sabato 26 settembre 2009

da Amnesty International

All'inizio della prossima settimana il rapporto della Missione Goldstone
sulle violazioni del diritto internazionale commesse a Gaza e nel Sud
d'Israele tra dicembre 2008 e gennaio 2009 sarà presentato al Consiglio
Onu dei diritti umani.

Il rapporto è stato pubblicato il 15 settembre scorso e le sue conclusioni
sono in linea con quelle delle missioni di ricerca condotte da Amnesty
International sul conflitto (vedi comunicato CS116:16/09/2009:
http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2565).

In questo momento è importante fare pressione sul governo italiano perché
contribuisca nelle sedi opportune a garantire che le vittime ricevano
giustizia e riparazione e i responsabili dei crimini siano chiamati a
rispondere del loro operato.

Nel fine settimana firmate e fate firmare on line:
http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2565
l'appello al Ministro degli Affari esteri Franco Frattini!

Il Ministro ha già ricevuto una lettera di lobby con le nostre
raccomandazioni e lunedì prossimo, 28 settembre, gli invieremo anche le
firme raccolte sul web.

lunedì 21 settembre 2009

RISPOSTA ISRAELIANA ALLA NON-VIOLENZA PALESTINESE

Da mesi, nel silenzio degli organi di informazione, si susseguono i raid contro i palestinesi che
hanno scelto la lotta non violenta per abbattere il muro dell'aparheid.
A Bil'in, villaggio della Cisgiordania a pochi chilometri da Ramallah,
da quattro anni - tutti i venerdi (senza eccezioni) si svolgono
manifestazioni contro il muro. Negli ultimi mesi l'esercito ha
arrestato, durante incursioni all'interno del villaggio, gran parte del
comitato di lotta. Ieri notte l'esercito ha tentato per l'ennesima volta
di arrestare uno dei principali membri, ancora liberi, del Comitato
Popolare, Abdullah Mahmoud Aburahma. Dopo l'1.30 di notte sono entrati
nella sua casa, e in quella del fratello distruggendo porte e
terrorizzando i familiari; fortunatamente Abdullah non era presente in
casa ed e' cosi' scampato all'arresto. Gli internazionali ed i vicini
accorsi sono stati minacciati ed uno di loro picchiato. Abbandonando il
villaggio i militari hanno detto che fino alla cattura di Abdullah tutto
il quartiere e' "loro".
Esprimiamo la nostra solidarieta' e amicizia a Abdullah Mahmoud Aburahma
e la richiesta del rilascio immediato di tutti i cittadini palestinesi
arbitrariamente arrestati/sequestrati dall'esercito israeliano nel
tentativo di soffocare con la repressione e il terrore i movimenti di
liberazione
Gruppo Mashi - orme in Palestina
Bologna

giovedì 17 settembre 2009

Esercitazioni di coloni armati

SABRA E SHATILA

Alla coscienza degli uomini, ai giornalisti ed agli operatori
dell'informazione che non esistono più

Il 4 giugno 1982 Sharon, ministro della difesa, invade il Libano per
liquidare l'OLP (l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina)
e catturare Yasser Arafat, portandolo in gabbia in Israele.
Dopo 88 giorni di guerra, intensi e feroci bombardamenti israeliani
sulle città libanesi, un asserragliato assedio a Beirut ed una eroica
resistenza palestino-progressista libanese e con la mediazione USA,
si raggiunse un accordo; l'uscita delle forze dell'OLP con tutti gli
onori e la tutela dei campi profughi palestinesi in Libano, da parte
di una forza internazionale di pace (USA, Francia e Italia).
Nei giorni 16,17 e 18 settembre l'esercito israeliano al commando di
Sharon coinvolgendo le falangi maroniti libanesi, invadono i campi di
profughi palestinesi di Beirut di Sabra e Chatila (sotto la
protezione della forza multinazionale), compiendo uno dei massacri
più orrendi del 20° secolo, assassinando a sangue freddo più di 3
mila civili palestinesi.
A seguito di questi fatti, sotto la pressione internazionale, Israele
formò una commissione d'inchiesta, che condannò parzialmente Sharon
costringendolo alle dimissioni da ministro della difesa, ma nello
stesso tempo vi fu il tentativo di far ricadere le maggiori
responsabilità del massacro sulle forze fasciste libanesi.
Su pressione delle organizzazioni mondiali per la pace e la
giustizia, la Corte dell'Aja fu costretta ad aprire ed affrontare un
processo per chiarire le responsabilità del massacro, chiamando tutti
i coinvolti a testimoniare.
Sharon, per sfuggire all'insistenza dei giudici, fece assassinare
tutti i testimoni delle forze libanesi che rifiutarono la volontà
degli apparati israeliani di indicarli come i responsabili del massacro.
Oggi, dopo 27 anni dal massacro, il sangue, il sacrificio, i parenti
delle vittime e i sostenitori della pace e della giustizia nel mondo,
ricordando la persona del giornalista Stefano Chiarini fondatore
dell'associazione "Per non dimenticare Sabra e Chatila", continuano
a chiedere giustizia, quella divina ma ancor di più quella degli uomini.
La MEMORIA, deve riportare alla mente le vittime DI TUTTE LE TRAGEDIE
UMANE, in primis le tragedie che ancora oggi sono IMPUNITE.
Per coloro che chiamano tutti, giustamente a non dimenticare, noi
palestinesi chiediamo che non venga dimenticato il nostro
sacrificio e la nostra sofferenza infinita e che dovrà
finire, dopo più di 60 anni di occupazione e oppressione israeliana
alla Palestina ed il suo popolo.
SABRA E CHATILA RIVENDICA ANCORA PACE E GIUSTIZIA.

Dr. Yousef Salman
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia
Cell.: 347 9013013
http:/www.palestinercs.org

mercoledì 16 settembre 2009

gIOVANE COLONO MINACCIA DONNA PALESTINESE NEL CENTRO DI HEBRON

CONTINUA L'ESPANSIONE COLONIALE A hEBRON

COMUNICATO STAMPA
Continua senza sosta l'espansione delle colonie israeliane a sud di Hebron
Nuovi caravan nell'insediamento israeliano di Ma'on e ordini di demolizione per sei abitazioni palestinesi nel villaggio palestinese di At-Tuwani

14 settembre 2009

At-Tuwani - Mentre nell'arena internazionale si continua a parlare del congelamento degli insediamenti e dell'evacuazione degli avamposti israeliani illegali, continua senza sosta l'espansione delle colonie sulle colline a sud di Hebron (Southern Hebron Hills).

Nei giorni scorsi, i coloni dell'insediamento di Ma'on hanno iniziato la costruzione di sei nuovi caravan nell'area sud-est dell'insediamento, ad oggi completati e pronti per essere abitati. Nel frattempo sono iniziati i lavori preparatori per nuove costruzioni sulla collina vicina all'insediamento. (http://bit.ly/MH9gk)

Negli ultimi mesi, gli internazionali presenti nell'area hanno continuato a documentare l'espansione degli insediamenti presenti nell'area, osservando la costruzione di nuove unità abitative negli avamposti di Havat Ma'on e Avigail e nell'insediamento di Carmel.

Lo scorso 9 settembre, l'esercito israeliano ha rimosso due container ad uso abitativo che alcuni coloni dell'insediamento di Suseya, a sette chilometri dal villaggio di At-Tuwani, avevano illegalmente costruito al di fuori del perimetro della colonia su terreni agricoli dei contadini palestinesi del vicino ed omonimo villaggio. In seguito alla rimozione delle costruzioni abusive da parte dell'esercito israeliano, i coloni hanno aggredito gli abitanti del villaggio palestinese, ferendo dodici persone, di cui una è dovuta ricorrere a cure ospedaliere. Durante la notte, i coloni hanno eretto di una nuova costruzione sulla sommità della collina in questione.

Infine nel pomeriggio del 13 settembre, ufficiali del DCO (unità dell'esercito israeliano responsabile dell'amministrazione civile dei Territori Palestinesi Occupati) hanno consegnato ordini di demolizione per sei abitazioni palestinesi vicino al villaggio di At-Tuwani.

Le abitazioni in causa erano state costruite di recente su terre private palestinesi nell'area d Humra. Nella notte del 16 luglio scorso alcune di queste abitazioni e diversi ulivi erano stati danneggiati, presumibilmente da coloni del vicino avamposto di Havat Ma'on. Alcuni giorni dopo, il 20 luglio, il DCO aveva consegnato ordini di blocco dei lavori per queste abitazioni e altre strutture appena costruite.

Adesso che l'ordine di demolizione è stato emesso, le famiglie temono che l'esercito israeliano arrivi da un momento all'altro per demolire le loro abitazioni.

L'esercito israeliano, che in quest'area ha un controllo non solo militare ma anche civile (secondo gli Accordi di Oslo), vieta ogni permesso di costruzione per i palestinesi, impedendo lo sviluppo delle comunità locali. Di contro, i vicini insediamenti di Ma'on e Carmel e gli avamposti di Avigail e Havat Ma'on continuano ad espandersi senza sosta.

Operazione Colomba e Christian Peacemaker Teams continuano a monitorare la colonizzazione israeliana nell'area dal 2004.

Foto delle nuove costruzioni nell'insediamento di Ma'on disponibili all'indirizzo: http://bit.ly/4ZLMe
Foto della consegna degli ordini di demolizione disponibili all'indirizzo: http://bit.ly/VhoYn

www.operazionecolomba.com

--
Operation Dove - Nonviolent Peace Corps
Palestine - Israel
Community Pope John XXIII

domenica 6 settembre 2009

ISRAELE RAZZISMO INTERNO

* RAZZISMO
Studenti falascia respinti per «gap»
«Bureaucratic mix-up», un pasticcio burocratico. Con questa curiosa espressione Ynet, il sito del più venduto dei quotidiani israeliani, Yediot Ahronot, qualche giorno fa spiegava la decisione di tre scuole ebraiche della città di Petah Tikva di rifiutare l'ammissione a decine di studenti «falascia», ebrei di origine etiope, a causa di un presunto «gap culturale» impossibile da recuperare. Curiosa ma non sorprendente in un paese dove la stampa (e non solo) chiama «transfer», trasferimento, la pulizia etnica a danno dei palestinesi. In tale contesto il razzismo diventa inevitabilmente un «pasticcio burocratico». Ancora una volta la comunità dei «falascia» è vittima di un caso di razzismo da parte di altri ebrei israeliani. E nonostante le assicurazioni date dal ministero dell'istruzione, 16 degli studenti respinti dalle scuole religiose non hanno partecipato ai primi giorni di scuola. D'altronde la storia dei «falascia» in Israele non è mai stata facile, nonostante i massicci investimenti statali per la loro integrazione. Il rabbinato ne ha riconosciuto l'ebraicità solo dopo lunghe esitazioni e non sorprende che la Shuvu, una delle scuole religiose disposte ad accogliere gli etiopi, abbia chiesto a cinque studenti il «certificato di conversione all'ebraismo». Richiesta che persino il liberal Haaretz definisce «spiacevole incidente».

giovedì 3 settembre 2009

NUOVI COLONI AMERICANI

“Ragazzi americani sono tornati in Israele per combattere”

In questi giorni, ragazzi statunitensi non stanno andando in Israele giusto per vivere in un kibbutz – alcuni tra loro sono disposti ad essere assunti nelle forze armate israeliane che operano nella West Bank.
di Matt McAllester

Quest’anno, al più tardi, il 21 enne Ephraim Khantsis riempirà due valigie, saluterà sua madre, lascerà la sua casa a Brooklyn e se ne andrà in Israele. Al suo arrivo a Gerusalemme si iscriverà ad una yeshiva, o scuola religiosa, che è benvista dagli americani. Dopo pochi mesi egli prenderà la sua strada diretta a nord, verso un luogo che questo giovane americano sente come la sua vera casa: la colonia ebraica di Kfar Tapuach.

Appollaiata su una collina appena fuori la Route 60, la strada principale nella West Bank occupata con direzione nord-sud, Kfar Tapuach è nota come una comunità particolarmente integralista. Abitata da circa 600 persone, la colonia ha una storia di accoglienza nei confronti degli immigrati americani le cui convinzioni ed attività hanno alzato il livello di allarme tra i servizi segreti israeliani, spingendoli a tenerla sotto controllo essendo un porto sicuro per sospetti terroristi.

Khantsis, che sta per ottenere la cittadinanza israeliana, si adatterà completamente. Come il rabbino assassinato Meir Kahane, nato a Brooklyn, l’uomo che a Kfar Tapuach taluni considerano come il loro capo spirituale, anche Khantsis ritiene che tutti gli arabi ed i palestinesi dovrebbero essere allontanati con la forza dal territorio controllato da Israele, compresa la West Bank.

“Questo è il modo più umano per risolvere la situazione,” sostiene Khantsis – appena laureato alla Stony Brook University di Long Island in scienza del computer – mentre, nel giugno di quest’anno, sta sorseggiando una soda in una pizzeria kasher gestita da israeliani in Bensonhurst, a Brooklyn,.Egli riconosce che quello che sta sostenendo risulta una pulizia etnica.

Mentre un tale punto di vista è improbabile che venga a prevalere in Israele, c’è una promessa, fatta da Khantsis, che potrebbe essere ancor più preoccupante per le autorità israeliane, e che è ancora possibile sentire pronunciata dagli americani che vivono tuttora nelle colonie: Se le forze armate israeliane dovessero venire per toglierlo dalla sua nuova casa – e molti in Israele ritengono che una tale eventualità sia verosimile – lui non se ne andrà pacificamente.

“Io mi sarei opposto con tutte le mie forze, e non avrei lasciato nulla di intentato pur di cercare di impedirlo,” afferma il ragazzo magro con una yarmulka nera in capo. Egli parla così sottovoce che, al momento, è molto difficile percepirlo. “Se loro usano la violenza, allora, noi siamo giustificati se ci comportiamo allo stesso modo.”

Avrebbe incluso anche l’uso delle armi?

“Si,” risponde.

Sarebbe stato assolutamente certo che avrebbe rivolto le armi contro i soldati israeliani?

“Davvero. Mi auguro ardentemente che mai accada,” dice. Ma “nel caso in cui loro ci stiano già sparando addosso, non ho scelta. Non ritengo che sia giusto porgere l’altra guancia. Non è cosa da ebreo comportarsi in questo modo.”

Dopo che Israele vinse la guerra dei sei giorni del 1967 e assunse il controllo della Striscia di Gaza e della West Bank – aree palestinesi che erano state rette rispettivamente dall’Egitto e dalla Giordania – ebrei religiosi e conservatori cominciarono subito a insistere per la fondazione di comunità su quella che consideravano la terra loro promessa da Dio. All’inizio, il governo israeliano si rifiutò di permettere loro di edificare nei territori occupati, ma con il passare degli anni, saltarono fuori all’improvviso case ed affari.