia per evitare
la deportazione prevista quel giorno.
Il video di quel sangue è stato cancellato da youtube perché certe
brutture non si devono vedere. Robe dell’altro mondo, il mondo separato
dei “clandestini”, uomini e donne dichiarati illegali, rinchiusi in attesa
di deportazione. Per loro soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel
cibo sono pane quotidiano. E, a volte, ci scappa anche il morto. Come a
Torino, il 23 maggio dell'anno scorso, quando un immigrato, lasciato senza
assistenza, è morto di polmonite. A Roma un algerino stava male: è stato
curato a manganellate ed è morto nella sua cella il 19 marzo. In entrambi
i casi era la Croce Rossa a gestire il CIE, dove, come dissero la scorsa
primavera alcuni immigrati rinchiusi in corso Brunelleschi, “Si sta come
cani al canile. Gridi e nessuno ascolta”.
Ovunque, alle proteste dei reclusi, la polizia reagisce a suon di botte,
minacce, perquisizioni con cani, telefoni spaccati.
Urge rompere il silenzio intorno alle gabbie per immigrati.
Piovono pietre e nessuno può stare al riparo in attesa di tempi migliori:
mettersi in mezzo è un’urgenza ineludibile.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?

Presidio al CIE