domenica 29 luglio 2012

Non c'è pace per il Freedom Theatre

Nuova udienza per Nabil al Raee Tornato libero su cauzione, ora il successore di Juliano Mer Khamis alla guida del Freedom Theatre attende il giudizio di una corte militare israeliana. di Valeria Cagnazzo Roma, 29 luglio 2012, Nena News - Al momento della scarcerazione, la moglie, Micaela Miranda, l'avrà salutato come aveva previsto, dicendogli semplicemente "Sono molto contenta di rivederti", e poi con un bacio, forse breve e nervoso, forse lungo e appassionato, dopo un'estenuante attesa durata per oltre un mese. La notte del 6 giugno scorso, infatti, il direttore artistico del Freedom Theatre di Jenin (Cisgiordania), Nabil Al-Raee, era stato arrestato. Senza un motivo apparente, perché i soldati si rifiutarono allora di fornire a Micaela informazioni relative alle ragioni dell'arresto, o del sequestro, come i palestinesi lo definiscono. Nel campo profughi di Jenin le irruzioni dell'esercito sono ormai all'ordine del giorno, i soldati arrivano all'improvviso e portano via qualcuno. "E' come una partita a scacchi" aveva spiegato la moglie di Al-Raee: "E' il loro modo di instillare terrore nella comunità. Non sappiamo mai chi sarà il prossimo, dove lo porteranno e per quanto tempo resterà in prigione". In prigione al Raee è rimasto fino al 12 luglio scorso, quando è stato liberato sotto cauzione e ha potuto riabbracciare Micaela e sua figlia Mina, come ha detto lui stesso grazie a Dio, "alhamdulillah". In questi giorni l'artista palestinese dovrà partecipare, però, a una nuova udienza, in cui risponderà all'accusa di aver "collaborato" con il ricercato Zakaria Zubeidi, suo vicino di casa e cofondatore con l'attore e regista palestinese-ebreo Juliano Mer Khamis del Freedom Theatre, fornendogli sigarette e passaggi in auto. Per tre volte il giudice aveva rilevato l'assenza di qualsiasi capo d'accusa per tenere il "sospettato" in carcere e per tre volte si era chiesto "più tempo" per trovare delle prove. Finalmente liberato, almeno provvisoriamente e per una somma di 800 dollari - come si legge sul sito ufficiale del Freedom Theatre -, al Raee ha voluto raccontare la sua traumatica esperienza nella prigione di Ashkelon, in Israele, dove ha praticato, per protesta, lo sciopero della fame, che l'amico Zakaria porta ancora avanti dietro le sbarre. Nella sua cella, il successore di Juliano Mer Khamis ha passato due giorni legato ad una sedia, dopo aver passato due test alla macchina della verità. Dopo il quarto test della verità, gli inquisitori annunciarono a Nabil che l'avrebbero scarcerato il giorno seguente, ma la promessa si rivelò una menzogna e la prigionia immotivata si protrasse. Agli interrogatori canonici - prosegue il racconto - si aggiungevano, inoltre, estorsioni di informazioni private, violenze psicologiche e minacce: gli inquisitori arrivarono a chiedere ad al Raee di immaginare cosa sarebbe successo a sua figlia se, per causa sua, anche sua moglie fosse stata arrestata. Un giorno, sette interrogatori entrarono insieme nella sua cella, rivolgendogli ciascuno domande diverse e ricorrendo alle più abili arti della psicologia: alcuni - continua il resoconto - lo trattavano cordialmente, altri sfoggiavano atteggiamenti arroganti e violenti, senza, tra l'altro, riuscire a farsi confessare crimini. Al Raee ha anche riferito che gli dissero che sapevano della sua innocenza in relazione all'omicidio di Mer Khamis (avvenuto ad aprile 2011 a Jenin) ma che intendevano tenerlo in prigione a causa del "pericolo" che la sua attività di artista ed attivista non-violento rappresenta per l'occupazione israeliana della Cisgiordania. Si aspetta ora l'esito del processo. Da parte loro gli altri membri del Teatro della Libertà riferiscono di "avere paura". La sorte toccata al Raee - temono - quella con cui ancora combatte Zakaria Zubeidi, potrebbe spettare ad ogni attore, ad ogni studente. Avvicinarsi al teatro - spiegano - parlarne o addirittura farne parte equivale a percorrere un terreno minato. "Quando irrompono in casa tua con le armi per sequestrarti tuo marito, o quando ti uccidono davanti a tutti perché pensi liberamente, come nel caso di Juliano, faccio fatica a pensare come l'arte possa combattere contro le armi", ha commentato Micaela Miranda Il Freedom Theatre chiede adesso che i suoi sostenitori continuino ad esprimere il loro sostegno e a premere affinché le autorità palestinesi si impegnino a rispettare la legge. Zakaria Zubeidi è ancora in sciopero della fame, nella prigione di Gerico, dove è segregato, riferisce il suo avvocato Farid Hawash, sulla base di accuse arbitrarie e inesistenti. Lo stesso Hawash, è stato arrestato il 12 luglio con l'accusa di aver ingiuriato l'Autorità Nazionale Palestinese, e rilasciato solo sei giorni dopo. Hawash aveva ripetutamente denunciato il comportamento dell'ANP e il suo disinteressamento nei confronti del caso. Un mese prima, anche la moglie di Nabil al Raee aveva espresso la propria costernazione. "L'esercito israeliano - aveva accusato - sta lavorando con l'Autorità Palestinese. L'ANP non difende i palestinesi, ma i propri interessi. Sono colpevoli di una parte dell'oppressione e incassano percentuali degli aiuti internazionali che arrivano. Prima di entrare nei campi profughi i gruppi armati chiamano l'ANP".

lunedì 16 luglio 2012

L'apartheid dell'acqua

di Gideon Levy (*) Avifail coordinatore delle ispezioni per conto dell'amministrazione civile, cioè - parlando senza eufemismi -dell'organizzazione che gestisce l'occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Presumibilmente ama il suo lavoro. Forse ne va perfino fiero. Non si disturba a precisare il suo cognome sul modulo che firma. E perché mai dovrebbe? La sua firma - "Avi", con uno svolazzo - è sufficiente a rendere operativi i suoi ordini. E quelli di Avi sono tra i più brutali e disumani mai imposti da queste parti. Avi confisca i serbatoi d'acqua che servono a centinaia di famiglie palestinesi e beduine che abitano nella valle del Giordano. Per queste persone, i serbatoi sono l'unica fonte d'acqua. Nelle ultime settimane Avi ne ha confiscati una quindicina, lasciando decine di famiglie con bambini soffrire la sete nella calura spaventosa della valle del Giordano. I moduli che si preoccupa tanto di compilare in stile fiorito dicono: "Vi è motivo di sospettare che costoro si siano serviti degli articoli citati per commettere un reato". A quanto sostengono i capi di Avi, il "reato" è il furto d'acqua da una conduttura. Ecco perché i serbatoi vengono confiscati: senza indagini, senza processo. Benvenuti nel paese dell'illegalità e della malvagità. Benvenuti nel paese dell'apartheid. Israele non permette a migliaia di sventurati di allacciarsi alle condutture idriche. Quest'acqua è solo per gli ebrei. Neanche i più abili propagandisti israeliani potrebbero negare la separazione nazionalista e diabolica che viene realizzata qui. L'asse del male si trova a circa un'ora di auto dalla casa di molti israeliani, ma essendo emotivamente distante e lontano dal cuore, non suscita nessuna "protesta sociale". Ed è quanto di peggio vi sia sulla scala della malvagità israeliana. Puntellato da formulari e burocrazia, applicato da ispettori apparentemente non violenti, non comporta una goccia di sangue, ma non lascia neanche una goccia d'acqua. L'amministrazione civile dovrebbe occuparsi delle esigenze della gente. Ma non si ferma neanche di fronte al provvedimento più spregevole - privare dell'acqua persone e bestiame nella calura torrida dell'estate - per raggiungere l'obiettivo strategico di Israele: scacciare queste persone dalle loro terre in modo da ripulire la vallata dagli abitanti non ebrei. Naturalmente i furti d'acqua, che siano avvenuti o meno, sono solo un pretesto. Anche fossero avvenuti davvero, queste persone che scelta hanno? Le autorità non gli consentono di allacciarsi alle condutture idriche che corrono attraverso i loro campi e dalle quali scorre l'acqua che va a irrigare abbondantemente le vigne e i campi verdeggianti dei coloni ebrei negli insediamenti in territorio palestinese. La settimana scorsa ho visto le persone a cui Avi aveva confiscato i serbatoi lasciandole in balia della sete: bambini appena nati, una ragazzina disabile, un maschietto che aveva subito da poco un'operazione chirurgica, donne e anziani; e naturalmente le pecore, che qui sono l'unica fonte di reddito. Abitanti senz'acqua: in Israele, non in Africa. Acqua per una nazione sola: in Israele, non in Sudafrica. Ma non è questo il solo spartiacque. Pochi giorni fa l'esercito israeliano ha deciso di tenere delle esercitazioni in questa zona. E che ha fatto? Ha sfrattato gli abitanti dalle loro case per ventiquattr'ore. Ma non tutti: solo i palestinesi e i beduini. Non è venuto in mente a nessuno di sfrattare i coloni ebrei che abitano negli insediamenti di _ Maskiot, Beka'ot oppure Ro'i, nella valle del Giordano. Le autorità non chiamano apartheid neanche questo. E una volta sfrattate, queste persone dove le trasferiscono? Dove le porta il vento. E così, circa quattrocento persone sono state costrette a lasciare tende e baracche e a trascorrere un giorno e una notte sul suolo arido lungo la strada, esposte alle intemperie. Amjad Zahawa, un bimbo di due anni, ha trascorso la sua terza giornata sotto il sole torrido, senza neanche una tettoia sopra la testa. Auguri Amjad: benvenuto nella realtà della tua vita. Come abbiamo già detto, Avi ama il suo lavoro e ne va fiero. Come lui, altre decine di persone fanno questo lavoro spregevole. Ma non sono i soli colpevoli: dietro di loro ci sono milioni di israeliani che a tutto questo rimangono completamente indifferenti. Girano tranquillamente in auto per la valle del Giordano senza far caso alla massicciata infinita che corre lungo il tracciato della strada imprigionando gli abitanti e impedendogli di accedere alla strada. Ogni tanto c'è una cancellata di ferro. I soldati, rappresentanti del misericordioso occupante, si fanno vivi ogni pochi giorni e la aprono per un attimo. A volte se ne dimenticano, altre volte sono in ritardo. A volte perdono la chiave, ma che importa? Questa è un'occupazione illuminata, Israele ha ragione, l'esercito israeliano è "il più morale" che c'è e l'apartheid è solo un'invenzione di quelli che odiano Israele. Andate nella valle del Giordano a vedere con i vostri occhi.

domenica 8 luglio 2012

NESSUN M346 A ISRAELE!

Nessun M346 a Israele Dedicato a Stefano Ferrario* Fin dal 2005 è operativo uno scellerato accordo di “cooperazione militare”, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele. Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’ “Operazione piombo fuso” del dicembre 2008 - gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo “potere aereo” la popolazione palestinese civile inerme (1400 uccisi, di cui ca 400 bambini). Un’ azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità (come documentato dall’ ONU nel “Rapporto Goldstone”). Un’operazione condannata dalle principali organizzazioni internazionali per la promozione e la difesa dei diritti umani. L’Italia, almeno di fronte a ciò, avrebbe dovuto condannare Israele e recedere da quegli accordi di cooperazione militare. Ma come avrebbe potuto quando anch’essa, dopo l’introduzione del “Nuovo Modello di Difesa” nel 1991 - che ammette interventi militari “ovunque i propri interessi siano minacciati” - viola sistematicamente l’articolo 11 della nostra Costituzione, che invece “ ripudia la guerra”? Quando partecipa alle iniziative militari USA e NATO e fa “carta straccia” dello Statuto dell’ONU che voleva “risparmiare la guerra alle generazioni future”, vietandola esplicitamente ? Il nostro paese non avrebbe dovuto sottoscrivere quell’accordo di cooperazione militare perché esso viola la Legge 185/90 che pone limiti all’export di armi verso paesi belligeranti; a maggior ragione verso Israele, paese in conflitto e fuorilegge per la sistematica violazione delle Risoluzioni ONU e dei pareri della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja a tutela dei diritti del popolo palestinese. Il Tribunale Russell (un’istituzione composta da personalità emerite, giuristi e intellettuali, tra cui diversi premi Nobel) ha infatti affermato che il popolo palestinese è “soggetto a un regime istituzionalizzato di dominazione che integra la nozione di Apartheid come definita nel diritto internazionale”. E lo Statuto della Corte Penale Internazionale all’art. 7 comma 1 include l’Apartheid tra i “crimini contro l’umanità”, definendolo “atto inumano commesso nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e dominazione di un gruppo razziale su di un altro, e commesso con l’intento di mantenere quel regime”. Invece accade che, facendo “carta straccia” anche della L.185/90, AleniaAermacchi, la società di Finmeccanica con sede nazionale e stabilimenti significativi a Venegono (Varese), si accinge a consegnare ad Israele 30 jet M346 , definiti come “addestratori tecnologicamente avanzati” ma in realtà già strutturati per essere armati con missili o bombe. Queste armi verranno sicuramente testate contro i palestinesi, prima di tutti. Nella sua qualità di addestratore l’M346 è finalizzato a formare i piloti all’uso di cacciabombardieri tecnologicamente più evoluti tra i quali il “netcentrico” e “invisibile” F35, di cui Israele si vuole dotare (19 + 56 in opzione), e che anche l’Italia sta purtroppo acquistando per le guerre future. Negli ultimi mesi è cresciuta in Italia una significativa opposizione all’acquisto degli F35 per il loro costo esorbitante ( non meno di 15 miliardi di euro) che sottrae risorse all’economia civile e ai settori dello “Stato Sociale” già colpiti dai tagli operati da governi più o meno tecnici, capaci solo di colpire i più deboli. Ma l’opposizione agli F35 non è certo solo economica; è soprattutto opposizione alla “neoguerra”, pratica affermatasi negli ultimi 20 anni che chiama “pace” la guerra, e la vorrebbe giustificare come strumento di “sicurezza preventiva” e di “esportazione di democrazia”, giungendo così a definirla “umanitaria”. Ma “guerra umanitaria” è un ossimoro: la guerra provoca solo morti, feriti, distruzioni e genera odio, rancori e vendette; essa è quanto di più disumano si possa immaginare. *Una raccolta degli scritti di Stefano su PeaceReporter si trova qui: http://it.peacereporter.net/ricerca.php?Titolo=&testo=stefano+ferrario&keyword=&numero=21 La notizia della sua tragica morte invece è qui: http://www3.varesenews.it/gallarate_malpensa/articolo.php?Id=235780 L’acquisto da parte di Israele degli M346 e degli F35 – questi ultimi verranno prodotti e periodicamente revisionati a Cameri (Novara) proprio da AleniaAermacchi – è inoltre inserito all’interno di un quadro di riarmo ad alta tecnologia, che impegna l’industria bellica israeliana e che fa perno anche sulle sue armi nucleari (come già denunciò nel 1986 il fisico israeliano Mordechai Vanunu che scontò per questo 18 anni di carcere in isolamento). Grazie ad una accorta manipolazione mediatica Israele, che non ha mai firmato il “Protocollo di Non Proliferazione Nucleare” e che è ben dotato di armi nucleari, si presenta come legittimato ad intraprendere una guerra contro l’Iran, che invece quel Protocollo ha firmato e che afferma di voler utilizzare l’energia prodotta da generatori nucleari solamente a fini civili. Una guerra questa che dobbiamo scongiurare a tutti i costi perché, tra l’altro, potrebbe degenerare in un’escalation incontrollata. Mai più guerra, avventura senza ritorno. Questi aerei non devono essere venduti. Le armi non devono essere prodotte. Nel maggio di quest’anno si è già svolto a Varese un importante convegno contro l’F35 e sui temi del ripudio della guerra, del taglio alle spese militari e della riconversione al civile. Chiediamo ai lavoratori di AleniaAermacchi e di tutte le aziende a produzione militare di non accettare il ricatto occupazionale e di adoperarsi affinché le fabbriche non producano strumenti di morte ma siano destinate alla produzione di beni socialmente utili ed ecologicamente compatibili. Tra l’altro, in questo caso, la “vendita” degli M346 ad Israele sarà “ compensata”dalla cessione all’Italia di altre armi: infatti a fronte della commessa da 1 miliardo per la fornitura dei 30 velivoli, l’accordo commerciale prevede che noi acquistiamo da Israele materiale bellico per il valore di 2 miliardi. Non possiamo più attendere, diciamo: Solidarietà ai lavoratori che si trovano costretti a contraddirsi nell’ etica, ma NO alla Guerra, NO alle produzioni belliche ed ai mercanti di morte. Nessun M346 né altra arma deve essere data ad Israele. L’Italia receda dall’accordo di cooperazione con quel Paese. Siano riconosciuti i diritti del popolo palestinese. Siano garantite Pace e Giustizia per tutti i popoli di quella regione. Un nuovo apartheid merita una nuova mobilitazione. Uniamo le forze di tutti quelli che si oppongono alla violenza, alla prepotenza, alla falsità di chi (parlando di pace e giustizia e facendo la guerra) pratica e promuove la predazione delle nostre vite, delle nostre speranze, delle nostre idee, del nostro lavoro. Di chi ci fa continuamente passare sopra la testa, come malefici cacciabombardieri, scelte di morte, di sopraffazione, di subdolo dominio finanziario che minano la democrazia e vanificano la sovranità popolare. Sostenitori della Palestina, pacifisti, antinucleari, tutori dei beni comuni, ambientalisti, oppositori di “grandi opere”e servitù militari, associazioni umanitarie, culturali e sociali, collettivi, reti, lavoratori e rappresentanze sindacali, disoccupati, precari, studenti, tutti uniti in quanto vittime, o dalla parte delle vittime…., troviamoci allora in tanti, tanti, arricchiti delle nostre differenze, nonviolenti, a Venegono Superiore davanti ad AleniaAermacchi, così come abbiamo fatto in passato davanti alle basi militari di Comiso, Camp Darby, Vicenza, Solbiate Olona e alle aziende belliche di tutta Italia, così numerose in provincia di Varese. VI INVITIAMO ALLA MANIFESTAZIONE NAZIONALE di sabato13 Ottobre 2012 presso l’AleniaAermacchi di Venegono-Varese Il Comitato promotore varesino (segreteria tel 0332-238347) Per adesioni (di associazioni, gruppi e singole persone) invia una mail a nessunm346xisraele@gmail.com Venegono (Varese), 30 Giugno 2012

ZINGARETTI: ISRAELE È UN MODELLO DA RIFIUTARE

Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, invita Israele come “ospite d’onore” alle Giornate della Creatività e dell’Innovazione ed è contestato da parte di attivisti solidali con il popolo palestinese Zingaretti ha presentato Israele come “modello da imitare”, nonostante le sue sistematiche violazioni dei diritti umani, all’iniziativa del 4-5 luglio tenuta al Teatro India e volta a formare giovani italiani, offrendo ai migliori viaggi premio in Israele. http://www.shalom.it/J/index.php?option=com_content&task=view&id=1189&Itemid=1&ed=53 In precedenza Zingaretti era stato chiamato a ritirare l’invito da parte della Rete Ebrei contro l’Occupazione, che gli aveva ricordato come Israele fosse stato creato “occupando la terra di Palestina e cacciandone a mano armata gli abitanti, gli Arabi Palestinesi”. http://www.informarexresistere.fr/2012/06/26/lettera-di-eco-a-zingaretti-che-vuole-prendere-esempio-da-israele/#axzz1zlaQTXRa Un invito ad escludere Israele era arrivato anche dalla Palestina, da parte del PACBI, la Campagna Palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele, che aveva fatto appello al presidente della Provincia ad “essere fedele alla sua missione per l’innovazione e la creatività al servizio dell’umanità” poiché altrimenti “sarebbe stato come promuovere l’oppressione e le violazioni dei diritti umani”. http://stopagrexcoitalia.org/news/300-pacbi-zingaretti.html Ma tali appelli restavano inascoltati. Pertanto, il 3 luglio, alla vigilia dell’iniziativa, attivisti di Un Ponte per e della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese distribuivano volantini alla Festa del PD, ricordando le principali violazioni ed illegalità compiute da Israele fin dalla sua nascita: alla richiesta di spiegare le ragioni della sua scelta, Zingaretti non rispondeva e si allontanava rapidamente. La stessa notte, la zona intorno al luogo delle due giornate veniva tappezzata con manifesti che mostravano aspetti del “modello Israele” che Zingaretti aveva volutamente omesso: case palestinesi demolite dalle ruspe israeliane, Gaza invasa dal terrore di Piombo Fuso, l’oppressione della popolazione palestinese, il muro dell’Apartheid. Foto: http://www.flickr.com/photos/81931077@N08/sets/72157630416375144/ Il 4 luglio infine, venivano distribuiti al pubblico dell’iniziativa per i giovani volantini che chiedevano se “davvero un giovane studente o un futuro imprenditore può assumere le politiche coloniali, illegali e razziste di questo stato come ‘valori’ o comportamenti ‘etici’ da imitare”? Tra gli interventi dal palco, tutti improntati al liberismo più sfrenato, quello dell’ambasciatore di Israele, del Prof. Shlomo Maital della Technion, università israeliana che vanta una stretta collaborazione con il produttore israeliano di armi Elbit, e del giovane imprenditore Ishay Green, che, scelto forse più per il suo bell’aspetto che per altro, riassumeva i problemi italiani nella burocrazia e nella difficoltà a licenziare gli “impiegati pigri”. Nonostante lo spazio previsto per le domande fosse blindato dalla moderatrice, attivisti della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese e del Gruppo BDS Roma riuscivano ad imporre una domanda d’obbligo, e scandivano, utilizzando il microfono umano stile Occupy Wall Street: “i giovani italiani, che vinceranno il viaggio in Israele, andranno a visitare il Muro dell’Apartheid, le colonie illegali, i villaggi palestinesi distrutti nel 1948, Gaza sotto assedio? Video: http://www.youtube.com/watch?v=ZryCWG5y6Zo In entrambe le occasioni, Zingaretti, posto di fronte alla logica stringente delle domande, con cui peraltro concordava parte del pubblico, soprattutto alla Festa del PD, non ha saputo rispondere: no, come candidato Sindaco della Città di Roma non ha fatto una bella figura. Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese Un ponte per… Gruppo BDS Roma

giovedì 5 luglio 2012

Non ci sono limiti all'inumano: Israele è uno stato senza senso della vergogna

Ayyub, un minorenne arrestato di ritorno da in intervento. di Giuditta Mauro – Gazzella Onlus Ayyub, oggi 20 anni, imputato per presunti reati commessi all'età di 16 anni, è stato arrestato a giugno del 2011 al suo rientro dalla Slovenia dove si era recato per l'applicazione di un arto artificiale. Ayyub è entrato nel progetto Gazzella quando aveva perso la gamba destra e riportato altre ferito sul corpo, sotto i bombardamenti israeliani nell'aprile del 2008. A distanza di un anno dal suo arresto, sia l'Associazione dei Diritti Umani El Mezam di Gaza, che segue il caso, sia la famiglia, confermano che poco si sa sul suo stato di salute e sulle ragioni dell'arresto. Solo la Croce Rossa Internazionale e l' avvocato hanno potuto visitare Ayyub nel carcere di Beer Sheva dove è detenuto. E' stata negata la consegna delle stampelle di cui Ayyub ha bisogno per potersi muovere dato che l'arto artificiale è stato rimosso subito dopo l'arresto. Le visite, fino ad oggi, sono state negate ai genitori anche se dopo lo sciopero della fame dei prigionieri palestinesi dei mesi scorsi, era stato raggiunto un accordo che stabiliva la fine dell'isolamento, la limitazione delle detenzioni amministrative e l'implementazione del diritto di visita dei famigliari. Ma a quanto pare è un accordo di forma. La ragione dell'arresto di Ayyub, come indicato dall'associazione El Mezam, è stata esplicitata nel corso dell'udienza presso la Corte Israeliana lo scorso 28 maggio; da informazioni assunte dai servizi di sicurezza dell'esercito (Shin Beth). Ayyub, prima del 2008 data del suo ferimento, avrebbe partecipato ad azioni di appoggio alla Resistenza Palestinese. Il giudizio della Corte è stato rimandato al prossimo mese di settembre quando Ayyub si presenterà davanti alla Corte che giudica i reati commessi dai minorenni, stante che Ayyub, all'epoca dei presunti fatti attribuiti, aveva meno di 16 anni. La condizione di Ayyub rispecchia la condizione di migliaia di palestinesi, che vengono arrestati molto spesso sulla base di informazioni , né verificate né documentate. In altri casi la detenzione è "giustificata" con la detenzione amministrativa: una persona può essere trattenuta per sei mesi rinnovabile più volte a discrezione dei servizi di sicurezza e senza un capo d'accusa. Ciò non corrisponde a nessun principio legale. Il sistema giudiziario israeliano si basa sull'operatività dell'esercito, e dei servizi segreti (Shin Beth). Questi ultimi attraverso i continui arresti svolgono un lavoro di reclutamento di collaboratori, corrompono la società negoziando favori e promuovono diverse fonti e forme di informazione sulla vita politica, sociale e sul quotidiano dei palestinesi. Siamo di fronte ad un elaborato sistema che si avvale e completa con le attività di sicurezza/prevenzione, attraverso sofisticati dispositivi di conoscenza e di sorveglianza. Il sistema giudiziario israeliano non svolge compiti di accertamento o prova dei reati ma svolge attività di "governo" del territorio e di controllo della popolazione. Per i Palestinesi le porte del carcere si aprono anche senza capi di imputazione o semplicemente per legami famigliari con detenuti. La metodologia applicata, in contrasto con qualsiasi norma e legge internazionale, è quella dell’esercito inglese durante l’occupazione coloniale. Continuare a dare solidarietà e sostegno ad Ayyub significa anche denunciare il sistema giudiziario israeliano, quel sistema che ha arrestato Ayyub sulla base delle informazioni senza possibilità di verifica, che tiene Ayyub detenuto in un carcere fuori dal suo territorio, in contrasto con la IV Convenzione di Ginevra. < Prec. Succ. > Ultimo aggiornamento Lunedì 02 Luglio 2012 21:15 Banner DOCUMENTI Palestina Internazionali ARTICOLI Dossier Reportage Interventi Comunicati Stampa Vecchi Documenti NOTIZIE / NEWS Dalla Palestina Dal Medio Oriente Dall'Italia Dal mondo CULTURA Storia e Politica Letteratura Arti Visive Musica Folclore IMMAGINI Foto Video NEWSFEED Italia Palestina Israele Mondo