di Fabio Amato da “Liberazione” del 23/09/2011
Sono ore di passione all'Onu. In queste ore si consumerà un passaggio storico. Storico ed importante per i palestinesi, prima di tutto, che chiedono di essere riconosciuti come 194esimo stato membro delle nazioni unite. Sanno di avere con loro gran parte dei popoli della terra, persino dei governi, tranne di quelli che però fanno e disfano nel mondo a loro piacimento, come gli Stati Uniti d'America. La musica per loro, con Obama, non è cambiata.
Tante parole al vento, bei discorsi, tutti rimangiati di fronte al ricatto delle potenti lobbies israeliane negli States e insignificanti di fronte alla real politik della potenza imperiale ed imperialista. Che fa la guerra, come Bush, in Libia, ma manda avanti gli alleati. Che protegge Israele, come Bush, ma con eleganti discorsi che alimentano illusioni.
Gli Usa, con la pilatesca e vergognosa posizione espressa da Obama, mentono sapendo di mentire. Negare, come ha fatto Obama, la responsabilità internazionale e quella dell'Onu nella tragedia palestinese è ipocrisia infinita.
E' stata l'Onu, con una sua risoluzione, nel 1947, ad avvallare la nascita di Israele. Sul 48% della Palestina storica. Ora, dopo il '67, quel 48 si è trasformato in 78%. Con gli accordi di Oslo, i palestinesi si erano detti pronti ad accettare la nascita del loro stato su solo il 22 % di quella che era la Palestina storica e da cui erano stati cacciati con la forza. Ma ad Israele questo non è bastato. Ha continuato a colonizzare, ad annettere terre con il muro, a sequestrare la valle del giordano e l'acqua. Netanyahu ringrazia naturalmente. Colui che ha speso tutta la sua carriera politica per vedere naufragare la possibile soluzione del conflitto con i palestinesi è soddisfatto della posizione di Obama.
Ma anche se un veto fermerà il riconoscimento della Palestina, Israele sta isolandosi sempre di più agli occhi del medio oriente e del mondo.
Di quel mondo e di quelle nazioni, la stragrande maggioranza dell'Assemblea delle Nazioni unite, che dirà sì al riconoscimento dello Stato palestinese.
Enorme è la vergogna per il nostro paese. L'Italia, alle prese con la crisi e con gli ultimi giorni del buffone di Arcore, ignora che il nostro pessimo governo sta per prendere l'ennesima posizione da servo degli Usa e zerbino di Israele, preparandosi a votare contro il riconoscimento dello stato di Palestina. Una vergogna, una sciocchezza diplomatica e una follia geopolitica per un paese nel cuore del mediterraneo.
La formula dei due Stati per i due popoli è stata in questi anni usata da tutte le parti. Da chi con convinzione e serietà proponeva una via d'uscita praticabile al conflitto, a quei governi che, in realtà del tutto complici d'Israele, della sua occupazione e delle sue guerre, facevano finta di non vedere come il processo di pace stesse in realtà morendo sotto i colpi dell'aviazione israeliana a Gaza, degli alberi di ulivo sradicati in Cisgiordania per far posto al muro e alle nuove colonie, delle grida degli abitanti palestinesi di Gerusalemme o di Hebron forzatamente espulsi dalle loro case.
Di quali negoziati parlano, se Netanyahu non vuole toccare neanche un colono, non vuol discutere di Gerusalemme, nè dei profughi, nè dei confini del '67. Quello che chiede Israele, spalleggiato da Usa e da complici come il governo italiano, è la resa dei palestinesi, la loro capitolazione in cambio di una gruviera di territori e città, piena di coloni e muri.
Questi sepolcri imbiancati sono stati smascherati dall'iniziativa dell'Olp e di Abu Mazen. Se costoro erano per i due stati, perché non riconoscono quello che non c'è, la Palestina? L'iniziativa all'Onu è uno scatto di orgoglio e dignità da parte di una leadership, quella palestinese, logorata dal pugno di mosche che il processo politico negoziale le ha lasciato. Frutto di coraggio ma anche di disperazione. Un nulla di fatto che ne erodeva credibilità e consenso, e che con questa decisione di richiedere il riconoscimento dello stato di Palestina all'Onu recupera consensi riuscendo ad unire le tante fazioni palestinesi.
Una scelta compiuta nonostante le arroganti minacce di tagliare i fondi e gli aiuti internazionali da cui dipendono. L'Europa come al solito non è pervenuta. Chi sarà a favore, chi contro, chi si asterrà. Un ulteriore segnale della crisi verticale di una costruzione politica la cui unica anima è quella delle banche e la cui unica politica estera è quella di andare al carro della Nato e degli Stati Uniti.
Al veto degli Usa nel Consiglio di sicurezza è probabile che segua il sì dell'assemblea, che con i due terzi può dare all'Olp e alla Palestina lo status di osservatore non membro. Sarebbe comunque uno smacco per Usa e Israele e una vittoria politica per l'Olp. Nei prossimi giorni e mesi la situazione potrebbe vedere un innalzamento della tensione. Perché nonostante l'isolamento Israele continuerà ad occupare i territori palestinesi, ad assediare Gaza, a costruire colonie e muro.
Ed allora va continuata la mobilitazione dal basso e la lotta, con strumenti come la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, che può essere usata da tutti per denunciare Israele, la sua politica coloniale e costringerla a cambiare, nonostante i suoi potenti alleati, le sue bombe atomiche, la sua ostinata occupazione, la più lunga della storia contemporanea.
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venerdì 23 settembre 2011
martedì 16 agosto 2011
Ai parlamentari italiani che sono contro il riconoscimento dello stato palestinese
Onorevoli Parlamentari della Repubblica Italiana, Illustrissimo Presidente della Repubblica,
Abbiamo appreso con disappunto e preoccupazione (vedano:
http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/news/3067-no-allo-stato-di-palestina-firmato-i-parlamentari-italiani) che più di 150 Parlamentari italiani hanno sottoscritto la petizione lanciata dall’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele contro il riconoscimento dello Stato di Palestina, atteso per il prossimo settembre alle Nazioni Unite.
Vorremmo qui invitarvi ad esprimervi riguardo a questo drammatico problema, dopo aver compiutamente considerato la realtà della situazione dei rapporti tra Ebrei e Palestinesi Arabi nella terra tra il Giordano ed il Mediterraneo avendo come obbiettivo la pace, che è possibile solo con il render giustizia al popolo Palestinese. Sappiamo che in Israele-Palestina uno Stato moderno, potentemente armato e tecnologicamente avanzatissimo è stato fondato da Ebrei europei immigrati cacciando di casa gli abitanti autoctoni Arabi-Palestinesi. Parecchie migliaia di loro sono stati uccisi dalle armi israeliane o dagli stenti durante quella pulizia etnica; alcuni dei 750mila cacciati sopravvivono, con i loro discendenti (ormai alcuni milioni) in campi profughi nei Paesi circostanti, in condizioni spesso inumane. Quelli di loro rimasti in territorio israeliano, costituiscono oggi circa il 21% della popolazione di Israele, ma sono cittadini discriminati in modo inaccettabile in ogni paese civile. Come tutti ricordate, le Nazioni Unite avevano destinato il territorio dell’ex-Mandato Britannico a due stati, uno per gli Ebrei (il 56% della Terra) ed uno per gli Arabi Palestinesi (il 43%). Entro il 1949, lo stato di Israele ha conquistato con guerra vittoriosa contro gli stati Arabi circostanti (gli Arabi Palestinesi non avevano allora, né hanno oggi, uno stato) il 78% della Palestina. Dopo la conquista del 1967, Israele occupa militarmente anche quel 22%, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che erano rimaste ai Palestinesi. Le deliberazioni delle Nazioni Unite che ingiungevano a Israele di consentire il ritorno dei profughi alle loro case e di ritirarsi dalle terre occupate nel 1967 sono sempre state, e sono tuttora, del tutto disattese. Anzi, Israele ha continuamente installato coloni Ebrei nelle terre occupate militarmente, fondandovi colonie permanenti e cacciandone manu militari gli abitanti Palestinesi: questo processo è continuato ininterrottamente, e continua tutt’oggi, intensamente, contro il diritto internazionale ed i principi enunciati nella dichiarazione di indipendenza di Israele. Come certo sapete, Israele non ha una Costituzione (per proclamarla dovrebbe definire il territorio nazionale su cui sia valida, e Israele non lo vuol fare, in attesa di attribuirsi tutta la Terra tra il Giordano ed il Mediterraneo), ma sostiene di avere come documento ispiratore quella dichiarazione. Questo documento è continuamente violato a danno degli Arabi Palestinesi, che non hanno i fondamentali diritti dei cittadini israeliani Ebrei: dal 2003, Israele vieta ai suoi cittadini di convivere con coniuge e figli se hanno sposato Palestinesi (e poiché a sposare Palestinesi, dei cittadini israeliani, sono in assoluta prevalenza non gli Ebrei ma i Palestinesi, la norma è gravemente discriminatoria). Per vivere sotto lo stesso tetto con i famigliari, se questi risiedono nei territori occupati militarmente, i Palestinesi israeliani devono ottenere il permesso delle autorità... israeliane. Neppure il governo fascista era arrivato a tanto con le leggi razziali italiane del 1938. Per non parlare delle quotidiane angherie e violenze che i Palestinesi sono costretti a subire, e che hanno lo scopo di costringerli ad andarsene (dove?), delle migliaia di Palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane, senza i diritti alla difesa d’obbligo nei paesi civili, e dell'iniqua distribuzione dell'acqua, fra Palestinesi e coloni, nei territori occupati.
Purtroppo, la Comunità Internazionale è gravemente colpevole per l’aver permesso ad Israele di violare gravemente tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani in Palestina ed Israele, nonostante le conclusioni di numerose commissioni che hanno constatato la gravità dei fatti, compresa la strage di civili compiuta da Israele a Gaza nel 2008-2009. L’opinione pubblica italiana si è pronunziata, in molte circostanze, perché il nostro Paese prenda decisioni atte a instaurare Giustizia e Pace: ricordiamo anche le parole del Presidente Pertini: “Adesso sono partiti i Palestinesi. Ha avuto inizio la loro “diaspora”. Una volta furono gli Ebrei a conoscere la diaspora. Vennero dispersi, cacciati dal Medio Oriente e dispersi per il mondo; adesso sono invece i Palestinesi. Ebbene io affermo ancora una volta che i Palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria ed a una terra come l’hanno avuta gli Israeliani.”
(dal discorso di fine anno del 31 dicembre 1983)
Vi chiediamo dunque, onorevoli parlamentari, di prendere in considerazione, con urgente priorità, il riconoscimento di uno Stato di Palestina da parte delle Nazioni Unite: molti problemi rimarranno ancora per stabilire giustizia e pace in quella Terra, ma il riconoscimento internazionale darà alcune garanzie ai Palestinesi, di cui oggi non fruiscono. L’Italia non può mancare a questo suo dovere, e ci aspettiamo che il nostro Parlamento si pronunci e si impegni in questo senso.
A nome di Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione), dott. Paola Canarutto
Abbiamo appreso con disappunto e preoccupazione (vedano:
http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/news/3067-no-allo-stato-di-palestina-firmato-i-parlamentari-italiani) che più di 150 Parlamentari italiani hanno sottoscritto la petizione lanciata dall’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Israele contro il riconoscimento dello Stato di Palestina, atteso per il prossimo settembre alle Nazioni Unite.
Vorremmo qui invitarvi ad esprimervi riguardo a questo drammatico problema, dopo aver compiutamente considerato la realtà della situazione dei rapporti tra Ebrei e Palestinesi Arabi nella terra tra il Giordano ed il Mediterraneo avendo come obbiettivo la pace, che è possibile solo con il render giustizia al popolo Palestinese. Sappiamo che in Israele-Palestina uno Stato moderno, potentemente armato e tecnologicamente avanzatissimo è stato fondato da Ebrei europei immigrati cacciando di casa gli abitanti autoctoni Arabi-Palestinesi. Parecchie migliaia di loro sono stati uccisi dalle armi israeliane o dagli stenti durante quella pulizia etnica; alcuni dei 750mila cacciati sopravvivono, con i loro discendenti (ormai alcuni milioni) in campi profughi nei Paesi circostanti, in condizioni spesso inumane. Quelli di loro rimasti in territorio israeliano, costituiscono oggi circa il 21% della popolazione di Israele, ma sono cittadini discriminati in modo inaccettabile in ogni paese civile. Come tutti ricordate, le Nazioni Unite avevano destinato il territorio dell’ex-Mandato Britannico a due stati, uno per gli Ebrei (il 56% della Terra) ed uno per gli Arabi Palestinesi (il 43%). Entro il 1949, lo stato di Israele ha conquistato con guerra vittoriosa contro gli stati Arabi circostanti (gli Arabi Palestinesi non avevano allora, né hanno oggi, uno stato) il 78% della Palestina. Dopo la conquista del 1967, Israele occupa militarmente anche quel 22%, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, che erano rimaste ai Palestinesi. Le deliberazioni delle Nazioni Unite che ingiungevano a Israele di consentire il ritorno dei profughi alle loro case e di ritirarsi dalle terre occupate nel 1967 sono sempre state, e sono tuttora, del tutto disattese. Anzi, Israele ha continuamente installato coloni Ebrei nelle terre occupate militarmente, fondandovi colonie permanenti e cacciandone manu militari gli abitanti Palestinesi: questo processo è continuato ininterrottamente, e continua tutt’oggi, intensamente, contro il diritto internazionale ed i principi enunciati nella dichiarazione di indipendenza di Israele. Come certo sapete, Israele non ha una Costituzione (per proclamarla dovrebbe definire il territorio nazionale su cui sia valida, e Israele non lo vuol fare, in attesa di attribuirsi tutta la Terra tra il Giordano ed il Mediterraneo), ma sostiene di avere come documento ispiratore quella dichiarazione. Questo documento è continuamente violato a danno degli Arabi Palestinesi, che non hanno i fondamentali diritti dei cittadini israeliani Ebrei: dal 2003, Israele vieta ai suoi cittadini di convivere con coniuge e figli se hanno sposato Palestinesi (e poiché a sposare Palestinesi, dei cittadini israeliani, sono in assoluta prevalenza non gli Ebrei ma i Palestinesi, la norma è gravemente discriminatoria). Per vivere sotto lo stesso tetto con i famigliari, se questi risiedono nei territori occupati militarmente, i Palestinesi israeliani devono ottenere il permesso delle autorità... israeliane. Neppure il governo fascista era arrivato a tanto con le leggi razziali italiane del 1938. Per non parlare delle quotidiane angherie e violenze che i Palestinesi sono costretti a subire, e che hanno lo scopo di costringerli ad andarsene (dove?), delle migliaia di Palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane, senza i diritti alla difesa d’obbligo nei paesi civili, e dell'iniqua distribuzione dell'acqua, fra Palestinesi e coloni, nei territori occupati.
Purtroppo, la Comunità Internazionale è gravemente colpevole per l’aver permesso ad Israele di violare gravemente tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite per il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani in Palestina ed Israele, nonostante le conclusioni di numerose commissioni che hanno constatato la gravità dei fatti, compresa la strage di civili compiuta da Israele a Gaza nel 2008-2009. L’opinione pubblica italiana si è pronunziata, in molte circostanze, perché il nostro Paese prenda decisioni atte a instaurare Giustizia e Pace: ricordiamo anche le parole del Presidente Pertini: “Adesso sono partiti i Palestinesi. Ha avuto inizio la loro “diaspora”. Una volta furono gli Ebrei a conoscere la diaspora. Vennero dispersi, cacciati dal Medio Oriente e dispersi per il mondo; adesso sono invece i Palestinesi. Ebbene io affermo ancora una volta che i Palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria ed a una terra come l’hanno avuta gli Israeliani.”
(dal discorso di fine anno del 31 dicembre 1983)
Vi chiediamo dunque, onorevoli parlamentari, di prendere in considerazione, con urgente priorità, il riconoscimento di uno Stato di Palestina da parte delle Nazioni Unite: molti problemi rimarranno ancora per stabilire giustizia e pace in quella Terra, ma il riconoscimento internazionale darà alcune garanzie ai Palestinesi, di cui oggi non fruiscono. L’Italia non può mancare a questo suo dovere, e ci aspettiamo che il nostro Parlamento si pronunci e si impegni in questo senso.
A nome di Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro l'Occupazione), dott. Paola Canarutto
venerdì 12 agosto 2011
AL-HAQ: COMUNICATO STAMPA
Domande e risposte sulla iniziativa di settembre presso le Nazioni Unite
27.07.2011
Ref:. 253/2011 In quanto organizzazione impegnata nella protezione e promozione dei diritti umani nei Territori Occupati Palestinesi, Al-Haq ribadisce la sua ferma convinzione che la promozione di una legge internazionale è il quadro essenziale per la tutela dei diritti del popolo palestinese, e l'unica base per una soluzione giusta e sostenibile del conflitto.
Alla luce delle questioni che sono sorte nel contesto delle possibili iniziative palestinese alle Nazioni Unite (ONU), Al-Haq ha redatto una breve valutazione giuridica, che, aderendo ad una rigorosa applicazione del diritto internazionale e alla prassi legale attuale, intende chiarire alcune delle questioni giuridiche in gioco. Il documento affronta quattro temi principali: (i) le iniziative di settembre della Palestina, (ii) lo status di sovranità della Palestina nel diritto internazionale, (iii) la procedura di ammissione alle Nazioni Unite in qualità di Stato membro, e (iv) le potenziali implicazioni di queste iniziative. leggere "Al-Haq Domande e risposte sullo Iniziative della Palestina settembre presso le Nazioni Unite" Per ulteriori informazioni potete contattarci al haq@alhaq.org o per telefono al 972 2 295 4646.
Testo originale: http://www.alhaq.org/pdfs/qa_July_2011.pdf
alhaq
Traduzione ridotta tratta da: BOCCHESCUCITE , Agosto 2011
Questo documento di AL-HAQ si propone di rispondere ad alcune delle domande più comuni in vista delle iniziative dei rappresentanti palestinesi presso le Nazioni Unite
I. Iniziative della Palestina per settembre.
1. Quali sono i piani della leadership palestinese per settembre?
I rappresentanti palestinesi avevano inizialmente manifestato l'intenzione di emettere una dichiarazione (unilaterale) di indipendenza nel settembre 2011, con riferimento ai confini del 1967. Questo avrebbe modificato la Dichiarazione d'Indipendenza rilasciata dalla Organizzazione per la Liberazione della Palestina(OLP)
nel 1988 che rimane la base più recente per la statualità della Palestina. (…)
Il progetto è diventato una serie di iniziative che consistono in domande di adesione alle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite senza esclusiva, e la ratifica di diverse convenzioni e trattati internazionali, tra cui le Convenzioni di Ginevra e diversi strumenti legali sui diritti umani. In parallelo, la Palestina sta cercando di ottenere maggiori riconoscimenti della sua statualità da singoli Stati.
2. Che cosa ci si può aspettare dalle iniziative di settembre 2011 delle Nazioni Unite?
Le iniziative sono uno strumento importante per rafforzare le prospettive di adesione della Palestina ai trattati internazionali, in particolare agli strumenti legali sui diritti umani. (…) In pratica, il massimo che la Palestina potrebbe ottenere attraverso la procedura di ammissione delle Nazioni Unite, alla luce del probabile veto USA al Consiglio di sicurezza, sarebbe una risoluzione dell'Assemblea Generale che raccomanda il riconoscimento dello Stato di Palestina e / o la definizione di " Stato osservatore " presso le Nazioni Unite, come discusso più avanti.
II. Stato di Palestina: quale status nell'ambito del diritto internazionale
1. È la Palestina uno Stato secondo il diritto internazionale? Qual è la posizione della comunità internazionale per quanto riguarda la sovranità palestinese?
La Palestina è stata trattata come uno Stato dalla maggioranza degli Stati e delle organizzazioni internazionali negli anni. Nella sua qualità di osservatore presso l'ONU, alla Palestina sono stati accordati i diritti riservati agli Stati dal Consiglio di Sicurezza e dall'Assemblea Generale, tra gli altri organismi delle Nazioni Unite. (...)
Tuttavia, nel suo complesso, l’esistenza di uno Stato non è una questione legale, ma una questione puramente fattuale e politica. Le difficoltà inerenti alle domande riguardanti la Palestina, risultano dal fatto che la statualità è un concetto indeterminato ai sensi del diritto internazionale.(….) Ogni paese decide da solo se riconoscere il soggetto come uno Stato, esplicitamente o implicitamente, entrando in rapporti con esso.(….)
2. Il fatto che la Palestina è sotto occupazione modifica la sua condizione di statualità?
La statualità non è influenzata dalla occupazione bellica, e l'occupazione non può negare o trasferire la statualità sotto l'aspetto giuridico. (…) Durante l'occupazione, la sovranità sul territorio rimane in ogni momento alla popolazione locale. La sovranità e l'indipendenza del popolo palestinese, così come il suo diritto fondamentale all'autodeterminazione, sono stati affermati da numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, così come da dichiarazioni ufficiali rilasciate da singoli Stati.
3. Quali effetti può avere il riconoscimento sullo status di soggetto di diritto internazionale?
(…) Il riconoscimento è un atto dichiarativo e implica solo la presa d'atto del fatto legale che un ente è uno Stato. Il rifiuto di riconoscere la Palestina è un atto politico, che non ha nessuna implicazione legale sulla esistenza come Stato. Analogamente, una dichiarazione di indipendenza è solo un invito agli Stati per provocare il riconoscimento.
La maggior parte degli Stati, tra cui Israele, hanno riconosciuto la Palestina e la sovranità del popolo palestinese, esplicitamente o implicitamente, attraverso le relazioni con essa.
Finora, circa 117 Stati hanno esplicitamente riconosciuto la Palestina e i rappresentanti palestinesi prevedono di ottenere in totale oltre 130 riconoscimenti a partire da settembre 2011. (...)
4. La questione della sovranità della Palestina è rilevante per le iniziative di settembre?
(…) Come tale, né l’appartenenza delle Nazioni Unite, né un ulteriore riconoscimento della Palestina come Stato può legalmente determinare se si tratta di uno Stato; ogni Stato e Organizzazione internazionale avranno l'ultima parola sulla loro scelta di trattare la Palestina come Stato.
La posta in gioco nel contesto delle "iniziative settembre" non è la statualità della Palestina come tale, ma una strategia per rafforzare la posizione della Palestina nell'ordinamento giuridico internazionale. (...)
III - Procedura di ammissione delle Nazioni Unite
Qual è la procedura per l'ammissione di uno Stato membro delle Nazioni Unite?
La procedura per essere accettati come membro delle Nazioni Unite inizia quando uno Stato presenta una domanda al Segretario Generale dichiarando la sua adesione alla Carta delle Nazioni Unite. Successivamente, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza devono emettere una raccomandazione che richiede almeno nove voti di approvazione e nessun veto da un membro permanente; solo allora l'Assemblea Generale può votare l'ammissione del nuovo membro. Il voto dell'Assemblea Generale deve essere approvato da una maggioranza dei due terzi.
Il Consiglio di Sicurezza è composto da cinque membri permanenti che hanno un potere di veto: Cina, Francia, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti, e dieci membri non permanenti (tra parentesi l’anno di fine periodo): Bosnia-Erzegovina (2011), Germania (2012), Portogallo (2012), Brasile (2011), India (2012), Sud Africa (2012), Colombia (2012), Libano (2011), Gabon (2011), Nigeria (2011) .
Il presidente americano Obama ha espresso l’intenzione degli Stati Uniti di porre il veto su una raccomandazione del Consiglio di Sicurezza sulla ammissione della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite.(….)
2. La procedura di ammissione delle Nazioni Unite sarà giunta al termine se il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è in stallo a causa di un veto?
(….) Si prevede che una situazione di stallo al Consiglio di Sicurezza possa portare la procedura "classica" di ammissione delle Nazioni Unite ad uno stallo finale. Tuttavia alcune iniziative possono essere prese dall'Assemblea Generale per agire, a dispetto di una raccomandazione negativa del Consiglio di sicurezza, tra cui gli scambi di informazioni tra i due enti, che possono avvenire per chiarire le ragioni di una raccomandazione negativa del Consiglio di Sicurezza.(…)
3. Qual è l'opzione di “Stato osservatore” ? Quale significato ha, giuridico o politico?
Alla luce delle pressioni politiche in atto all'ONU, il massimo che si può realisticamente prevedere che risulterà dalla domanda di ammissione della Palestina alle Nazioni Unite potrà essere una risoluzione dell'Assemblea Generale in cui la maggioranza degli Stati raccomanda il riconoscimento della statualità della Palestina
e la concessione della condizione di "Stato osservatore
Tale status si basa esclusivamente sulla pratica, e non ci sono disposizioni per essa nella Carta delle Nazioni Unite. Questo potrebbe fornire alla Palestina una ulteriore leva politica, e confermare i suoi diritti in qualità di Stato all'interno del sistema delle Nazioni Unite. (...)
Quale potrebbe essere il valore di una ammissione come membro delle Nazioni Unite (o la condizione di “Stato osservatore”) per la Palestina?
Nonostante l’importante valore simbolico politico di appartenenza e la raccomandazione delle Nazioni Unite per il riconoscimento da parte dell'Assemblea Generale, tali condizioni non portano alcuna conseguenza giuridica in quanto tali. I palestinesi non rivendicano un loro diritto alla sovranità o all'indipendenza, ma piuttosto rivendicano i mezzi per esercitarle effettivamente.
IV - Implicazioni delle iniziative della Palestina settembre
1. Quali sono le implicazioni legali delle iniziative di settembre?
Alcuni effetti: ammissione della Palestina ad alcune organizzazioni internazionali e adesione a trattati; aumento in linea generale della legittimità politica e della personalità giuridica. Un certo numero di guadagni possono essere realizzati da tale strategia, riguardo all'accesso ai meccanismi di riconoscimento di
responsabilità per le violazioni del diritto internazionale compiute da Israele, che finora hanno beneficiato di un clima di impunità in cui la giustizia è stata tenuta in ostaggio dalla politica del "tavolo di negoziato" dal millantato "processo di pace".(….)
2. Quali sono le implicazioni politiche delle iniziative di settembre?
Le implicazioni politiche che possono sorgere da queste iniziative sono molteplici e sono state spesso confuse con quelle legali. Le implicazioni legali indirette, discusse in precedenza, supportano diverse implicazioni politiche nella posizione della Palestina nel sistema giuridico internazionale, portandola su un piano di
"parità formale" con gli altri Stati. Assumendo tale legittimità nell'ordine giuridico internazionale, la Palestina potrà avere una collocazione migliore per rivendicare i propri diritti presso la comunità internazionale, in particolare i mezzi per esercitare il diritto all'autodeterminazione.(…)
3. Quali sono i potenziali benefici delle iniziative di settembre?
Sulla sfondo c’è l'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele in corso da più di quattro decadi, che equivale ad una continua negazione del diritto del
popolo palestinese all'autodeterminazione. (…) Gli Stati si trovano già nell'obbligo inequivocabile di non riconoscere la situazione come legale, di non prestare
aiuto o assistenza ad Israele, così come a collaborare attivamente per porre fine alle violazioni compiute da essa. (...)
Le iniziative di settembre potrebbero influenzare la protezione dei civili nei territori occupati in termini di applicazione del diritto internazionale umanitario
e dei diritti umani?
La legge applicabile ai Territori Occupati è la legge del conflitto armato internazionale, che si applica in virtù della occupazione da parte di Israele del territorio palestinese, vale a dire la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza. Le iniziative di settembre, a prescindere dalla loro risultati attesi, non porteranno alcun adeguamento del quadro normativo applicabile al TPO, in quanto il territorio palestinese resterà sotto il controllo effettivo e l'amministrazione
della Potenza occupante, Israele. (...)
Quali sono i rischi che comporta l'avvio delle iniziative di settembre? Possono pregiudicare il futuro esercizio dei diritti nazionali palestinesi e / o la determinazione di domande relative alle frontiere e rifugiati?
Nessuna delle prossime iniziative comporterà alcuna modificazione giuridica agi attuali diritti del popolo palestinese, e cioè il diritto all'autodeterminazione e il diritto al ritorno dei rifugiati, che è parte integrante del esercizio del diritto all'autodeterminazione. Questi sono diritti che sono riferiti al popolo ed esercitato da esso, non da uno Stato, e quindi non saranno compromessi o pregiudicati da decisioni sull'ammissione di uno Stato presso un'organizzazione internazionale o dal suo riconoscimento da parte di altri Stati.
Inoltre, una volta che la Palestina sarà in grado di esercitare pienamente i suoi diritti di sovranità e indipendenza, e cioè quando sarà posta fine all'occupazione, lo Stato palestinese dovrà definire e stabilire le basi legali della nazionalità palestinese.
Pertanto, le preoccupazioni del popolo palestinese sugli effetti della ammissione della Palestina alle Nazioni Unite per quanto riguarda la futura determinazione dei confini entro quelli del 1967 sono di natura politica e non devono essere confusi con gli effetti giuridici di questi processi . Le iniziative di settembre non si tradurranno
in una erosione dei diritti, o nel pregiudizio del loro esercizio futuro, perché in quanto tali non consistono nell'esercizio di qualsiasi diritto, né esse sono abilitate a realizzare qualsiasi cambiamento della situazione di occupazione. Quello che hanno lo scopo di raggiungere è la promozione delle pretese di fornire al popolo palestinese i mezzi per esercitare tali diritti.
Le iniziative settembre sono un esercizio del diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione?
La statualità in quanto tale, la determinazione dei confini e il governo di una entità sono due cose separate. Il primo, come discusso in precedenza, non è una questione legale in quanto tale, mentre i secondi sono materie che verranno determinate dal popolo nel corso dell'esercizio del suo diritto all'autodeterminazione.
In pratica, l'esercizio del diritto di autodeterminazione richiederebbe la partecipazione popolare del popolo palestinese nel suo complesso, cioè la popolazione locale dei Territori Occupati, i rifugiati palestinesi, la diaspora palestinese, così come i cittadini palestinesi di Israele. Un referendum è il comune mezzo più pratico per l'esercizio del diritto di autodeterminazione di un popolo, come nel caso del Sudan meridionale che è stato recentemente riconosciuto come uno Stato membro della UN. Lo svolgimento di un referendum potrà anche fornire ulteriore legittimità e leva per ogni iniziativa degli attuali rappresentanti palestinesi, se questi intendono includere le questioni che riguardano, ad esempio, la delineazione di confini territoriali.
È possibile che le iniziative Settembre siano viste come una violazione degli accordi tra Israele e l'OLP, in particolare degli accordi interinali del 1995 (accordi di Oslo) tra Israele e OLP ?
Gli accordi interinali (Accordi di Oslo) tra l'OLP e Israele non sono un trattato secondo il diritto internazionale e non possono compromettere o modificare uno qualsiasi dei diritti garantiti dalle Convenzioni di Ginevra alla popolazione palestinese occupata. In quanto tali, questi accordi conclusi tra la Potenza occupante e il rappresentante della popolazione occupata per l'amministrazione del territorio occupato, non negano i diritti e gli obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. (…)
(traduzione di Carlo Nizzero)
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