lunedì 15 dicembre 2008

SETTLERS SCATENANO POGROM CONNTRO FAMIGLIA PALESTINESE AD HEBRON

Dal blog frammentivocalimo.blogspot.com

venerdì 5 dicembre 2008
Avi Issacharoff : pogrom palestinese da parte dei settler


Sintesi personale

Una famiglia palestinese innocente viene circondata da una dozzina di coloni mascherati Sono donne e bambini ad eccezione di tre uomini. Un pogrom. Questo non è un gioco di parole Si tratta di un pogrom nel senso peggiore della parola. In primo luogo gli uomini mascherati incendiano la lavanderia poi cercano di di appiccicare il fuoco in una camera della casa Le donne gridano aiuto , "Allahu Akhbar". I vicini sono troppo spaventati per avvicinarsi ,Le pietre lanciate dagli uomini mascherati sembrano grandine . Ed ecco che in pochi secondi giungono i giornalisti che decidono di intervenire per salvare questa famiglia Donne e bambini piangono amaramente, nei loro volti è impresso l' orrore per la morte imminente, Pietre sul tetto della casa, sulle finestre e le porte. Le fiamme fagocitano l'ingresso meridionale della casa. Il cantiere di fronte è disseminato di sassi gettati dai uomini mascherati. Le finestre sono infrante e i bambini spaventati. Tutto intorno, come se fosse la visione di un concerto rock, ci sono centinaia di testimoni ebrei, che osservano gli eventi con grande interesse,offrendo suggerimenti alla gioventù ribelle ebraica. Non ci sono soldati, ne poliziotti, evidentemente non sono turbati da quanto sta accadendo Chiediamo alle guardie di Kiryat Arba di intervenire per porre fine al linciaggio. Ma essi circondano la casa per impedire l'arrivo di "aiuti palestinesi".
La casa è distrutta e la paura è palpabile sui volti dei bambini. Una delle donne, è semisvenuta . Il figlio con un grosso bastone, si prepara ad affrontare i rivoltosi. Tahana, una delle figlie, si rifiuta di calmarsi. "Guardate cosa hanno fatto alla casa, guardate ."Tess, il fotografo, scoppia in lacrime . Le lacrime non scaturiscono dalla paura,ma dalla vergogna per le azioni di questi giovani che chiamano se stessi ebrei. Peccato che noi condividiamo la stessa religione. A 5:05 PM, dopo un'ora arrivano le forze di polizia per disperdere i facinorosi I familiari si rifiutano di calmarsi.Un colono grida a un funzionario di polizia: "nazisti, vergogna su di voi". Sicuramente. Vergogna su di voi.
Avi Issacharoff: Hebron settler riots were out and out pogroms

martedì 9 dicembre 2008

60ESIMO ANNIVERSARIO DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

Sono trascorsi, ormai, sessant'anni dalla Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani.
Leggendo il testo della Dichiarazione, provo sentimenti contrastanti.
Rispetto, ammirazione, condivisione totale per quanto in essa
sancito: i diritti inalienabili di ogni individuo senza
discriminazioni di sorta.
Ma è difficile, poi, frenare l'angoscia quando penso ai tanti uomini
e donne che, ancora oggi, non godono appieno di questi diritti.
Ai molti bambini che ancor prima di nascere, ne sono già privi ...
A tutti coloro i quali subiscono una guerra.
A coloro che vorrebbero una vita semplice e dignitosa ma che a causa
dei conflitti, dell'essere povero, delle malattie, della privazione
della propria libertà, si vedono negata la vita stessa.
Oggi è un giorno nel quale provo anche amarezza per i bambini di Gaza
e per chi non conosce diritti ma, nello stesso tempo spero che il 10
dicembre, in un tempo non troppo lontano, diventi il giorno della
celebrazione dei diritti riconosciuti ed esercitati da tutti, dei
diritti dati per scontato per ognuno.

Un cordiale saluto,

Dr. Yousef Salman
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia

martedì 4 novembre 2008

UNA NUOVA NAVE ROMPE L'ASSEDIO DI GAZA

Free Gaza: è salpata SS Dignity

E’ partita da Larnaca nell’isola di Cipro attorno alle 15.00 (ora locale) "Dignity" la nave che raggiungerà il porto di Gaza. L’inizitiva organizzata dal Free Gaza movement, associazione attiva da anni nei territori occupati palestinesi, vuole rompere l’assedio che il governo israeliano sta imponendo su questa striscia di terra. Una prigione a cielo aperto in cui sono rinchiuse 1milione e mezzo di persone.
Cronaca dai due partecipanti dell’Associazione Ya Basta!

L’equipaggio è composto da 26 passeggeri proventi da 12 diversi paesi, incluso Palestina e Israele. A bordo anche Mairead Maguire, Premio Nobel per la pace nel 1976, membri del Consiglio legislativo palestinese, alcuni medici provenienti dall’Europa e il Dr. Mustafa Barghouti, leader di Almubadara ed esponente della società civile palestinese.
Partecipa al viaggio anche Gideon Sprio, giornalista isrealiano e attivista che da anni si batte contro l’occupazione israeliana in Cisgiorgania.
Pochi minuti le ore 15.00, dopo un controllo della polizia locale l’imbarcazione ha lasciato il porto di Larnaca verso quello di Gaza dove l’arrivo è previsto alll’alba di domani. Un tramonto rosso annuncia un’attraversata tranquilla.
Questo è il secondo viaggio via mare organizzato da Free Gaza movement, il primo viaggio è stato l’agosto scorso. "Stiamo tornando a Gaza" - hanno spiegato gli attivisti in un comunicato - "esattamente per le stesse ragioni per cui siamo andati nel mese di agosto: per fornire supporto medico, incontrare le organizzazioni della società civile, i volontari degli ospedali e incontrare i palestinesi che hanno chiesto la nostra presenza".

giovedì 23 ottobre 2008

UN'ALTRA PENSATA DI ISRAELE

ISRAELE / 20-10-2008
NELLE PRIGIONI ISRAELIANE CI SONO 11.700 PALESTINESI, TRA I QUALI ANCHE 274 MINORI E 88 DONNE. E LA TUTA DEL DETENUTO PASSA DAL MARRONE ALL'ARANCIONE, COME PER I PRIGIONIERI DI GUANTANAMO

Prigionieri palestinesi con tute arancione: come già accade nel famigerato carcere americano di Guantanamo.

La direzione delle prigioni israeliane impone ai detenuti palestinesi nuove forme di punizione e umiliazione, ma l'ultima "novità" adottata è veramente tra le più angoscianti: il colore della divisa dei prigionieri passerà dal marrone scuro all’arancione, nello stile del famigerato carcere statunitense di Guantanamo. Oppure, in quello altrettanto crudele dei condannati nel braccio della morte nelle carceri americane.



Nelle prigioni israeliane sono rinchiusi 11.700 palestinesi, tra cui 274 minori e 88 donne.

Abdelnaser Farawneh, esperto in "diritti dei prigionieri politici palestinesi", ha affermato che la decisione israeliana di imporre la divisa arancione "è ingiusta e dannosa per il movimento nazionale e per le lotte dei detenuti, perché è un nuovo modo di opprimere e umiliare".

I prigionieri hanno minacciato di avviare un periodo di lotte per affrontare tale nuovo abuso israeliano.

La storia del colore arancione risale all’anno 1967, a seguito dell’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, quando le forze israeliane imposero ai detenuti le divise arancioni. Negli anni '80 venne sostituito dal marrone e dall'azzurro.

Il colore arancione: "tortura psicologica per associazione". Parlano gli esperti. In un'intervista con il nostro corrispondente, il dott. Fadel Abu Hein, psicologo, ha spiegato: "In generale, i colori hanno degli effetti sulla psiche delle persone. Questa scelta peggiorerà la vita dei detenuti. Parlo in base ad un’esperienza personale nelle prigioni israeliane: ci si sente forzati in tutto, anche nel mangiare e nel bere. Si tratta di interferenze nella volontà dell’uomo".Anche Saber Abu Karsh, direttore dell’associazione Waed per la Difesa dei Detenuti, ha confermato che "l'arancione disturba psicologicamente i cittadini incarcerati, perché è il colore usato per i criminali e per i condannati a morte".

Egli ha aggiunto che la direzione delle prigioni israeliane "studia tutti i mezzi per nuocere ai detenuti. Il più noto è l'installazione di telecamere in ogni angolo".

I nuovi aguzzini. Per secoli, gli ebrei hanno sofferto crudeli persecuzioni. Durante il periodo nazi-fascista, erano rinchiusi in campi, in Europa, isolati dal resto degli abitanti, costretti a indossare vestiti e distintivi di riconoscimento.con una riga fosforescente di 10 centimetri sul petto e sulla schiena, e un'altra sui pantaloni intorno alle gambe. Questa divisa rende chi la indossa un facile obiettivo...".

Ora, sottolineano i detenuti, "siamo costretti anche noi ad indossare camicie

Abu Hein continua: "Per le autorità di occupazione, il colore arancione ha un senso particolare: è lo stesso 'colore di condanna' imposto agli ebrei in Europa. Esso è un mezzo attraverso il quale tentano di umiliare e di opprimere i detenuti" - detenuti politici e non criminali comuni.Nuova Guantanamo. La prima cosa che viene in mente, quando si vede questo colore arancione, sostengono le persone intervistate da Infopal, è la prigione americana di Guantanamo, dove sono imprigionati i “terroristi”.Farawneh e Abu Karsh affermano: "L’imposizione dell'arancione ai detenuti palestinesi, significa volerli assimilare ai criminali che meritano la morte. L’uso del colore arancione rafforza nell'opinione pubblica internazionale la convinzione che chi lo indossa è un criminale o terrorista, come l’America definisce i detenuti di 'Guantanamo', che 'non devono essere trattati come prigionieri di guerra, ma come assassini'".

Farawneh prevede una sommossa dei detenuti in tutte le prigioni israeliane contro l’applicazione di questo nuovo abuso, mentre Abu Hein immagina una violenta operazione punitiva da parte delle forze israeliane. Insomma, ancora ingiustizie, feriti e morti sotto lo sguardo indifferente della comunità internazionale.

mercoledì 1 ottobre 2008

SOSTIENI LA PALESTINA BEVI SAMAR COLA!

IL PROGETTO SAMAR
Il Progetto Samar ha l’obiettivo di sostenere la società civile palestinese, attraverso l’importazione e la diffusione dei prodotti che, a causa dell’occupazione israeliana, non trovano sbocco sul mercato interno, determinando il progressivo collasso dell’economia. Recentemente, la Camera di Commercio Palestinese calcolava che almeno la metà delle circa trecento imprese artigiane ad essa affiliate sono state costrette a chiudere, con le ricadute sociali e occupazionali che tutti possiamo immaginare.
Partner e destinataria dell’iniziativa è la Mezzaluna Rossa Palestinese, l’equivalente della nostra Croce Rossa, che gestisce gli interventi sanitari, assistenziali e umanitari nella Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e nei campi profughi dove sono rifugiati milioni di Palestinesi espulsi dalla propria terra dalle invasioni israeliane del 1948 e del 1967. Attualmente, per esempio, la Mezzaluna Rossa Palestinese è impegnata nell’assistenza ai rifugiati del campo di Nahr El Bared, nel nord del Libano, raso al suolo dall’esercito libanese, con il conseguente rovesciamento di decine di migliaia di persone sulle strutture già prossime alla crisi degli altri campi libanesi, principalmente quello di Beddawi, che ha accolto oltre la metà dei circa 40.000 residenti di Nahr El Bared.
I principali prodotti che intendiamo collocare sui mercati italiani ed europei sono in gran parte quelli dell’artigianato palestinese: scacchiere, scatole ed altri oggetti in legno di Betlemme; servizi di bicchieri ed oggetti d’arte in vetro di Hebron; piatti, tazze ed altri elementi in ceramica di Nablus; abbigliamento e gioielleria prodotti da piccole imprese e cooperative. Sono allo studio altri progetti, quali l’importazione e la diffusione di prodotti industriali nel campo della cosmesi, in particolare provenienti dal Mar Morto. Accanto all’importazione di prodotti palestinesi, prenderà il via la produzione di una linea di bevande dedicate alla Palestina: le prime bibite commercializzate saranno la Samar Cola e la Samar Orange, di cui il 20% del ricavato sarà devoluto alla Mezzaluna Rossa Palestinese.
La mission dell’iniziativa è molto impegnativa, inserendosi nel filone del commercio solidale, dal quale fino ad ora la società palestinese è stata inspiegabilmente quasi del tutto esclusa, carenza che ci proponiamo di colmare, con il duplice obiettivo di contribuire a rivitalizzare il tessuto produttivo palestinese e di sostenere la struttura sanitaria ed umanitaria della Mezzaluna Rossa Palestinese, costretta ad operare in condizioni drammatiche ed i cui operatori spesso pagano con la vita la dedizione al proprio, indispensabile lavoro.




CONTATTI
progettosamar@libero.it
Infoline: 377 - 1153384

giovedì 11 settembre 2008

LA BUFALA DEI NEGOZIATI E ALTRE NEFANDEZZE

La campagna propagandistica dei "negoziatio con i palestinesi" voluta dagli USA e condotta da due leaders dal credito in ribasso è solo un inutile spettacolo come era stata la conferenza di Annapolis e come quella, non porta a niente. Non solo quanto discusso non sarà messo in atto trattandosi di mere chiacchiere, ma i termini degli accordi sono inaccettabili per vari motivi:
La proposta rifiuta un diritto al ritorno per i profughi palestinesi
Non si parla di negoziati su Gerusalemme
Israele intende tenersi le colonie di Malee Adumim, Gush Ezion, quelle intorno a Gerusalemme ecc.
Lo scambio dei territori prevede che Israele riceva subito i blocchi di colonie ma i terreni da trasferire ai palestinesi e il passaggio libero tra La Cisgiordania e Gaza sarebbero messi in atto solo dopo che L'ANP abbia ripreso il controllo di Gaza cosa palesemente impossibile.
Ma non basta: Israele ha presentato ai palestinesi un modello di nuovi "assetti securitari" secondo i quali Israele non si contenta di pretendere uno stato palestinese completamente smilitarizzato e senza esercito, ma chiede di
Sovraintendere ai passaggi di frontiera
Mantenere uno spiegamento nella valle del Giordano
Continuare a sorvolare il territorio palestinese
Mantenere postazioni sui monti
Mantenere unità militari per risposte di emergenza in aree palestinesi.
E' evidente che Israele non è un partner per la pace e rifiuta, benchè ne faccia oggetto di chiacchiere, l'idea di uno stato palestinese che non sia un bantustan. Ciò a cui aspira è estendere le colonie e strangolare la società palestinese nell'attesa che il "problema palestinese" scompaia.
A riprova di ciò vediamo che una feroce repressione viene messa in atto contro la lotta non-violenta di Nil'in , a Hebron i militari spalleggiano i coloni nelle loro aggressioni contro i cittadini palestinesi, i pastori e i bambini. Vediamo una recrudescenza di assurda violenza ai danni delle organizzazioni di donne che denunciano la distruzione delle loro sedi e perfino incursioni nei centri commerciali, supermercati e vari esercizi. Intanto i palestinesi che lavorano in Israele, già privi di ogni diritto saranno oggetto di una nuova tassa che li escluderà. Recentemente gli spari sulle barche dei pescatori con a bordo i pacifisti internazionali della Free Gaza e Liberty stanno a dimostrare che neppure più l'interposizione serve a qualcosa.
Intanto al valico di Rafah sono presenti soggetti americani in abiti civili che danno man forte perchè nessun aiuto giunga dall'Egitto.
Che l'obiettivo finale sia uno stato palestinese indipendente o uno stato unico democratico i palestinesi portano avanti sul terreno giorno per giorno una tenace resistenza che si configura sempre più come non-violenza attiva. Da parte nostra è necessario continuare a svolgere azioni di solidarietà anche se spesso siamo scoraggiati e ci sembra troppo poco. ma anche continuare un lavoro di informazione per mantenere aperto un discorso su cui molti, anche a sinistra vogliono far scendere il silenzio.

mercoledì 3 settembre 2008

L'ESERCITO SPARA SULLE BARCHE DEI PESCATORI

I pescatori di Gaza, cui è fatto divieto di pescare oltre le tre miglia dalla costa, dall'esercito israeliano che li costringe a rimanere in acque in cui non vi è pesce, mandando in malora la loro attività, hanno deciso di esercitare il loro diritto alla pesca e alla vita uscendo in mare a pescare in compagnia degli internazionali arrivati con la Free Gaza, tra cui l'italiano Vittorio Arrigoni. L'esercito israeliano si è avvicinato alle barche ed ha cominciato a sparare.
Pare che gli spari fin'ora siano solo di intimidazione, così afferma almeno l'ambasciata italiana a te Aviv.

domenica 31 agosto 2008

L'ARRIVO DELLA NAVE FREE GAZA

LA FREE GAZA E LA LIBERTY FELICEMENTE APPRODATE A GAZA

Dopo le minacce, le difficoltà, le telefonate alla gloriosa ciurma del tono "Come vuoi morire oggi?" finalmente le imbarcazioni hanno raggiunto Gaza, accolte dalle associazioni e dalla società civile di Gaza con calore e affetto.
Dal blog guerrillaradio.iobloggo.com


"da oggi una piazza centrale di Gaza è stata ribatezzata Free Gaza e Liberty,
e presto un monumento con inciso tutti i nostri nomi verrà posto a futura memoria della nostra folle, umana impresa.
Personalmente più di questa pietra, il miglior premio è l'indescrivibile gioia, la sincera riconoscenza, che non si placa,
dei Gazauri nei nostri confronti,
abbiamo lenito il dolore, ridonato speranza, e questo e solo l-inizio."

Vicky

mercoledì 20 agosto 2008

FREE GAZA

Partirà da Cipro navigando in acque internazionali la nave Free Gaza per arrivare sulle coste di Gaza senza passare, per la prima volta per Israele. Fanno parte dellìequipaggio palestinesi e pacifisti internazionali che si apprestano a rompere l'assedio. Ci sono state minacce da parte di Israele molto pesanti, ai palestinesi di uccidere le loro famiglie rimaste nei territori occupati, agli altri minacce di arresti ecc. Ma Israele non ha nessuna giurisdizione sul percorso della Free Gaza affiancata da altre imbarcazioni e alla fine ha cambiato atteggiamento, staremo a vedere.






08/08/2008

Liberty, il nostro vascello più piccolo,
sta viaggiando a vele spiegate verso Creta, sabato ci sarà un'attesa conferenza stampa,
inviteremo a bordo la stampa internazionale.

Free Gaza, l'imbarcazione più grande, è fuori in alto mare a compiere gli ultimi test di navigazione.
Mai mi sarei immaginato che armonizzare tutti gli strumenti di rotta fosse così complicato, come accordare un'orchestra sinfonica.
Per fortuna con noi c'è Paul Larudee, coofondatore del Free Gaza Movement, di professione accorda pianoforti.

Mi comunicano che sono molte le testimonianze giunte di affetto e vicinanza,
ringrazio vivamente tutti coloro che si stanno spendendo affinchè questa nostra missione non scada nell'anonimato.

Numerosi i palestinesi da ogni parte del mondo ci hanno chiesto un passaggio,
uomini e donne esuli di Gaza non rivedono la famiglia anche da più di dieci anni. A questi fratelli prometto che una volta riusciti a rompere l'assedio, tornati a Cipro, organizzaremo subito un altro convoglio, e ci sarà posto per tutti (ti ho dato la mia parola, Khalil).

Una terza barca seguirà la nostra impresa,
l'equipaggio è composto dai molti giornalisti ci hanno chiesto di poter essere accreditati, fra gli altri, Alan Johnston, il reporter della BBC rapito l'anno scorso proprio a Gaza da un gruppo di estremistri islamisti e rilasciato soprattutto grazie alle pressioni esercitate da Hamas.

Penso che sia ormai noto ai più che Luaren Booth, cognata di Tony Blair fa parte della nostra ciurma.

Grazie a Valentina ci è arrivato fino a qui l'incoraggiamento di Wafa,
suo carissimo amico palestinese che vive presso il campo profughi di Al Shatee.
Wafa sarà fra le decine di migliaia di palestinesi pronti a riceverci al porto di Gaza.
Queste le sue letterali parole:

"Al di là delle provviste che porterete, nei nostri occhi vedrete la vittoria di avere una risposta alla nostra
soffocata richiesta di vita, una forma di rispetto al nostro stato di sopravvivenza e un gesto , un
je accuse verso i veri assassini delle libertà,
certo che ce la farete.."


Sappiamo che sono parecchi i palestinesi di Gaza a pensarla come Wafa, nel mio peregrinare in Palestina mi sono sempre accorto che le sofferenze provocate dalla efferata occupazione israeliana, sono ulteriormente aggravate da questo sentimento di abbondono, lo sconforto nell'apprendere giorno per giorno che il mondo si è quasi completamente disinteressato alla tragedia palestinese.

Io ho la speranza che ce la faremo, non la certezza.
Ma sono sicuro che qualsiasiasi cosa succeda al larco di Gaza,
stiamo facendo la cosa giusta, legalmente e umanamente.

A volte le utopie si concretizzano.
E se non concretizzano, anche in quel caso servono.

"L'utopia è come una bella donna all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e la bella donna si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai la raggiungerò. A cosa serve l'utopia? Serve a questo: a camminare, ad andare avanti".

Andremo avanti noi, ci verranno incontro le speranze spezzate dei palestinesi, nella certezza che c'è ancora un angolo di mondo che è interessato ad ascoltare il loro pianto, che desidera ardentemente lenire il dolore,
e per far questo è disposto ad assumersi ogni rischio.

Quello di rischia di più fra noi è Jeff Halper, di cui vi presento il comunicato.
Dei 4 cittadini israeliani coinvolti nella nostra missione, è l'unico che effettivamente sarà imbarcato (gli altri resteranno a Cipro a coordinare i media). Jeff, attivista pacifista del comitato israeliano contro la demolizione delle case palestinesi, rischia fino a 20 anni di reclusione se viene arrestato.

Ma Jeff, come me, come tutti noi, ritiene che la causa dei diritti umani è un valore per cui è giusto impegnare la vita, qualsiasi rischio ciò possa comportare.

Restiamo umani,

Vittorio Arrigoni. blog:http://guerrillaradio...

website della missione: http://www.freegaza.o...

martedì 19 agosto 2008

FADEL SHANA

NESSUNA GIUSTIZIA PER FADEL SHANA

l capo dell'avvocatura militare israeliana, Gen. Avi Mendelblit ha chiuso il 13 agosto le indagini sulla morte del cameraman della Reuters Fadel Shana (nella foto), ucciso da colpi sparati da un tank israeliano a Gaza il 17 aprile 2008. I risultati dell'inchiesta sono quelli che tutti si aspettavano, gli stessi che, fra gli altri, hanno assolto i militi israeliani che avevano preso di mira, uccidendolo, il fotografo italiano Raffaele Ciriello. La commissione militare dello stato ebraico ha infatti determinato che la condotta dell'equipaggio del carro armato, che "erroneamente" identificò Shana come uomo armato, non ha oltrepassato i limiti della procedura e di conseguenza nessuno dei soldati implicati verrà processato. Risibili le precisazioni del generale Mendelblit: "L'equipaggio del carro armato non è stato capace di determinare la natura dell'oggetto montato sul treppiede ed identificarlo positivamente come un missile anti-tank, o come un mortaio, o come una telecamera" (YnetNews).
Si ricorderà che Fadel Shana, 23 anni, palestinese, stava lavorando per Reuters sulle violenze in corso a Gaza quando veniva preso di mira e trucidato da un razzo sparato da un carro armato israeliano fermo a diverse centinaia di metri di distanza. Il cameraman proseguiva a filmare fino al momento in cui il colpo mortale centrava il bersaglio scelto dall'equipaggio del tank. Indubbiamente scelto, perchè le scritte a grandi caratteri sull'autovettura del giornalista non potevano lasciare dubbi sulla natura del veicolo e del suo equipaggio. Il missile (o i missili) caricati con le micidiali flechette, uccidevano altri otto ragazzi palestinesi di età tra i 12 e i 20 anni. Una strage. Human Rights Watch dichiarava che secondo la sua indagine l'equipaggio del carro armato dell'esercito di occupazione israeliano aveva operato in modo temerario o deliberato. Un'indagine condotta per conto dell'agenzia Reuters accertava che il veicolo di Fadel Shana aveva oltrepassato, appena un'ora prima, un posto di blocco a 700 metri dai carri armati (Independent).
L'esercito di occupazione che si autodefinisce "il più morale del mondo" ha colpito ancora una volta. Ha aggiunto oggi al crimine la beffa, diffondendo l'ennesima vergognosa apologia dei propri misfatti. Ma pensando ai soldati che anche stavolta (e per l'ennesima volta) eviteranno una giusta condanna, ci si deve chiedere se sia più criminale il milite arrogante, sobillato da una dirigenza irresponsabile e da una classe politica fanatica, falsa e guerrafondaia o l'esercito e la dirigenza che assolvendolo dal suo delitto cercano di assolvere se stessi da crimini ben più gravi.


Dall'ass. Italo-palestinese

martedì 12 agosto 2008

ADDIO VIAGGIATORE DEL SOGNO

Mahmud Darwish, luce della Palestina e uno dei più grandi poeti contemporanei ci ha lasciati. Il mondo è un po’ più vuoto e triste, ma restano “i messaggi che le sue mani hanno affidato alle colombe”. Nella sua opera “Murale” con la chiaroveggenza e la grandezza dei veri poeti aveva percorso come un sogno l’ultimo viaggio verso la morte.
“Ho visto i miei tre compagni singhiozzare
Mentre
M’intessevano un sudario
con fili dorati
Ho visto paesi cingermi
Con braccia mattinali:
sii degno del profumo del pane
Intonati ai fiori del marciapiede
Ché il forno di tua madre è ancora acceso
E il saluto caldo come il pane.
Non abbiamo sentito particolari commemorazioni dai nostri media, per la morte di uno dei più grandi poeti a livello mondiale, a cui del resto non fu conferito il Nobel per la letteratura perché palestinese. Così Darwish appare ai nostri occhi come uno dei 36 giusti nascosti che reggono il mondo in ogni generazione.
Era nato il 13 marzo 1941 in Galilea. Durante la guerra del 48 il suo villaggio fu raso al suolo e gli abitanti costretti all’esilio. Studiò nelle scuole arabo-israeliane e andò a vivere ad Haifa. Pubblicò la prima raccolta di poesie “Uccelli senza ali” a 19 anni, in seguito le sue opere conosciute in tutto il mondo furono tradotte in 40 lingue. Aderì al partito comunista israeliano nel 1961. Fu incarcerato a causa delle sue opere poetiche.
“Ho detto al carceriere sulla riva occidentale
-Sei il figlio del mio vecchio carceriere?
-Si-
-E tuo padre dov’è?
-Ha detto- mio padre è morto da anni mi ha dato in eredità la sua missione e il suo mestiere e mi ha raccomandato
Di proteggere la città dal tuo canto…
-Ho detto –da quanto mi sorvegli e t’imprigioni dentro di me?
Ha detto –da quando hai scritto le tue prime canzoni-
All’inizio degli anni 70 scelse l’esilio e partì prima per Mosca e successivamente si trasferì al Cairo. Nel 73 a Beirut diresse il mensile “Questioni palestinesi”. Nel 93 si dimise dal Comitato esecutivo dell’OLP per protestare contro gli accordi di Oslo. Nel 96 viene autorizzato per la prima volta a entrare in Israele, dopo l’esilio, per partecipare ai funerali dello scrittore Emil Habibi. Il 15 novembre 1988 scrisse la Dichiarazione di indipendenza dello stato di Palestina proclamato da Arafat ad Algeri.
In questi ultimi anni ha vissuto tra Ramallah, Amman e il Cairo.
Nel marzo 2002, durante la seconda Intifada, da mesi assediato a Ramallah e impossibilitato a rispondere ai molti inviti ricevuti dall’estero, invitò alcuni scrittori di fama internazionale a recarsi in Palestina. Una delegazione di 8 scrittori provenienti da 4 continenti del Parlamento Internazionale degli scrittori rispose al suo invito, rompendo l’assedio.
“E’ per me un grande piacere e un onore accogliervi su questa terra nella sua primavera di sangue, una terra che ha la nostalgia del suo vecchio nome: terra d’amore e di pace. La vostra visita è un modo per rompere il nostro sentimento di isolamento. Con voi noi ci rendiamo conto che la coscienza internazionale, di cui siete onorevoli rappresentanti, vive ancora ed è capace di protestare e di schierarsi dalla parte della giustizia. Voi ci avete dato l’assicurazione che gli scrittori hanno ancora un ruolo importante da svolgere nella lotta per la libertà e nella battaglia contro il razzismo” Fu l’inizio del suo discorso di saluto.
Mahmud Darwish ci ha lasciato, ma la sua poesia resterà con noi per sempre, i suoi versi canteranno nelle future generazioni e daranno forza alla lotta del popolo palestinese per la libertà e la giustizia, daranno a tutti noi la gioia interiore di elevarci per un momento sopra la miseria del mondo. La sua poesia resta come una grandiosa testimonianza e un grande regale al mondo.
“Verde la terra del mio poema, verde e alta…
Piano lo annoto, piano,
al ritmo dei gabbiani nel libro dell’acqua. Lo scrivo
e lo lascio in eredità a coloro che si domandano:
per chi canteremo
quando la salsedine si diffonderà nella rugiada?
Verde, lo scrivo nel libro dei campi
Sulla prosa delle spighe incurvate da un pallido turgore
Che è in loro, che è in me. Ogni volta che sono diventato amico
O fratello di una spiga, ho imparato a sopravvivere al nulla e al suo contrario: “sono il chicco di grano che muore
Per germogliare di nuovo,
nella mia morte c’è vita…”

martedì 5 agosto 2008

SUCCESSO DELLA MARCIA DEI BAMBINI DEL 2 AGOSTO

COMUNICATO STAMPA
4 agosto 2008

Successo della marcia nonviolenta dei bambini palestinesi
in risposta alle violenze dei coloni
nonostante gli arresti di attivisti israeliani e internazionali

Nella giornata di sabato 2 agosto 2008 si è svolta con successo la marcia nonviolenta indetta per chiedere la fine dell’espansione degli insediamenti e delle aggressioni dei coloni dell'area a sud di Hebron, violenze che si protraggono nonostante ormai da tempo la Commissione per i Diritti dei Bambini del Parlamento Israeliano abbia deliberato l’obbligo di scorta da parte dell’Esercito Israeliano per proteggere i bambini palestinesi dai continui attacchi dei coloni.
Più di un centinaio di bambini palestinesi, accompagnati dai propri genitori e supportati da decine di attivisti israeliani e internazionali, tra cui i volontari di Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) e del Christian Peacemaker Teams (CPT - ONG Statunitense), hanno pacificamente percorso la via che congiunge il villaggio di at-Tuwani al villaggio di Tuba.
Tale strada è interdetta per i palestinesi dell'area a causa delle continue aggressioni da parte dei coloni israeliani del vicino avamposto illegale di Havat Ma'on (Hill 833).
Intorno alle 10:30 la marcia, appena iniziata, è stata però fermata con la forza dall'esercito israeliano che, dichiarando l'intera area "zona militare chiusa", ha tentato di arrestare un palestinese e ha aggredito, cercando di strozzarlo, un attivista del CPT accorso per impedire l'arresto.
La marcia è stata quindi sospesa ma, alcune ore più tardi, mentre i militari impedivano il passaggio ai volontari internazionali aggredendo e arrestando una volontaria dell’Operazione Colomba, i bambini, accompagnati dagli adulti, sono finalmente riusciti ad incamminarsi verso Tuba.
La volontaria di Operazione Colomba è stata aggredita da un ufficiale israeliano, quando poi si è recata dalla polizia per sporgere denuncia, è stata a sua volta accusata di aver aggredito l’ufficiale e dunque arrestata.
Nonostante un video mostri che l’aggressione è avvenuta esclusivamente da parte del soldato, la volontaria di Operazione Colomba è stata rilasciata soltanto a tarda notte e su di lei pendono ancora accuse ingiustificate.

Per contattare i volontari dell’Operazione Colomba in Palestina e Israele
Tel: 00972 – 548.130.634 / 548.052.843

martedì 29 luglio 2008

BAMBINI DI HEBRON IL GIORNO DELL'AGGRESSIONE nella foto sotto IL VOLONTARIO FERITO sotto ancora BAMBINI E SCORTA

BAMBINI DI HEBRON IL GIORNO DELL'AGGRESSIONE

VOLONTARIO AGGREDITO DAI COLONI MENTRE ACCOMPAGNA A SCUOLA I BAMBINI PALESTINESI

COMUNICATO STAMPA
28 luglio 2008

Volontario internazionale aggredito da coloni israeliani
mentre accompagna bambini palestinesi


Domenica 27 luglio 2008 alle ore 13:50 circa coloni nazional religiosi dell’avamposto-insediamento israeliano di Havat Maon - Hill 833 hanno attaccato (lanciando pietre) ed inseguito 14 bambini palestinesi che tornavano a casa nei villaggi di Tuba e Magher el Abeed dopo aver partecipato al campo estivo di animazione per bambini nel vicino villaggio di At-Tuwani.
Un volontario internazionale (americano) dell’Associazione statunitense CPT (Christian Pacemaker Team), che accompagnava i bambini, è stato colpito con un sasso ad una gamba ed assalito da due coloni che lo hanno picchiato colpendolo ripetutamente alla testa con la telecamera che il ragazzo aveva con sé.
Da giorni l’esercito israeliano si rifiuta di accompagnare i bambini nonostante la Commissione per i Diritti dei Bambini del Parlamento Israeliano abbia deliberato l’obbligo di scorta da parte dell’Esercito Israeliano perché i bambini sono già stati attaccati più volte dagli stessi coloni.
Volontari italiani di Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, presente nell’area a sud di Hebron dal 2005, accompagneranno i bambini nei prossimi giorni nel caso in cui, come successo ieri, l’esercito non si dovesse presentare per la scorta.
I volontari di Operazione Colomba e CPT sono già stati aggrediti in passato dai coloni durante l’accompagnamento dei bambini a scuola.
L’avamposto - insediamento di Havat Maon, illegale secondo la stessa legge israeliana, ha un ordine di evacuazione non applicato dalle autorità israeliane; la polizia e l’esercito israeliano sono latitanti nell’applicazione delle leggi israeliane nell’area e non perseguono i coloni che attaccano i palestinesi e gli internazionali.

Per ulteriori informazioni:
Operazione Colomba
Tel.00972-547-382452


Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Il responsabile Generale
Giovanni Paolo Ramonda

lunedì 28 luglio 2008

BAMBINI DI HEBRON PROTESTANO CONTRO LE QUOTIDIANE AGGRESSIONI DEI COLONI

*Bambini marciano contro la violenza dei coloni e l'espansione delle colonie
nelle colline a sud di Hebron*

La marcia dei bambini del Campo Estivo andrà dal villaggio di At-Tuwani a
quello di Tuba. I partecipanti consegneranno un "Ordine di demolizione" ad
una costruzione dell'outpost illegale israeliano.

Sabato 2 agosto 2008, bambini palestinesi accompagnati dai loro
genitori marceranno dal villaggio di At-Tuwani a quello di grotte di Tuba.
Cammineranno lungo una strada sulla quale i coloni isareliani nazional-religiosi
attaccano regolarmente e minacciano i bambini dei villaggi di Tuba e Maghaer
Al-Abeed che si recano alla scuola elementare ad At-Tuwani. I genitori dei
bambini palestinesi stanno organizzando la marcia per richiamare l'attenzione
sulla violenza alla quale sono soggetti i bambini, la scarsa efficacia
dell'esercito israeliano nel proteggerli e la continua espansione degli
insediamenti ed outpost israeliani. La marcia è parte dell'annuale campo
estivo delle colline a sud di Hebron.

I partecipanti della marcia saranno i bambini dei villaggi di Tuba e Maghaer
Al-Abeed che sono regolarmente attaccati dai coloni israeliani durante il
loro tragitto verso la scuola elementare di At-Tuwani. I bambini dipendono
da una scorta militare che li accompagna a scuola per prevenire gli attacchi
dei coloni; l'esercito israeliano spesso non prende seriamente l'incarico
così che spesso i soldati della scorta sono in ritardo, non intervengono
quando i coloni minacciano o attaccano i bambini, a volte non vengono per
nulla. L'attacco più recente ha avuto luogo ieri 23 luglio, quando
l'esercito israeliano non si è presentato all'appuntamento per accompagnare
i bambini. Tre coloni , uno dei quali con il volto coperto ed un bastone,
hanno inseguito i bambini mentre camminavano lungo un sentiero tra le
colline. La marcia seguirà il sentiero sul quale i bambini erano durante
l'attacco di ieri.

Inoltre i bambini porteranno un "ordine di demolizione"ad una nuova
costruzione parte della continua espansione di Havot Ma'on, un' insediamento
outpost israeliano che è illegale sia per il diritto internazionale sia per
le leggi israeliane..

sabato 26 luglio 2008

ARRESTATO IL PADRE DELLA BAMBINA CHE HA GIRATO IL VIDEO-SHOCK

"PAPÀ' NON RATTRISTARTI, NONOSTANTE IL TUO ARRESTO PROSEGUIREMO LA LOTTA"
Ha detto Islam Kanaan, la ragazzina che ha girato il video del ragazzo palestinese catturato dai militari durante una manifestazione pacifica, tenuto per ore legato e bendato sotto il sole e poi colpito da un soldato con un colpo di pistola per ordine di un superiore.
"Casualmente" il padre della ragazzina che ha girato il video dalla finestra di casa, è stato arrestato.
Infopal ha intervistato la ragazza.

25-07-2008 Ramallah



Ramallah - Infopal. Islam Kanaan è una ragazzina palestinese: ha 14
anni, ma improvvisamente è diventata famosa in tutto il mondo per
aver ripreso con la videocamera assegnatale da B'Tselem,
un'organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani, la
scena di un soldato israeliano che sparava a sangue freddo su un
giovane dimostrante palestinese. Il cruento episodio è avvenuto il 7
luglio scorso, a Nil'in, nei pressi di Ramallah.

Ieri, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato il padre di
Islam
Il corrispondente di Infopal per la Cisgiordania si è recato a casa
dell'adolescente e le ha rivolto alcune domande.




Cosa hai visto mentre stavi filmando le aggressioni dell´esercito
israeliano al tuo villaggio?

"Era in corso una manifestazione pacifica. Tra i partecipanti c´era
anche il giovane Ashraf Abu Rahmah, che portava una bandiera
palestinese. Dopo circa mezz´ora dall´inizio della marcia, i militari
israeliani hanno sequestrato Ashraf, gli hanno legato le mani dietro
la schiena lasciandolo per più di due ore sotto il sole, poi, un
ufficiale ha ordinato a un soldato di sparargli e lui ha aperto il
fuoco a distanza ravvicinata".


Che cosa hai provato mentre riprendevi la scena?

"Ho gridato a squarciagola dalla paura e la telecamera mi è caduta di
mano, ma mio fratello l´ha subito recuperata e ha continuato le
riprese. Ora sono felice che il mondo abbia visto quelle scene".


Cosa ti ha spinto a farlo?

"Ho ripreso gli eventi del villaggio sin dall´inizio. Quel giorno
c´era una dimostrazione pacifica e mi interessava registrarla a causa
della vasta partecipazione popolare. La scena documentata nel video
era parte della manifestazione".


Perché hai voluto divulgare la registrazione?

"Il mio obiettivo è quello di far conoscere ai leader e ai potenti
del mondo quello che sta accadendo nel mio villaggio, Ni´lin, e
riuscire ad attirare la solidarietà della gente. Voglio far conoscere
i crimini dell´occupazione israeliana contro il nostro popolo. Sono
scene che le telecamere delle televisioni non riprendono".


Come hai fatto a girarle, visto che i militari vietano l´ingresso nel
villaggio ai giornalisti?

"Mi trovavo dietro la finestra di casa. L´ho fatto perché sono sicura
che, dopo il sasso, la telecamera sia l´unica arma contro
l'occupazione".


Avete subito pressioni da parte dell´occupazione?

"La nostra casa è oggetto di continue aggressioni: un giorno
l´esercito l'ha assediata. Sono uscita per vedere cosa stesse
accadendo ma sono stata picchiata da un soldato con il calcio del suo
fucile. Dopo la diffusione del video, le aggressioni sono aumentate e
l´esercito ha arrestato mio padre, Jamal Hasan Kanaan Amirah, di 55
anni. Abbiamo capito che questa telecamera ci sta costando molto, ma
è il prezzo che ogni palestinese deve pagare".

--------------

(http://www.infopal.it/testidet.php?id=8949)

martedì 22 luglio 2008

ULTIME DA NIL'IN

Durante l'ultima manifestazione pacifica a Nil'in, un ragazzo palestinese è stato arrestato dai militi, legato e imbavagliato è stato condotto verso una jeep militare, mentre era impossibilitato a sapere cosa avveniva intorno a lui perchè bendato e completamente inerme il giovane è stato colpito da un colpo di pistola sparato da un soldato a sangue freddo. L'avvenimento è stato filmato da una ragazza quattordicenne dalla sua finestra con una videocamera ricevuta dall'ass.israeliana per i diritti umani Bet'selem, così lo scioccante video ha reso evidente la bestialità dei soldati israeliani

domenica 20 luglio 2008

LA LOTTA DI NIL'IN

Le terre palestinesi del villaggio di Nil'in vengono espropriate per permettere l'ampliamento delle colonie di Hashmon'in, Mattityah e Mod'in Illit. Colonie illegali per il Diritto internazionale.
Inghilterra e Belgio hanno comprato alcune unità immobiliari costruite nelle colonie israeliane.
Rispondendo a un'interrogazione scritta presentata alla Commissione della UE la responsabile Ferrero Waldner ha lamentato carenza di strumenti per reprimere tali reati.
mentre la UE è incapace di far applicare le clausole alla base degli accordi di associazione UE-Israele l'esercito israeliano reprime duramente le dimostrazioni non-violente degli abitanti di Nil'in sparando e intossicando con i gas.
Alla marcia degli abitanti di Nil'in hanno partecipato palestinesi di cittadine vicine e pacifisti israeliani e stranieri.
A luglio il coprifuoco imposto al villaggio ha bloccato ogni tipo di movimento. Più di 60 persone sono state ferite dai proiettili, un centinaio intossicate con conseguenti problemi polmonari, una cinquantina di case sono state occupate dai militari che sparavano su chiunque si affacciasse alla finestra. Di fronte alla continuazione della protesta l'esercito ha imposto altre due settimane di coprifuoco.
Il Comitato popolare continua la sua protesta pacifica contro il Muro
> considerato illegale secondo le Nazioni Unite e la Comunita´
> Internazionale, chiedendo il sostegno di quanti fra attivisti, operatori
> dei media, fotografi e singoli vogliano raccontare quello che succede a
> Nil´in dando cosi´ voce a chi resiste da anni semplicemente per
> continuare a vivere nella terra dove e´ nato.
>
> http://www.bilin-
> village.org/

mercoledì 16 luglio 2008

NOTIZIE SU "HANDALA"

Questo libro raccoglie articoli e discorsi tenuti in varie occasioni pubbliche durante gli ultimi anni. Affronta argomenti cruciali come il terrorismo, lo scontro di civiltà, la guerra, la memoria, l'informazione, la democrazia, i diritti umani. Rievoca i principali avvenimenti che si sono succeduti: la strage di Falluja, le elezioni in Palestina e il successivo boicottaggio della comunità internazionale dopo la vittoria di Hamas, le strategie di guerra israelo-americane per ridisegnare, disgregandolo, il Medio Oriente,l'uscita unilaterale da Gaza, con quello che ha comportato di illusioni, menzogne e conseguenze per i palestinesi di Gaza, il terribile attacco del 2006 denominato "Pioggia d'estate" che produsse centinaia di morti e distruzione di strutture e la conseguente guerra scatenata da Israele contro il Libano.
Il libro contiene anche un'appendice che tratta di tre interessanti argomenti: Uno studio dell'uni versità di Bir Zeit sul boicottaggio israeliano della cultura e dell'istruzione palestinese. Una sintesi della relazione sulle principali violazioni dei diritti dei minori in carcere commesse da Israele dell'avv. Dario Rossi dei Giuristi Democratici. Infine una breve spiegazione dell'accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele in un articolo di Manlio Dinucci e nell'introduzione al testo degli accordi, tratto dal sito del Forum Palestina.

Il libro - 130 pgg costo 8 euro - è reperibile presso le librerie
Prospettiva - Via dei Sabelli
Odradek Via dei Banchi Vecchi 57
oppure richiedendolo direttamente all'editore: nicoletta@edizionistellecadenti.org
associazione@edizionistellecadenti.org

lunedì 14 luglio 2008

E' USCITO IL MIO ULTIMO LIBRO

L'ESERCITO ISRAELIANO E' COMPOSTO DA PAZZI CRIMINALI

Defence for Children International / Palestine ( DCI/PS )

2 luglio 2008 - Sanniriya , Qalqiliya

Un bambino palestinese di 10 anni è stato sottoposto a torture da soldati israeliani.

L’11 giugno 2008, un bambino di 10 anni è stato sottoposto a violenze fisiche equivalenti a torture per due ore e mezza da parte di soldati israeliani che avevano fatto irruzione nel negozio della sua famiglia, per cercare di farsi dare informazioni sul nascondiglio di una pistola. Il ragazzino è stato picchiato ripetutamente, schiaffeggiato e preso a pugni in testa e allo stomaco, costretto a mantenere una posizione logorante per mezz’ora e poi minacciato. Egli è rimasto profondamente sconvolto, oltre ad aver perduto due denti molari a seguito dell’aggressione.

Mercoledì 11 giugno 2008, nel villaggio di Sanniriya, vicino alla città di Qalqiliya nella West Bank, alle 10 e 30 circa del mattino, Ezzat di 10 anni, suo fratello Makkawi di 7, insieme alla sorella Lara di 8, se ne stavano nel negozio del loro padre per vendere cibo per animali e uova, quando i bambini furono sorpresi dal vedere due soldati israeliani irrompere nel negozio.

Interrogatorio e violenze nel negozio.

Un soldato che indossava una maglietta nera cominciò ad urlare in arabo, a voce alta e minacciosa, “Tuo padre ci ha mandato da te per prendere la sua pistola”.Un Ezzat terrificato rispose, ”Mio padre non possiede una pistola”.Il soldato in risposta prese a schiaffi Ezzat, crudelmente, sulla sua guancia destra ed il fratello Makkawi in faccia. Dopo di che il soldato intimò a Makkawi e a Lara di andarsene dal negozio. Una volta che i bambini più piccoli se ne furono andati il soldato chiese un’altra volta a Ezzat di consegnare l’arma del padre. Nonostante Ezzat continuasse a ripetere che suo padre non era in possesso di una pistola, il soldato gli impose di cercarla nei sacchi che contenevano cibo per animali. Ezzat continuò insistendo che nel negozio non c’era arma alcuna tanto che il soldato prese a schiaffeggiarlo di nuovo, questa volta sulla guancia sinistra.

Uno degli amici di Ezzat, rendendosi conto che stava succedendo qualcosa di brutto, cercò di entrare nel negozio, ma venne preso a calci dal soldato che se ne stava alla porta per bloccarne l’ingresso. Presto un gruppo di persone del posto si radunò fuori dal negozio e qualcuno di loro cercò ugualmente di entrare, ma ne vennero impediti dal soldato alla porta.

Il soldato dalla maglietta nera gli chiese ancora una volta di tirar fuori la pistola. Ezzat rispose, “Non abbiamo nulla”. Come reazione il soldato lo colpì, forte, con un pugno allo stomaco facendo cadere Ezzat su scatole per uova vuote. Ezzat cominciò a gridare e a piangere per il dolore e la paura. Il soldato dalla maglietta nera prese a sbeffeggiarlo imitando il suo pianto. Ezzat era rimasto solo nel negozio insieme ai soldati per oltre 15 minuti, quando all’improvviso il soldato in nero lo afferrò per la maglietta e lo trascinò fuori dal negozio. Ezzat chiese al soldato di poter chiudere il negozio del padre, ma questi disse che voleva rimanesse aperto in modo da poter essere derubato. Il soldato inoltre minacciò Ezzat di cacciarlo nella sua jeep e di portarlo via.

Una volta che furono fuori dal negozio, Ezzat ricevette l’ordine di recarsi a casa camminando davanti ai soldati, mentre un’arma era puntata contro la sua schiena. Durante il percorso, i soldati lo colpirono varie volte alla nuca. Nell’avvicinarsi a casa sua, Ezzat notò parecchi funzionari militari israeliani che stavano attorno a casa sua ed un certo numero di veicoli militari verdi parcheggiati all’esterno. Una delle jeep colorata in verde oliva portava la scritta “polizia”.

Interrogatorio e violenze in casa.

Dopo essere giunti alla casa della sua famiglia, il soldato dalla maglietta nera trattenne Ezzat in cortile e gli intimò di cercare la pistola nella vasca dei fiori. Prima ancora che Ezzat avesse la possibilità di rispondere il soldato lo schiaffeggiò con tale violenza che egli cadde a faccia in giù una prima volta dentro la vasca. Senza dargli la possibilità di alzarsi, il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò bruscamente. Un altro soldato gli ordinò di condurlo nella stanza degli ospiti.

Mentre si avviava verso il salotto, Ezzat vide suo padre in piedi accanto alla porta. Il soldato lo schiaffeggiò sul collo tanto che Ezzat cadde a terra. Non appena Ezzat fu di nuovo in piedi il soldato lo malmenò una seconda volta facendolo cadere di nuovo a terra.
Tutto ciò in presenza di suo padre. Successivamente il soldato afferrò Ezzat per la maglietta e lo sollevò in aria, dicendo a suo padre che avrebbero condotto suo figlio in prigione. Minacciò pure di portare in galera anche la sorella diciannovenne di Ezzat. Dopo di ché Ezzat venne spinto a forza dentro il salotto dove erano state portate anche sua madre ed altri quattro congiunti, tra i quali le sorelle Diana, di 19 anni, Raghda, di 18, Aya, di 15, e il fratello Jihad, di 3 anni. Sua madre stava piangendo disperatamente. Anche Ezzat stava singhiozzando. Quando sua madre gli chiese perché stesse lamentandosi egli le disse di essere stato picchiato dai soldati. La madre domandò allora ai soldati di smetterla di percuotere suo figlio e di picchiare invece lei al suo posto.

Dopo alcuni minuti Ezzat venne fatto uscire dalla camera degli ospiti e schiaffeggiato dal soldato in nero con tale violenza che egli cadde una volta ancora sul pavimento. Dopo averlo trascinato in diverse stanze della casa, venne imposto ad Ezzat di restare nella camera da letto dei bambini. Dopo di ché lo stesso soldato uscì dalla stanza per poi tornarvi ogni cinque minuti per schiaffeggiare Ezzat e colpirlo ripetutamente con pugni allo stomaco. Ogni volta che ciò accadeva, Ezzat metteva a strillare, urlava dal dolore e cominciava a piangere. Allora il soldato lo imitava e si divertiva a schernirlo. Il soldato lo percosse sei volte circa.

Devastazione della proprietà e uso di posizioni estenuanti.

Un poco più tardi, cinque soldati entrarono nella stanza e cominciarono a distruggere con martelli tutti i beni di proprietà della famiglia. Nell’insieme, i soldati distrussero pannelli per la ventilazione, di legno, che si trovavano nell’attico, un piccolo frigorifero nella camera da letto, e tutto ciò che vi era dentro, fecero danni alla cucina rovinando un ventilatore ed un caminetto.

Ezzat rimase nella stanza da letto da solo con i soldati per circa un’ora. In quest’ora lo stesso soldato gli ordinò di stare dritto in piedi su un solo piede per mezz’ora, con la schiena contro la parete e con entrambe le mani sollevate in aria ( vedi la foto ). Ezzat era esaurito dal dover stare in questa posizione, ma era troppo spaventato da abbassare il suo piede a terra. Alla fine gli altri soldati gli dissero che poteva mettere giù il piede. Poi gli chiesero di starsene seduto in una posizione accovacciata. Egli riuscì a stare in questa posizione due minuti dopo di ché dovette alzarsi. Poi una soldatessa entrò nella stanza e gli chiese di sedersi sul frigo.

Poco dopo il soldato con la maglietta nera ritornò accompagnato dalla sorella maggiore di Ezzat, Diana. Cominciò con il chiedere ad Ezzat se ci teneva a sua sorella, alla qual cosa egli rispose, “Sì, certamente.” Allora il soldato gli chiese di indicargli dove fosse nascosta la pistola e che se gliela avesse rivelato non l’avrebbe fatto sapere a suo padre. Il soldato si allontanò dalla stanza con la sorella di Ezzat. Poi tornò dentro da solo e percosse Ezzat su tutto il corpo. Lasciò una volta ancora la camera e dopo poco ritornò per offrire a Ezzat 10 Shekel in cambio della rivelazione di dove fosse nascosta la pistola. Ezzat gli rispose che non gli interessava il denaro. Ciò fece imbestialire moltissimo il soldato che si tolse l’elmetto e cominciò a lanciarlo contro a Ezzat da due metri di distanza. Ezzat provava un forte dolore. Il soldato continuò a percuoterlo con l’elmetto, poi lasciò la stanza, per tornare di nuovo per schiaffeggiarlo in faccia e percuoterlo allo stomaco. Tutto questo proseguì per diverso tempo, con il soldato che se ne andava e poi tornava per picchiare Ezzat e porgli domande sulla pistola.

Interrogatorio della famiglia.

Poi Ezzat fu testimone del fatto che il soldato con la maglietta nera e la soldatessa portarono sua sorella e sua madre in una delle stanze vicino alla camera da letto dei bambini. Chiusero la porta, ma Ezzat potè udire i soldati che urlavano nei loro confronti. Egli sentì casualmente il soldato dire alla soldatessa di picchiare la madre perché lei si stava rifiutando di togliersi i vestiti per farsi perquisire. Dopo che l’incidente ebbe termine, la sorella fece sapere a Ezzat che erano state perquisite senza vestiti dalla soldatessa, mentre il soldato era in attesa fuori dalla stanza.

Nel frattempo, un soldato che portava occhiali da sole neri entrò nella camera da letto dove era trattenuto Ezzat. Fece alcuni passi dentro, puntando un fucile a pochi centimetri dalla testa di Ezzat. Ezzat era così spaventato che cominciò a tremare tutto. Il soldato sghignazzò e lo schernì. Gli chiese di dire a lui dove fosse la pistola, minacciando di sparargli se non l’avesse fatto. Ezzat continuò a sostenere che non c’era alcuna arma nascosta. Il soldato, mostrandosi furioso gridò a Ezzat, “Per l’ultima volta, dimmi dov’è la pistola prima che ti spari”. Ezzat ripeté di non avere alcuna pistola. Sentendo questo, il soldato abbassò l’arma e uscì. Dopo circa cinque minuti il soldato con la maglietta nera entrò nella camera insieme ad altri quattro soldati e disse che se ne stavano andando, ma che sarebbero ritornati.

In tutto, i soldati trascorsero due ore e mezza nella casa. Dopo questo fatto,Ezzat passò la notte in casa da suo zio perché era troppo spaventato da dormire in casa sua. A seguito dell’aggressione fisica Ezzat ha perduto due dei suoi denti molari ed è rimasto profondamente sconvolto dall’accaduto.

Dichiarazione della Defence Children International / Palestine

La DCI/PS è sconvolta per il fatto che autorità israeliane abbiano sottoposto un bambino di 10 anni a percosse, a violenze per posizioni coatte e a minacce nel corso di diverse ore. Il trattamento subito da Ezzat rientra nella definizione di Tortura insieme ad altri atti riguardanti comportamenti e punizioni crudeli, disumani e degradanti, come definito dalla Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, delle quali fa parte anche Israele. Il trattamento inflitto a Ezzat infrange anche numerose altre convenzioni internazionali alle quali Israele è legato (1), oltre a violare la legge israeliana nel campo militare ed in quello nazionale (2).

La DCI/PS sollecita Israele all’immediato rispetto della Convenzione Contro la Tortura delle Nazioni Unite, con lo svolgimento di indagini accurate ed imparziali in relazione alle accuse di Tortura e di violenza su Ezzat e la consegna alla giustizia di coloro che siano stati ritenuti responsabili di tali violazioni.

La DCI/PS sollecita inoltre l’UE di condizionare lo sviluppo delle relazioni bilaterali UE-Israele ad una evoluzione positiva sensibile e verificabile dell’applicazione da parte di Israele degli standard sui diritti umani dell’UE ai Territori Palestinesi Occupati.
_________________________________

(1)– Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) – articolo 5
IV Convenzione di Ginevra (1949) – articoli 27 e 31
Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966) – articolo 7
Convenzione sui Diritti del Bambino, delle UN, (1989) – articoli 2(2), 3, 16, 37(a)

(2)– La Legge Militare Israeliana definisce lo specifico reato di “maltrattamento” che
proibisce percosse ed altri abusi ad ogni persona che sia sotto la custodia di un
militare: vedi la Legge sul Giudizio Militare, 5715-1955, articolo 65. Vedi anche
articoli 378-382 del codice penale israeliano.


Per un appello all’UE
(il testo è in inglese per un suo uso più immediato)

European Union

Urging the EU to pressure Israel to immediately ensure its compliance with the UN Convention Against Torture and thoroughly investigate the allegations of torture and abuse of Ezzat and other Palestinian deteinees and bring those responsible for such abuse to justice.
Urging the EU to make the upgrade of EU-Israel bilateral relations condicional upon measurable and confirmed progress by Israel to uphold EU human rights standards in the Occupied Palestinian Territory.
Making the EU aware of the recent inclusion of Palestine/Israel as a priority conflict for the implementation of the EU Guidelines on Children and Armed Conflict, and of the subsequent reporting tasks on child rights violations incumbent upon EU diplomatic missions and EU institutions in the field.
......................(.firma e indirizzo del mittente)


L’appello va indirizzato a:

Mr. Bernard Kouchner, Ministre des Affaires Etrangères
Ministère des Affaires Etrangères Francais
37, Quai d’Orsay, 75007 Paris, France
email : bernard.kouchner@diplomatie.gouv.fr

Personal Representative for Human Rights (CFSP) of the EU Secretary General/
High Representative Javier Solana
Ms. Riina Kionka
175 Rue de la Loi BE 1048 Brussels, Belgium
Fax : 0032 2 2816190
Email : riina.kionka@consilium.europa.eu

The Commissioner for External Affairs and European Neighbourhood Policy
HE Ms. Benita Ferrero-Waldner
Email: relax-enpinfo@ec.europa.eu



B’Tselem: “Bambino palestinese sottoposto a violenze durante l’arresto e torturato durante l’interrogatorio”.

Saed Bannoura – IMEMC & Agencies

Sabato - 05 luglio 2008

Il Centro Israeliano di Informazioni per i Diritti Umani nei Territori Occupati (B’Tselem) ha riportato che un bambino palestinese è stato torturato da soldati israeliani mentre lo stavano arrestando e che è stato successivamente torturato anche in una prigione israeliana durante l’interrogatorio.

Il bambino, di 13 anni, Majid Jaradat venne rapito dall’esercito israeliano il 13 nivembre 2007, dopo che i soldati avevano sostenuto che lo stesso aveva lanciato contro di loro dei sassi durante una manifestazione nel villaggio di Sa’ir, nei pressi di Hebron , città situata nel sud della West Bank.

Nella sua deposizione giurata, Jaradat sostenne di essere stato picchiato duramente dai soldati durante l’arresto e che gli stessi gli sferrarono calci alla schiena.

Egli aggiunse che le violenze proseguirono dopo che egli venne trasportato alla stazione di polizia di Ezion in quanto venne percosso da coloro che lo interrogavano. Proseguendo gli interrogatori, Jaradat venne condotto alla struttura di detenzione di Ofer.

Successivamente , Jaradat fu “dichiarato colpevole” di aver lanciato sassi ai soldati e venne condannato a due mesi di carcere.

B’Tselem riporta che fin dall’inizio della seconda Intifada nel tardo settembre del 2000, i soldati israeliani rapirono 350-400 palestinesi minorenni. Al 30 giugno 2008 Israele ha imprigionato 311 palestinesi minorenni.

B’Tselem afferma che la Legge Internazionale stabilisce che i prigionieri minorenni dovrebbero essere tenuti separati dai detenuti adulti. Aggiunge che i detenuti minorenni israeliani non sono messi in cella insieme agli adulti, mentre i prigionieri palestinesi minorenni che sono sospettati di “commettere atti in violazione alla sicurezza”, che siano o meno condannati, sono sottoposti a violenze ed imprigionati insieme a detenuti adulti.

La Legge Internazionale stabilisce che i detenuti minorenni debbano ricevere un trattamento speciale e debbano essere forniti di tutto quanto hanno bisogno, in particolar modo deve essere permesso loro di continuare i loro studi e di ottenere tutto il supporto sociale e psicologico del quale necessitano, incluse le visite dei familiari.

(trad. mariano mingarelli)

venerdì 4 luglio 2008

Da Susanne Scheidt

A PROPOSITO DI LIBERAZIONI
Stamattina s'è svolta un'altra liberazione di ostaggio, al riparo dall'attenzione - o dall'interesse - dei nostri media. E' tornato finalmente dal suo esilio in Giordania, un bambino palestinese di circa tre-quattro anni. Per mesi e mesi le autorità israeliane non lo volevano fare tornare dal suo padre e dalle sue sorelle, che abitano nella Striscia di Gaza, con la "scusa" che egli, essendo uscito dalla Striscia di Gaza attraverso Rafah, cioè il confine con l'Egitto, dovrà ritornare da Rafah. Non poteva, secondo loro, tornare direttamente dalla Giordania.

Ma come mai, uno si chiede: un bambino che viaggia dalla Striscia di Gaza in Egitto, da lì verso la Giordania, per presentarsi al Ponte di Allenby chiedendo di entrare in Cisgiordania ? come poteva fare ? I fatti sono questi: una giovane donna, ammalata di cancro, si era recata dalla Striscia di Gaza al Cairo, per vedere se per il suo tumore al cervello si potesse fare qualcosa. Porta con se il più piccolo dei suoi figli, il maschietto, mentre le figlie, ormai di circa dieci e doci anni, rimangono con il padre. A loro non era stato concesso accompagnare la moglie/madre.

Al Cairo non possono fare nulla, e la mandano ad un ospedale di Amman in Giordania. I medici giordani le fanno capire che ormai non si poteva più operare e che avrebbe avuto qualche mese di vita. A questo punto la donna decide di tornare a casa, per passare gli ultimi mesi assieme ai suoi. Ma non può tornare, perché l'unica-democrazia-in-Medioriente, nel frattempo aveva deciso che una parte della popolazione, sulla quale esercita il dominio, non possa più spostarsi dalla prigione nella quale è rinchiusa, nemmeno per tornare a casa. La donna resta in Giordania e muore lì, lontana dal marito, dalle figlie e dai propri genitori in febbraio di quest'anno. Dopo la sua morte, i parenti lontani che l'avevano ospitata ad Amman, cercano di fare tornare il bambino dal padre portandolo al Ponte di Allenby, dove il padre avrebbe potuto ricongiungersi con lui. Ma gli israeliani, che presiedono il Ponte Allenby, insistono che il piccolo debba rientrare nella Striscia di Gaza via l'Egitto, cioè dal confine di Rafah. Un bambino di tre-quattro anni, che aveva appena perso la mamma e che doveva ricongiungersi con il papà e le sorelle ed i nonni ! un rischio per la sicurezza dell'unica-democrazia-in-Medioriente !

Il padre, disperato, si rivolge alla Croce Rossa Internazionale e stamattina, dopo mesi e mesi di guerra burocratica, finalmente una collaboratrice della ICRC è riuscita a varcare il Ponte di Allenby con il bambino e, ore dopo, anche il passagio di Eretz, dove il padre e le sorelle hanno potuto abbracciare il piccolo.

Della liberazione del piccolo palestinese, stamattina, i nostri media non hanno parlato per niente, perché se l'avessero fatto, avrebbero rischiato di mettere a nudo la disumanità spietata, il sadismo che ispira il comportamento dello stato d'Israele nei confronti dei palestinesi occupati.

giovedì 3 luglio 2008

PERSECUZIONI

Le profonde ed oscene radici
della paranoia di Maroni & Co!



le Monde Diplomatique. Le politiche razziali in Europa


Eugenetica in Europa tra le due guerre e oltre
Caccia agli zingari in Svizzera

Nel maggio del 1999, il Parlamento svedese ha deciso di indennizzare le vittime della politica di sterilizzazione forzata condotta in questo paese dal 1934 al1975.
A partire dal periodo compreso fra le due guerre, in tutta Europa, sotto la pressione di una"nuova scienza", l'eugenetica, e nel quadro di un'inquietante febbre nazionalista, si attuano politiche di eliminazione o di controllo dei"devianti sociali" e degli stranieri.
La Germania nazista le porterà al parossismo, ma esse furono attuate, sotto altre forme, anche dal governo elevetico nei riguardi degli zingari.

di Laurence Jourdan*

"Mi hanno portata via da mia madre poco dopo la mia nascita (...) I primi sei mesi di vita, li ho passati in un centro pediatrico per ritardati mentali. Lì ho vissuto le prime torture psichiatriche di un bambino jenische (...) Quando per la prima volta ho chiesto al mio tutore, il dottor Siegfried, chi fossero i miei genitori, mi ha detto (...) tua madre è una puttana, tuo padre un asociale. E
questo, me lo sono portato dietro per dieci anni. Finché ho capito il significato di quelle parole: i miei genitori erano zingari"
Oggi Mariella Mehr, scrittrice jenische (una comunità gitana), vive in Italia. Da oltre venticinque anni consegna alla carta la memoria di quella comunità della Svizzera vittima, negli anni tra il 1926 e il 1972, di quella vera e propria caccia al nomade che fu l'operazione"Enfants de la grand-route" (Bambini della strada maestra). Come varie centinaia di altri figli di nomadi, Mariella era stata tolta di forza ai suoi genitori. Nella sua famiglia, tre
generazioni sono state vittime di questa politica di sedentarizzazione forzata: prima di lei, sua madre, e poi anche suo figlio
Settantadue anni dopo, i risultati di una ricerca storica
hanno dissipato ogni"ambiguità" su questa operazione. Nel giugno 1998 Ruth Dreyfuss, consigliere federale oggi presidente della Confederazione elvetica ha dichiarato pubblicamente:"Le conclusioni degli storici non lasciano spazio al dubbio: l'Opera di soccorso Enfants de la grand-route è un tragico esempio di discriminazione e persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita della maggioranza".

Nell'arco di quasi mezzo secolo, in Svizzera oltre seicento bambini jenisches sono stati sottratti a forza alle loro famiglie dall'Opera di soccorso"Enfants de la grand-route", che aveva un unico mandato: quello di sradicare il nomadismo. Con questo proposito, i figli del
popolo itinerante erano sistematicamente sottratti ai genitori e collocati presso famiglie affidatarie o negli orfanatrofi, quando non venivano addirittura incarcerati o internati in ospedali psichiatrici.
Nell'ambito del programma che doveva plasmarli secondo i modelli della società sedentaria, questi bambini hanno subito atti di razzismo, umiliazioni e maltrattamenti. Queste vessazioni, più accentuate nella Svizzera tedesca e nel Ticino, sono state minori nella Svizzera francese.
"Sradicare il male del nomadismo" L'Opera di soccorso"Enfants de la grand-route" era stata creata nel 1926 dalla celebre e prestigiosa federazione svizzera di beneficenza Pro-Juventute, cui era stato affidato l'incarico di"proteggere i bambini a rischio di abbandono e di vagabondaggio".

Il fondatore e direttore di quest'organismo, Alfred Siegfried (1890-1972), è stato il terrore dei bambini gitani, tanto che gli jenisches lo paragonano a Hitler. Per braccare gli zingari, il dottor Siegfried beneficiava dell'infallibile collaborazione della polizia e delle autorità pubbliche cantonali e comunali.
Accanitamente determinato a"sradicare il male del nomadismo, fin dall'infanzia, attraverso misure educative sistematiche e coerenti", Siegfried era animato da un razzismo viscerale nei confronti della comunità dei girovaghi, che definiva"inferiori","psicopatici","deficienti" o"mentalmente ritardati" Lo scandalo esplode infine nel 1972, grazie al settimanale svizzero Der schweizerische Beobachter. Un anno dopo, la Pro Juventute è costretta a procedere allo scioglimento dell'Opera.
Messa di fronte a questa pagina nera della sua storia, nel 1987 la Confederazione elvetica riconosce la propria responsabilità morale, politica e finanziaria nell'operazione. Si dovrà tuttavia attendere il 1996 per uno studio storiografico su quel periodo, intrapreso da tre storici della Beratungsstelle ffr die Landgeschichte (Centro di consulenza storica nazionale) su incarico del Consiglio federale, con il proposito di definire"gli obiettivi, le strutture, i finanziamenti e le attività dell'Opera di soccorso Enfants de la grand-route", e"per porre in evidenza il ruolo della Confederazione e quello della Fondazione Pro Juventute".
I risultati, resi pubblici nel giugno 1998 a Berna, sono
agghiaccianti. Fin dagli anni '20 il moderno stato amministrativo elvetico, deciso a combattere ogni forma di marginalità, aveva preso la risoluzion
di ricorre a misure coercitive per sottomettere i cittadini non conformi ai suoi ideali di ordine. Gli zingari, considerati"devianti sociali", o anche"fannulloni, gente trascurata e in gran parte degenerata", erano definiti"vagabondi congeniti" dall'antropologia criminale dell'epoca (1). Il loro stile di vita, incompatibile con i principi morali della società borghese che vedeva"nella vita errabonda la via verso il crimine", doveva quindi essere normalizzato.

Gli jenisches, il cui nomadismo era strettamente legato all'attività economica, si spostavano con tutta la famiglia e davano la preminenza, più che alla scolarizzazione dei bambini, alla trasmissione dei mestieri. La loro cultura e il loro stile di vita divennero il bersaglio delle autorità:"Chiunque voglia combattere efficacemente il nomadismo deve mirare a far saltare la comunità dei girovaghi e porre fine, per quanto ciò possa apparire duro, alla comunità familiare. Non esistono altre soluzioni", scriveva il dr. Alfred Siegfried. L'operazione"Enfants de la grand-route", teoricamente inserita nel quadro di una"politica di assistenza sociale e di previdenza", in realtà altro non era che una politica di sedentarizzazione forzata, destinata, come hanno rivelato gli storici, a"liberare la società dai mali rappresentati da queste famiglie e gruppi di nomadi, considerati come inferiori".
Fin dal 1930, il Dipartimento federale di giustizia e polizia pianificava la sottrazione dei bambini per il decennio successivo, mentre il Dipartimento dell'Interno metteva a disposizione i fondi per finanziare l'operazione. Secondo gli autori della ricerca storica,"le sovvenzioni della Confederazione coprivano dal 7% al 25% del bilancio dell'Opera di soccorso". E questo finanziamento è stato rinnovato fino al 1967! L'operazione era inoltre finanziata da vari mecenati e associazioni, oltre che dalla vendita di francobolli e opuscoli propagandistici pubblicati dalla fondazione.
Su richiesta dell'Opera di soccorso fu realizzato un censimento della popolazione itinerante. E Alfred Siegfried si fece nominare tutore di più di 300 bambini, i cui genitori erano stati posti sotto curatela. Secondo la sua tesi, la rottura totale tra il bambino e il suo universo familiare era la condizione previa per la riuscita delle sue mire educative.
Scriveva infatti:"Ogni volta che per la nostra benevolenza, o per un disgraziato (sic) incontro, qualche bambino non ancora adattato, o di carattere instabile, entra in contatto con i propri genitori, il nostro lavoro è azzerato (2)" Robert Huber, sottratto alla famiglia a soli otto mesi, ha incontrato per la prima volta sua madre a vent'anni."Davanti a me c'era una donna completamente estranea. E questa donna, mia madre, mi ha detto che avevo altri dieci fratelli e sorelle (...) La famiglia non esisteva più. Nessun di noi sapeva dove fossero gli altri (...) Gli jenisches avevano l'obbligo del servizio militare. E mentre erano sotto le armi, i loro figli
venivano portati via. Quando tornavano, trovavano le mogli piangenti. E se protestavano, le autorità minacciavano di rinchiuderli in un ospedale psichiatrico o in carcere".
Cittadini svizzeri, gli jenisches erano assoggettati a tutti i
doveri, ma non godevano di alcun diritto Questa politica fu largamente sostenuta dal clero. I bambini dovevano innanzitutto assimilare i valori dell'ordine e del lavoro per essere socializzati, ma l'istruzione che ricevevano era ridotta al minimo.
Per i maschi, l'unica prospettiva era l'apprendistato, mentre le ragazze venivano confinate al lavoro domestico. La loro realtà quotidiana era fatta di maltrattamenti, razzismo e a volte anche abusi sessuali. Erano comandati a bacchetta dalle suore di qualche istituto religioso, nelle aziende agricole (dove venivano utilizzati come manodopera a basso costo) e spesso nei penitenziari. Nell'arco di diciott'anni, la signora Uschi Waser, presidente dell'Associazione Naschet Jenische (Alzati, jenische) è passata per ventitré diverse istituzioni! Sconvolta dalle opinioni che la riguardavano contenute nelle 3.500 pagine del suo dossier, spiega che:"Siegfried sosteneva (che) tutti gli zingari sono cattivi, ladri e bugiardi (...), non perché abbiano imparato a mentire, ma perché nascono così".
Diversi scienziati svizzeri condividevano questi pregiudizi e ne hanno tratto spunto per le loro ricerche, approfittando spudoratamente dell'operazione"Enfants de la grand-route" per architettare tesi sull'"inferiorità ereditaria" dei nomadi.
Furono praticate anche sterilizzazioni forzate, benché non in maniera sistematica. Nel suo rapporto sull'attività dell'Opera di soccorso nel 1964, il dottor Siegfried scriveva:"I
nomadismo, come alcune malattie pericolose, è trasmesso soprattutto dalle donne".
Ed ecco la testimonianza di Mariella Mehr:"Quando si accorsero che a tre anni rifiutavo di parlare, decisero di farmi parlare per forza.
Usavano una specie di vasca da bagno. (...) Il paziente veniva fatto sdraiare lì dentro, bloccato fino alla testa da un'asse di legno perché non potesse uscirne. E là rimaneva finché l'acqua diventava ghiacciata. Si poteva restarci anche per 17, 18 o 20 ore". Lo psichiatra Joseph JÜrger, per lunghi anni direttore della clinica Waldhaus di Coira, dove erano stati internati numerosi jenisches, fu uno dei primi ideologi svizzeri dell'igiene razziale. Secondo il resoconto degli storici, nel 1988 molte di queste vittime della scienza al servizio della politica un centinaio circa erano tuttora internate nelle cliniche e negli istituti.
Dal 1987 tutti gli incartamenti relativi all'azione dell'Opera di soccorso sono stati depositati presso l'Archivio federale di Berna.
A questi documenti, di proprietà dei Cantoni, assoggettati a un periodo di prescrizione di cento anni, possono accedere solo gli stessi jenisches. I quali però impauriti, e nel timore che quelle carte potessero finire per danneggiarli, ne chiesero in un primo tempo la distruzione. Solo più tardi, quando si è finalmente alzato
il sipario sull'ipocrisia della neutralità elvetica, si sono resi conto di quanto fosse importante salvaguardare la loro storia. E hanno misurato fino a che punto questa politica aveva minato le fondamenta della loro cultura di popolo itinerante. Secondo le valutazioni, in Svizzera vi erano 35.000 jenisches, divenuti in maggioranza"gitani del cemento", cioè sedentari. Sono ormai solo 5.000 quelli che continuano a percorrere le strade della Confederazione.
L'operazione"Enfants de la grand-route" si è sviluppata in un contesto europeo"favorevole", nel periodo tra le due guerre, quando abbondavano le pubblicazioni sulla"patologia" del nomadismo e sulla criminalità ereditaria degli zingari L'Europa, scossa da un'inquietante febbre nazionalista, era tesa a restaurare i valori morali della società e a preservare la cultura occidentale. La situazione demografica preoccupava gli economisti, e l'elevata natalità dei ceti operai e"marginali" era percepita come un pericolo per le élites, oltre che una minaccia per gli interessi della società capitalista. Per essere forte, la nazione doveva liberarsi dalla zavorra di gente"debole", dei"devianti sociali" e degli stranieri, suscettibili di rallentare la sua crescita economica.
L'eugenetica antinatalista si rivelava come una soluzione a questo problema di"igiene sociale".
Fin dal 1908, il britannico Francis Galton, inventore di questa nuova scienza che ha preso il nome di eugenetica, e fondatore (nel 1907, insieme a Karl Pearson) del Galton Laboratory for National Eugenics, postulava"la creazione di società eugeniche in tutto il mondo (3)". Quest'ideologia si proponeva di migliorare la specie umana intervenendo sul patrimonio genetico, e raccomandava il controllo della riproduzione attraverso la sterilizzazione o la castrazione di chi avrebbe potuto"indebolire biologicamente" la razza.
Gli scienziati svizzeri incaricati di sradicare il nomadismo, che si ispiravano in larga misura agli ideali nazional-socialisti, hanno contribuito a rafforzare quella politica, sfociata poi, durante la seconda guerra mondiale, nello sterminio di almeno 500.000 zingari."All'epoca, era in atto una stretta collaborazione tra scienziati, e in particolare tra psichiatri tedeschi e svizzeri (...); e questi ultimi hanno svolto un ruolo importante nell'elaborazione della legislazione del Terzo Reich (...)", conferma lo storico Walter Leimgruber, uno degli autori del rapporto. E fu proprio in Svizzera, nel Cantone di Vaud, che nel 1928 si votò la prima legge europea sulla sterilizzazione dei malati mentali.Lo psichiatra svizzero Ernst Rfdin (1874- 1952), direttore della Psychiatrische Universitètsklinik di Basilea, è stato uno dei cofondatori, e dal 1933 anche presidente, della Società di Igiene razziale tedesca. Rfdin, che prescriveva l'internamento di alcolisti e malati mentali, ha finito per aderire al partito nazional-socialista, ed è stato tra l'altro uno dei tre autori della legge per la sterilizzazione obbligatoria dei ritardati mentali congeniti, dei maniaco-depressivi, degli schizofrenici, degli epilettici, dei ciechi e dei sordi per cause ereditarie, degli alcolisti gravi ecc., votata in Germania nel luglio 1933, che ha portato alla mutilazione di circa 400.000 persone. Sulla base di questo testo si giunse poi, il 1&oord settembre 1939, alla risoluzione sull'eutanasia dei malati mentali In Svezia sterilizzazioni forzate fino al 1975 In Francia, il chirurgo e biologo Alexis Carrel, Premio Nobel per la medicina nel 1912, elaborò un programma"di aristocrazia biologica ereditaria attraverso l'eugenetica". L'autore de L'uomo, questo sconosciuto scriveva:"Per perpetuare un'élite, l'eugenetica è indispensabile. E' evidente che una razza debba riprodurre i suoi migliori elementi (4)." Grazie al governo di Vichy, Carrel fu autorizzato a creare, nel 1941, la sua Fondazione francese per lo studio dei problemi umani, il cui obiettivo era"lo studio dei vari aspetti e delle misure per salvaguardare, migliorare e sviluppare la popolazione francese".
Negli anni 30 vari paesi europei adottarono leggi eugenetiche.
Ad esempio, nel 1934 provvedimenti sulla sterilizzazione obbligatoria furono emanati dalla Norvegia e dalla Svezia, seguite nel 1935 dalla Danimarca e dalla Finlandia. Su quella base, gli interventi potevano essere praticati sui malati e ritardati mentali, sugli epilettici e sui soggetti portatori di malattie ereditarie.
Inoltre, leggi specifiche dei paesi scandinavi prevedevano la possibilità di praticare questi interventi anche su genitori giudicati inadatti ad allevare adeguatamente i loro figli. Queste misure di sterilizzazione di massa hanno colpito 40.000 persone in Norvegia e 6.000 in Danimarca.
In Svezia, questa politica è stata portata avanti addirittura fino al 1975! In questo paese, il primo a dotarsi (fin dal 1921) di un istituto statale di biologia razziale, le vittime della politica di sterilizzazione, inquadrata in un programma di igiene sociale e razziale (5), furono circa 63.000. E per il 90% gli interventi, prescritti da medici, erano praticati su donne, a volte adolescenti.
Nel settembre 1997 è stata nominata una Commissione governativa d'inchiesta, che nel marzo 1998 ha proposto un fondo di risarcimento di 175.000 corone (21.000 dollari) per ciascuna delle vittime; il relativo progetto di legge è stato approvato dal parlamento il 19
maggio 1999. Tuttavia, gli aventi diritto ancora in vita, il cui numero è valutato tra 6.000 e 15.000, dovranno dimostrare di essere stati sterilizzati contro la propria volontà, per ragioni inerenti a"disturbi psichici","epilessia" o"altre deficienze mentali": dovranno così affrontare una nuova prova, dopo aver dovuto superare il sentimento di vergogna e di umiliazione che li ha imprigionati nel silenzio per tanti anni

note:
Giornalista, autrice del reportage"Opération Enfants de la grand-route", Point du Jour/Arte.
(1) Sylvia Thode- Studer, Les Tsiganes suisses, la marche vers la reconnaissance, Réalités sociales, Losanna, 1987.
(2) Alfred Siegfried, Kinder der Landstrasse, Pro-Juventute, Zurigo, 1964.
(3) Leggere Jacques Testard, Le Désir du gène, Flammarion, Parigi, 1994, p. 38.
(4) Leggere Alexis Carrel, cet inconnu, Editions Golias, Lione, 1996.
(5) Stephen Bates,"Sweden pays for grim past", The Guardian, Londra, 6 marzo 1999.

domenica 22 giugno 2008

LEGGI RAZZIALI

Giorgio Bezzecchi è vice-presidente nazionale dell'Opera Nomadi e da anni lavora per la promozione sociale, politica e culturale dei rom a Milano. La sua famiglia vive in un campo a Milano, il padre è stato deportato in un campo di concentramento, a cui fortunatamente è sopravvissuto. Il nonno, deportato in un altro campo non è sopravvissuto. Domani tutta la sua famiglia sarà fotografata e schedata, conformemente alle attuali decisioni del prefetto che prevedono un rilevamento completo di tutti i rom residenti nel territorio milanese. E' stato deciso un rilevamento di identità da parte della polizia su base esclusivamente etnica.


Per inviare messaggi di solidarietà è importante scrivere sia all'indirizzo dell'opera nomadi di Milano, sia della cooperativa Romano Drom, di cui Giorgio è presidente.
segreteria@operanomadimilano.org
ROMANDROM@libero.it


Testo della lettera di Giorgio Bezzecchi ( Rom-medaglia d'oro al valor civico):


Prossimo intervento differenziale per cittadini Italiani ( censimento fotografico e schedatura-Polizia), domani mattina, presso il campo comunale di via Impastato a Milano (famiglie Bezzechi).

Sono passati sessant'anni dalla promulgazione delle leggi razziali e dalla pubblicazione della rivista "La difesa della razza" di Guido Landra e dei primi rastrellamenti che sfociarono dopo un breve periodo di tempo in un ordine esplicito di "internamento degli zingari italiani" in campi di concentramento (Circ.Bocchini 27/04/41), quei "campi del Duce" di cui in Italia si è preferito perdere la memoria.


"RICORDARE PER NON DIMENTICARE"


Sono passati sessant'anni, ma le preoccupazioni, la percezione del pericolo, I PROVVEDIMENTI PUBBLICI SONO GLI STESSI DI OGGI.


E' agghiaciante quello che sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi, a Milano.


Rimanere in SILENZIO oggi vuol dire essere responsabili dei disastri di domani.


NESSUNA collaborazione di Enti o Associazioni è giustificata ( VERGOGNA)........


Mi appello alla società civile,chiedo un sostegno per le comunità di rom e sinti Milanesi.............voci dal silenzio........


Ricordo che domani sarà schedato anche mio padre,CITTADINO ITALIANO, che ha patito la persecuzione nazifascista con l'internamento in campo concentrazionale italiano (Tossicia).................mio nonno deportato a Birkenau e uscito dal camino................VERGOGNA


MI VERGOGNO,IN QUESTO MOMENTO, DI ESSRE CITTADINO ITALIANO E CRISTIANO.................


Chiedo in questo momento tragico per la democrazia e la cultura a Milano ed in Italia ,di URLARE il proprio dissenso per questa politica razzista,incivile
e becera.


RICORDO E NON DIMENTICO che oggi siamo noi e domani..............................

Milano,05/06/2008

Rag. Giorgio Bezzecchi ( Rom-medaglia d'oro al valor civico)

CONTINUA LA PERSECUZIONE CONTRO LA FAMIGLIA COVACIU

CHE NON PASSI SOTTO SILENZIO L'ENNESIMO ATTO DI AGGRESSIONE INCIVILE

Milano, Stelian Covaciu, Rom e missionario cristiano evangelico,
subisce un violentissimo pestaggio, con insulti razzisti e minacce,
da parte di due poliziotti in divisa. E' ricoverato in ospedale, in
prognosi riservata. Gruppo EveryOne: "L'odio razziale ha ormai
contagiato Istituzioni e autorità. E' necessario che le componenti
antirazziste e antifasciste italiane e dell'Unione europea si
impegnino insieme per fermare l'imbarbarimento della nostra società".

Milano, 20 giugno 2008. La città di Milano è ancora teatro di una
vile, brutale spedizione punitiva nei confronti di un cittadino
romeno di etnia Rom, effettuata questa volta da agenti di polizia in
divisa. Dopo l'aggressione avvenuta la mattina del 17 giugno nei
confronti di Rebecca Covaciu - la bambina che si è aggiudicata il
Premio Unicef 2008 per le sue doti artistiche - e dei suoi familiari,
ieri sera, 19 giugno 2008, un altro pestaggio, ancora più violento e
inquietante, ha colpito il papà di lei, Stelian Covaciu, missionario
della Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale. In seguito al primo,
drammatico episodio di matrice razzista il Gruppo EveryOne aveva
lanciato un allarme internazionale, coinvolgendo i media nonché
numerose personalità della cultura e della politica.
Contemporaneamente i deputati radicali – Pd depositavano
un'interrogazione urgente al Ministro degli Interni. Immediatamente
dopo la nuova aggressione, Gina Covaciu, moglie di Stelian, chiamava
ancora Roberto Malini del Gruppo EveryOne che, insieme a una
responsabile dell'associazione milanese Naga, allertava un'ambulanza
e le forze della polizia di stato, che accorrevano sul luogo
dell'agguato e conducevano l'uomo, pieno di contusioni e traumi
interni, sofferente e in stato confusionale, presso l'ospedale San
Paolo, dove veniva sottoposto ad esami e ricoverato. E' tuttora in
prognosi riservata. Dopo aver allertato il Partito Radicale, che
raccoglieva i particolari dell'avvenimento per agire a tutela delle
vittime sul piano politico, il Gruppo EveryOne contattava la questura
centrale per assicurarsi che le autorità formalizzassero la denuncia
di aggressione ed effettuassero indagini scrupolose. "Quando Gina ci
ha chiamato," riferiscono i leader del Gruppo EveryOne Roberto
Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, "era talmente agitata e
disperata che faticava ad articolare discorsi comprensibili. Vicino a
lei, Stelian si lamentava, pronunciando parole sconnesse. Quando la
donna si è calmata, ci ha raccontato i particolari dell'agguato. Gli
stessi energumeni che avevano picchiato, insultato e minacciato i
Covaciu si trovavano ancora davanti a loro. Stavolta però erano scesi
da un'auto della polizia, in divisa e armati di manganelli. Dopo la
prima aggressione, la piccola Rebecca, che è una ragazzina molto
intelligente e intuitiva, ci aveva già detto che gli aguzzini della
sua famiglia indossavano guanti simili a quelli che indossano i
poliziotti. Sospettavamo che avesse ragione, anche perché un numero
crescente di Rom ci segnala di questi tempi un comportamento violento
o intimidatorio da parte delle forze dell'ordine, ma speravamo di
sbagliarci. L'ipotesi più grave, invece, è stata confermata dai fatti
e gli agenti razzisti hanno colpito ancora". Questa volta, però, la
violenza degli uomini in divisa si è concentrata su Stelian. La loro
azione brutale si svolgeva in piazza Tirana, nei pressi della
Stazione San Cristoforo, dove la famiglia vive all'interno di un
riparo di emergenza, fatto di teli e cartone. "Gli agenti si sono
avvicinati all'uomo," proseguono i leader EveryOne, "e l'hanno
apostrofato con un tono minaccioso: 'Ci riconosci? Hai fatto un
errore a parlare con i giornalisti, un errore che non devi ripetere'.
Quindi hanno cominciato a picchiarlo con cieca violenza, sia con i
pugni che con i manganelli, riducendolo in condizioni penose. Quindi,
mentre Stelian era a terra, l'hanno insultato e minacciato: 'Non
raccontarlo a nessuno o per te saranno guai ancora maggiori'. Quando
i due picchiatori si sono allontanati, Gina, i figli e alcuni
concittadini di Stelian l'hanno soccorso. Lui si lamentava ed era in
evidente stato di shock". Intanto un'attivista sopraggiungeva sul
posto e raccoglieva numerose testimonianze da parte dei Rom che
vivono nei dintorni della stazione di San Cristoforo, che
confermavano le parole di Gina Covaciu ovvero che due poliziotti in
divisa, scesi da un'auto della polizia, erano gli autori del violento
pestaggio. "E' necessario che si ponga fine a questa persecuzione,"
concludono gli attivisti, "perché il diffondersi dell'odio razziale,
di cui sono latori politici e numerosi media, ha scatenato una
sequenza impressionante di atti di violenza nei confronti dei
cittadini Rom. Sappiamo che le forze dell'ordine sono formate per la
maggior parte da agenti che operano seguendo il codice etico europeo.
Ci appelliamo anche a loro affinché i razzisti e i violenti siano
isolati e perseguiti, mentre le famiglie Rom, che rappresentano la
parte più vulnerabile della società, siano protette. La violenza
contro i Rom e le intimidazioni nei confronti degli attivisti che si
battono per i diritti dei 'nomadi' crescono, in Italia, ogni giorno
che passa. Famiglie intere vengono braccate fin sotto i ponti, nelle
case abbandonate, nei parchi. Forze dell'ordine, sindaci e assessori-
sceriffi, squadristi e giustizieri hanno scatenato una caccia
all'uomo tanto feroce quanto irrazionale. I Rom vengono costretti a
fuggire da un luogo all'altro, privati di qualsiasi forma di
sostentamento - dall'elemosina ai servizi di strada - ridotti a
fuggiaschi disperati, affamati, malati, senza alcun diritto. Nedo
Fiano, Piero Terracina, Goffredo Bezzechi, Tamara Deuel, Mirjam
Pinkhof, tutti sopravissuti all'Olocausto, avvertono con
preoccupazione i cittadini europei affinché non cedano alle seduzioni
del razzismo e paragonano la persecuzione dei Rom agli anni della
Shoah, gli sgomberi e le spedizioni punitive ai pogrom. Rebecca, la
figlia 12enne, di Stelian, è un grande talento, che l'Unicef ha
premiato proprio nel 2008, ma che l'Italia punisce ogni giorno con il
veleno dell'emarginazione, della povertà, dell'odio e della violenza.
Un Paese che si rende colpevole di una simile ingiustizia, un paese
che accetta tanta violenza, tanta crudeltà verso un intero popolo è
un paese imbarbarito, è un Paese che ha perso la strada dei Diritti
Umani ed è vicino a una crisi dei valori tanto grave da essere
paragonata all'Italia delle leggi razziali, dei manganelli, delle
camicie nere e dei treni per Auschwitz".

Per ulteriori informazioni:

il Gruppo EveryOne e l' Associazione Nazionale Thèm Romano ONLUS, sede
nazionale di Lanciano (CH)
per il COORDINAMENTO NAZIONALE ANTIDISCRIMINAZIONE SA PHRALA - OGNI PERSONA
è TUO FRATELLO
Tel: (+ 39) 334-8429527 - (+ 39) 331-3585406
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com