venerdì 29 aprile 2011

Risposta alle dichiarazioni di Vendola

E' fin troppo facile rispondere alle dichiarazioni allucinanti che tu caro Vendola che saresti un politico di sinistra, hai rilasciato incontrando l'ambasciatore di quel paese razzista e di apartheid che è Israele. E' di tutta evidenza che esprimi egregiamente quel crollo di valori di giustizia, umanità, libertà che investe i partiti di sinistra, così ci rendiamo conto che abbiamo veramente bisogno di un Egitto come ci augurava Omar Barghuti e di ricominciare a ricostruire, senza di voi, una vera sinistra giacchè persone come te possono essere semmai definite "sinistre" non di sinistra. Ma entiamo nel merito delle tue dichiarazioni:
La prima cosa che salta agli occhi è che ti sei arruolato nella campagna mediatica sionista in preparazione a Torino per presentare Israele come un paese normale, anzi, come diresti tu all'avanguardia nelle più lodevoli iniziative.
Cito le tue parole "Un paese che ha trasformato aree desertiche in luoghi produttivi e in giardini"
A parte la retorica che puzza di stantio secondo cui Israele ha fatto "rifiorire il deserto" retorica che ignora che quel deserto era La Palestina, il paese più colto e sviluppato del Medio Oriente con fiorenti città e scambi culturali e commerciali, prima naturalmente della colonizzazione sionista e della Nakba che ha prodotto 5 milioni di profughi, la metà di villaggi distrutti, la sai la storia di Der Yasin? E poi la distruzione di quartieri storici e architettonicamente importanti, la cancellazione di ogni traccia di cultura palestinese, compreso il furto di centinaia di migliaia di libri e documenti,e di parti del cimitero monumentale di Mamilla. L'elenco è molto lungo e ti invito a documentarti,ma voglio darti un solo esempio di come Israele costruisce i suoi giardini:A Silwan, quartiere di Gerusalemme con 40mila abitanti palestinesi il sindaco ha deciso di procedere alla demolizione di 22 delle 88 case palestinesi a rischio di demolizione nell'area di Al Bustan che gli israeliani chiamano "Gan ha melec" il giardino del re, In questo quartiere i coloni hanno allestito su case palestinesi espropriate negli anni scorsi il "Parco archeologico di re David". Ma ti voglio dare anche un altro esempio concreto: secondo il racconto di Jamal Talab dell'ass.Land Research Center in un villaggio vicino a Ramallah gli israeliani hanno sradicato 60 alberi per trapiantarli a Gerusalemme in un giardino che hanno chiamato "Martin Luter King". Questo è lo stile con cui Israele costruisce i suoi giardini, sulla pelle dei palestinesi.
Andiamo avanti; "Un paese che si confronta col tema mondiale del governo del ciclo dell'acqua, dell'energia, dei rifiuti con pratiche di avanguardia"
Il primo modo con cui Israele si confronta con il problema dell'acqua è quello di rubarla ai palestinesi. Le colonie in territorio palestinese usufruiscono dell'80% dell'acqua disponibile mentre città e villaggi restano a secco anche per mesi comprese città come Betlemme. I palestinesi espropriati delle loro risorse idriche, anche grazie alla costruzione del muro di separazione che ha inglobato le fonti idriche rimaste, sono costretti a comprare a caro prezzo l'acqua dalla società israeliana Mekorot. I palestinesi non possono scavare pozzi mentre i coloni si appropriano delle fonti idriche anche con la scusa dell'archeologia, documentati col rapporto sull'acqua in Palestina di Amnesty Internacional. E veniamo alla situazione della valle del Giordano. Un terzo delle risorse idriche di tutta la Cisgiordania si trova nella valle del Giordano, mentre i residenti palestinesi non possono usare l'acqua che scorre sotto i loro piedi, la compagnia israeliana Mekorot continua a scavare per costruire pozzi per i coloni, Israele mantiene il monopolio sul controllo delle risorse idriche e mentre i palestinesi che non possono nemmeno utilizzare le sorgenti numerose nella zona e devono acquistare l'acqua dalla Mekorot, animali e coltivazioni deperiscono i coloni che hanno a disposizione sei volte la quantità d'acqua rispetto ai palestinesi nuotano nelle piscine. Per quanto riguarda l'energia lo stesso discorso vale per la corrente di cui i poalestinesi vedono solo passare i fili, essendo privati tanto dell'acqua quanto dell'elettricità, circondati da colonie e aree per esercitazioni militari e sottoposti a espulsione, demolizioni di case e confisca della terra. Per quanto riguarda i rifiuti poi c'è da prendere in considerazione l'enorme inquinamento e avvelenamento del territorio che producono le fabbriche impiantate nelle colonie non sottoposte a norme e vincoli cui avrebbero dovuto sottostare se fossero state impiantate in Israele. Nei territori palestinesi occupati si può fare di tutto e di norma i coloni gettano le acque di scolo e i rifiuti organici nei wadi palestinesi e nei villaggi sottostanti.
Se hai prodotto una "semina" è certamente una semina avvelenata, rapporti economici? E l'articolo 2? Mi sembra che i rapporti economici con Israele fossero vincolati dal rispetto dei diritti umani come recita l'art.2. Parliamo un pò anche di cultura: recentemente c'è stata la manifestazione culturale palestinese più importante, il Palfest una manifestazione a livello internazionale che si è svolta tra i lacrimogeni israeliani, mentre qualche anno fa fu totalmente impedita da Israele che chiuse la sala pochi minuti prima dell'evento con scrittori e artisti che erano giunti da tutto il mondo. Un paese come Israele ha ben poca cultura, molta ne hanno i palestinesi, hai mai sentito parlare di Mahmud Darwish, uno dei poeti più grandi del mondo? Sapevi che il premio nobel per la letteratura non gli fu conferito per le pressioni israeliane? Israele ha disprezzato e cancellato la cultura della diaspora, sia quella yiddish che quella mediorientale, leggiti le testimonianze di Marek Edelman. La sua cultura è una cultura di guerra e sopraffazione. Quando farai la tua visita in Israele, vai pure a vedere il muro, vai nei villaggi dove si manifesta ogni venerdì contro l'espropriazione della terra, vai anche se ci riesci a vedere cosa è rimasto di Gaza. Ma veramente non sai niente dell'assedio di Gaza, del muro dell'apartheid, dell'arresto di 700 bambini ogni anno sottoposti a maltrattamenti e torture e impossibilitati a vedere famiglie e avvocati, bambini di 12 anni giudicati da tribunali m ilitari? Non sai niente di 10mila prigionieri la gran parte in detenzione amministrativa? Non sai di quella bambina morta per il dolore di non poter abbracciare il padre che Israele aveva arrestato? O di quel bambino di 10 anni che correva terrorizzato verso la madre che gridava ai soldati "Yeled, yeled" è un bambino! E che poi fu afferrato e malamente gettato nel cellulare malgrado la madre battesse inutilmente i pugni sui vetri e questo solo per intimidire il fratello di quel bambino, un pericoloso tirapietre di 14 anni? Non ti ripugnano queste azioni? Non ti ripugnano le leggi razziste israeliane? Le conosci? Fanno parte di quella cultura con cui vuoi essere in rapporto? E l'antisemitismo poi...ma fammi il piacere! I maggiori promotori dell'antisemitismo sono proprio gli israeliani e i sionisti da sempre promuovono l'antisemitismo e lo sono essi stessi talvolta. Documentati sulla storia del sionismo prima di parlare. E' tuo dovere, non sei un cittadino qualunque e del resto nessuno è giustificato dal non sapere, dal dire io non c'ero, non sapevo...Vai avanti così, noi intanto portiamo avanti il BDS e promuoviamo la verità, malgrado voi. Come ebrea sono doppiamente indignata dalle tue dichiarazioni, esse mi offendono assieme a tutte quelle persone che in Israele e nel mondo cercano di spiegare che L'Ebraismo non è Israele, che gli ebrei non sono tutti sionisti e si battono per la giustizia e la libertà di tutti oltre che per mantenere la propria dignità.

Sabato 14 maggio manifestazione nazionale a Roma

Con il vento del sud

Con Vittorio e la Palestina nel cuore

Con la Freedom Flotilla per la fine dell’assedio di Gaza

Sabato 14 maggio manifestazione nazionale a Roma

Quello che viviamo non è un momento qualsiasi. Quello che viviamo è un momento di grandi lotte, grandi speranze, ma anche grandi oppressioni.

Il vento del sud, quello che si alza dalle sollevazioni che percorrono da mesi il mondo arabo, è destinato ad arrivare anche sulla nostra sponda del Mediterraneo. E’ un messaggio di liberazione che chiama all’unità, alla solidarietà, alla fratellanza, alla lotta contro l’ingiustizia.

Chi si riconosce in questi ideali è dunque chiamato all’azione.

C’è un luogo dove l’oppressione è concentrata come da nessun’altra parte, e dove massimo è il bisogno della solidarietà internazionale: questo luogo è la Palestina, ed in particolare la Striscia di Gaza sottoposta da anni al barbaro e disumano assedio di Israele.

Proprio per contribuire a porre fine a questo assedio, nella seconda metà di maggio una flotta composta da navi provenienti da più di 25 paesi si dirigerà verso Gaza per portare solidarietà ed aiuti umanitari al milione e mezzo di persone rinchiuse in quella immensa prigione a cielo aperto. E’ la Freedom Flotilla 2, che vuole continuare l’opera della prima flottiglia attaccata lo scorso anno dalla marina israeliana, con l’assassinio impunito di nove attivisti.

Affinché questa missione abbia pieno successo occorre una vasta mobilitazione, una continua pressione e vigilanza sui governi dei paesi coinvolti. Un’azione tanto più necessaria in Italia, con un governo che si distingue per il suo totale e acritico sostegno anche alle più feroci operazioni (vedi Piombo fuso) dei governi israeliani.

Il nord ed il sud del Mediterraneo devono unirsi in un’unica battaglia di liberazione.

Oggi, mentre i popoli arabi chiedono libertà, democrazia e giustizia sociale, le grandi potenze rispondono con i bombardamenti, con oscure manovre per osteggiare il cambiamento, con la criminalizzazione degli immigrati che fuggono dalla miseria e dalla guerra. Mentre la storia si muove davanti ai nostri occhi, i governi occidentali ripropongono la loro logica di sfruttamento neo-colonialista dei popoli e delle loro risorse.

Il 14 maggio manifesteremo per la Freedom Flotilla, ma manifesteremo anche per dimostrare che l’Italia non è né Berlusconi, né chi ha approvato la partecipazione alla guerra della Nato, perché c’è un popolo che si oppone all’oppressione ed alla guerra e che vuole la libertà per il popolo palestinese.

Per la fine dell’assedio di Gaza!

Per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese!

Per il sostegno alle lotte dei popoli arabi per la libertà e la giustizia sociale!

ROMA, 14 MAGGIO

Manifestazione nazionale:

Coordinamento Nazionale della Freedom Flotilla Italia

Per adesioni, richiesta di manifesti e volantini scrivete a : roma@freedomflotilla.it

giovedì 28 aprile 2011

Noi non stiamo con La Russa, Frattini, Berlusconi

DAI 10MILA AI 3OMILA MORTI TRA I CIVILI IN LIBIA. E MENO MALE CHE ANDAVANO A DIFENDERE LA POPOLAZIONE!
DA OGGI BOMBARDANO ANCHE I TORNADO ITALIANI. VERGOGNA!!!!!!






Alcuni giorni fa un lavoratore ci ha chiesto perché critichiamo la CGIL in un momento in cui sarebbe necessaria la massima unità. Noi gli abbiamo risposto che certamente l'unità è una cosa importante. Ma il punto è: unità per cosa?



Facciamo un esempio. Noi siamo contro l’intervento militare in Libia e riteniamo che ovviamente non sia affatto "umanitario", ma dettato da ben precisi interessi economici.



Riteniamo che i lavoratori non abbiano nulla da guadagnare, ma tutto da perdere, da guerre scatenate dai paesi imperialisti contro altri paesi. Mettendo sotto il “tallone di ferro” questi paesi, depredandone le ricchezze, soggiogandone i lavoratori… li si possono costringere ad accettare condizioni di lavoro sempre peggiori e usarli poi per ricattare anche i lavoratori italiani, mettendoci tutti contro tutti, per meglio sfruttarci.



Susanna Camusso, invece, si è messa l'elmetto in testa:



"La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, votata con dieci paesi a favore e con l’astensione di Cina, Russia, Brasile e Germania, definisce una posizione chiara e finalmente responsabile della comunità internazionale nei confronti delle diffuse e sistematiche violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni sommarie, nonché l’uso dell’aviazione e di milizie di mercenari da parte del regime di Gheddafi nei confronti della popolazione e degli insorti".

Comunicato della Segreteria Nazionale della CGIL del 18 marzo 2011



Una sindacalista che si entusiasma per i bombardamenti (come Sarkozy e La Russa) è dalla parte dei lavoratori? Evidentemente no.



Noi siamo quelli che, quando i La Russa, i Frattini, i Berlusconi… bombardano la Libia o l'Afghanistan assieme ai capi di paesi ex-schiavisti ed ex-colonialisti, stanno con il popolo libico e afghano. Noi non stiamo con La Russa, Frattini, Berlusconi. Non stiamo con Sarkozy, Cameron, Obama. E non stiamo con la Camusso.



PRIMOMAGGIO

PALFEST 2011:”LETTERATURA TRA I GAS LACRIMOGENI”

DI BARBARA ANTONELLI

Gerusalemme, 27 aprile 2011, Nena News (foto album Palfest) – Doveva svolgersi a Silwan, la serata conclusiva del PALFEST, il Festival di Letteratura Palestinese. Nella tenda di solidarietà allestita da mesi nel cuore del quartiere di Gerusalemme Est, assediato da una sempre maggiore presenza di coloni israeliani. Ma prima che lo show conclusivo avesse inizio, un reading di poesie e il concerto del gruppo rap palestinese DAM, l’intero quartiere è stato chiuso dalle forze armate e dalla polizia israeliana. Per i violenti scontri nati in seguito al ferimento al volto di un residente palestinese (a cui è stato sparato in viso un proiettile di gomma). Ma l’evento, è stato soltanto sostituito, e temporaneamente da un massiccio lancio di gas lacrimogeni, candelotti sparati direttamente nel tendone; un “inconveniente” che ha impedito l’inizio regolare delle attività ma che non ha fermato gli spettatori che alle 20.30 hanno deciso di rientrare nella Tenda della Solidarietà del comitato popolare , dando via al programma di chiusura del PALFEST, che si è
concluso con un affollatissimo concerto dei DAM.

Non è un caso che il PALFEST si sia concluso a Gerusalemme, luogo dove gli stessi scrittori palestinesi (come il resto dei residenti della Cisgiordania) non hanno il permesso di arrivare; e non è un caso che l’evento finale abbia avuto luogo a Silwan: quartiere fuori dalle mura della città vecchia, a sud della moschea di Al-Aqsa e del Muro del Pianto, dove abitano circa 16.500 palestinesi, che è stato vittima a partire dagli anni ‘90, di una profonda e veloce colonizzazione, sponsorizzata dalle organizzazioni di coloni israeliani (oggi conta 18 insediamenti con circa 350 coloni). A questo si è aggiunta la campagna di scavi promossa dall’organizzazione Elad che ha preso il controllo di abitazioni e aree palestinesi e il piano “Gan Hamelch” o “Giardino del Re” che ha provocato la demolizione di numerose abitazioni palestinesi di Al Bustan (quartiere di Silwan), per far posto ad un parco archeologico.

Segni degli scontri a Silwan la sera del 20 aprile 2011

Giunto alla sua sesta edizione, il Festival della Letteratura Palestinese, ha visto incontrarsi davanti alle platee della Cisgiordania, sia autori palestinesi che internazionali, per letture, presentazioni di libri, ma anche laboratori e workshop letterari nelle università di Birzeit (Ramallah), An-Naja (Nablus) e Betlemme. Dal dal 15 al 20 aprile, gli eventi hanno avuto luogo nelle principali città della Cisgiordania, Nablus, Jenin, Betlemme, Ramallah e Hebron, interessando anche i centri culturali attivi in alcuni campi profughi. Quest’anno la sorpresa dell’ultimora, è stato l’inserimento lastminute tra i partecipanti della vincitrice del Premio Pulitzer, Alice Walker (autrice de “Il Colore viola”, diventato poi un film diretto da Steven Spielbeg), attivista del CodePink, un’organizzazione femminista nata negli Stati Uniti, con la quale la stessa Walker entrò a Gaza nel maggio del 2009. In quell’occasione la Walker usò espressioni molto significative per descrivere l’atmosfera della Striscia: “un sapore di ghetto, di bantustan.”

Hanno partecipato al Festival, la scrittrice e architetto Suad Amiry, l’avvocato e scrittore Raja Shehadeh, lo scrittore e storico Baasem Ra’ad, Ghada Karmi, palestinese, accademica all’Università di Exeter in Inghilterra. Per il versante internazionale, Mohammed Hanif, tra i “longlisted” del Man Booker Prize e lo scrittore John McCarthy: quest’ultimo, giornalista della Worldwide Television (oggi APTN), è stato molti anni inviato in Libano, dove fu rapito. Al momento sta lavorando ad un libro sui palestinesi che vivono in Israele. Attesissima era poi la presenza della scrittrice Adhaf Soueif, stella della letteratura egiziana (vive in Gran Bretagna e scrive in lingua inglese), accorsa da Londra al Cairo, per essere in mezzo alle donne di Piazza Tahrir nei giorni della “rivolta” di piazza egiziane. Autrice di “The Map of Love” (tradotto in oltre 20 lingue), commentatrice politica e culturale, ha da sempre uno speciale interesse per la Palestina. I suoi post sul blog del Festival sono tra i più interessanti, insieme a quelli di McCarthy. (www.palfest.org/authorsblog.html)

Nell’ambito del Festival è stata inoltre presentata e sostenuta la petizione per Munther Fahmi, fondatore e proprietario della libreria dell’American Colony a Gerusalemme, che è sotto minaccia di deportazione. Titolare della storica libreria, che ha visto tra i suoi clienti anche Tony Blair e diverse stelle del giornalismo statunitense, il Ministero degli Interni israeliano vorrebbe espellerlo da Gerusalemme, dove è rientrato nel 1993, anno dal quale vive nella sua città natale (dalla quale è stato via oltre 7 anni, perdendo così per la legge israeliana, il diritto di residenza) con un visto turistico rinnovato di volta in volta sul suo passaporto americano. Nena News

I DAM gruppo rap palestinese

mercoledì 27 aprile 2011

LIBANO: TRA LE ROVINE DI NAHR AL BARED

Il campo profughi palestinese è stato quasi distrutto nel maggio 2007, quando una vera e propria guerra ha visto contrapporsi l'esercito libanese al gruppo Fatah el-Islam. I combattimenti sono durati tre mesi, alla fine il campo era svuotato dei suoi abitanti. E delle sue case.

Racconto di Maria Teresa Patarnello*

Il Libano mi accoglie con una tempesta di vento e pioggia. Nel tragitto da Beirut a Tripoli, mi guardo attorno e mi chiedo se questo piccolo paese affacciato sul mare riuscirà a reggere alla bufera. La pioggia fitta fa da cortina tra l’automobile e il paese: un segnale. Per scoprire il Libano ci vuole tempo, dedizione, pazienza. Un mese non basta. Troppe le implicazioni, troppi gli attori in gioco, troppe le anomalie e le discrepanze tra politica e vita reale. Un universo affascinante, in cui è facile perdersi. Un dedalo di cunicoli scavati nella sabbia, pronti a crollare per poi esser rimessi in piedi. “Il Libano”, mi dicono, “è un’altalena che passa da un periodo in cui il governo è caduto a un altro periodo in cui il governo è in piedi per miracolo.” Adesso siamo nella fase di assenza.

Mentre Ilaria, responsabile del progetto per cui sono stata convocata, nonché eroica “autista” nel folle traffico beirutino, m’introduce ai misteri degli equilibri politici libanesi, la pioggia mi nasconde le indicazioni per Sabra, Shatila, Burj el-Barajneh. Dbayeh. Alcuni dei campi profughi palestinesi presenti nel territorio di Beirut. Non so se avrò tempo di entrarci. Per ora la mia destinazione è un’altra: Tripoli, e nello specifico i due campi di Beddawi e Nahr El Bared. Mi domando quale sarà il loro aspetto. Se nei Territori Occupati sono simili a ghetti e a Damasco son dei veri e propri quartieri, spesso riconoscibili semplicemente dalle immagini di Arafat, qui che “faccia” avranno i campi profughi?

“Speriamo, – dice Ilaria, – che il tuo permesso sia pronto domani.” Questa la “faccia” di Nahr El Bared. Da dopo la guerra, nessuno entra liberamente nel campo. Nemmeno i suoi abitanti. È l’esercito libanese a rilasciare i permessi. Per noi stranieri, il permesso d’ingresso dura un mese. Per gli abitanti del campo, c’è sempre qualcosa da contrattare. Molti hanno rinunciato a ritornare nelle loro case, per non dover dipendere dal rilascio dei visti e per non rischiare di rimanere separati dai parenti che abitano fuori dal campo, ai quali l’ingresso viene concesso con grandi difficoltà. È per questo che Ibrahim, collaboratore del progetto e abitante di Nahr El Bared, mi chiede: “Sei sicura di voler entrare a Guantanamo?” Me lo dice sorridendo. Andiamo insieme a ritirare il mio permesso. La “Ghassan Kanafani Cultural Foundation”, il partner locale del progetto, ha garantito per me. È, fortunatamente, un interlocutore conosciuto e affidabile. È solo per questo motivo che non ho avuto problemi. Adesso ho una carta verde infilata nel passaporto. Ogni volta che vorrò entrare a Nahr El Bared, dovrò mostrare entrambi ai soldati libanesi appostati agli ingressi del campo. Anche Ibrahim deve fare lo stesso, tutte le volte che esce e rientra. Ma per lui è un’umiliazione senza fine.

Il campo è stato quasi completamente distrutto nel maggio del 2007, quando una vera e propria guerra ha visto contrapporsi l’esercito libanese a un gruppo del movimento fondamentalista Fatah el-Islam infiltratosi nel campo. I combattimenti sono andati avanti per tre mesi, alla fine dei quali il campo era svuotato dei suoi abitanti, dei suoi servizi. Delle sue case.

Eppure era bello (helw), questo campo. Prima della guerra. Era ricco. Attivo. Un grande souq, produzione, commerci. “Venivano da fuori, dal Libano, per vendere e comprare qui. Venivano anche dalla Siria”, mi racconta il papà di Ibrahim, quando lo incontro. È un insegnante dell’UNRWA ormai in pensione. “E guarda adesso, come siamo costretti a vivere. In un garage!”. Sorride anche lui, ma l’amarezza è tanta. La loro casa è distrutta, e ancora non si sa se avranno il permesso per ricostruirla.

La guerra ha prodotto un grande numero di profughi, molti dei quali si sono rifugiati nel vicino campo di Beddawi, che attualmente deve fare i conti con problemi connessi al sovrappopolamento. I lavori di ricostruzione procedono con una lentezza estenuante e gli aiuti internazionali diretti al campo sono gestiti dal governo libanese. Alcune famiglie sono state sistemate all’interno di case container, altre in “case provvisorie”, fatte di muratura. Se non ci fossero tutti questi bambini vocianti, sarebbe il luogo più tetro del mondo.

La sensazione d’incertezza che attanaglia come morsa gli abitanti di Nahr El Bared si esprime fisicamente nei pezzi di cemento che penzolano dagli spuntoni di ferro, attaccati a scheletri di palazzi. Vite sospese. L’economia un tempo florida del campo è adesso limitata agli aiuti e ai supporti internazionali, o alle rimesse dei “figli del campo” che lavorano fuori. Sono passati quattro anni dalla guerra e il tempo, specialmente nel nucleo più antico del capo (l’old camp), sembra essersi fermato. “Però qui, da quando è finita la guerra, ci si sposa ogni giorno!”, ride Kawthar, direttrice del centro in cui teniamo le nostre lezioni. “Sì, a un certo punto nessuno ha più dovuto fare i conti con la mancanza di una casa, di una macchina, o di denaro sufficiente per prender moglie. Eravamo tutti sulla stessa barca.” Ed ecco, infatti, tra grovigli di fili elettrici sospesi e il polverone sollevatosi dalla strada senza asfalto, una specie di grande recinto, coperto da teli di plastica colorati: è il posto dove si festeggiano i matrimoni.

In questi festeggiamenti c’è tutta la Palestina. Sono un’occasione per riunirsi e per onorare le usanze del proprio paese di origine, rispolverare canti e balli tradizionali, cucinare e condividere cibi cucinati da mani esperte e amorevoli. Questo, almeno, è quello che Milad mi fa vedere in un video “di prima della guerra”. Adesso non ci sono spazi sufficienti. Presidente della locale sede del PCYI (Palestinian Child and Youth Institute – Nahr El Bared), Milad dedica la vita ai suoi ragazzi. Lunghi ricci, kefiyyeh al collo, magliette con l’immagine di Che Guevara, non fa mistero della sua passione politica, non nasconde il suo orgoglio nel presentarci le attività del centro, non ha vergogna della sua nostalgia, per il campo com’era e per la sua Palestina. “Il 20 maggio per noi è la seconda Nakba. La nostra personale. È successo ancora una volta a maggio. Non è un mese fortunato, per noi.” Nel mostrarmi le foto del campo prima della distruzione, Milad racconta spaccati di vita quotidiana, che nel suo tono e nelle sue parole assumono accenti fiabeschi. “La sera noi ragazzi prendevamo gli arakil (narghilè), le braci, e andavamo giù in spiaggia. Lì arrostivamo carne e fumavamo e così si faceva notte. A volte aspettavamo l’alba. La mia casa era proprio sul mare, e adesso non c’è più.” Il suo centro, a quanto pare, non gode delle simpatie dell’esercito libanese e lui ogni anno deve inventarsi qualcosa per far avere i permessi ai volontari internazionali invitati per l’organizzazione dei campi estivi. È una sfida importante per lui, l’occasione per aprire il campo agli stranieri e per accoglierli nel centro, inserendoli pienamente nella vita di ogni giorno e mettendoli in contatto con tutti quei bambini e ragazzi che nel centro sono cresciuti e stanno crescendo e diventando adulti.

Non c’è quasi più il mare, a Nahr el Bared. Non l’hanno portato via, ma hanno vietato l’accesso a gran parte della costa. Il fiume che ci scorre in mezzo, il Fiume Freddo (Nahr el Bared, appunto), ha l’aspetto di una specie di fogna a cielo aperto. I racconti della “verde Palestina” si confondono con quelli di “el-mukhayyam el-adim” (il vecchio campo), in una fitta tela di memorie e di immagini. Ancora di più, in questo campo, il ricordo ha valore di respiro. “Non m’interessa della mia casa, dei miei soldi, Teresa”, dice il mio amico Khalil. “Quel che non riesco a sopportare è che abbiano distrutto i miei ricordi, quelli della mia infanzia, di mio padre. Della Palestina che non ho conosciuto.” Mi piace ascoltare il loro accento, in cui riconosco una cadenza diversa da quella libanese. Li guardo e amo la loro passione, quella di una gioventù ferita. La voglia di riscatto. Li guardo, e vorrei con tutta me stessa che la Palestina cui appartengono e in cui sognano di tornare fosse ancora quella dei ricordi e non una terra stuprata e sventrata, a cui cercano di cancellare la storia.

Il campo distrutto

martedì 26 aprile 2011

Il calvario dei bambini palestinesi

Buon 25 aprile

"Forse questo mondo è l'inferno di un altro pianeta"
Aldous Huxley, (1894-1963)



Di Liberazione



Ci sono uomini malati
che vivono i loro fiati
senza passioni o rimorsi
intrappolati nel non ancora
schiavi del mai più
uomini figli della speranza
negata, della mela avvelenata
uomini con l'anima spenta
a caccia di un pensiero
lento e misurato su cui tarare
il senso della vergogna.

Ci sono uomini senza medicina
che non sanno risalire la china
che qualcuno scaltro e smisurato
ha con cura e misurata passione
devastato, ci sono uomini che
dal centro della propria gabbia
non sanno più scorgere neppure

l'ipotesi leggera di una porta.

Ci sono uomini che sanno
solo ipotizzare il trascinamento
e non sanno più carezzare
con emozione, la nuda pelle
della liberazione.



(Giuseppe Spinillo)

lunedì 25 aprile 2011

“QUESTA E’ LA LOTTA CHE CI HAI INSEGNATO”

“QUESTA E’ LA LOTTA CHE CI HAI INSEGNATO”
Pubblichiamo, nella giornata della Festa della Liberazione, il testo letto e sottoscritto da diverse organizzazioni italiane e internazionali, durante il funerale di Vittorio Arrigoni, che si è tenuto ieri a Bulciago.

Roma 25 aprile 2011, Nena News – Da Il Profeta di Gibran Khalil Gibran: “Salì sulla collina oltre le mura della città e guardò verso il mare; e vide la sua nave risalire nella nebbia. Allora gli si aprirono le porte del cuore e la sua gioia volò lontano sopra il mare. Ma discendendo la collina una grande tristezza cadde su di lui e pesò nel suo cuore: “ Come andarsene in pace e senza pena? Ahimé, non lascerò questa città senza piaga nell’anima. Lunghi furono i giorni sofferti tra le sue mura, lunghe le solitarie notti; e chi senza rimpianto potrà lasciare la sua pena e la sua solitudine? Troppi brani nello spirito ho seminato in queste vie, troppi fanciulli se ne vanno nudi agli altipiani, e io non posso abbandonarli senza peso e dolore. Io non rifiuto un ornamento ma strappo una pelle con le mie stesse mani. Io non lascio dietro di me un pensiero, ma un cuore dolce di fame e di sete. Eppure più a lungo io non potrò tardare. Il mare che vuole ogni cosa mi chiama, e devo imbarcarmi. Con me vorrei portare ogni cosa, ma come potrò farlo? Non può una voce trascinare con sé la lingua e il labbro che le diedero le ali. Da sola dovrà varcare il cielo. E sola e senza nido volerà l’aquila nel sole. Così, quando raggiunse i piedi del colle si volse ancora verso il mare, e vide la sua nave avvicinarsi al porto e sulla prua i marinai, gli uomini della sua terra. E la sua anima disse loro a gran voce. “Figli della mia antica madre, cavalieri dell’onde, quanto a lungo veleggiaste nei miei sogni. Ora approdate al mio risveglio che è il mio sogno più profondo. Sono pronto a salpare e il mio desiderio in attesa è la vela spiegata sotto il vento. E sarò tra voi, navigante in mezzo ai naviganti”.

Vittorio raccontava: “Mia madre spesso mi parlava di sua zia Stella che, sotto il fascismo, guidò le donne di Lecco nella marcia per il pane davanti al podestà e per questo fu imprigionata. Ci furono notti in cui Stella, con i pescatori, attraversava il lago silenzioso per portare cibo e indumenti faticosamente raccolti ai partigiani che si nascondevano sui monti. Si trattava di un’altra occupazione, quella italiana nazifascista. Per cui nel mio dna, nel mio sangue, ci sono delle particelle che mi spingono a combattere per la libertà e i diritti umani”. Diceva Che Guevara, “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo”.

Mentre il mondo osservava inerme la popolazione di Gaza sotto assedio tu ti sei fatto scudo umano contro i cecchini israeliani per permettere ai marinai di Gaza di pescare nelle proprie acque, hai detto: “Ci sono persone che sono pronte a spendere la vita a dispetto dei governi compiacenti e complici del governo sionista israeliano per venire ad abbracciare i fratelli palestinesi. Persone come me, dell’ISM, che devono venire qui per fare da scudi umani e porsi quali forze di interposizione, facendo ciò che dovrebbero fare le Nazioni Unite perché il diritto internazionale venga rispettato”. Dicevi al mondo il vero, Vittorio, e le tue parole molto spesso rimanevano inascoltate, in Italia come nel mondo ma tu le ripetevi, instancabile, raccontavi dell’occupazione, della pulizia etnica, dell’apartheid, dei crimini di guerra portati avanti dal governo israeliano giorno dopo giorno contro la popolazione indigena palestinese innocente.

“Se la verità è la prima vittima di una guerra non è mai stato così vero come a Gaza”, dichiaravi, e nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario1. Durante l’operazione Piombo Fuso sei rimasto sotto le bombe, insieme alla popolazione di Gaza, dichiarando che la tua vita non aveva valore maggiore di quella di un uomo palestinese. Pochi telegiornali italiani ti hanno dedicato uno spazio perché tu, unico testimone italiano, potessi raccontare ciò che realmente stava accadendo a Gaza in quei giorni, pochi i giornali capaci di esibire le tue parole di verità, ciò che i tuoi occhi raccoglievano nelle dure ore spese a contare i feriti, i morti, gli offesi. Tante le menzogne raccontate al loro posto.

“Come andarsene in pace e senza pena? Ahimé, non lascerò questa città senza piaga nell’anima. Lunghi furono i giorni sofferti tra le sue mura, lunghe le solitarie notti; e chi senza rimpianto potrà lasciare la sua pena e la sua solitudine?”. Sei tra noi,Vittorio, navigante in mezzo ai naviganti. I tuoi sogni avranno in noi una voce. Porteremo avanti la tua lotta di libertà, salperemo sulle navi della Freedom Flotilla, appoggeremo tutte le iniziative per rompere l’assedio di Gaza, continueremo con forza sempre rinnovata la campagna che avevi abbracciato anche tu e che non ti stancavi mai di sostenere per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele, dicevi: “Come è possibile dialogare mentre uno dei due dialoganti punta una pistola alla tempia dell’altro? Israele deve essere “costretto” a mollare quella pistola, e davvero sono convinto che il boicottaggio sia l’arma dei pacifisti, dei non violenti, l’arma più efficace.” Invocheremo l’unità nazionale in Palestina, in sostegno del movimento del 15 marzo contro la corruzione che soffoca lo slancio sincero di un popolo verso la dignità, rilanceremo iniziative volte alla conoscenza approfondita del movimento sionista e dell’ideologia razzista e colonialista che ne sta alla base. In Italia e nel mondo occidentale ci spenderemo affinché la Palestina sia liberata, dal fiume sino al mare. Perché l’ingiustizia palestinese porta in sé il germe di qualsiasi ingiustizia sappiamo che il tuo sogno è il fiore della coscienza.

Facciamo appello affinchè si uniscano a noi sempre nuove persone, perché rileggano i tuoi articoli, guardino i tuoi video e agiscano. “Dam Victor mish rhis. Ya Victor Irtah Irtah ua ehna nuasil alkitha”. “Il sangue di Vittorio è prezioso” gridavano in questi giorni centinaia di Palestinesi scesi nelle strade in tuo onore. “Vittorio riposa! Noi continueremo la lotta”. Oggi, alle soglie della festa della Liberazione, la nostra responsabilità è anche una promessa: ehna nuasil al qitah. Noi continueremo la lotta: la lotta del povero, del debole, dell’oppresso, del contadino, la lotta della Palestina verso la libertà. Laddove non arrivano i governi, dicevi, può agire la popolazione civile. Questa è la lotta che tu ci hai insegnato. E che possa, la tua voce in noi, varcare il cielo.

Coalizione italiana StopAgrexco

Rete Romana per la Palestina

Associazione Stelle Cadenti Artisti per la pace

Pax Christi

Associazione Zaatar ONLUS

R-Esistere con la Palestina

Rete Milanese per il BDS

Stop The Wall

Donne in Nero Bologna

Un ponte per

Comitato Campagna BDS Campania

Comitato Palestina Bologna

Associazione Pari Opportunità e Sviluppo

Near East News Agency

Luoghi Comuni Garbatella

U.S. Citizens for Peace & Justice – Rome

Assopace

Comitato BDS Bologna

Mashi

Forum Palestina

Associazione per la Pace

Palestinian BDS National Committee

Amici della mezzaluna rossa palestinese

Rete ECO

Video

http://www.youtube.com/watch?v=cKSAC1XVj1Y

UNA”FAMIGLIA UMANA”PER VITTORIO

Piu' di mille a salutare Vittorio Arrigoni a Bulciago, dove si é svolto il funerale. "Grazie Vik", recita la moltitudine della “famiglia umana”, quella in cui l'attivista e giornalista italiano credeva. Collegamenti video anche da Ramallah e da Gaza. Assenti le istituzioni italiane.

Roma, 24 aprile 2011, Nena News – Un applauso lungo 10 minuti all’arrivo del feretro e una grande scritta: “Grazie Vik”. Sono partiti questa mattina all’alba da tutta Italia, i pullman organizzati in modo spontaneo da quanti hanno voluto essere a Bulciago, in provincia di Lecco, per dare l’ultimo saluto a Vittorio Arrigoni, l’attivista, pacifista e giornalista ucciso nella Striscia di Gaza la scorsa settimana. Per essere lì a ricordare un compagno, un amico, Vik-Utopia. Dopo giorni di manifestazioni, presidi, fiaccolate e sit-in che si sono svolti da Nord a Sud. Oltre in mille, molti assiepati nella palestra comunale troppo piccola per contenere tutti; , altri fuori, sul prato per seguire la cerimonia con gli altoparlanti.

Non “un saluto triste” come ha chiesto la famiglia: e dopo la funzione religiosa durata un’ora e concelebrata dall’arcivescovo di Gerusalemme, Hilarion Capucci, é seguito“un momento di ricordo con tutti quelli arrivati a testimoniare il loro affetto per Vittorio”, all’arrivo della banda degli ottoni sulle note di BellaCiao. Il rappresentante dell’ANPI provinciale ha dedicato il 25 aprile, Festa della Liberazione, a Vittorio.

Molti gli attivisti arrivati anche da fuori Italia, dalla Spagna, la Germania, l’Irlanda e la Francia; molte anche le persone che Vittorio non l’hanno mai conosciuto di persona, solo attraverso i suoi resoconti da Gaza, i suoi articoli, ma che hanno voluto esserci, per l’ultimo saluto. Quella moltitudine “della famiglia umana”, la famiglia umana in cui lo stesso Vittorio credeva “al di là dei confini, delle barriere, delle bandiere”. La frase che la mamma di Vittorio, Egidia Beretta, ha fatto stampare sul manifesto funebre, con i colori della bandiera della pace. Le stesse bandiere, le uniche a sventolare nella palestra.

A fronte del completo silenzio delle istituzioni italiane, assenti sia all’arrivo della salma all’aeroporto che oggi, a Bulciago (hanno presenziato alcuni sindaci italiani). Ci sono i palestinesi a salutarlo, con collegamenti video e audio, nel corso del funerale, che si sono svolti sia da Ramallah, dove ci si é riuniti vicino al Municipio, per trasmettere un messaggio live alla famiglie e da Gaza, dove invece i palestinesi si sono dati appuntamento al Gallery, il locale dove lo steso Vittorio si recava spesso, dietro all’Università Al Aqsa.

Sempre questa mattina, anche l’Autorità Palestinese ha organizzato una commemorazione ufficiale, davanti al Mausoleo dove è sepolto Arafat, alla quale é intervenuto il presidente Mahmoud Abbas.

La famiglia di Vittorio, ha inoltre diffuso un invito a non inviare fiori, ma per chi volesse, donazioni per la Palestina. La Palestina di Vittorio. Nena News

sabato 23 aprile 2011

Vittorio e l’attacco di Israele all’Intifada intellettuale

– Lauren Booth

L’uccisione di Vittorio (Vik) Arrigoni a Gaza questa settimana segue (troppo) da vicino l’assassinio del pacifista pro-palestinese Juliano Mer Khamis in Cisgiordania. A Juliano, 52enne, hanno sparato a morte davanti al Teatro della Libertà nel Campo Profughi di Jenin in Cisgiordania il 4 aprile. Il suo documentario Arnas’s Children [I figli di Arna] esponeva in dettaglio il lavoro di questa madre nell’assistere i bambini palestinesi a gestire il trauma di vivere sotto l’occupazione mediante l’uso del dramma e dell’auto- espressione.

La fine prematura, sanguinosa, di Juliano era fra quelle che aveva previsto lui stesso tre anni fa alla televisione israeliana.

Vittorio Arrigoni è stato trovato, questa settimana, impiccato da ‘fanatici’ armati in un appartamento a Gaza. Una fine che non avrebbe mai e poi mai previsto.

C’è stata condanna in tutto il mondo per l’uccisione di entrambi.

Per gli amici di Vik, toccati per sempre dalla sua voce profonda e piena di sorriso, il dolore della sua perdita è acuito da due fattori. Il primo è la modalità brutale della sua morte, perché Vik era un gigante garbato: un Sansone di taglia e aspetto, con capelli neri ricci attorno a un viso dai lineamenti marcati, braccia muscolose, atte a raccogliere un bimbo che passava, o a sventolare la bandiera palestinese con brevi preavvisi in faccia ai cecchini israeliani che miravano ai contadini intenti nel loro raccolto, o sparavano ai pescatori nelle acque costiere di Gaza.

Che un uomo dedito alla resistenza nonviolenta morisse violentemente è davvero brutto.

Ma peggio ancora, ben peggio, è che i suoi nemici giurati, i ‘fascisti’ d’Israele (come lui chiamava il governo) cerchino vantaggi politici da una vita vissuta sfidandoli direttamente. Questo, tanto quanto la vista di quell’ultimo orrendo filmato che lo mostrava con gli occhi chiusi dal nastro e il viso ammaccato, è un coltello piantato nel cuore di chi lo amava o lo conosceva.

Il titolo ‘Pacifista italiano ucciso da estremisti palestinesi’ è un lugubre sogno dei propagandisti israeliani. Un dono potenzialmente grande nelle sue implicazioni politiche, come l’attuale inevitabile ritrattazione del rapporto Goldstone dell’ONU. Perché? Per due ragioni. Per prima cosa, se non si fa nulla, e alla svelta, Israele userà l’impulso offerto da questi due avvenimenti come pretesto per invadere nuovamente la Striscia di Gaza sollevando presunte questioni di ‘terrorismo e sicurezza’.

In secondo luogo, gli israeliani stanno cercando di porre fine alla crescente pressione del movimento che si oppone all’assedio e alla crescente attrazione esercitata dal Movimento di Solidarietà Internazionale (International Solidarity Movement, ISM).

Il che ci porta alla scelta dei tempi per i due assassinii, di Juliano e di Vittorio. Erano rispettati entrambi per il loro lavoro creativo. Juliano, per ispirare una nuova generazione di attori e scrittori a Jenin e per la sua filmografia sulla vita sotto l’occupazione.

Vik per i suoi apprezzati scritti e trasmissioni sulle sofferenze dei palestinesi a Gaza.

Entrambi facevano parte di una nuova rivolta, senza dubbio la più riuscita finora. La rivolta che tocca Israele dove fa più male – negli studi TV d’Europa e USA, parlando direttamente al mondo intellettuale. Il loro impatto sulla macchina dei ‘fascisti’ d’Israele era un fenomeno in espansione nei mondi di twitter e facebook. Avevano voci come nessun altro in questo movimento.

Più ancora, Vik faceva da perno nella ricostituzione del Gruppo ISM per Gaza, il team di resistenza nonviolenta messo in difficoltà dopo l’assassinio di due suoi membri da parte delle forze israeliane: Tom Hurndall e Rachel Corrie. Dopo queste uccisioni fu chiaro che i capi d’Israele avevano preso la decisione non solo di ignorare i diritti umani degli internazionali in Cisgiordania e a Gaza (mettendoli così alla pari con i palestinesi), ma di colpirli direttamente. La riflessione interna all’ISM, a Gaza, ha richiesto tempo per decidere se dovevano o meno incoraggiare giovani attivisti a unirsi anch’essi alla missione sempre più impegnativa di accompagnare i residenti di Gaza nelle loro attività quotidiane. Gli scudi umani funzionano. La morte di Tom Hurndall e Rachel Corrie faceva parte di uno specifico attacco di Israele all’opera sempre più incisiva dell’ISM.

Più recentemente, i comandanti delle Forze d’Occupazione Israeliane hanno concentrato l’attenzione sugli sforzi dei “Movimenti per Gaza Libera” per rompere l’assedio di Gaza dal mare.

Non è una banale coincidenza quindi che sia Juliano sia Vittorio siano stati uccisi nel giro di due settimane. Entrambi per mano di ‘cellule’ palestinesi sconosciute. Come si dice alla TV per bambini: diteci che cosa non va in quest’immagine?

I sostenitori d’Israele si sentiranno certo indignati dall’asserzione che Vittorio sia stato assassinato da qualcuno quasi certamente pagato dallo stato ebraico. Ma non possono liberarsene e ergersi al tempo stesso a loro vendicatori acuendo la repressione. Non questa volta. Troppi di noi hanno gli occhi aperti sulle oscene tattiche impiegate da Israele ogni qual volta subisce un attacco intellettuale. E non c’è dubbio che l’Apartheid israeliano stia perdendo presa oggigiorno.

Ancora dubbiosi su chi c’era dietro l’assassinio di Vittorio? Beh, quante volte la stampa israeliana ha lodato e applaudito le ‘operazioni segrete’ nei Territori Occupati? Serve qualche esempio? Bene. Nel 1952, agenti Shin Bet furono inviati in incognito a spiare nei villaggi palestinesi. Dieci ebrei assimilati nelle comunità arabe nei primi anni 1950 col matrimonio con donne locali e la formazione di nuove famiglie, nel frattempo erano al servizio del Shin Bet come “mistaarvim,” letteralmente camuffati. Tali uomini impararono il dialetto palestinese, studiarono il Corano e le tecniche di spionaggio in una base del Servizio Spionaggio presso Ramla. Con una storia particolareggiata per coprire la loro attività, furono inviati in villaggi e città palestinesi fingendo di essere profughi della Nakba di ritorno a casa.

Solo quest’anno, Israele ha eseguito un assassinio a Dubai di un membro di Hamas (ossia lo ‘scandalo dei passaporti’, come era noto nei media britannici). Agenti Mossad hanno rapito un ingegnere palestinese dall’Ucraina, che è ora illegalmente detenuto in un carcere israeliano.

E in quanto alla sadica coercizione cui sono stati assoggettati palestinesi con malattie croniche dallo Shin Bet? Nota a Gaza come tradimento per cura? Un paziente palestinese richiede un permesso al Dipartimento dei Legami Civili Israelo-Palestinesi per recarsi da Gaza alla Cisgiordania o in Israele per un’operazione. Dopo sforzi fiaccanti, lui e altri pazienti ricevono i permessi e vanno a Erez. Autorevoli centri sui diritti umani riferiscono che ufficiali Shin Bet allora cercano di coercire e intrappolare i pazienti, per fare lavori sporchi per conto dei servizi segreti nei loro villaggi e nelle loro città in cambio di un trattamento medico rapido o continuativo.

Sì, gente, spie-per-la-salute.

Israele allora ‘ha un contegno’ quando si tratta di mentire, assassinare e coercire, per i propri scopi.

Mentre Hamas individua gli autori di questo più recente crimine mortale, Gaza è tutta un ronzio di notizie secondo cui si riuscirà effettivamente a dimostrare che sono collaboratori israeliani.

Sono già state rilasciate dichiarazioni di smentita dai ‘salafiti’ accusati dell’assassinio, nonostante il fatto che i media occidentali insistano ancora con la storia della loro colpevolezza.

Ci sono state dichiarazioni di Tawid wal – Jihad e Ma’sadat al-Mujahedin. In una delle loro dichiarazioni affermano: “neghiamo decisamente qualsiasi responsabilità nel rapimento o connessa ad esso dell’italiano (Vittorio Arrigoni)… Le nostre dichiarazioni vengono distribuite esclusivamente mediante Shoumouk al–Islam, Attahadi Network e l’Ansar al-Mujahideen Network…Qualunque affermazione attribuitaci che non sia rilasciata mediante questi canali, non ha nulla a che fare con noi, anche se pubblicata sui siti web del Jihad…”

Quindi, a chi giova l’uccisione di Vittorio Arrigoni? E quale significato ha la scelta di questo specifico momento per il suo assassinio?

Sicuro, il video dei rapitori sembrava autentico a tutta prima. Aveva tutta la struttura abituale del tipo di video dei ‘jihadisti’ che tanto piacciono alla stampa tabloid: la bandiera nera dell’Islam, il versetto coranico nell’introduzione, una ripresa della vittima rapita. Ma un piccolo particolare sulla bandiera nera, sotto l’espressione preziosa, islamicamente intoccabile ‘Non c’è altro Dio che Dio’ solleva domande sull’autenticità della conoscenza del gruppo sull’Islam. Le parole in più suonano all’incirca “le Brigate di Muhammad Ibn Maslama”. Questo è stato difficile da verificare da parte degli esperti perché il video è stato sistematicamente tolto da YouTube. Ma una cosa è certa: gli ‘jihadisti’ non scrivono mai sulla bandiera NULL’ALTRO che La Ilaha Ila Allah.

Altrettanto insolita era la mancanza del logos abituale dei canali di distribuzione dei media jihadisti: Shoumoukh al-Islam, Ansar al-Mujahideen, Global Islamic Media Front, ecc. (vedi la dichiarazione di smentita qui sopra).

Ecco, adesso ne sapete quanto serve, a chi interessa?

Vik; amico, attivista della solidarietà, eroe, autore, è morto e il suo nemico sta traendo profitto dalla sua vita; una vita dedicata all’opposizione al fascismo israeliano.

Allora ciò che ora dev’essere al centro dell’attenzione è che cosa si può, si deve, fare. Non solo per i suoi amici ma per tutti quelli che sostengono la causa della giustizia per i palestinesi.

Fu nel 2008 che Vittorio arrivò a Gaza per la prima volta, come passeggero di Freegaza. Io ebbi il piacere di essere una delle attiviste in arrivo con lui quel giorno. Durante le settimane precedenti la riuscita traversata tutti i passeggeri avevano considerato le possibili tattiche d’Israele per impedire l’effettiva apertura di un canale marittimo. Due opzioni sembravano le più probabili.

La prima era quella di un abbordaggio violento delle navi, che avrebbe comportato vari morti e sarebbe servito da monito a non intraprendere una navigazione per altri potenziali viaggiatori.

La seconda opzione era quella che temevo di più: l’uso di collaboratori a terra che facessero il lavoro sporco per Israele, una rete di ‘cellule’ pagate che rapisse gli attivisti uno a uno nella Striscia di Gaza. Entrambe opzioni terrificanti per il movimento di solidarietà E tali da fornire a Israele qualche titolo vantaggioso, quanto mai necessario, del tipo visto appunto dopo la morte di Vik.

Conosciamo tutti anche troppo bene il sanguinoso massacro avvenuto l’anno scorso sulla Mavi Marmara, commesso dalle forze israeliane. Ora, mentre la seconda Armada prevede di seguirne la rotta in tale anniversario o intorno a quella data, Israele mette in atto tutti gli impedimenti di cui è in grado per fermare, impaurire, minacciare e dissuadere centinaia di altri attivisti dall’intraprendere un’azione contro il loro stato di Apartheid.

L’ambasciatore d’Israele in Turchia, Gaby Levy, ha appena chiesto al governo turco di aiutare a trattenere il movimento della flottiglia dicendo che la navigazione sarebbe una “provocazione”. A proposito di tale pressione, un funzionario del ministero degli esteri turco ha risposto alla Reuters: “Abbiamo ascoltato il messaggio trasmesso da parte israeliana e risposto che si tratta di un’iniziativa della società civile”.?I l funzionario non ha fatto altre valutazioni.

Primo colpo, per Israele. Ma gli sforzi sono continuati.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto visita all’ambasciatore UE a Gerusalemme dicendo “Questa flottiglia bisogna fermarla”.

E c’è dell’altro: il 1° aprile l’ufficio di Netahyahu ha chiesto al segretario generale ONU Ban Ki-moon di impedire alla flottiglia di issare le vele, dicendogli che quella missione di navi era organizzata da (indovinate un po’) “estremisti islamici” intenti a far maturare una “fiammata”.

Poi, mercoledì scorso, il moralmente fallimentare Silvio Berlusconi ha detto a Radio Israele che avrebbe agito per impedire alla prossima flottiglia con destinazione Gaza di salpare. Berlusconi ha detto che un medio Oriente pacifico è ora più lontano dalla realtà che mai, non avendo Israele un valido interlocutore per la pace. Ha anche aggiunto che Israele è l’unico paese del Medio Oriente di cui l’Occidente possa fidarsi e che dovrebbe entrare nell’Unione Europea.

Il giorno dopo, Vik è stato rapito. La notte stessa, prima che potesse aver luogo qualunque negoziato realistico per il suo rilascio, Vik è stato assassinato.

Da sentirsi male, adesso? Anch’io.

Perché questo è stato un colpo, un colpo fatto per intimidire, per spaventare sino all’inerzia coloro che si sono già impegnati nella prossima flottiglia per Gaza e magari ci vanno per la prima volta, quelli che non conoscono l’eccezionale buona volontà e generosità della gente locale. Una buona volontà di cui Vik avrebbe avuto da raccontare se ci fosse ancora.

Non dobbiamo permettere ai ‘fascisti’ israeliani di riuscire nella loro ultima tattica terroristica. I primi segni sono che, con tutto il dolore causato dalla morte di Vik, tutte le lacrime sparse, noi del movimento di solidarietà cresceremo in determinazione, alla luce di questo crimine. L’ISM ha registrato dalla sua morte un significativo aumento di persone che vogliono andare in Palestina.

Frattanto un contatto del Movimento Freegaza mi dice che neppure uno dei partecipanti al prossimo convoglio, che comprenderà turchi, algerini, scozzesi, spagnoli, olandesi, irlandesi, italiani, svedesi, norvegesi, giordani, malesi, indonesiani, svizzeri, statunitensi, canadesi, britannici e francesi, si è tirato indietro per effetto della morte di Vik.

E ora arriva l’incredibile notizia: la madre di Vik stessa desidera salpare per Gaza con la prossima flottiglia. Egidia Arrigoni ha detto a fonti giornalistiche italiane: “Voglio vedere la Gaza che mio figlio amava e per cui si è sacrificato, voglio incontrare la brava gente che vive lì, di cui mio figlio Vik mi parlava sempre”.

La madre di Vittorio sapeva delle minacce di morte che Vittorio riceveva da un gruppo di destra USA sul loro sito web. Sapeva anche che lui amava la gente di Gaza con ogni particella della sua straordinaria forza, con ogni suo sorriso, e a ogni suo risveglio.

Ieri, organizzatori della flottiglia Free Gaza hanno annunciato che il prossimo viaggio a Gaza sarà chiamato “Flottiglia della Libertà – Restiamo umani” in onore del nostro amico ucciso, Vittorio Arrigoni.

Adesso è ora che i capi palestinesi rendano un tributo decente a questo grande uomo. No. Come non detto. Come direbbe Vik stesso, è ora che rendano un tributo decente a TUTTI i martiri palestinesi caduti.

Che gran giorno sarebbe se in giugno Egidia Arrigoni, la madre di Vittorio, arrivasse a Gaza accolta da un solo governo unito! Immaginalo, Vik: Abbas e Haniyeh fianco a fianco. Una Palestina, una voce. Un governo in grado di impedire a Israele d’infiltrarsi fra le sue fila per uccidere quelli che arrivano a portare speranza e solidarietà.

Come direbbe il mio caro, meraviglioso, forte, buffo amico Vik:

‘Dai, forza!’


Lauren è una giornalista della stampa e della radio. Interviene su temi vari come le vaccinazioni infantili e la guerra in Iraq. Ha presentato show per la televisione e la radio ed è ospite regolare in programmi dei vari media. Scrive editoriali regolari su Mail on Sunday e rubriche per il Sunday Times e Femail. Lauren attualmente presenta ‘Remember Palestine’ e ‘Diaspora’ su Press TV.

Ibrahim Nasrallah per Vittorio

Poesia di Ibrahim Nasrallah per Vittorio Arrigoni - Non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
by Vittorio Arrigoni on Thursday, April 21, 2011 at 5:31am







A Vittorio Arrigoni







Hanno ucciso tutti

Hanno ucciso tutti

hanno ucciso tutti i minareti

e le dolci campane

uccise le pianure e la spiaggia snella

ucciso l’amore e i destrieri tutti, hanno ucciso il nitrito.

Per te sia buono il mattino.

Non ti hanno conosciuto

non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli

e bellezza di un tralcio sulla porta del giorno

e delicato stillare di corda

e canto di fiumi, di fiori e di amore bello.

Per te sia buono il mattino.

Non hanno conosciuto un paese che vola su ala di farfalla

e il richiamo di una coppia di uccelli all’alba lontana

e una bambina triste

per un sogno semplice e buono

che un caccia ha scaraventato nella terra dell’impossibile.

Per te sia buono il mattino.

No, loro non hanno amato la terra che tu hai amato

intontiti da alberi e ruscelli sopra gli alberi

non hanno visto i fiori sopravvissuti al bombardamento

che gioiosi traboccano e svettano come palme.

Non hanno conosciuto Gerusalemme … la Galilea

nei loro cuori non c’è appuntamento con un’onda e una poesia

con i soli di dio nell’uva di Hebron,

non sono innamorati degli alberi con cui tu hai parlato

non hanno conosciuto la luna che tu hai abbracciato

non hanno custodito la speranza che tu hai accarezzato

la loro notte non si espone al sole

alla nobile gioia.

Che cosa diremo a questo sole che attraversa i nostri nomi?

Che cosa diremo al nostro mare?

Che cosa diremo a noi stessi? Ai nostri piccoli?

Alla nostra lunga dura notte?

Dormi! Tutta questa morte basta

a farli morire tutti di vergogna e di sconcezza.

Dormi bel bambino.

Bologna saluto a Vittorio

Risposta al Corriere della Sera

Risposta integrale all'articolo di Pierluigi Battista (Corriere della Sera 16 aprile 2011)
by Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese on Friday, April 22, 2011 at 4:06am

Pierluigi Battista ci ha fatto sapere (Corriere della Sera del 16 aprile) cheArrigoni non era un pacifista bensì un fiero e coraggioso combattente di una guerra per la quale si era generosamente speso con tutto se stesso. Era il combattente di una guerra sbagliata. Comincia così la deriva che porterà qualche mente illuminata a concludere anche per lui che, sì, insomma se l’era cercata.

Battista ci ha lasciati con la curiosità di sapere cosa egli pensi che un pacifista sia. Lo ha taciuto. La questione ovviamente è strettamente legata all’idea che ognuno ha della pace.

Si può intendere per pace l’assenza della guerra e di qualsivoglia conflitto. In tale quadro viene fatto di pensare che il mezzo più sbrigativo e rapido per arrivare alla pace è l’eliminazione delle radici stesse del conflitto, cioè la riduzione dell’avversario all’impotenza o addirittura la sua distruzione. Tacito usò al riguardo una espressione esemplare: hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace. In questa logica i romani dicevano che chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra. Infatti l’accumulo della forza o fa da deterrente o permette di eliminare il nemico rapidamente, a meno che non si inneschi la corsa agli armamenti.

Ma della pace si può avere un’altra idea. Non di una idilliaca assenza di ogni conflitto ma del luogo nel quale i conflitti sono gestiti senza la pretesa di distruggere l’avversario. A questo punto, per prevenire l’obiezione che la gestione del conflitto non basta, ma bisogna costruire le condizioni per la pace, mossa per altro da Raniero La Valle durante la commemorazione di Arrigoni nella Sala Di Liegro della Provincia di Roma, occorre spiegare cosa vuol dire gestire il conflitto senza uso di violenza.



Vuol dire anzitutto costruire la prima delle condizioni necessarie per arrivare alla pace: che il conflitto non degeneri in violenza e che quando accada si eviti di rispondere a violenza con altra violenza, per non innescare una spirale in fondo alla quale non c’è che il moltiplicarsi dell’orrore e delle morti. Per farlo bisogna schierarsi, scegliere e rendere noto da quale parte si sta. Se non si sceglie, si resta fuori dal conflitto e quindi nell’impossibilità di gestirlo. La parte che i pacifisti scelgono è sistematicamente la più debole, non solo perché le ragioni del più forte di solito non sono le più nobili, ma perché, quand’anche lo fossero, il forte ha mezzi e capacità per farle valere da solo, non ha bisogno di aiuti. Per cui è vero: il pacifismo è unilaterale, sta sempre dalla stessa parte: con chi è più debole e contro chi è più forte. Ciò non vuol dire ignorarne le ragioni, se ne ha, ma occuparsi si sostenere quelle di chi soccombe. Non può essere altrimenti. L’equidistanza obiettivamente agevola il forte.

Bisogna aggiungere che la gestione del conflitto si svolge a più livelli. Lo esemplifico con riferimento al conflitto israeliano-palestinese.

E’ noto che la politica israeliana tende a costruire uno stato di ebrei e per ebrei sul più ampio territorio possibile della Palestina. Già prima della costituzione dello Stato di Israele il sionismo ha operato per ridurre la presenza di non ebrei sul territorio della Palestina. Il governo israeliano continua a farlo con i più svariati mezzi e modalità. A ciò non si può non reagire. La “gestione del conflitto” la fa con mezzi non violenti.

Quando, ad esempio, in ragione soltanto dell’arbitrio e della propria forza l’esercito israeliano abbatte le case dei palestinesi o i coloni e l’esercito sparano sui contadini che vanno a raccogliere le olive sui propri terreni dichiarati off limits perché li attraversa il famoso muro, quando la marina mitraglia i pescherecci di Gaza che si spingono a pescare oltre le due miglia ma abbondantemente entro i limiti delle acque territoriali, il/la pacifista non aiuta i palestinesi ad attaccare i mezzi dell’esercito e della marina, magari imbarcando missili sui pescherecci per affondare la prima motovedetta che giunga a tiro, ma interpone il proprio corpo tra il buldozzer e la casa palestinese che deve essere abbattuta (come Rachel Corrie) o tra i contadini, i coloni e i soldati israeliani (come fanno decine e decine di volontari/e che arrivano in Palestina da ogni dove, quando maturano le olive) o tra le mitraglie del naviglio israeliano ed i pescherecci palestinesi (come tanti, tra cui Vittorio, hanno fatto e tanti/e altri/e si accingono a rifare) Pur consci dei rischi che corrono, i/le pacifisti/e usano i propri corpi come mezzo di interposizione oltre che per tantissime altre motivazioni per una che li accomuna tutti: la consapevolezza che con la violenza si distrugge e non si costruisce e oltre tutto si perderebbe.

C’è un secondo livello, anch’esso praticato da Vittorio, su cui si svolge la gestione del conflitto: la controinformazione, cioè far conoscere i fatti che i grandi mezzi di informazione non raccontano e denunciare i misfatti dell’occupazione che vengono celati. Svelare il vero volto dell’ è essenziale per avvertire l’opinione pubblica affinché si schieri almeno in parte a sostegno della causa palestinese, che i più ignorano. Un altro livello ancora è quello della Campagna internazione di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, l’unico mezzo di lotta non violenta escogitato sinora per “premere” sul governo israeliano colpendo l’economia del paese, in particolare quella delle illegittime colonie, screditando le aziende non israeliane che fanno affari con Israele, e soprattutto colpendo l’immagine del paese. Non a caso la forma di boicottaggio più avversata dal governo israeliano è quella culturale, cioè quello che mira all’isolamento delle istituzioni culturali e scientifiche (non delle singole persone, a meno che non si tratti di intellettuali che si sono posti a sostegno della politica governativa).

I diversi livelli sono collegati. Più si aiutano i palestinesi a resistere sulla propria terra e a non perdere la propria identità, più si riesce a far conoscere all’opinione pubblica internazionale quali sono le mire del sionismo, più si riesce a smascherare come e quanto Israele ed i suoi alleati abbiano barato nelle finte trattative sinora condotte, più si può sperare che prima o poi il governo israeliano sia costretto ad aprire una trattativa vera per trovare forme e modalità (che le due parti devono decidere) perché palestinesi e israeliani possano coesistere in quel pezzo di mondo, senza spararsi addosso e con pari dignità e libertà.

Naturalmente vi possono essere altri livelli ancora: quelli della diplomazia, degli organismi internazionali, etc., ma sono fuori della portata dei pacifisti che lasciano quindi ai maitre à penser il compito di spiegare cosa dovrebbe fare l’Onu, cosa l’Unione Europea e cosa i governi nazionali, nella speranza che un giorno, che per ora non sta nell’orizzonte,qualcuno finalmente li ascolti.

Intanto è bene che si sappia che nelle ultime ore sono scomparse dal sito http://www.stoptheism.com/ (dove ISM è la sigla del movimento pacifista cui apparteneva Vittorio) i volti ed i nomi degli attivisti sui quali era stata messa una taglia.

Per Vittorio Arrigoni che figurava al primo posto della lista, ovviamente, la taglia non occorre più. Forse è stata pagata.

Nino Lisi della Rete Romana di Solidarietà con il popolo palestinese

giovedì 21 aprile 2011

Atrocità israeliane

GULFNEWS, TERRITORI PALESTINESI: UNA STORIA DI ORDINARIA FOLLIA

Roma, 21 apr - Dopo che le autorità israeliane le hanno impedito di riabbracciare il padre, la piccola Abir Eskafi, che ha solo dieci anni, è caduta in un coma profondo. Lo scrive il Gulfnews, spiegando che al suo ritorno a casa, la bambina ha smesso di mangiare, finendo presto nel reparto rianimazione in un ospedale di Hebron. E la sua situazione si sta deteriorando giorno dopo giorno. Abdul Rahim Abdul Mohsin Eskafi, il nonno di Abir, ha detto al Gulfnews che lo stato di salute della piccola è iniziato a precipitare, dopo che un ufficiale israeliano le ha impedito di avvicinarsi al padre, nonostante continuasse a sbattere i pugni contro la barriera di vetro che la separava dal genitore. Rientrata a casa, Abir ha iniziato a scagliarsi contro i mobili della sua abitazione, fino a quando la sua mano destra è diventata debole. Poi è sopraggiunta la paralisi e infine il coma. Nel frattempo, Yousuf, il padre, ha subito un intervento chirurgico d’urgenza per un attacco di cuore provocato dalla notizia della malattia della figlia.

mercoledì 20 aprile 2011

Per Vittorio che è sempre con noi

Da giorni mi porto dentro un dolore che ammutolisce. Un groviglio che rende il mio cuore pesante come una pietra. Invidio le compagne e i compagni che riescono a scrivere belle parole e lucide analisi. Per la prima volta non ci riesco. Ci sono i salafiti, non ci sono...Il burattinaio che muove i fili è sempre lo stesso, e chi non lo vede non ha memoria di quanti episodi simili abbiamo visto e di cui siamo stati testimoni. La mano che tesse trame e orditi è sempre la stessa ed è riuscita a soffocare la voce di Gaza e nel contempo a gettare sui palestinesi un'onta che non avevano mai conosciuto. E ora i sionisti festeggiano e sghignazzano sui loro siti saturi di livore e sputano dalle loro anime nere, abitate dall'odio, orrido marciume.
Si, ci sono gli integralisti a Gaza, ci sono gli assassini, e dove non ci sono? Se si cerca qui in Italia se ne trovano quanti se ne vuole.
Ma la vera Gaza è quella dei giovani che hanno pianto e cantato "Bella ciao" per il loro amico, per il loro fratello che hanno perso come noi abbiamo perso uno dei nostri migliori compagni.
Perchè questo giovane uomo generoso era quanto di meglio potesse esprimere la generazione che è venuta dopo la mia e quella di tanti compagni che non si sono stancati di resistere al buio che vuole sommergerci.
Forse con la cieca e stupida arroganza che li caratterizza penseranno così di scoraggiare in noi l'appoggio e il sostegno verso il popolo palestinese sul cui capo si sono accumulate le più disumane e atroci ingiustizie. Otterranno il contrario.

saluto a Vik

L'arrivo a Fiumicino di Vik

Vik' Arrigoni rientra in Italia accolto da folla di pacifisti - L'arrivo a Fiumicino

E' giunto in serata a Fiumicino a bordo di un volo Alitalia proveniente dal Cairo. Il feretro era avvolto da una grande bandiera palestinese. Presente anche una delegazione di Abu Mazen



Roma, 20 aprile 2011 - E’ giunto in serata all’aeroporto di Fiumicino l’aereo dell’Alitalia proveniente dal Cairo con a bordo la salma di Vittorio Arrigoni, il volontario di Lecco ucciso a Gaza. Ad accogliere 'Vic', come tutti lo chiamavano, una grande bandiera palestinese, con sopra delle rose, retta da decine di pacifisti italiani e palestinesi. Il feretro era avvolto da una grande bandiera palestinese, con sopra delle rose.

Molti i cartelli mostrati in aeroporto: "Con Vittorio nel cuore restiamo umani", "Restiamo umani Vittorio Arrigoni - ciao Vick" e "Vick le tue idee non moriranno mai". Molti indossavano le kefiah e magliette bianche con su scritto ‘Grazie Vick’, molti tenevano in mano rose e garofani.

Tra le numerose associazioni rappresentate, ci sono ‘Donne in nero’, ‘Rete romana di solidarieta’ con il popolo palestinese’, ‘Associazione per la pace’, ‘Forum Palestina’, ‘Con la Palestina nel cuore’, ‘collettivo studentesco universitario di Napoli’, ‘’Ebrei contro occupazione’’ e rappresentanti della comunita’ palestinese a Roma.

Presente una delegazione del presidente palestinese Abu Mazen, composta, tra gli altri, dal ministro degli Affari religiosi Al Habbash, dallo Sheaika Khamis Abda dell’Istituzione religiosa musulmana e dal Reverendo Issa Elias Issa Musleh del Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme, unitamente all’ambasciatore della Palestina a Roma Sabri Ateyeh e al Portavoce della Comunita’ palestinese in Italia, Diabhaitali. Ne fanno parte anche l’ex vescovo cattolico di Gerusalemme, mons. Hilarion Capucci e l’ambasciatore Nemer Ammad, consigliere politico del presidente Abu Mazen.

A salutare il concittadino, anche una folta delegazione del Comune di Bulciago, guidata dal vicesindaco Luigi Ripamonti.

La salma del pacifista italiano è stata poi trasferita all’istituto di medicina legale a Roma a Piazza del Verano, dove e’ stata accolta da oltre 100 manifestanti.


A bordo dell’aereo c’era anche Osama, l’amico palestinese che era andato da Londra dal Cairo per accompagnare il feretro nel viaggio di ritorno. E’ stato lo stesso Osama che poi, sottobordo dell’aereo, ha liberato la bara dal cellofan che la proteggeva, prima di stringere in un abbraccio i familiari.

A ricordare che Arrigoni fu il primo ad "arrivare a Gaza nel 2008 per rompere l’assendio contro l’embargo", è Mahamid Sohad, un’amica palestinese del pacifista: "Lui era un uomo di pace, le sue idee non moriranno perché sono assai radicate in noi". In serata si è tenuta a Roma una fiaccolata in ricordo di Arrigoni

martedì 19 aprile 2011

"Oliva" a Gaza

"
>
> Lancio di una barca internazionale per monitorare i diritti umani
> in acque palestinesi
>
> Il 20 di aprile salperà dal porto di Gasa “Oliva”, una barca con
> equipaggio internazionale per il monitoraggio dei diritti umani.
> L'equipaggio del Civil Peace Service, che attualmente è composto da
> cittadini provenienti da Spagna, Stati Uniti, Italia e Belgio,
> accompagnerà i pescatori di Gaza in acque palestinesi. Verranno
> monitorate e documentate le violazione dei diritti umani; i
> materiali video e i dati saranno raccolti e diffusi.
>
> Vittorio Arrigoni, l'attivista dei diritti umani assassinato, era
> impegnato nella realizzazione di questo progetto e al termine della
> conferenza stampa verrà ricordato con una piccola cerimonia. Poichè
> Vik è stato coinvolto nella scelta del nome della barca e ha
> espresso il desiderio che non fosse il nome di un individuo, la
> barca salperà col nome Oliva, da lui appoggiato, ma la missione
> proseguirà nel suo spirito.
>
> Il lancio di Oliva, barca di 8 metri a motore lungo bianco,
> inaugurerà la missione del Civil Peace Service in acque
> palestinesi. Dopo l'Operazione Piombo Fuso, Israele ha
> unilateralmente limitato alle 3 miglia marine l'accesso alle zone
> di pesca. Questa drastica riduzione del limite di 20 miglia
> concordato negli accordi di Oslo, ha determinato l'eccessivo
> sfruttamento delle zone di pesca le cui scorte sono vicine
> all'esaurimento. I pescatori sono minacciati con armi da fuoco, con
> la confisca delle loro barche e attrezzi per la pesca e con
> l'arresto da parte della marina israeliana, che esegue regolarmente
> attacchi e le incursioni in acque palestinesi.
>
> Secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa, quasi il 90%
> dei 4.000 pescatori di Gaza sono ora considerati o poveri (con un
> reddito mensile compreso tra 100 e 190 dollari) o molto poveri (che
> guadagnano meno di 100 dollari al mese), rispetto a 50% nel 2008.
>
> Il lancio del Oliva è una risposta a questa situazione di estrema
> vulnerabilità. Una vasta gamma di organizzazioni internazionali
> sostiene questa iniziativa che viene è portata avanti in
> collaborazione con alcune organizzazioni locali: il Centro
> Palestinese per i Diritti Umani, il Coordinamento dei comitati di
> lotta popolare, l'Unione dei Comitati di agricoltura e pesca e la
> Marine Sports Association.
>
> Che cosa: Lancio della Oliva
> Dove: Porto della città di Gaza
> Quando: Mercoledì 20 aprile alle ore 10
> Contatto: press@cpsgaza.org, 0595 567 120 (in inglese)
>
>
>
>
> --
> http://libera-palestina.blogspot.com/
> Se non si abbatte la casa che cade, non si può costruirne una
> solida sopra. (Simo)
> ____________________________________________

COMUNICATO AMRP

COMUNICATO STAMPA



L’Associazione Amici della Mezzalunarossa palestinese, addolorata per l’omicidio di Vittorio Arrigoni, dichiara il proprio sdegno verso quei rappresentanti della stampa che – sapendosi facili opinion maker dell’Italia meno attenta ai diritti umani universali – stanno propagando un’immagine falsa di Vittorio arrivando, nei casi più beceri, fino ad un simbolico scempio del suo cadavere.

L’immagine fatta di bugie su Vittorio e sul suo impegno attivo, e non violento, a sostegno di una popolazione ingiustamente, illegalmente e illegittimamente schiacciata dall’assedio e continuamente oggetto di umiliazioni e di violenze armate da parte dell’esercito israeliano, non è l’immagine vera di questo ragazzo UMANO nel senso migliore e più nobile del termine. E tutto questo voi operatori mediatici lo sapete.

Sappiamo quanto l’onestà di alcuni di voi sia profondamente ferita dalla disonestà di molti altri e per questo vi preghiamo di guardare il video allegato, è un'intervista inedita. Il montaggio non è stato completato perché il protagonista è morto troppo presto. Crediamo sia una prova ulteriore di verità su Gaza e su Vittorio Arrigoni. Ringraziamo savonanews.it e Vittorio Molinari che l’hanno messo a disposizione di tutti.

Gli Amici della Mezzaluna R.P. andranno ad accogliere in silenzio la salma di Vittorio mercoledì 20 a Fiumicino alle 19,50 e parteciperanno ai funerali a Bulciago insieme ai tantissimi amici della giustizia e quindi di Vittorio, ricordando a tutti che chi l’ha ucciso, qualunque sia il suo luogo di nascita o la criminale motivazione che l’ha portato ad agire, è un nemico giurato del popolo palestinese.

Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese

Presidente

Patrizia Cecconi




su Savonanews.it, girata a Gaza - Jabalia da Mario Molinari. Il montaggio del filmato era e resterà incompiuto dopo l'omicidio di Vittorio. Info: m.molinari@mac.com

http://www.youtube.com/watch?v=Sm8-SRm6BCA&feature=player_embedded#at=19

VITTORIO MAI VIVO COME ORA

Egidia Beretta Arrigoni
Vittorio, mai vivo come ora



Ultimi aggiornamenti: La salma di Vittorio Arrigoni ha ieri lasciato la striscia di Gaza e si trova in Egitto, dopo una cerimonia funebre tenuta al valico di Rafah cui hanno partecipato diversi esponenti del governo di Hamas e una folla di parecchie centinaia di persone, che hanno scandito slogan contro il terrorismo e in onore di Vittorio, "uno di noi". All'ospedale italiano del Cairo è stata allestita una camera ardente per tutta la giornata di oggi; in serata è prevista una fiaccolata organizzata via facebook cui parteciperanno centinaia di blogger egiziani e amici di Vittorio. Domani sera, alle 19,35 con il volo dal Cairo a Roma Fiumicino, il feretro dovrebbe arrivare in Italia. Intanto a Gaza sono oggi morti durante un blitz delle forze speciali di Hamas due membri della cellula salafita accusata di aver rapito e ucciso Vittorio Arrigoni. Uno dei due è stato ucciso dalle guardie, l'altro - Abu Abdel Rahman detto "il giordano" e considerato la mente del sequestro - si sarebbe fatto esplodere.







di Egidia Beretta Arrigoni



Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell'aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.

Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l'amico Gabriele l'anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao...»

Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell'autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l'occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.

Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell'uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone. Restiamo umani.

domenica 17 aprile 2011

Manifestazione a Gaza per ricordare Vittorio

VITTORIO: TUTTA GAZA CONTRO GLI ASSASSINI

VITTORIO: TUTTA GAZA CONTRO GLI ASSASSINI
«Grazie di aver portato Vittorio in questo mondo. Mamma, per favore perdonaci per non essere stati capaci di proteggere Vittorio!», ha scritto un ragazzo palestinese rivolgendosi alla madre dell’attivista ucciso.

DI SILVIA TODESCHINI *

Gaza, 17 aprile 2011, Nena News (foto dal sito social.tiscali.it) – Vittorio ormai considerava Gaza come la sua casa. Aveva in programma di andarsene il mese scorso, e poi imbarcarsi nella Freedom Flotilla, ma non se la sentiva di abbandonare il posto a causa delle recenti aggressioni delle forze d’occupazione israeliane: in meno di un mese sono stati ammazzati più di 40 palestinesi, tra cui due donne mentre preparavano il pane e bambini che giocavano a calcio. Mercoledì sera Vittorio era andato in palestra. Dopo la palestra alle volte andava a mangiare in una trattoria. Aveva prenotato la cena per le dieci. Non vedendolo arrivare, hanno provato a chiamarlo, il suo cellulare era spento. Non si sono preoccupati, perché spesso Vittorio spegne il cellulare, quando vuole lavorare o quando vuole stare da solo. Nessuno lo ha più sentito da quel momento in poi. Alle 8 di giovedì sera i suoi compagni dell’Ism hanno ricevuto la notizia del suo rapimento. Alle 3 di notte la notizia del ritrovamento di un corpo. Ancora non sapevano se fosse il suo o quello di qualcun altro, fino a che non sono stati portati sul posto e lo hanno visto, steso su un materasso a pancia in su. Aveva un stringa di plastica stretta attorno al collo e la faccia molto gonfia. Presentava del sangue dietro la nuca, forse per dei colpi subiti, e profondi segni ai polsi per le catene o lacci che lo tenevano legato. I piedi erano accavallati e le braccia lungo i fianchi. Aveva ancora addosso la benda visibile nel video, leggermente sollevata per renderlo riconoscibile.

«Restiamo umani», diceva Vittorio, per non perdere la tenerezza di fronte alla barbarie. Ci vuole una grande forza per restare umani, certe volte, Vittorio. Giovedì sera, quando si sapeva solo del sequestro, alcuni giovani di Gaza avevano organizzato una manifestazione per chiedere il suo rilascio, pianificandola per il venerdì alle quattro. Essa si è trasformata poi in una marcia commemorativa. I palestinesi cantavano melodie tradizionali, alternando canzoni che parlavano della loro terra con «bella ciao» perché era stato Vittorio ad insegnarla ad alcuni di loro. Diverse centinaia di persone hanno partecipato, moltissimi amici, e molti che non lo conoscevano, individui che raccontavano di non averlo mai visto, ma che era una grande perdita ed erano sconvolti, che chi ha commesso questo crimine non rappresenta il popolo palestinese in nessun modo che si vergognano per quel che è successo. Spiegavano che i salafiti, e la loro lettura perversa del corano, sono pochi, isolati, e crudeli: loro non li considerano palestinesi. Sabato è stata allestita una tenda per dare la possibilità di portare le condoglianze, come è tradizione in Palestina. Su un lato, sono stati appesi un centinaio di messaggi in arabo e in inglese: uno recitava: «Tu eri gazawi (cittadino di Gaza) e quelli che ti hanno ucciso non hanno mai capito quanto eri prezioso! Questa gente non è palestinese».Uno era dedicato a sua madre: «Mamma, grazie di aver portato Vittorio in questo mondo. Mamma, per favore perdonaci per non essere stati capaci di proteggere Vittorio!». Un altro era firmato dal PSCABI, Palestinian Student Campaign for the Academic Boycott of Israel: «La Palestina ha perso un figlio, noi un fratello. Eri di ispirazione per noi, ci hai insegnato come essere uomini liberi. Vittorio è un palestinese ed un combattente per la libertà! Riposa in pace, compagno!». Le manifestazioni continueranno anche oggi, per concludersi con un convoglio di macchine che accompagnerà la salma al confine con l’Egitto quando sarà il momento. «Se io muoio non piangere per me, ma fai quello che facevo io e continuerò a vivere in te», scriveva Che Guevara. Nena News

*Attivista dell’International Solidarity Movement.

sabato 16 aprile 2011

FREEDOM FLOTILLA: IN ONORE DI VITTORIO ARRIGONI

FREEDOM FLOTILLA: IN ONORE DI VITTORIO ARRIGONI
Il viaggio delle navi che cercheranno di rompere via mare l’assedio a cui è sottoposta la popolazione palestinese di Gaza, sarà in onore del volontario ucciso nella Striscia. Lo ha deciso ieri il Direttivo della Freedom Flotilla.

Roma, 16 Aprile 2011, Nena news – La Freedom Flotilla rinomina il viaggio in onore di Vittorio Arrigoni. L’assassinio dell’attivista per i diritti umani Vittorio Arrigoni è una tragedia per la sua famiglia, per quanti di noi lo conoscevano e per I Palestinesi che lo amavano ed ammiravano. Il Direttivo della Freedom Flotilla 2 condanna questo omicidio senza senso e le persone che si nascondono dietro. Hanno tolto la vita ad uno dei sostenitori più appassionati della giustizia per la Palestina. Questo omicidio danneggia sia la lotta dei Palestinesi per la libertà e la giustizia che il nostro lavoro in sostegno di questa lotta.

In suo onore, rinominiamo il nostro prossimo viaggio : FREEDOM FLOTILLA – STAY HUMAN.

Nulla di quanto potremmo scrivere può rendere appieno un uomo che è stato più grande della vita stessa, un uomo con la pipa in bocca e il cappello da capitano sempre su un lato della testa. L’uomo dal grande sorriso e di natura gentile, che ha utilizzato la propria forza fisica per potare in braccio bambini, a volte più di uno contemporaneamente. La sua risata e le ultime parole che ha lasciato a ciascuno di noi risuoneranno nelle nostre orecchie quando saliremo sulle navi per tornare a Gaza alla fine di Maggio .

“Restiamo Umani,” direbbe Vik, per poi sorridere e ricacciarsi la pipa tra i denti.

Era partito con noi con le prime piccole imbarcazioni che arrivarono a Gaza nell’estate 2008, uno dei 44 attivisti in navigazione per protestare contro il blocco illegale imposto da Israele al milione e mezzo di Palestinesi che vivono a Gaza.

Faremo del nostro meglio, Vik, per potare avanti il lavoro che hai fatto. La flotilla tornerà a Gaza in tuo onore.

venerdì 15 aprile 2011

A chi giova?

Vittorio con bambina di Gaza

Vittorio

Gaza, Arrigoni strangolato poco dopo il sequestro. Lo sdegno e l’orrore dei palestinesi

15 apr 2011

Non è mai andata a letto, ieri notte, Gaza. Centinaia di persone – soprattutto giovani – hanno voluto aspettare i risultati del blitz di Hamas casa per casa. Ma verso le due di venerdì mattina si sono dovuti arrendere tutti alla realtà: Vittorio Arrigoni morto, strangolato probabilmente poco dopo il sequestro con un cavo metallico o qualcosa di simile. L’uomo è stato trovato senza vita in un angolo, in una casa alla periferia di Gaza City con indosso un giaccone nero e la testa coperta.

È finita così, in tragedia, l’avventura dell’attivista filopalestinese e blogger italiano rapito giovedì mattina verso le 10 (le 11 in Italia) da casa sua. A sequestrarlo sarebbe stato un commando ultra-estremista salafita.

Il corpo di Arrigoni resta per il momento vegliato all’ospedale Shifa di Gaza. Quello stesso ospedale dove lui accompagnava le ambulanze con i feriti ai tempi dell’offensiva israeliana “Piombo Fuso” di due anni fa. Alle autorità consolari italiane di stanza a Gerusalemme giunti nella Striscia venerdì mattina è stata già affidata la salma del 36enne. Salma che non potrà uscire da Gaza prima di domenica, giorno in cui verrà riaperto il valico di Erez, quello che porta verso Israele.

L’uccisione di Arrigoni è stata condannata sia da Hamas sia dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Fawzi Barhum (Hamas), ha additato gli ultra-integralisti salafiti definendoli «una banda di degenerati fuorilegge che vogliono seminare l’anarchia e il caos a Gaza». Mentre il negoziatore Saeb Erekat (Anp) ha detto che si è trattato di un «crimine odioso che non ha niente a che vedere con la nostra storia e con la nostra religione».

Di fronte all’oltraggio generale nei Territori per la uccisione di un attivista che era noto per il suo sostegno senza se e senza ma alla causa palestinese, uno dei gruppi salafiti attivi nella Striscia, al-Tawhid wal-Jihad, ha emesso un comunicato in cui si proclama estraneo alla vicenda anche se i rapitori (le finora sconosciute Brigate Mohammed Bin Moslama) avevano indicato fra i detenuti da liberare in cambio di Arrigoni un loro capo, Abd el-Walid al-Maqdisi.

Secondo fonti locali, le indagini hanno portato all’arresto d’un primo militante salafita. Dopo qualche ora di interrogatorio è stato lo stesso uomo a condurre gli uomini di Hamas fino al covo: un appartamento nel rione Qarame, a Gaza City, che i miliziani delle Brigate Ezzedin al-Qassam (braccio armato di Hamas) hanno espugnato nel giro di pochi minuti conclusa con la cattura di un secondo salafita. Ma per Arrigoni era già troppo tardi.

Il cordoglio, nella rete dei giovani palestinesi, è unanime. Così come la condanna. Per la prima volta si registrano nella Striscia di Gaza un’ostilità e una rabbia che rischia di travolgere non solo le varie fazioni estremiste e violente, ma anche gli stessi vertici di Hamas.

In molti ricordano, poi, il primo contatto con il volontario italiano. Dice Mohammed Rabah Suliman, un blogger di 22 anni di Gaza City, che «uno come lui che ha lasciato il lusso italiano per starsene in questo posto dimenticato da tutti non può meritare che il rispetto, la stima e l’affetto di tutti i palestinesi». Mohammed ricorda anche il primo messaggio su Facebook che Vittorio “Vik” Arrigoni gli ha inviato: «Ween?» (dove, in arabo). «Da lì è iniziata una grande amicizia». Il ragazzo ricorda anche il più grande sogno dell’italiano: «Non vedeva l’ora della proclamazione dello Stato palestinese e di sventolare la sua bandiera».

Per venerdì pomeriggio, alle 16 ora locale (le 17 in Italia), ci sarà a Gaza un presidio in memoria di Arrigoni. Nel frattempo i giovani del gruppo Gybo rilanciano in rete un video. C’è Arrigoni, in mezzo ad altri palestinesi di Gaza, che canta in favore dei giovani tunisini. Sembra uno di loro. Anzi, è uno di loro.

© Leonard Berberi

Nandino Capovilla per Vittorio

"Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l'inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto".

Così ripetevi durante Piombo fuso, unico italiano rimasto lì, tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Così mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all'ultimatum dei militari al valico di Heretz che mi ordinavano di uscire dalla Striscia, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere.
Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, così in contrasto, così lontano dall'affetto e dalla solidarietà della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non è “un posto scomodo dove si odia l'occidente”, come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all'inverosimile.

Immaginiamo i tuoi amici e compagni palestinesi ancora una volta inermi, ancora una volta senza una voce che porti fuori da quella grande prigione la loro disperazione, testimonianza della loro umanità ferita e umiliata.
Non spendiamo parole per quelli che non hanno saputo essere, e per questo non sono restati, umani.
La tua gente di Palestina non dimenticherà il tuo amore per lei. Hai speso la tua vita per una pace giusta, disarmata, umana fino in fondo.

Anche a noi di Pax Christi mancherà la tua “bocca-scucita” che irrompeva in sala, al telefono, quando, durante qualche incontro qui in Italia, nelle città e nelle parrocchie dove si ha ancora il coraggio di raccontare l'occupazione della Palestina e l'inferno di Gaza, denunciavi e ripetevi: “restiamo umani!” Tu quell'inferno lo raccontavi con la tua vita. 24 ore su 24. Perché eri lì. E vedevi, sentivi, vivevi con loro. Vedevi crimini che a noi nessuno raccontava. E restavi con loro.

Abbracciamo Maria Elena, la tua famiglia e vorremmo sussurrare loro che la tua è stata una vita piena perché donata ai fratelli e che tutto l'amore che hai saputo testimoniare rimarrà saldo e forte come la voglia di vivere dei bambini di Gaza.

Ci inchiniamo a te, Vittorio. Ora sappiamo che i martiri sono purtroppo e semplicemente quelli che non smettono di amare mai, costi quel che costi.

Don Nandino Capovilla
coordinatore nazionale di Pax Christi Italia

(a Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza)

(a Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza)



Ucciso ai confini del giorno

sulle onde del tempo

quando gli occhi di uno

sanno essere gli occhi di tutti

dentro un buio

che ora sibila accanto

ancora più buio, notte infame

non sapevi iniziare

ora non vorrai più finire.



Niente d’altro, sempre ingiusto

dentro il petto ci stride

quel canto, a ritroso

le parole non si sanno trovare

scavallare, per amore

per amore si può anche morire

ma che almeno

resti in piedi il sogno concreto

per il quale, salpa nave

e non smettere mai il navigare.



Gazza infame, gabbia aperta

alle stelle, vieni e fatti abbracciare

e consola il tuo figlio più bello

e respiragli il fiato sul viso

che ora lui non sa più respirare.



Giuseppe Spinillo