sabato 21 settembre 2013

CIA: armi chimiche in mano israeliana dal 1983


Un reportage di Foreign Policy svela documenti dell'intelligence USA, secondo i quali Israele produce sarin e gas chimici da trent'anni.

di Emma Mancini

Betlemme, 11 settembre 2013, Nena News - Mentre il mondo guarda alla Siria e Washington si arrampica sugli specchi per dimostrare l'utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad, spuntano nuove rivelazioni sugli arsenali in mano israeliana. In un reportage di Foreign Policy, pubblicato due giorni fa, compaiono documenti della CIA secondo la quale nel 1983 Tel Aviv ha avviato un vasto programma per rifornirsi di armi chimiche.

Per molti una notizia che fa poco scalpore: tra il 2008 e il 2009 la Striscia di Gaza subì un attacco senza precedenti, oltre 1.400 vittime. Durante Piombo Fuso, l'aviazione e l'esercito israeliano utilizzarono fosforo bianco contro la popolazione civile, un'accusa che Israele ha sempre rigettato ma che troverebbe conferma nelle prove raccolte da medici e infermieri, improvvisamente trovatisi di fronte a ustioni e ferite mai viste prima.

Secondo le rivelazioni di Foreign Policy, l'intelligence statunitense ritiene che Israele ha immagazzinato armi chimiche e biologiche già da trent'anni, al fine di completare il proprio arsenale nucleare. A dimostrarlo, una serie di documenti risalenti al 1983, chiusi negli archivi della CIA.

L'anno prima, nel 1982, satelliti spia americani individuarono "un probabile centro di produzione di gas nervino a Dimona, nel deserto del Negev", luogo che da anni viene identificato come magazzino nucleare israeliano. "Non possiamo confermare se Israele possiede agenti chimici letali, ma molti indicatori ci portano a ritenere che ha a disposizione sia gas nervino persistente e non persistente - si legge in uno dei documenti CIA - Si ritiene che esistano anche altre produzioni chimiche all'interno della ben sviluppata industria israeliana". Tra queste il famigerato sarin, gas che secondo Washington sarebbe stato utilizzato dal regime di Damasco a Ghouta, Damasco, il 21 agosto scorso.

Per ora Israele non commenta: l'ambasciata di Tel Aviv a Washington non ha rilasciato dichiarazioni in merito al reportage. Israele è uno dei quattro Paesi possessori di armi nucleari non riconosciuti come tali nell'ambito del Trattato di Non-proliferazione Nucleare. Tel Aviv non ha mai rilasciato dichiarazioni in merito, ma si ritiene che abbia avviato il proprio programma nucleare subito dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, nel giugno 1967. E sebbene non esistano dati certi, si stima che Israele possieda dalle 70 alle 400 armi nucleari.

Appare comunque stravagante l'attività di indagine della CIA sull'arsenale chimico israeliano: i servizi segreti americani hanno avviato la produzione e la sperimentazione di agenti chimici in casa israeliana, a partire dagli anni '70. Forse, quello che la CIA non sapeva era il proseguimento dell'attività nucleare e chimica israeliana, tenuta nascosta, ma che per molti altro non è che un segreto di Pulcinella. Nena News


martedì 17 settembre 2013

16 SETTEMBRE ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI SABRA E CHATILA

31 anni fa la strage di Sabra e Chatila, uno dei più crudeli massacri della storia recente

31 anni fa si compiva uno dei peggiori e agghiaccianti massacri di sempre: Sabra e Chatila. Migliaia di donne e bambini barbaramente uccisi dai falangisti libanesi con la complicità di Israele che aveva lanciato la sua operazione “Pace in Galilea” invadendo, per la seconda volta, il Libano. Migliaia di palestinesi massacrati con coltelli, accette, pugnali, sventrati, sgozzati, decapitati, violentati. Un orrore senza fine, una carneficina tra le più barbare della storia recente. Era il 16 settembre del 1982 quando le milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika entrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila, alla periferia di Beirut. Il giorno prima l’esercito israeliano, guidato dal generale Arial Sharon, aveva chiuso ermeticamente i campi profughi e messo posti di osservazione e cecchini sui tetti degli edifici vicini. Niente poteva entrare ed uscire senza che gli israeliani lo volessero.

Niente poteva uscire: solo il puzzo dei cadaveri fatti a pezzi dai falangisti. Niente poteva uscire: solo l’odore acre della morte, dei corpi sventrati e dei cadaveri mutilati. Niente poteva entrare: solo i falangisti libanesi assetati di sangue e protetti e incitati dagli israeliani. Ebbero gioco facile i carnefici: dinanzi a loro quasi solo donne, anziani e bambini. Pochi giorni prima, infatti, si era firmato un accordo per il quale i fedayin palestinesi avevano accettato di lasciare il Libano in cambio della garanzia di una protezione internazionale sulla popolazione palestinese rimasta. Ma la protezione non ci fu e il massacro ebbe inizio. Persone inermi, indifese e disarmate, sgozzate come animali. Mai uno sterminio così atroce era stato compiuto sotto gli occhi di un “esercito democratico”; mai una tale barbarie era avvenuta sotto la regia di un paese democratico.

È stato un crimine contro l’umanità, spietato e crudele come pochi nella storia recente. Era l’inevitabile conclusione dell’invasione israeliana del Libano iniziata tre mesi prima, il 6 giugno del 1982. Quella guerra, orwellianamente chiamata “pace in Galilea”, fece 20.000 vittime e distrusse un intero paese. Bombardamenti, bombe a grappolo e al fosforo, ridussero il Libano e la sua capitale ad un cumulo di macerie fumanti. Ed è nella periferia della capitale che Israele ordinò lo sterminio.

È difficile fornire una cifra esatta delle persone massacrate: 1500 secondo la Croce Rossa internazionale, 3500 secondo gli enti filo palestinesi. Ma al di là del numero, questo orrendo massacro rimarrà per sempre impresso nella memoria per le atrocità e l’inaudita violenza. Un massacro che sconvolse il mondo, che tolse il fiato, che lasciò sbigottiti. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 25 settembre 1982 condannò i massacri israeliani, ma gli Stati Uniti votarono contro.

Le parole del Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini - Mi piace ricordare le parole che il Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini, dopo essere stato sui luoghi del massacro, pronunciò il 31 dicembre 1983 durante il discorso di fine anno: “Io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando dalla società”. A 30 anni di distanza i colpevoli rimangono ancora impuniti e i palestinesi senza pace e senza terra.
Massimo Ragnedda

30 ANNI FA IL MASSACRO DI SABRA E CHATILA




LIBANO
Sabra e Shatila: "Ce lo dissero le mosche..."
Sabra e Shatila 30 anni dopo. Una strage rimasta impunita. Vi proponiamo l'articolo che scrisse Robert Fisk uno dei primi giornalisti ad entrare nei campi palestinesi dopo il massacro


Ariel Sharon, a quel tempo ministro della difesa di Israele, fu l'architetto dell'invasione del Libano

di Robert Fisk - settembre 1982

Roma, 16 settembre 2012, Nena News - "Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l'odore. Grosse come mosconi, all'inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito - a legioni - sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all'altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.

Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano. Perlopiù giravano intorno alle nostre teste in una nuvola grigia, in attesa che assumessimo la generosa immobilità dei morti. Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c'è vita anche nella morte. Qualcuno ne trae profitto. Le mosche sono imparziali. Per loro non aveva nessuna importanza che quei corpi fossero stati vittime di uno sterminio di massa. Le mosche si sarebbero comportate nello stesso modo con un qualsiasi cadavere non sepolto. Senza dubbio, doveva essere stato così anche nei caldi pomeriggi durante la Peste nera.

All'inizio non usammo la parola massacro. Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostrae bocche. Per questo motivo ci tenevamo sopra un fazzoletto, poi ci coprimmo anche il naso perché le mosche si spostavano su tutta la faccia. Se a Sidone l'odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto.

Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini - i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» - se n'erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c'erano cadaveri - donne, giovani, nonni e neonati - stesi uno accanto all'altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. I pazienti di un ospedale palestinese erano scomparsi dopo che i miliziani avevano ordinato ai medici di andarsene. Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento.

Mentre eravamo lì, davanti alle prove di quella barbarie, vedevamo gli israeliani che ci osservavano. Dalla cima di un grattacielo a ovest - il secondo palazzo del viale Camille Chamoun - li vedevamo che ci scrutavano con i loro binocoli da campo, spostandoli a destra e a sinistra sulle strade coperte di cadaveri, con le lenti che a volte brillavano al sole, mentre il loro sguardo si muoveva attraverso il campo. Loren Jenkins continuava a imprecare. Pensai che fosse il suo modo di controllare la nausea provocata da quel terribile fetore. Avevamo tutti voglia di vomitare. Stavamo respirando morte, inalando la putredine dei cadaveri ormai gonfi che ci circondavano. Jenkins capì subito che il ministro della Difesa israeliano avrebbe dovuto assumersi una parte della responsabilità di quell'orrore. «Sharon!» gridò. «Quello stronzo di Sharon! Questa è un'altra Deir Yassin.»

Quello che trovammo nel campo palestinese di Shatila alle dieci di mattina del 18 settembre 1982 non era indescrivibile, ma sarebbe stato più facile da raccontare nella fredda prosa scientifica di un esame medico. C'erano già stati massacri in Libano, ma raramente di quelle proporzioni e mai sotto gli occhi di un esercito regolare e presumibilmente disciplinato. Nell'odio e nel panico della battaglia, in quel paese erano state uccise decine di migliaia di persone. Ma quei civili, a centinaia, erano tutti disarmati. Era stato uno sterminio di massa, un'atrocità, un episodio - con quanta facilità usavamo la parola «episodio» in Libano - che andava ben oltre quella che in altre circostanze gli israeliani avrebbero definito una strage terroristica. Era stato un crimine di guerra.

Jenkins, Tveit e io eravamo talmente sopraffatti da ciò che avevamo trovato a Shatila che all'inizio non riuscivamo neanche a renderci conto di quanto fossimo sconvolti. Bill Foley dell'Ap era venuto con noi. Mentre giravamo per le strade, l'unica cosa che riusciva a dire era «Cristo santo!». Avremmo potuto accettare di trovare le tracce di qualche omicidio, una dozzina di persone uccise nel fervore della battaglia; ma nelle case c'erano donne stese con le gonne sollevate fino alla vita e le gambe aperte, bambini con la gola squarciata, file di ragazzi ai quali avevano sparato alle spalle dopo averli allineati lungo un muro. C'erano neonati - tutti anneriti perché erano stati uccisi più di ventiquattro ore prima e i loro corpicini erano già in stato di decomposizione - gettati sui cumuli di rifiuti accanto alle scatolette delle razioni dell'esercito americano, alle attrezzature mediche israeliane e alle bottiglie di whisky vuote.

Dov'erano gli assassini? O per usare il linguaggio degli israeliani, dov'erano i «terroristi»? Mentre andavamo a Shatila avevamo visto gli israeliani in cima ai palazzi del viale Camille Chamoun, ma non avevano cercato di fermarci. In effetti, eravamo andati prima al campo di Burj al-Barajne perché qualcuno ci aveva detto che c'era stato un massacro. Tutto quello che avevamo visto era un soldato libanese che inseguiva un ladro d'auto in una strada. Fu solo mentre stavamo tornando indietro e passavamo davanti all'entrata di Shatila che Jenkins decise di fermare la macchina. «Non mi piace questa storia» disse. «Dove sono finiti tutti? Che cavolo è quest'odore?»

Appena superato l'ingresso sud del campo, c'erano alcune case a un piano circondate da muri di cemento. Avevo fatto tante interviste in quelle casupole alla fine degli anni settanta. Quando varcammo la fangosa entrata di Shatila vedemmo che tutte quelle costruzioni erano state fatte saltare in aria con la dinamite. C'erano bossoli sparsi a terra sulla strada principale. Vidi diversi candelotti di traccianti israeliani, ancora attaccati ai loro minuscoli paracadute. Nugoli di mosche aleggiavano tra le macerie, branchi di predoni che avevano annusato la vittoria.

In fondo a un vicolo sulla nostra destra, a non più di cinquanta metri dall'entrata, trovammo un cumulo di cadaveri. Erano più di una dozzina, giovani con le braccia e le gambe aggrovigliate nell'agonia della morte. A tutti avevano sparato a bruciapelo, alla guancia: la pallottola aveva portato via una striscia di carne fino all'orecchio ed era poi entrata nel cervello. Alcuni avevano cicatrici nere o rosso vivo sul lato sinistro del collo. Uno era stato castrato, i pantaloni erano strappati sul davanti e un esercito di mosche banchettava sul suo intestino dilaniato.

Avevano tutti gli occhi aperti. Il più giovane avrà avuto dodici o tredici anni. Portavano jeans e camicie colorate, assurdamente aderenti ai corpi che avevano cominciato a gonfiarsi per il caldo. Non erano stati derubati. Su un polso annerito, un orologio svizzero segnava l'ora esatta e la lancetta dei minuti girava ancora, consumando inutilmente le ultime energie rimaste sul corpo defunto.

Dall'altro lato della strada principale, risalendo un sentiero coperto di macerie, trovammo i corpi di cinque donne e parecchi bambini. Le donne erano tutte di mezza età ed erano state gettate su un cumulo di rifiuti. Una era distesa sulla schiena, con il vestito strappato e la testa di una bambina che spuntava sotto il suo corpo. La bambina aveva i capelli corti, neri e ricci, dal viso corrucciato i suoi occhi ci fissavano. Era morta.

Un'altra bambina era stesa sulla strada come una bambola gettata via, con il vestitino bianco macchiato di fango e polvere. Non avrà avuto più di tre anni. La parte posteriore della testa era stata portata via dalla pallottola che le avevano sparato al cervello. Una delle donne stringeva a sé un minuscolo neonato. La pallottola attraversandone il petto aveva ucciso anche il bambino. Qualcuno le aveva squarciato la pancia in lungo e in largo, forse per uccidere un altro bambino non ancora nato. Aveva gli occhi spalancati, il volto scuro pietrificato dall'orrore.

Tveit cercò di registrare tutto su una cassetta, parlando lentamente in norvegese e in tono impassibile. «Ho trovato altri corpi, quelli di una donna con il suo bambino. Sono morti. Ci sono altre tre donne. Sono morte.»

Di tanto in tanto, premeva il bottone della pausa e si piegava per vomitare nel fango della strada. Mentre esploravamo un vicolo, Foley, Jenkins e io sentimmo il rumore di un cingolato. «Sono ancora qui» disse Jenkins e mi fissò. Erano ancora lì. Gli assassini erano ancora nel campo. La prima preoccupazione di Foley fu che i miliziani cristiani potessero portargli via il rullino, l'unica prova - per quanto ne sapesse - di quello che era successo. Cominciò a correre lungo il vicolo.

Io e Jenkins avevamo paure più sinistre. Se gli assassini erano ancora nel campo, avrebbero voluto eliminare i testimoni piuttosto che le prove fotografiche. Vedemmo una porta di metallo marrone socchiusa; l'aprimmo e ci precipitammo nel cortile, chiudendola subito dietro di noi. Sentimmo il veicolo che si addentrava nella strada accanto, con i cingoli che sferragliavano sul cemento. Jenkins e io ci guardammo spaventati e poi capimmo che non eravamo soli. Sentimmo la presenza di un altro essere umano. Era lì vicino a noi, una bella ragazza distesa sulla schiena.

Era sdraiata lì come se stesse prendendo il sole, il sangue ancora umido le scendeva lungo la schiena. Gli assassini se n'erano appena andati. E lei era lì, con i piedi uniti, le braccia spalancate, come se avesse visto il suo salvatore. Il viso era sereno, gli occhi chiusi, era una bella donna, e intorno alla sua testa c'era una strana aureola: sopra di lei passava un filo per stendere la biancheria e pantaloni da bambino e calzini erano appesi. Altri indumenti giacevano sparsi a terra. Quando gli assassini avevano fatto irruzione, probabilmente stava ancora stendendo il bucato della sua famiglia. E quando era caduta, le mollette che teneva in mano erano finite a terra formando un piccolo cerchio di legno attorno al suo capo.

Solo il minuscolo foro che aveva sul seno e la macchia che si stava man mano allargando indicavano che fosse morta. Perfino le mosche non l'avevano ancora trovata. Pensai che Jenkins stesse pregando, ma imprecava di nuovo e borbottava «Dio santo», tra una bestemmia e l'altra. Provai tanta pena per quella donna. Forse era più facile provare pietà per una persona giovane, così innocente, una persona il cui corpo non aveva ancora cominciato a marcire. Continuavo a guardare il suo volto, il modo ordinato in cui giaceva sotto il filo da bucato, quasi aspettandomi che aprisse gli occhi da un momento all'altro.

Probabilmente quando aveva sentito sparare nel campo era andata a nascondersi in casa. Doveva essere sfuggita all'attenzione dei miliziani fino a quella mattina. Poi era uscita in giardino, non aveva sentito nessuno sparo, aveva pensato che fosse tutto finito e aveva ripreso le sue attività quotidiane. Non poteva sapere quello che era successo. A un tratto qualcuno aveva aperto la porta, improvvisamente come avevamo fatto noi, e gli assassini erano entrati e l'avevano uccisa. Senza pensarci due volte. Poi se n'erano andati ed eravamo arrivati noi, forse soltanto un minuto o due dopo.

Rimanemmo in quel giardino ancora per un po'. Io e Jenkins eravamo spaventati. Come Tveit, che era momentaneamente scomparso, Jenkins era un sopravvissuto. Mi sentivo al sicuro con lui. I miliziani - gli assassini della ragazza - avevano violentato e accoltellato le donne di Shatila e sparato agli uomini, ma sospettavo che avrebbero esitato a uccidere Jenkins e l'americano avrebbe cercato di dissuaderli. «Andiamocene via di qui» disse, e ce ne andammo. Fece capolino in strada per primo, io lo seguii, chiudendo la porta molto piano perché non volevo disturbare la donna morta, addormentata, con la sua aureola di mollette da bucato.

Foley era tornato sulla strada vicino all'entrata del campo. Il cingolato era scomparso, anche se sentivo che si spostava sulla strada principale esterna, in direzione degli israeliani che ci stavano ancora osservando. Jenkins sentì Tveit urlare da dietro una catasta di cadaveri e lo persi di vista. Continuavamo a perderci di vista dietro i cumuli di cadaveri. Un attimo prima stavo parlando con Jenkins, un attimo dopo mi giravo e scoprivo che mi stavo rivolgendo a un ragazzo, riverso sul pilastro di una casa con le braccia penzoloni dietro la testa.

Sentivo le voci di Jenkins e Tveit a un centinaio di metri di distanza, dall'altra parte di una barricata coperta di terra e sabbia che era stata appena eretta da un bulldozer. Sarà stata alta più di tre metri e mi arrampicai con difficoltà su uno dei lati, con i piedi che scivolavano nel fango. Quando ormai ero arrivato quasi in cima persi l'equilibrio e per non cadere mi aggrappai a una pietra rosso scuro che sbucava dal terreno. Ma non era una pietra. Era viscida e calda e mi rimase appiccicata alla mano. Quando abbassai gli occhi vidi che mi ero attaccato a un gomito che sporgeva dalla terra, un triangolo di carne e ossa.

Lo lasciai subito andare, inorridito, pulendomi i resti di carne morta sui pantaloni, e finii di salire in cima alla barricata barcollando. Ma l'odore era terrificante e ai miei piedi c'era un volto al quale mancava metà bocca, che mi fissava. Una pallottola o un coltello gliel'avevano portata via, quello che restava era un nido di mosche. Cercai di non guardarlo. In lontananza, vedevo Jenkins e Tveit in piedi accanto ad altri cadaveri davanti a un muro, ma non potevo chiedere aiuto perché sapevo che se avessi aperto la bocca per gridare avrei vomitato.

Salii in cima alla barricata cercando disperatamente un punto che mi consentisse di saltare dall'altra parte. Ma non appena facevo un passo, la terra mi franava sotto i piedi. L'intero cumulo di fango si muoveva e tremava sotto il mio peso come se fosse elastico e, quando guardai giù di nuovo, vidi che solo uno strato sottile di sabbia copriva altre membra e altri volti. Mi accorsi che una grossa pietra era in realtà uno stomaco. Vidi la testa di un uomo, il seno nudo di una donna, il piede di un bambino. Stavo camminando su decine di cadaveri che si muovevano sotto i miei piedi.

I corpi erano stati sepolti da qualcuno in preda al panico. Erano stati spostati con un bulldozer al lato della strada. Anzi, quando sollevai lo sguardo vidi il bulldozer - con il posto di guida vuoto - parcheggiato con aria colpevole in fondo alla strada.

Mi sforzavo invano di non camminare sulle facce che erano sotto di me. Provavamo tutti un profondo rispetto per i morti, perfino lì e in quel momento. Continuavo a dirmi che quei cadaveri mostruosi non erano miei nemici, quei morti avrebbero approvato il fatto che fossi lì, avrebbero voluto che io, Jenkins e Tveit vedessimo tutto questo, e quindi non dovevo avere paura di loro. Ma non avevo mai visto tanti cadaveri in tutta la mia vita.

Saltai giù e corsi verso Jenkins e Tveit. Suppongo che stessi piagnucolando come uno scemo perché Jenkins si girò. Sorpreso. Ma appena aprii la bocca per parlare, entrarono le mosche. Le sputai fuori. Tveit vomitava. Stava guardando quelli che sembravano sacchi davanti a un basso muro di pietra. Erano tutti allineati, giovani uomini e ragazzi, stesi a faccia in giù. Gli avevano sparato alla schiena mentre erano appoggiati al muro e giacevano lì dov'erano caduti, una scena patetica e terribile.

Quel muro e il mucchio di cadaveri mi ricordavano qualcosa che avevo già visto. Solo più tardi mi sarei reso conto di quanto assomigliassero alle vecchie fotografie scattate nell'Europa occupata durante la Seconda guerra mondiale. Ci sarà stata una ventina di corpi. Alcuni nascosti da altri. Quando mi inchinai per guardarli più da vicino notai la stessa cicatrice scura sul lato sinistro del collo. Gli assassini dovevano aver marchiato i prigionieri da giustiziare in quel modo. Un taglio sulla gola con il coltello significava che l'uomo era un terrorista da giustiziare immediatamente. Mentre eravamo lì sentimmo un uomo gridare in arabo dall'altra parte delle macerie: «Stanno tornando». Così corremmo spaventati verso la strada. A ripensarci, probabilmente era la rabbia che ci impediva di andarcene, perché ci fermammo all'ingresso del campo per guardare in faccia alcuni responsabili di quello che era successo. Dovevano essere arrivati lì con il permesso degli israeliani. Dovevano essere stati armati da loro. Chiaramente quel lavoro era stato controllato - osservato attentamente - dagli israeliani, dagli stessi soldati che guardavano noi con i binocoli da campo.

Sentimmo un altro mezzo corazzato sferragliare dietro un muro a ovest - forse erano falangisti, forse israeliani - ma non apparve nessuno. Così proseguimmo. Era sempre la stessa scena. Nelle casupole di Shatila, quando i miliziani erano entrati dalla porta, le famiglie si erano rifugiate nelle camere da letto ed erano ancora tutti lì, accasciati sui materassi, spinti sotto le sedie, scaraventati sulle pentole. Molte donne erano state violentate, i loro vestiti giacevano sul pavimento, i corpi nudi gettati su quelli dei loro mariti o fratelli, adesso tutti neri di morte.

C'era un altro vicolo in fondo al campo dove un bulldozer aveva lasciato le sue tracce sul fango. Seguimmo quelle orme fino a quando non arrivammo a un centinaio di metri quadrati di terra appena arata. Sul terreno c'era un tappeto di mosche e anche lì si sentiva il solito, leggero, terribile odore dolciastro. Vedendo quel posto, sospettammo tutti di che cosa si trattasse, una fossa comune scavata in fretta. Notammo che le nostre scarpe cominciavano ad affondare nel terreno, che sembrava liquido, quasi acquoso e tornammo indietro verso il sentiero tracciato dal bulldozer, terrorizzati.

Un diplomatico norvegese - un collega di Ane-Karina Arveson - aveva percorso quella strada qualche ora prima e aveva visto un bulldozer con una decina di corpi nella pala, braccia e gambe che penzolavano fuori dalla cassa. Chi aveva ricoperto quella fossa con tanta solerzia? Chi aveva guidato il bulldozer? Avevamo una sola certezza: gli israeliani lo sapevano, lo avevano visto accadere, i loro alleati - i falangisti o i miliziani di Haddad - erano stati mandati a Shatila a commettere quello sterminio di massa. Era il più grave atto di terrorismo - il più grande per dimensioni e durata, commesso da persone che potevano vedere e toccare gli innocenti che stavano uccidendo - della storia recente del Medio Oriente.

Incredibilmente, c'erano alcuni sopravvissuti. Tre bambini piccoli ci chiamarono da un tetto e ci dissero che durante il massacro erano rimasti nascosti. Alcune donne in lacrime ci gridarono che i loro uomini erano stati uccisi. Tutti dissero che erano stati i miliziani di Haddad e i falangisti, descrissero accuratamente i diversi distintivi con l'albero di cedro delle due milizie.

Sulla strada principale c'erano altri corpi. «Quello era il mio vicino, il signor Nuri» mi gridò una donna. «Aveva novant'anni.» E lì sul marciapiede, sopra un cumulo di rifiuti, era disteso un uomo molto anziano con una sottile barba grigia e un piccolo berretto di lana ancora in testa. Un altro vecchio giaceva davanti a una porta in pigiama, assassinato qualche ora prima mentre cercava di scappare. Trovammo anche alcuni cavalli morti, tre grossi stalloni bianchi che erano stati uccisi con una scarica di mitra davanti a una casupola, uno di questi aveva uno zoccolo appoggiato al muro, forse aveva cercato di saltare per mettersi in salvo mentre i miliziani gli sparavano.

C'erano stati scontri nel campo. La strada vicino alla moschea di Sabra era diventata sdrucciolevole per quanto era coperta di bossoli e nastri di munizioni, alcuni dei quali erano di fattura sovietica, come quelli usati dai palestinesi. I pochi uomini che possedevano ancora un'arma avevano cercato di difendere le loro famiglie. Nessuno avrebbe mai conosciuto la loro storia. Quando si erano accorti che stavano massacrando il loro popolo? Come avevano fatto a combattere con così poche armi? In mezzo alla strada, davanti alla moschea, c'era un kalashnikov giocattolo di legno in scala ridotta, con la canna spezzata in due.

Camminammo in lungo e in largo per il campo, trovando ogni volta altri cadaveri, gettati nei fossi, appoggiati ai muri, allineati e uccisi a colpi di mitra. Cominciammo a riconoscere i corpi che avevamo già visto. Laggiù c'era la donna con la bambina in braccio, ecco di nuovo il signor Nuri, disteso sulla spazzatura al lato della strada. A un certo punto, guardai con attenzione la donna con la bambina perché mi sembrava quasi che si fosse mossa, che avesse assunto una posizione diversa. I morti cominciavano a diventare reali ai nostri occhi.


The Lab: il documentario che svela i retroscena dell'industria bellica israeliana 16 Settembre 2013


The Lab: il documentario che svela i retroscena dell'industria bellica israeliana
16 Settembre 2013


Shimon Peres, l'attuale presidente di Israele che negli anni 60 supervisionò lo sviluppo di armi nucleare del paese israeliano, ha organizzato una festa piena di celebrità per il 90esimo compleanno, mascherandola da conferenza presidenziale, lo scorso Giugno. Israel’s president and the man who oversaw the country’s secret development of a nuclear bomb in the 1960s, held a star-studded 90th birthday party masquerading as a presidential conference in June. Tralasciando l'ombra gettata dalla decisione del fisico britannico Stephen Hawking di boicottare l'evento, il tutto è risultato essere uno sfrontato tributo alla vita e al lavoro svolto da Peres da parte di una lunga lista di personalità internazionali, dall'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a Barbra Streisand.

Tuttavia, come evidenziato da un sito web israeliano, questo party da 3 mln di $ al capo dello stato israeliano è stato principalmente finanziato dall'industria bellica: i tre maggiori finanziatori erano famosi imprenditori di armamenti, incluso il presidente onorario della conferenza, Aaron Frenkel.

E tutto ciò è tristemente normale, visto il grande ascendente internazionale di Israele tra i produttori di armamenti durante l'ultimo decennio: nonostante il paese abbia una popolazione minore rispettoa quella di New York City, Israele si è costruito una certa fama negli ultimi anni come uno dei più grandi esportatori di armi.

A Giugno, analisti della difesa hanno messo Israele al sesto posto in questo speciale classifica, davanti alla Cina e all'Italia, entrambi grandi produttori di armi e, se si calcola anche il crescente mercato clandestino di Israele, la posizione sale fino al quarto posto, davanti alla Gran Bretagna e alla Germania, dietro solo a Stati Uniti, Russia e Francia.

Il motivo del successo israeliano in questo mercato può essere dedotto grazie a semplice calcolo matematico: con vendite record di 7 mld di $ lo scorso anno, Israele ha guadagnato qualcosa come 1.000$ pro capite dal commercio di armi, 10 volte di più di quanto guadagnano gli Stati Uniti dal medesimo commercio.

Il grande affidamento che Israele fa sul commercio degli armamenti è stato scoperto a Luglio, quando un tribunale locale ha obbligato alcuni ufficiali a rivelare i dati relativi a questo tipo mercato, scoprendo così che qualcosa come 6.800 cittadini israeliani sono attivamente coinvolti nell'esportazione di armamenti. In altra sede, Ehud Barak, Ministro della Difesa dell'ultimo governo, ha rivelato che 150.000 famiglie israeliane (quasi il 10% della popolazione) dipendono economicamente dal commercio bellico. Tralasciando queste rivelazioni, Israele comunque è sempre stato riluttando nell'alzare il velo di segretezza che copriva questi commerci, adducendo al fatto che qualsiasi ulteriore rivelazione avrebbe potuto compromettere la sicurezza nazionale e i rapporti internazionali.

Per tradizione, l'industria bellica israeliana è sempre stata gestita dal Ministero della Difesa, in un sistema che vedeva una serie di corporazioni belliche di proprietà dello stato sviluppare armamenti per conto dell'esercito israeliano. Ma con il fiorire delle indistrie high tech israeliane nell'ultimo decennio, una nuova generazione di ufficiali congedati dall'esercito hanno intravisto la possibilità di sfruttare la propria esperienza e i loro contatti militari per sviluppare e testare nuove armi, sia per lo stato di Israele, sia per clienti esteri. In questo processo, l'industria bellica si è guadagnata un posto tra i principali sostenitori dell'economia israeliana, attestando la proprie esportazioni a un quinto del totale.

“Il Ministro della Difesa israeliano non sono fa grandi affari con le guerra, ma si assicura anche che il mercato dell'industria bellica sia sempre in fremito”, ha dichiarato Leo Gleser, che gestisce un'azienda di consultazioni per fini bellici specializzata nello sviluppo di nuovi mercati in America Latina.

Leo Gleser che è uno dei tanti commercianti d'armi intervistato in un nuovo documentario che alza il velo sula natura e sugli obiettivi del mercato bellico israeliano.

“The Lab,” recentemente vincitore di un premio ai DocAviv, gli oscar israeliani dei documentari, è stato presentato ad Agosto negli Stati Uniti. Diretto da Yotam Feldman, il film propone una una vista da molto vicino dell'industria bellica israeliana e degli imprenditori che grazie ad essa si sono arricchiti.

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Il titolo fa riferimento al tema centrale del film: l'affidamento a cui Israele è rapidamente arrivato di continuare a tenere in cattività i palestinesi in ciò che non sono nient'altro che le più grandi prigioni a cielo aperto del mondo, ovvero i massicci profitti che Israele riesce a trarre dal testare le innovazioni belliche su più di 4 mln di palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Secondo Feldman, questa tendenza è iniziata con l'operazione Scudo di Difesa, ovvero la re-invasione israeliana dei Territori Occupata e di Gaza nel 2002, che ha formalmente invertito il processo di ritiro israeliano dai territoriori occupati militarmente iniziato tiepidamente con gli Accordi di Oslo. A seguito di quell'operazione, molti ufficiali dell'esercito sono entrati nel business privato, arrivando a rompere nuovi record per l'industria bellica israeliana (2 mld di $ nel 2005).

Ma la più grande impennata di vendite si è registrata dopo l'operazione Piombo Fuso, l'assalto israeliano alla Striscia di Gaza a cavallo del biennio 2008-2009, che ha visto l'uccisione di più 1.400 palestinesi e di 13 israeliani: il record di vendite sulla scia di questa operazione ha toccato i 6 mld di $.

Il film spiega come queste operazioni militari, inclusa la recente Colonna di Nuvola dello scorso anno sempre contro la Striscia di Gaza, servano come esperimenti in laboratorio per valutare e rifinire l'efficacia dei nuovi approcci militari, sia dal punto di vista strategico che di equipaggiamento.

In particolare, Gaza è diventata la vetrina dell'industria bellica israeliana, permettendo a questa di sviluppare e mettere su mercato sistemi di sorveglianza, controllo e assoggettamento di un popolazione “nemica”, e siccome la maggior parte dei palestinesi sono forzosamente rinchiusi in centri abitativi urbani, le tradizionali politiche designate per differenziare i civili dai guerriglieri sono dovute essere cancellate.

Amiram Levin, ex capo dell'esercito israeliano stanziato nel nord negli anni '90 e ora commerciate d'armi, è stato filmato ad una conferenza di industrie di armamenti mentre dichiarava che l'biettivo di Israele nei territori palestinesi è quello di punire la popolazione locale per creare un più ampio “spazio di manovra”, e, considerandone gli effetti, ha commentato che la maggior parte dei palestinesi “è nata per morire, noi dobbiamo solo dargli una mano”.

Il film evidenzia le tipologia di innovazioni per cui Israele si è guadagnato grande fama tra i servizi di sicurezza stranieri: dallo sviluppo di macchine automatiche all'avanguardia in grado di uccidere ai droni che sono diventati la punta di diamante dell'equipaggiamento statunitense per i bombardamenti in Medio Oriente, e spera di ripetere il successo con Iron Dome, il sistema di intercettamento dei missili pubblicizzato ogni volta che viene sparato un razzo dalla Striscia di Gaza.

Israele si è anche specializzato nel realizzare sistemi bellici futuristici, come i fucili in grado di sparare da dietro agli angoli. E non è una sorpresa che perfino Hollywood ne è stata cliente, con Angelina Jolie che metteva in bella mostra alcuni di questi armamenti nel suo film “Wanted”.

Ma le inaspettate star di “The Lab” non sono i commercianti di armi, ma bansì gli ex ufficiali dell'esercito israeliano che si sono riciclati in accademici, le cui teorie hanno aiutato a guidare l'esercito e le compagnie high tech nello sviluppo di tattiche ed arsenali militari.

Ad esempio, in una scena, Shimon Naveh, un filosofo particolarmente entusiasta dell'industria bellica, attraversa un finto villaggio arabo ricostruito per l'occasione che è servito da campo per la sua ideazione di una nuova teoria di guerriglia urbana durante la seconda intifada.

Nell'attacco alla cittadella di Nablus nel 2002, piuttosto che obbligare l'esercito israeliano ad affrontare qualche imprevisto dovuto agli instricabili vicoletti labirintici del villaggio, suggerì ai soldati di non muoversi lungo le stradine, dove avrebbero potuto essere dei facili bersagli, ma di muoversi piuttosto attraverso gli edifici, buttando giù all'occorenza i muri che intralciavano il loro percorso.

L'idea di Naveh fu lo strumento chiave con cui l'esercito schiacciò la resistenza armata palestinese, portando alla luce quali fossero gli ultimi posti dove i guerriglieri palestinesi potessero trovare rifugio dalla sorveglianza israeliana.

Un altro esperto, Yitzhak Ben Israel, ex generale riciclatosi professore alla Tel Aviv University, ha aiutato nello sviluppare una formula matematica che predice il verosimile successo dei programmi di assassinii mirati per stroncare la resistenza organizzata: i calcoli di Ben Israel hanno provato all'esercito israeliano che una cellula palestinese che sta preparando un attacco potrebbe essere con grande probabilità distrutta “neutralizzando” un quinto dei suoi membri.

E' proprio questa unione di teorie, equipaggiamenti e ripetuti “test” sul campo che hanno fatto mettere in coda gli eserciti, le forze di polizia e le industrie della sorveglianza di Stati Uniti, Europa, Asia e America Latina per riuscire ad accaparrarsi il know-how israeliano: le “lezioni” imparate sul campo a Gaza e in Cisgiordania hanno “utili” applicazione in Afghanistan e in Iraq, come spiega il film.

O come spiega nel film Benjamin Ben Eliezer, ex Ministro della Difesa riciclatosi in Ministro dell'Industria, il vantaggio di Israele in questo campo sta proprio nel fatto che “la gente è più disposta a comprare qualcosa che è stato positiviamente testato e la cui funzionalità è stata comprovata, come le armi israeliane. Possiamo dire che se Israele vende uno specifico armamento, la garanzia del funzionamento risiede nell'impiego che ne è stato fatto in questi 10-15 anni.”

Yoav Galant, capo delle milizie meridionali dell'esercito israeliano durante Piombo Fuso, ha sottolineato che “Mentre certi paesi europei e asiatici ci condannano per gli attacchi ai civili, mandano qui da noi i loro ufficiali; ho avuto briefing con generali di 10 differenti paesi per spiegargli come abbiamo fatto a raggiungere il così basso rapporto. [di palestinesi civili uccisi, falsa dichiarazione di Galant che diceva che la maggior parte dei palestinesi assassinati erano guerriglieri]” […] “C'è un sacco di ipocrisia, ti condannano politicamente, mentre poi ti chiedono quale sia il tuo trucco per trasformare il sangue in soldi.”

Le convincenti tesi del film, tuttavia, danno un amaro e disturbante messaggio a coloro che sperano nella fine dell'occupazione militare di Israele dei Territori Palestinesi, poiché siccome lo stato israeliano è riuscito a rendere i suoi arsenali più letali che mai e al contempo proteggere i suoi soldati come mai prima d'ora, la società civile è diventata grandemente tollerante all'idea della guerra come retroscena della vita di tutti i giorni: se Israele non è costretto a pagare alcun prezzo per una guerra, allora né l'esercito né i politici sono costretti ad affrontare alcuna pressione per porvi fine.

Anzi, la pressione agisce in direzione opposta: i Territori Occupati Palestinesi che fungono da laboratorio e gli attacchi periodici alle comunità palestinesi per testare ed esibire i sistemi bellici forniscono ad Israele un modello di business molto più profittevole di quello che potrebbe offrire un trattato di pace. Come ha dichiarato Naftali Bennet, Ministro dell'Industria di estrema destra, al ritorno da un suo viaggio in Cina: “Nessuno è interessato alla causa palestinese. Ciò che interessa al mondo, da Pechino a Washington a Brussels, è la tecnologia israeliana.”

Ma, coi governi stranieri che fanno la fila per attingere dall'esperienza israeliana, la domanda è: a chi di noi toccherà affrontare un prossimo futuro simile all'attuale situazione dei palestinesi?







Fonte: pacbi.org

Traduzione: BDS Italia
boicottaggio armamenti

sabato 14 settembre 2013

Contadino gazawi

Israele sfrutta i disordini in Egitto per aumentare gli attacchi ai contadini di Gaza.


Coltivare nella “zona cuscinetto” della Striscia di Gaza nel migliore dei casi è azzardato. Le truppe israeliane normalmente sparano proiettili veri sui contadini palestinesi nella free-fire area, che si estende per centinaia di metri entro il territorio assediato dalla barriera che lo separa da Israele, e invadono i loro campi con blindati e bulldozer.

di Joe Catron

Secondo i contadini di Gaza, l’aggressione di Israele contro i civili nell’area è aumentata da quando l’esercito egiziano, il 3 luglio, ha deposto il presidente eletto Muhammad Morsi e ha insediato un nuovo governo.



“Dopo il colpo di stato in Egitto, gli israeliani hanno cominciato a sparare molto di più,” ha riferito Abu Jamal Abu Taima, un agricoltore di Khuzaa, un villaggio dell’area di Khan Younis nella parte meridionale di Gaza.

Abu Jamal è il mukhtar, o capo eletto della famiglia Abu Taima, 3.500 profughi provenienti da Bir al-Saba – una città israeliana chiamata attualmente Beersheba – disseminata ora fra i terreni agricoli fuori Khan Younis.

Lui e altre due decine di contadini della stessa famiglia hanno parlato con The Electronic Intifada durante e dopo un incontro che hanno svolto a Khuzaa.

“L’Egitto era il garante dell’ultimo accordo di cessate il fuoco [nel 2012], “ ha detto. “Ora Israele è libero di fare tutto ciò che vuole.”

“Solo pochi mesi fa non c’erano sparatorie. Ora ci sono. Non siamo neppure in alta stagione, ma loro hanno già cominciato a sparare.”

Il 21 novembre dello scorso anno, a conclusione degli otto giorni di attacchi israeliani nella Striscia di Gaza e del fuoco di rappresaglia dei gruppi sul territorio, il governo di Morsi mediò un cessate il fuoco tra Israele e i gruppi della resistenza palestinese.

Come parte dell’accordo, Israele ridusse la “zona cuscinetto” che aveva imposto nel 2005, da 300 a 100 metri, secondo la sezione dell’Amministrazione Civile dell’esercito israeliano, COGAT.
Presi di mira

Nel maggio di quest’anno, dopo mesi di dichiarazioni contraddittorie sull’estensione dell’area da parte del COGAT e del portavoce dell’esercito israeliano, il COGAT ha deciso che la”zona cuscinetto” rimaneva a 300 metri (IDF: ‘Forbidden Zone’ in Gaza three times larger than previously stated,” +972 magazine, 12 maggio 2013)

Ma i contadini sostengono che gli spari israeliani hanno addirittura allargato ulteriormente la zona.

“In base al cessate il fuoco , i contadini potevano raggiungere pressappoco tutti i loro campi,” sostiene Abu Jamal Abu Taima, “Attualmente, gli israeliani sparano loro a 500 metri [dal confine].

Non è l’unico agricoltore che attribuisce il cambiamento ai disordini in Egitto.

“Dopo il colpo di stato, gli israeliani hanno esteso l’area e i contadini non hanno potuto raggiungere i 500 metri,” ha affermato Abed al-Rasoul Abu Taima. “A tutti color che si avvicineranno maggiormente alla barriera di separazione verrà sparato.”

Altri contadini sostengono di essere stati presi di mira ad una distanza dalla barriera perfino superiore.

“Gli israeliani mi hanno sparato a 800 metri, “ ha riferito Zakaria Abu Taima. “Mi accingevo a seminare quando loro hanno aperto il fuoco. Mi sono nascosto in una tubatura di ferro, ma le pallottole lo hanno proprio attraversato.”

Il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) ha documentato un’aggressione a cannonate, dodici sparatorie e sette incursioni – che durante luglio e agosto, nella “zona cuscinetto” hanno portato a un morto e sette feriti, inclusi due bambini.

Dall’inizio di settembre, le forze israeliane hanno intrapreso per lo meno altre due incursioni per spianare i terreni agricoli.

Secondo gli agricoltori, molti altri attacchi, specialmente sparatorie che non hanno comportato morti o feriti, non sono mai stati riferiti.

“E’ singolare ora, quando si parla di incursioni limitate,” ha detto Khalil Shaheen, capo della sezione economica e civile del PCHR.

“Le violazioni definiscono l’area vietata. Ufficialmente, secondo il COGAT, de jure l’area è di 300 metri, ma de facto dipende dalle incursioni.”

Gli attacchi di Israele nella “zona cuscinetto” , specialmente quelli oltre i 300 metri, scoraggiano gli agricoltori dal far crescere alberi o costruire infrastrutture, come pompe elettriche o pozzi.

“Non permettono ai contadini di piantare alberi o realizzare infrastrutture, “ ha affermato il Dr. Nabil Abu Shammala, direttore delle politiche di pianificazione presso il ministero palestinese dell’agricoltura e della pesca. “Sostengono che è per motivazioni legate alla loro sicurezza.”

“In quest’area le attività agricole devono far fronte a svariati tipi di rischi. I contadini evitano di praticarla non solo a causa degli spari, ma anche per la devastazione dei terreni e la distruzione delle infrastrutture,” ha aggiunto.
“Noi abbiamo paura”

In mezzo all’attuale incremento degli attacchi, la potenziale distruzione dei loro campi preoccupa particolarmente gli agricoltori di Gaza.

Il pericolo che i bulldozer israeliani spianino i terreni ha convinto molti a rimandare l’avvio della messa a dimora delle piante.

“Abbiamo paura di recarci nei nostri campi perché, dopo aver piantato, possono arrivare gli israeliani e distruggere tutto,” ha spiegato Abdul Azia Mahmoud Abu Taima.

“E’ normale che ogni settimana i bulldozer spianino i nostri campi,” ha detto Abed el-Aziz Abu Taima. “Nessuno è in grado di fermarli.”

Interpellati sul bulldozer utilizzati per radere i loro terreni, i contadini hanno descritto i marchi triangolari distintivi dei bulldozer armati D-9 della Caterpillar.

“Nella “zona cuscinetto”, per gli israeliani il Caterpillar è la principale arma di distruzione,” ha sostenuto Shaheen del PCHR. “Non hanno modificato la politica della loro compagnia, nonostante tutte le informazioni che sono loro pervenute sull’uso delle loro macchine qui.

“Quando sono venuti a sapere che potevano accedere ai loro campi fino a 100 metri, li hanno seminati. Ora non possono giungervi. Hanno perduto il raccolto. I bulldozer israeliani lo ha spianato.

“E’ molto importante mostrare che cosa fa la Caterpillar e che essa sa che cosa sta succedendo.”

Nelle attuali circostanze, gli agricoltori devono affrontare una stagione ritardata con pericoli accresciuti ed esito incerto

“Aspetteremo fino a novembre per cominciare a seminare, “ ha dichiarato Zakaria Abu Taima. “Di norma, avremmo cominciato da ora.”

“Naturalmente semineremo,” ha commentato Abu Jamal Abu Taima. “Ma prima facciamo il raccolto, gli israeliani possono arrivare con i loro bulldozer.”

Joe Catron è un attivista statunitense a Gaza, Palestina. E’ co-editore di The Prisoner’s Diares: Palestinian Voices from the Israeli Gulag, 2011

(tradotto da mariano mingarelli)

giovedì 12 settembre 2013

“No all’aggressione contro la Siria”. L’appello di 366 organizzazioni arabe pacesiria

“No all’aggressione contro la Siria”. L’appello di 366 organizzazioni arabe
pacesiria

Pubblichiamo la lettera con la quale 366 Organizzazioni della società civile provenienti da 13 paesi arabi chiedono al Congresso degli Stati Uniti e al Parlamento francese di non approvare l’atto di aggressione contro la Siria che violerebbe il diritto internazionale. E invitano tutti ad ascoltare la chiamata del Papa e la dichiarazione dello Sceicco di Al-Azhar

Le organizzazioni per i diritti umani sottoelencate esprimono profonda preoccupazione per la minaccia di aggressione militare alla Siria dei Governi di Stati Uniti e Francia, membri permanenti del Consiglio di sicurezza che violano la carta delle Nazioni Unite attraverso la pressione e la preparazione di un atto di aggressione che è contrario al diritto internazionale, anche qualora fosse autorizzato dai rispettivi parlamenti.

Le organizzazioni sottoelencate condannano l’uso di armi chimiche in Siria, chiunque le abbia usate, a Khan Al Assal (marzo 2013), nella zona est di Gouta (agosto 2013) o in qualsiasi altro luogo e chiede che il team di investigatori delle Nazioni Unite continui ad investigare per appurare chi ha usato armi chimiche e per non lasciare impuniti i responsabili. Mentre è sorprendente che il governo USA abbia annunciato i risultati dell’indagine sull’uso delle armi chimiche, prima che la Commissione internazionale d’inchiesta iniziasse il suo lavoro, le organizzazioni sottoelencate sono più preoccupate dell’uso continuo della calunnia e della menzogna per coprire l’aggressione militare contro Stati indipendenti, similmente a quanto avvenne prima dell’invasione del Vietnam del Nord nel 1964, con lo scandalo della Baia dei Porci nel 1961, per lanciare l’aggressione contro Cuba, e con l’accusa menzognera circa l’uso delle armi di distruzione di massa come pretesto per l’invasione militare dell’Iraq nel 2003.

Vogliamo anche ricordare, a questo proposito, la decisione della Corte internazionale di Giustizia nel 1986, che considerò il sostegno dell’amministrazione degli Stati Uniti all’opposizione armata contro il governo in Nicaragua, una violazione del diritto internazionale. Le organizzazioni sottoscritte chiedono alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di bandire tutte le armi di distruzione di massa in Medio Oriente, affinché diventi area libera da armi nucleari, biologiche o chimiche. Queste organizzazioni, chiedono a tutte le parti interessate di accelerare la convocazione della Conferenza Ginevra 2 secondo gli accordi di Ginevra 1 e di incoraggiare e facilitare la soluzione siriano-siriana attraverso il dialogo, senza l’uccisione di civili, la violenza armata ed il terrorismo, per evitare qualsiasi tentativo di dividere la Siria, lasciando che il popolo siriano, senza alcun intervento straniero, scelga il proprio governo democratico e d il proprio stato civile attraverso elezioni libere ed imparziali.

Infine, le sottoelencate organizzazioni apprezzano vivamente la posizione della Camera dei Comuni britannica, che non ha consentito il coinvolgimento della Gran Bretagna nell’aggressione contro la Siria, come successe quando fu parte dei tre stati che parteciparono all’aggressione contro l’Egitto nel 1956, dimostrando questa volta di essere coerenti con il diritto internazionale. Apprezzano anche la posizione dei 77 membri della Casa Giordana dei rappresentanti che ha invitato il governo Giordano a non utilizzare il territorio giordano come un trampolino di lancio per gli atti di aggressione alla Siria, e tutti coloro che nel mondo Arabo ed Occidentale si oppongono all’intervento militare in Siria. Infine, chiediamo ai Governi dei dieci stati disposti a lanciare un’aggressione alla Siria di ascoltare bene la chiamata della ragione e della saggezza di Sua Santità Papa Francesco alla preghiera e al digiuno per evitare la guerra alla Siria e lavorare per una soluzione pacifica, così come di ascoltare la posizione dello Sceicco di Al-Azhar Dr Ahmed Al-Tayeb, che ha considerato l’azione militare contro la Siria come un atto di ostilità contro la nazione araba che ignora la comunità internazionale e mette in pericolo la pace e la sicurezza a livello internazionale.

Organizzazioni per i diritti umani che hanno firmato
. 1- A group of Egyptian free/ Egypt
. 2- A group of women against the war on Syria / Jordan.
. 3- A new beginning for the development Foundation/ Egypt
. 4- Abu Bakr for community development and environmental protection/ Egypt
. 5- Adaleh Center for Human Rights Studies / Jordan
. 6- Adam Foundation for Human Development/ Egypt
. 7- Ahmed Abdullah Rezeh Foundation for Development/ Egypt
. 8- AL Badeel Center for Studies and Research / Jordan
. 9- Al Hadaf Association for Human Rights in Tanta/ Egypt
. 10- Al -Hoda lamps Association -Alexandria/ Egypt
. 11- Al- Sanhoori Center for the freedoms and constitutional rights/ Egypt
. 12- Al Sawaqi Association for the development of society and the environment/ Egypt
. 13- Al-Amal Association for Comprehensive Development/ Egypt
. 14- Algerian League for the Defense of Human Rights / Algeria
. 15- Al-Kalemah Center for Human Rights/ Egypt
. 16- All people Association for the overall development in Assiut/ Egypt
. 17- Almahrousa Radio/ Egypt
. 18- Almasar of social and human rights/ Yemen
. 19- AlMontazah Association for Cultural Development -Alexandria/ Egypt
. 20- AlMontazah Association for Cultural Development and Human Rights/ Egypt
. 21- Alsaeed Land Society for Development and Human Rights / Egypt
. 22- Alsharqyeh Youth for Development/ Egypt
. 23- Al-Shehab Foundation for expansion and overall development/ Egypt
. 24- Alternative Development Studies Center/ Egypt
. 25- Aman Network for the rehabilitation and defense of human rights in the Middle East and North Africa / Lebanon.
. 26- Amman Center for Human Rights Studies [ACHRS]
. 27- Amman Forum Society for Human Rights/ Jordan
. 28- Amoun Foundation for Rights and Freedoms / Egypt
. 29- Amwaj Association -Alexandria/ Egypt
. 30- Arab Bureau of Law/ Egypt
. 31- Arab Center for Development and Human Rights/ Egypt
. 32- Arab Center for the Independence of the Judiciary and the Legal Profession/ Egypt
. 33- Arab Commission for Human Rights / France
. 34- Arab Consciousness center/ Egypt
. 35- Arab Council for Ethics and Citizenship/ Egypt
. 36- Arab Defense Association/ Egypt
37- Arab Foundation for the support of civil society and human rights/ Egypt
. 38- Arab Mediterranean network for local development / Jordan
. 39- Arab Organization for human rights in Syria

. 40- Arab Organization for Penal Reform/ Egypt
. 41- Arab Spring Institute for the Study of democratization in the Middle East and
North Africa / Egypt
. 42- Arab Women Media Center / Jordan
. 43- Arab Women Organization (AWO
. 44- Arab Women’s Union/ Egypt
. 45- Arab-European Center for Human Rights and International Law/ Norway
. 46- Article 57 Association for the Defense of Human Rights/ Egypt
. 47- Ashraqah Association for Community Development -Alexandria/ Egypt
. 48- Assembly of the Arab Center for Human Rights/ Egypt/ Egypt
. 49- Assembly of the nation and the people for sustainable development/ Egypt
. 50- Assembly Women’s Health Improvement -Kafr shaker/ Egypt
. 51- Association Center Development and Population/ Egypt
. 52- Association economist Third World / Jordan
. 53- Association for Health and EnvironmentalDevelopment/ Egypt
. 54- Association of comprehensive development in Qena/ Egypt
. 55- Association of hard work/ Egypt
. 56- Association of human communication/ Egypt
. 57- Association of Teachers of Quran/ Egypt
. 58- Association of the way to support anti-corruption and legal/ Egypt
. 59- Awakening/ Egypt
. 60- Awlad Artana Foundation for Culture , Development and the arts/ Egypt
. 61- Baader Development & Services/ Egypt
. 62- Bader Society for Development and Human Rights in Qena/ Egypt
. 63- Badia researcher for Human Development/ Egypt
. 64- Bahrain Observatory for Human Rights/Bahrain.
. 65- Bahrain Society for Human Rights/Bahrain.
. 66- Bahrain Society for Transparency/Bahrain.
. 67- Bank Association of new ideas/ Egypt
. 68- Bent Alreef Association for the development of rural women Qena/ Egypt
. 69- Better Life Association for Development and Training in Beni Suef/ Egypt
. 70- Bokra Foundation for rights and media studies/ Egypt
. 71- Bokrah for media production and media studies and human rights/ Egypt
. 72- Breezes Association/ Egypt
. 73- Business Women future – Fouh/ Egypt
. 74- Cairo Center for Development and Human Rights/ Egypt
. 75- Candles Association for the care of the human rights/ Egypt
. 76- Care and Development apprentice boys Association/ Egypt
. 77- CEDAW Center for Democracy and Human Rights/ Egypt
. 78- Center January 25 for human rights –Banha/ Egypt
. 79- charitable Vrciss for the Community Development/ Egypt
. 80- Christianity Youth Association/ Egypt
. 81- Civil Egypt Movement/ Egypt
. 82- civil society organizations for the defense of the Palestinian people and the issues of freedom and liberty in the world (which includes 25 organizations ) / Palestine
. 83- Collective for Research and Training on Development Action / Lebanon
. 84- Come to participate for Community Development / Egypt

85- Commission for Public Freedoms and Human Rights in the Bar / Jordan
. 86- Community Development Association –Alhai Aljadeed – Morsi matrouh/ Egypt
. 87- Community Development Association –Al-Ikri/ Egypt
. 88- Community Development Association -Alshalateen/ Egypt
. 89- Community Development Association -Naga Al-Gassb/ Egypt
. 90- Community Development Association -AlJora/ Egypt
. 91- Community Development, environment, and family Association – Shakshouk/
Egypt
. 92- Coordinating Commission for NGO in Lebanon (include 18 society)
. 93- Damascus Center for Theoretical and Civil Rights / Syria
. 94- Delta Center for Human Rights/ Egypt
. 95- Democratic Society for Moroccan Women/ Morocco
. 96- Determination of development/ Egypt
. 97- Development and Enhancement of Women/ Egypt
. 98- Dialogue Center / Yemen
. 99- Dialogue Forum for Development and Human Rights/ Egypt
. 100- Dreams of the future Association–Alexandria/ Egypt
. 101- East Center for Human Rights/Saudi Arabia.
. 102- East-West Center for Human Resources Development / Jordan
. 103- Egypt Association for Human Rights/ Egypt
. 104- Egypt Youth Foundation for Development/ Egypt
. 105- Egypt Youth Society for Dialogue and Development/ Egypt
. 106- Egyptian Academy of Sport/ Egypt
. 107- Egyptian Association against medical negligence and human rights/ Egypt
. 108- Egyptian Association for Community Service/ Egypt
. 109- Egyptian Coalition against death penalty/ Egypt
. 110- Egyptian coalition hands/ Egypt
. 111- Egyptian Democratic Institute/ Egypt
. 112- Egyptian Family Development Foundation -Aswan/ Egypt
. 113- Egyptian Foundation for the Development level/ Egypt
. 114- Egyptian Foundation for Training and Human Rights/ Egypt
. 115- Egyptian Rights Centre for Development and Human Rights – Port Said/ Egypt
. 116- Egyptian sons foundation for Community Development and training in Sohag/
Egypt
. 117- Egyptian Women’s Legal Foundation/ Egypt
. 118- Egyptian Workers Association for Development and Human Rights – Mahalla alKubra/ Egypt
. 119- El-Karama Organization/ Egypt
. 120- enlighten Association ( independent culture ) / Egypt
. 121- Enlightenment forum / Yemen
. 122- Eve future Association/ Egypt
. 123- Faith Association for Comprehensive Development in Minya/ Egypt
. 124- Faith Vanguards Association charity -Alqbabat Atfih Center/ Egypt
. 125- Family Association/ Egypt
. 126- Fares Foundation for Social Welfare/ Egypt
. 127- Federation of Independent Trade Unions / Jordan
. 128- Fida international development cooperation/ Jordan.
. 129- Forum of independent civil society organizations (120 organizations and
institutions) / Yemen.

130- Foundation Yemen and proud of the development and the defense of rights and
freedoms
. 131- Fowa Heritage tourist Foundation/ Egypt
. 132- Free Egypt Association/ Egypt
. 133- Freedom Association for Development and Environment/ Egypt
. 134- Freedom Association for Development and Environment/ Egypt
. 135- Future Builders Association for Comprehensive Development/ Egypt
. 136- Future Society for Development and consumer and environmental protection -
Aswan/ Egypt
. 137- Global Movement for the Defense of Children– Palestine
. 138- Harran Youth Forum / Yemen
. 139- homeland Without Borders Center for Human Development and Human Rights
and the Refugees/ Egypt
. 140- Hope Village Society Alexandria/ Egypt
. 141- Hope Village Society for Social Development and Rehabilitation for Disabled/
Egypt
. 142- House dialogue/ Egypt
. 143- House livelihood/ Egypt
. 144- human communication/ Egypt
. 145- Human Rights Association for the Assistance of Prisoners/ Egypt
. 146- Human Rights Organization in Iraq ( 1982 ) / London
. 147- Humanitarian Forum for Women’s Rights / Jordan
. 148- Humans Association for Comprehensive Development/ Egypt
. 149- Iben Misr for Development and human rights awareness/ Egypt
. 150- Information Center for Human Rights and Democracy, “Sun” / Palestine
. 151- Intellectual system of the law firm/ Egypt
. 152- International Justice Center-Tanta/ Egypt
. 153- International Center for Human Rights/ Egypt
. 154- International Center to support the rights and freedoms/ Egypt
. 155- Iraqi human rights organizations Network(including 54 human rights
organizations) / Iraq
. 156- Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center / Palestine
. 157- Jordan network of civil society organizations (which includes 16 organizations)
. 158- Jordanian Association for Child Rights/Jordan
. 159- Jordanian Authority for the culture of democracy / Jordan
. 160- Jordanian Coalition Against the Death Penalty
. 161- Jordanian Democratic Youth league/ Rashad
. 162- Jordanian Jurists Association
. 163- Jordanian labor Observatory
. 164- Jordanian league of Democratic Women / Rand
. 165- Jordanian Network for Human Rights coaches / Jordan
. 166- Jordanian Professional Association
. 167- Jordanian teachers Democratic league
. 168- Jothor -for Cultural Development/ Egypt
. 169- Justice company for Human Development , Consultation and Training/ Egypt
. 170- Justice Organization for freedoms and human rights / Yemen
. 171- Justice organization for Development and human Rights/ Egypt
. 172- Kaar Massoud Association for community service and development/ Egypt
. 173- Khadija Association in Fayoum/ Egypt
. 174- Khiam Rehabilitation Center for Victims of Torture / Lebanon

175- Land and human Foundation to support the development / Jordan
. 176- Land Center for Human Rights/ Egypt
. 177- Legal Forum/ Egypt
. 178- Legend of public work/ Egypt
. 179- Liberal Forum for Strategic Studies/ Morocco
. 180- Life Association for Community Development and Human Rights/ Egypt
. 181- Life Candle Association for the care of disabled/ Egypt
. 182- Life Flowers Association -Alexandria/ Egypt
. 183- Local community Development Association –Al-Mofti/ Egypt
. 184- Local Community Development Association –Kafr Rabee/ Egypt
. 185- Long Association for the Welfare of Disabled Persons – Sharqia/ Egypt
. 186- Maakom Association for development and social assistance/ Egypt
. 187- Maat Center for Peace, Development and Human Rights / Egypt
. 188- Maat Center for Peace, Development and Human Rights/ Egypt
. 189- Madaba Foundation to support the development / Jordan
. 190- Martyr Mohamed Othman Moharram charity Association for the overall
development of society and the protection of human rights and the environment -
registered number 92 for the year 1967/ Egypt
. 191- Masr Al-Khair Society
. 192- Mauritania network for election monitoring/Mauritania
. 193- Mauritanian Assembly to upgrade rights / Mauritania
. 194- Mauritanian Association for Human Rights /Mauritania
. 195- Mohamed Abdel Salam Foundation for Development, Training and Human
Rights/ Egypt
. 196- Mom Association for Rights and Development/ Egypt
. 197- Moroccan Center for Human Rights ( Morocco)
. 198- Mosawat(Equality) Network including 87 Society and organization)/Jordan
. 199- Muslim Youth Association in Algelaalh – Ibrahimeya Center/ Egypt
. 200- National Association for Defending Rights and Freedoms/ Egypt
. 201- National belonging Foundation for Human Rights/ Egypt
. 202- National Center for Human Rights/ Egypt
. 203- National Civil Forum in Sudan (include more than 50 organizations)/Sudan.
. 204- National Foundation for Combating Trafficking in Human Beings / Yemen
. 205- National Foundation for Transitional Justice/ Egypt
. 206- National Observatory for Human voter / Morocco
. 207- National Society for Human Rights -Al sharqieha/ Egypt
. 208- National Union for the Total Independence lawyer/ Egypt
. 209- National University of Civil Society Organizations / Morocco
. 210- New dream Association -Alexandria/ Egypt
. 211- News Foundation for Press and Media/ Egypt
. 212- Omar Hanoune Organization/ Freedom Organization/ Egypt
. 213- One World Foundation for Development and Civil Society Care – Egypt
. 214- Osvon for Training and Information Technology/ Egypt
. 215- Our dreams Foundation for expansion and overall development/ Egypt
. 216- Our Voice Association for NGOs/ Egypt
. 217- Our word Association for Dialogue and Development/ Egypt
. 218- Palestinian Institute for Human Rights / Palestine
. 219- Participatory Development Association/ Egypt
. 220- Peace and the Renaissance Society/ Egypt

221- People of management control/ Egypt
. 222- Phoenix Center for Economic Studies and Informatics / Jordan
. 223- Por Fouad Association for Family and Child Welfare/ Egypt
. 224- prayer paradise Association for Philanthropy and Development/ Egypt
. 225- Preeminence Amal Association for Community Development in Fayoum
. 226- protection center to support the defenders of human rights/ Egypt
. 227- Pulse homeland Association for Human Rights/ Egypt
. 228- Ramallah Center for Human Rights Studies / Palestine
. 229- Refaa Tahtawy Forum for Democratic Studies / Egypt
. 230- RegionalCenter for Information and Development Studies/ Egypt
. 231- Rehab Mohamed Gharib Hassan/ Egypt
. 232- Reload small industries/ Egypt
. 233- Renaissance Egypt Youth Association-Tanta/ Egypt
. 234- Rimas Association/ Egypt
. 235- Roots Association for Civil Rights / Jordan
. 236- Roots Association for Comprehensive Development/ Egypt
. 237- Rural Friendship Association -Kaliobeya/ Egypt
. 238- Saedah for Development and Human Rights/ Egypt
. 239- Set the colors of life group for the rights of persons with disabilities/ Egypt
. 240- seven million disabled people Association/ Egypt
. 241- shares of confidence Foundation -Ismailia/ Egypt
. 242- Sinai Foundation for Economic Development -North Sinai/ Egypt
. 243- Sincerity and piety Association for community development/ Egypt
. 244- Siza Nabrawi Center for Law/ Egypt
. 245- Social community development Association Jazeret Bba-Beni Suef/ Egypt
. 246- Socialist Forum / Jordan
. 247- Solidarity Association for Development and Human Rights/ Egypt
. 248- South Centre for Human Rights/ Egypt
. 249- step Society for the Care of Persons with Disabilities/ Egypt
. 250- Sudan Organization for Social Development (SODO)
. 251- Syrian network for human rights monitoring/ Syria
. 252- Taha Hussein Foundation for Civic Education/ Egypt
. 253- Tawasoul center for empower women/ Egypt
. 254- Teba Center for Human Rights and Development/ Egypt
. 255- The Arab Coalition Against the Death Penalty(including 11 national coalitions
organizations)
. 256- The Arab Program for Human Rights Activists/ Egypt
. 257- The Arabic Network for Human Rights coaches / Jordan
. 258- The Association of democracy and solidarity in Syria – France
. 259- The Association of economic and social empowerment of women / Jordan
. 260- The Association of hard work / Egypt
. 261- The Association of women heads of households /
. 262- The Development and Enhancement of Women Association/ Egypt
. 263- The Egyptian Association for Civic Education and Human Rights/ Egypt
. 264- The Egyptian Association for Community Participation Enhancement/ Egypt
. 265- The Egyptian Association for Development in Fayoum/ Egypt
. 266- The Egyptian Association for Economic and Social Rights/ Egypt
. 267- The Egyptian Association for Human Rights/ Egypt
. 268- The Egyptian Association for on A’erah and Technological Development/ Egypt
. 269- The Egyptian Association for Political Science/ Egypt

270- The Egyptian Association for the Advancement and Development/ Egypt
. 271- The Egyptian Association for the deployment and development of legal
awareness / Egypt
. 272- The Egyptian Association for the development of children and youth/ Egypt
. 273- The Egyptian Center for Development and Human Rights/ Egypt
. 274- The Egyptian lawyers initiative and steps in front/ Egypt
. 275- The Egyptian Organization for Human Rights/ Egypt
. 276- The Egyptians without Borders Foundation / Egypt
. 277- The Graduates Youth Association – Sohag/ Egypt
. 278- The Land Children Foundation for Human Rights/ Egypt
. 279- The Middle East Foundation for Development / Yemen
. 280- the National Assembly for Human Rights/ Egypt
. 281- The National Council for Human Rights – Syria
. 282- The National Organization for Human Rights / Cairo
. 283- The Palestinian Society for Human Rights (Monitor)
. 284- The pioneers of the environment and human rights Organization f/ Egypt
. 285- The right of the Egyptian citizen Association Ismailia/ Egypt
. 286- The right to life/ Egypt
. 287- The socialist prospects center in Al-Mahalla al-Kubra/ Egypt
. 288- Today’s students/ Egypt
. 289- Tomorrow Mashreq/ Egypt
. 290- towards a better Egypt Foundation/ Egypt
. 291- Tram Radio/ Egypt
. 292- treasures Bardawil Association -North Sinai/ Egypt
. 293- Trustfulness hand Foundation/ Egypt
. 294- Union of Arab ambassadors childhood/ Egypt
. 295- United Group – Lawyers and Legal Consultants/ Egypt
. 296- upward Association for Development and Human Rights/ Egypt
. 297- Victory Association for Community Development/ Egypt
. 298- Vinos Organization for Iraqi Women/ Iraq
. 299- Voter foundation for Development and Human Rights / Egypt
. 300- Women and Development Association -Alexandria/ Egypt
. 301- Women’s Assembly -Al qaseer/ Egypt
. 302- Women’s Association for the development of the local community Aswan/ Egypt
. 303- Women’s Associationfor the future and development in Arment/ Egypt
. 304- Women’s Foundation for Development/ Egypt
. 305- Women’s Rights Foundation are the first/ Egypt
. 306- Yemen organization defending rights and democratic freedom.
. 307- Yemeni Coalition Against the Death Penalty / Yemen
. 308- Youth and girls Tala Center Association for Social Development/ Egypt
. 309- Youth liberty Society-Batma/ Egypt
. 310- Youth Without Borders/ Egypt
http://www.articolo21.org/2013/09/no-allaggressione-contro-la-siria-lappello-di-366-organizzazioni-arabe/

martedì 10 settembre 2013

bomba in Siria

L'Iran, non la Siria, vero bersaglio dell'Occidente

L'Iran, non la Siria, vero bersaglio dell'Occidente L'Iran è sempre più coinvolto nel proteggere il governo siriano: una vittoria di Bashar è una vittoria dell'Iran. E vittorie iraniane non sono tollerate ad Ovest [R. Fisk] di Robert Fisk Prima che la più stupida guerra occidentale nella storia del mondo moderno abbia inizio- mi sto naturalmente riferendo all'attacco alla Siria che tutti noi dobbiamo ancora ingoiare - potrebbe essere bene dire che i missili cruise, che fiduciosamente ci attendiamo che si scaglino su una delle città più antiche dell'umanità, non hanno assolutamente nulla a che fare con la Siria . Sono destinati a danneggiare l'Iran. Sono destinati a colpire la repubblica islamica, ora che ha un nuovo e brillante presidente - a differenza di quel picchiatello di Mahmoud Ahmadinejad - proprio nel momento in cui potrebbe essere appena più stabile. L'Iran è il nemico di Israele. L'Iran è quindi, naturalmente, nemico dell'America. Perciò si sparano i missili contro l'unico alleato arabo dell'Iran. Non c'è nulla di gradevole da dire sul regime di Damasco. Né questi commenti scagionano il regime in materia di uso massiccio di gas. Ma io sono abbastanza vecchio per ricordare che quando l'Iraq - allora alleato degli Stati Uniti - aveva usato i gas contro i curdi di Hallabjah nel 1988, noi non abbiamo aggredito Baghdad. In realtà, tale attacco dovette aspettare fino al 2003, quando Saddam non aveva più alcun gas o una qualsiasi delle altre armi su cui abbiamo avuto degli incubi. a me capita anche di ricordare che la CIA nel 1988 ha architettato la storiella che l'Iran fosse responsabile per le gasazioni di Hallabjah, una tangibile bugia che si è concentrata sul nemico dell'America che Saddam stava allora combattendo per nostro conto. E migliaia - non centinaia - morirono ad Hallabjah. Ma così va il mondo. Tempi diversi, standard diversi. E suppongo che valga la pena notare che quando Israele ha ucciso fino a 17mila uomini, donne e bambini in Libano nel 1982, in una invasione ipoteticamente provocata dal tentativo dell'OLP di assassinare l'ambasciatore israeliano a Londra - era in realtà il compagno di Saddam Abu Nidal ad aver organizzato l'uccisione, non l'OLP, ma questo non conta, ora - l'America semplicemente si limitò a far appello a entrambe le parti affinché esercitassero "moderazione". E quando, pochi mesi prima di quella invasione, Hafez al-Assad - padre di Bashar - inviò suo fratello fino ad Hama per spazzare via migliaia di ribelli dei Fratelli Musulmani, nessuno mormorò una sola parola di condanna. "Regole di Hama" fu il modo in cui il mio vecchio collega Tom Friedman cinicamente definì questo bagno di sangue. In ogni caso, c'è una Fratellanza diversa in campo oggigiorno - e Obama non ha potuto nemmeno dire né a né ba quando il loro presidente eletto è stato deposto. Ma aspettate un attimo. Non fu che forse che l'Iraq - quando era il "nostro" alleato contro l'Iran - fece anch'esso uso di gas contro l'esercito iraniano? Lo fece. Ho visto le persone colpite da ferite come quelle di Ypres in conseguenza di questo folle attacco di Saddam - ufficiali statunitensi , dovrei aggiungere, hanno visitato il campo di battaglia più tardi e riferito a Washington - e non ce n'è fregato un fico secco. Migliaia di soldati iraniani nella guerra 1980-1988 sono stati avvelenati a morte da questa arma vile. Sono tornato a Teheran durante la notte su un treno di feriti militari e ho sentito la puzza di questa roba per davvero, aprendo i finestrini nei corridoi per liberare i miasmi del gas. Questi giovani avevano ferite su ferite - letteralmente. Avevano piaghe orribili in cui galleggiavano piaghe ancora più dolorose che si avvicinano all'indescrivibile. Eppure, quando i soldati sono stati inviati agli ospedali occidentali per ricevere delle cure, noi gazzettieri definimmo questi feriti - dopo prove fornite dall'ONU infinitamente più convincenti di quelle che stiamo probabilmente per ottenere da fuori Damasco - "presunte" vittime del gas. Ebbene, cosa stiamo facendo in nome del cielo? Dopo che innumerevoli migliaia di persone sono morte nell'impressionante tragedia della Siria, improvvisamente - ora , dopo mesi e anni di soperchierie - ci stiamo arrabbiando per qualche centinaio di morti. Terribile. Inconcepibile. Sì, questo è vero. Ma avremmo dovuto essere traumatizzati sul campo da questa guerra nel 2011. E nel 2012. Ma perché ora? Sospetto di saperne il motivo. Io penso che lo spietato esercito di Bashar al-Assad potrebbe essere proprio in procinto di vincere contro i ribelli che noi segretamente armiamo. Con l'assistenza del libanese Hezbollah - alleato dell'Iran in Libano - il regime di Damasco ha debellato i ribelli a Qusayr ed è lì per lì per sgominarli anche a nord di Homs. L'Iran è sempre più profondamente coinvolto nella protezione del governo siriano. Per questo motivo una vittoria per Bashar è una vittoria per l'Iran. E vittorie iraniane non possono essere tollerate dall'Occidente. E già che siamo in tema di guerra, che cosa è successo a quei magnifici negoziati israelo-palestinesi di cui si vantava John Kerry? Mentre esprimiamo la nostra angoscia per le orribili gasazioni in Siria, la terra di Palestina continua ad essere divorata. Le politiche Likudiste di Israele - ossia negoziare per la pace fino a quando non sarà rimasta alcuna Palestina - continuano a ritmo sostenuto, ed è per questo che l'incubo del re Abdullah di Giordania (assai più opprimente di quello delle "armi di distruzione di massa " da noi vagheggiato nel 2003) diventa ancora più grande: che la "Palestina" sarà in Giordania, non in Palestina. Ma se dobbiamo credere alle sciocchezze che escono da Washington, Londra, Parigi e dal resto del mondo "civilizzato", è solo una questione di tempo prima che la nostra spada rapida e vendicativa si scagli sui damasceni. Il fatto di osservare i leader del resto del mondo arabo mentre applaudono a questa distruzione è forse la più dolorosa esperienza storica che la regione debba sopportare. E la più vergognosa . Se non fosse per il fatto che staremo attaccando i musulmani sciiti e i loro alleati al titmo del battimani dei musulmani sunniti. Ed è ciò di cui la guerra civile è fatta. (Traduzione per Megachip a cura di Sebastian Versus.)

lunedì 9 settembre 2013

kALANDIA, FUNERALI

Israele intensifica gli attacchi a un’agenzia delle Nazioni Unite dopo l’uccisione di un dipendente durante un’incursione.

Israele intensifica gli attacchi a un’agenzia delle Nazioni Unite dopo l’uccisione di un dipendente durante un’incursione. Durante le prime ore del mattino di lunedì, 26 agosto, nel corso di un’operazione d’arresto forze israeliane in segreto e disinformate hanno invaso il campo profughi di Qalandiya vicino alla città di Ramallah nella West Bank occupata. Quando gli abitanti li hanno affrontati, ne sono conseguiti scontri. di Patrick O. Strickland Testimoni oculari che hanno parlato con The Electronic Intifada, come pure gruppi per i diritti umani e della Nazioni Unite, hanno contraddetto gli elementi chiave delle attestazioni di Israele a proposito dell’incursione che ha lasciato sul terreno tre civili palestinesi morti, tra cui un dipendente dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati UNRWA. "Sembrava che il campo profughi fosse Gaza," ha ricordato Yehya Mteir, un residente del campo che ha assistito all’incursione. "Uno dei miei amici è stato colpito al braccio da un proiettile dum-dum," ha aggiunto, riferendosi ai proiettili che esplodono all’interno del bersaglio dopo esservi penetrati. "Mi ha chiesto di guardarlo, e mi sono spaventato perché sembrava che l’unica cosa che tenesse unito il braccio al corpo fosse la manica della camicia." Qalandiya ospita circa 11.000 profughi palestinesi registrati presso le Nazioni Unite – quasi la metà della sua popolazione ha 14 anni o è più giovane. I soldati israeliani hanno incontrato resistenza da parte degli abitanti del posto, che hanno lanciato pietre alle jeep dell’esercito nel momento in cui cercavano di procedere nei vicoli stretti del campo, come documentato nel video. (http://www.youtube.com/watch?v=2udF2d_d3A4 ) Proiettili veri Durante gli scontri, i soldati hanno risposto sparando proiettili alla folla e ferendo mortalmente tre giovani palestinesi: il 20enne Jihad Aslan, il 22enne Younis Jahjouh e il 34 enne Kazim Abdulrahman Zayid. Un rapporto rilasciato oggi da Human Right Watch, che fa riferimento a fonti mediche, afferma che "5 delle 18 persone ferite da arma da fuoco durante gli scontri erano al di sotto dei 18 anni e 12 delle 18 hanno richiesto intervento chirurgico." Secondo Al Jazeera English, martedì ai funerali si sono recate 3000 persone e sono sfilate in corteo con le famiglie dei deceduti. Mortale operazione di arresto Il portavoce militare israeliano, Luba Jeremie, ha riferito ad Agence France-Presse che la polizia di frontiera era entrata nel campo per "arrestare un attivista terrorista ostile", riferendosi a Yousef al-Khatib, che , secondo Ma’an News Agency, è stato rilasciato di recente dal carcere israeliano dopo dieci anni di detenzione. Secondo Human Right Watch, le forze israeliane hanno arrestato dapprima un parente di al-Khatib, scambiandolo per la persona ricercata, lo hanno ammanettato, bendato e portato in una vicina base militare. "Uno di loro mi ha colpito allo stomaco durante tutto il tragitto con un oggetto pesante, forse un estintore, " ha testimoniato il congiunto al gruppo dei diritti. Dopo essere stato informato dai soldati israeliani che Yousef al-Khatib era stato arrestato, il parente è stato dopo di ciò ricondotto al campo di Qalandiya per identificare al-Khatib. "Ho fatto fatica a riconoscerlo. Gli avevano rotto il naso e fatti saltar via i denti, e la mano era rotta," ha rivelato il congiunto al gruppo per i diritti. Attualmente Yousef al-Khatib è detenuto senza imputazione nel carcere militare di Ofer nella West Bank occupata. "Non avevamo armi da fuoco" "Dopo l’arresto [di al-Khatib] una folla di circa 1500 abitanti ha dato inizio a disordini, lanciando bombe Molotov e pietre, mettendo in pericolo i membri delle forze armate che hanno risposto con mezzi dispersione antisommossa, " ha aggiunto il portavoce dell’esercito israeliano Samri. I militari israeliani hanno anche accusato i palestinesi di aver sparato ai soldati, affermando che "in seguito sono stati scoperti dei fori di proiettili nei veicoli [militari], " come riportato da The Jerusalem Post. Yehya Mteir, che era presente durante gli scontri, ha negato la versione dei fatti del portavoce militare israeliano. "Uno dei martiri era mio amico, e siamo stati insieme la notte prima," ha detto. "C’era solo un candelotto di gas lacrimogeno sparato all’inizio e uno alla fine, ma diverso da quello, erano tutte munizioni da guerra e proiettili dum-dum, " ha aggiunto. C’era tanta gente per strada perché tutti si stavano recando al lavoro; di solito [i militari] arrivano quando stiamo dormendo, " ha spiegato Mteir. "Gli unici mezzi che avevamo per combattere erano le pietre. Non avevamo armi da fuoco o bottiglie Molotov, nessuno di noi." Il rapporto di Human Right Watch sull’incidente attribuisce agli abitanti del campo il lancio di pietre, bottiglie Molotov e altri oggetti, ma attesta che " i soldati hanno sparato a palestinesi che non tiravano pietre in circostanze che indicano che essi hanno usato intenzionalmente una forza letale che non era necessaria per proteggere la vita…" Chris Gunness, portavoce dell’Agenzia dell’ONU per i Rifugiati, UNRWA, in un’intervista a The Electronic Intifada ha dichiarato che l’indagine svolta dall’Agenzia ha rinvenuto discrepanze nelle affermazioni dell’esercito israeliano. Anche Human Right Watch ha asserito oggi che i soldati israeliani "sembra abbiano usato illegalmente forza letale" durante l’incursione, esigendo un processo penale per quei soldati che "hanno sparato sulla gente in modo colposo". "Tutte le persone che abbiamo intervistato hanno negato vigorosamente che i palestinesi abbiano sparato [proiettili veri], o detto che non se ne erano accorte", ha riferito a The Electronic Intifada Bill Van Esveld, un ricercatore di Human Right Watch. "Se gli israeliani hanno prove di questo, dovrebbero renderle pubbliche." Dipendente delle Nazioni Unite ucciso. Uno di coloro che sono stati uccisi, Rubeen Zayid, padre 34enne di quattro figli, era un dipendente dell’UNRWA. "Abbiamo nove testimonianze indipendenti che confermano tutte che era disarmato, non era coinvolto in atti di violenza, non impegnato nel lancio di pietre e tuttavia non ci sono dubbi è stato colpito da un proiettile al petto, " ha raccontato a The Electronic Intifada il portavoce dell’UNRWA Gunness. Mentre Zayid faceva la strada per andare al lavoro, ha tentato di aggirare gli scontri. Quando i soldati israeliani hanno aperto il fuoco un proiettile lo ha colpito al petto e lo ha ucciso sul posto. "Secondo i testimoni oculari con i quali abbiamo parlato, non c’erano bottiglie Molotov o bombe Molotov nella zona dov’è stato ucciso Kazim," ha dichiarato Gunness. Mteir ha riferito anche che Zayid "stava andando al lavoro. Egli non combatteva o lanciava pietre contro gli israeliani." Secondo l’indagine di Human Right Watch, Van Esveld ha detto che Zayid " stava svoltando l’angolo ed è stato colpito al petto….Testimoni ci hanno detto che nessuno attorno a lui stava tirando pietre. L’ultimo soldato che stava entrando nell’ultimo veicolo militare mentre se ne stavano andando, si è girato e gli ha sparato al petto." Un altro dipendente dell’UNRWA è stato pure colpito nella parte posteriore della gamba mentre tentava di evitare gli scontri, ha riferito Gunness. Un testimone oculare intervistato da Human Right Watch ha dichiarato che "c’è stato un solo sparo, che egli ritiene indicasse che il soldato ha mirato direttamente ad Abu Murad, " un raccoglitore d’immondizia di 50 anni presso l’agenzia delle Nazioni Unite. Il gruppo per i diritti aggiunge: "entrambi i testimoni dell’assassinio di Abu Murad hanno detto di non aver visto nessuno in quel momento nella strada lanciare pietre alle forze israeliane dalla direzione di Abu Murad. L’UNRWA condanna l’omicidio. Un comunicato stampa dell’UNRWA afferma che "l’UNRWA condanna l’omicidio di un membro del suo staff e invita tutte le parti, in questo momento delicato, a esercitare il massimo di limitazioni e agire coerentemente al il diritto internazionale." Il Ministero degli Affari Esteri (MFA) ha rilasciato una risposta che condanna la dichiarazione dell’UNRWA "come sostegno politico unilaterale" "Davvero a prescindere dal fatto che l’UNRWA non si è presa neppure la briga di approcciare una qualsiasi fonte ufficiale israeliana per il commento, la sua dichiarazione è stata fornita precipitosamente ai giornalisti mentre violenti tumulti infuriano ancora a Qalandiya," dichiara il MFA. Tuttavia, Gunness ha contestato entrambe queste accuse. "Questa asserzione del MFA israeliano è il classico caso della mano destra che non deve sapere che cosa fa la mano sinistra. Abbiamo parlato sia con il MFA che con l’esercito israeliano prima della pubblicazione della nostra dichiarazione," ha raccontato a The Electronic Intifada. "La loro eccezione sulla tempestività del nostro rapporto è chiaramente una sciocchezza," ha aggiunto Gunness. "La nostra dichiarazione è stata rilasciata circa 12 ore dopo che il membro del nostro staff era stato colpito a morte. In questo posto, gli scontri erano cessati da lungo tempo." Israele cita il regista kahanista. Attaccando l’inchiesta dell’agenzia per i profughi, l’asserzione del MFA denuncia ulteriormente l’UNRWA in quanto "continuamente manca di manifestare una solerzia e un entusiasmo simile quando viene richiesta di indagare sui propri casi di illecito," agganciandosi a un articolo di Times of Israel su di un film propagandistico fatto uscire a luglio intitolato Camp Jihad. Il regista, David Bedein, è un giornalista della destra israeliana che vive nella colonia di Efrat nella West Bank e che accusa regolarmente le Nazioni Unite di favorire l’antisemitismo e di incoraggiare la violenza tra i palestinesi. Dalla sua uscita, il film è stato menzionato da funzionari israeliani. Il 14 agosto, l’account twitter ufficiale della Missione israeliana alle Nazioni Unite, diretta dall’ambasciatore Ron Prosor, ha promosso e connesso il film Camp Jihad, affermando."l’UNRWA si vanta della sua ‘neutralità’ - ma l’orripilante istigazione nei suoi campi estivi racconta una storia diversa." Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ripetuto le asserzioni del film durante l’incontro del 16 agosto con il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. I campi profughi palestinesi, ha sostenuto Netanyahu, "sono stati utilizzati…. Per infondere tra i bambini palestinesi la cultura dell’odio e idee riguardanti la distruzione di Israele…Confido che farà in modo che questi abusi degli obiettivi delle Nazioni Unite e i suoi finanziamenti non continuino. L’osservazione di Netanyahu è stata riportata dalla Missione israeliana pure sull’account twitter dell’ONU. Affermazioni "grossolanamente fuorvianti" In una dichiarazione pubblicata sul sito web dell’UNRWA, il portavoce Gunness ha respinto vigorosamente le asserzioni del film, aggiungendo che il "film è grossolanamente fuorviante e deploriamo il danno che ha causato all’UNRWA e alle Nazioni Unite. "Il regista implicato [David Bedein] ha una storia per ciò che riguarda il fare affermazioni prive di fondamento sull’UNRWA, su tutte le quali abbiamo indagato e dimostrato che sono manifestatamene false. A lungo è stata prassi del filmmaker mostrare attività non dell’UNRWA e rappresentarle come se lo fossero," aggiunge la dichiarazione di Gunness. Una dichiarazione UNRWA del 2011 cita la rivelazione dello studioso Rex Brynen essere Bedein uno che "ha collegamenti kahanisti", facendo riferimento al movimento ultranazionalista che si fonda sull’ideologia di Meir Kahane. Kahane fondò la lega di difesa ebraica, classificata dal FBI come gruppo terroristico di destra, e il partito Kach, designato come organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Canada e Unione Europea. La dichiarazione UNRWA cita Brynen: "Bedein ha pure divulgato il lavoro sotto l’egida della sua organizzazione con Samuel Sokol – un attivista di ultradestra che, nelle foto che una volta egli ha pubblicato con orgoglio on-line, si può vedere in posa armato davanti a una…bandiera kahanista." A condizione di conservare l’anonimato, una fonte diplomatica importante ha detto a The Electronic Intifada che "è singolare, ma forse non sorprendente che l’ambasciatore israeliano avesse spinto il primo ministro [Benjamin Netanyahu] a citare al Segretario Generale delle Nazioni Unite uno con collegamenti kahanisti." "Ciò mostra a proposito quanto sia diventata perversa e malata la narrazione. Immaginate quel che sarebbe accaduto se un collegamento di quel tipo fosse presente sul versante palestinese," ha aggiunto la fonte. Uso eccessivo della forza Quest’anno, nella West Bank, sono stati fino ad ora uccisi dai soldati israeliani quattordici civili palestinesi, tra cui quelli colpiti a morte durante l’irruzione a Qalandia Organizzazioni internazionali dei diritti umani hanno condannato gli ultimi omicidi. "La morte [di Rubeen Zayid] solleva preoccupazioni che possa essere stata una esecuzione extragiudiziaria in violazione del diritto internazionale, " ha sostenuto in una dichiarazione Philip Luther, direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. "Questo raid mortale finalizzato a un arresto sembra essere pure un altro esempio di uso eccessivo della forza da parte delle truppe israeliane nei Territori Palestinesi Occupati, " ha aggiunto Luther. Human Right Watch ha richiesto anche un’indagine penale immediata relativa all’incursione. Campi UNRWA ripetutamente attaccati Una segnalazione delle Nazioni Unite asserisce di continuo che i campi dell’UNRWA sono stati regolarmente attaccati, nonostante vengano ritenute essere aree neutrali e vietate ai militari israeliani. Questa segnalazione dipinge un quadro inquietante delle violazioni: candelotti di gas lacrimogeno, granate assordanti e pallottole di acciaio rivestite di gomma vanno a finire di frequente o colpiscono i locali dell’UNRWA. Solo durante la prima metà del 2013, sono state registrate ventisei violazioni. In un caso, il 27 di giugno, più di 100 candelotti di gas lacrimogeno sparati dai militari israeliani sono caduti su una scuola femminile del campo profughi di Qalandiya. Nell’ultimo decennio, le forze israeliane hanno ucciso e ferito lavoratori dell’UNRWA ed attaccato più volte i locali dell’Agenzia. Nel novembre 2002, nel campo profughi di Jenin nella West Bank settentrionale, un direttore di progetto dell’UNRWA, Iain Hook, è stato colpito e ucciso da un cecchino militare israeliano nel mezzo degli scontri. Quando Israele intensificò gli attacchi alla Striscia di Gaza nel dicembre 2002, due dipendenti dell’UNRWA vennero uccisi, nessuno dei due era ritenuto fosse coinvolto negli scontri. Nel gennaio 2009, durante la brutale aggressione di Israele alla Striscia di Gaza dell’inverno 2008-2009, le forze israeliane bombardarono la scuola dell’UNRWA, al-Fakhura, nel campo profughi di Jabalia. Almeno 40 palestinesi vennero uccisi e più di 50 feriti. Durante l’offensiva militare di Israele su Gaza del novembre 2012, il governo israeliano asserì tramite i mezzi di comunicazione che l’UNRWA permetteva alle organizzazioni di resistenza armata di lanciare razzi verso Israele. L’UNRWA respinse categoricamente tali affermazioni. Impunità Considerando il lungo primato delle impunità israeliane, è improbabile che ci sarà una qualche assunzione di responsabilità per i tre omicidi a Qalandiya di lunedì scorso. Quando è stato interpellato sulla probabilità di un’indagine interna dell’esercito israeliano, Van Esveld ha risposto, "Il primato parla chiaro" Secondo le ultime statistiche del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, dallo scoppio della seconda Intifada, nel settembre 2000, nei territori occupati sono stati uccisi dalle forze israeliane 6.706 palestinesi. Eppure un rapporto recente del gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din ha scoperto che in tale periodo solo 16 pratiche investigative hanno portato a un rinvio a giudizio. Inoltre, soli sette soldati israeliani sono stati incarcerati per l’omicidio di sei civili, uno dei quali era di nazionalità britannica. Anche se raramente puniti per l’uccisione di civili, soldati israeliani di stanza nella città di Hebron nella West Bank, sono stati di recente "conformemente sanzionati", secondo un comunicato dell’esercito, per essersi inseriti in una festa palestinese di matrimonio e aver ballato con i presenti. "Le guerre di Gaza sono avvenute e il mondo intero ne è venuto a conoscenza senza fare nulla, " ha concluso il residente di Qalandiya Yehyia Mteir. "C’è stata la distruzione del campo profughi di Jenin e nulla è cambiato," ha aggiunto, facendo riferimento all’invasione del 2002 del nord della West Bank. "Ma questa volta è stato veramente duro. La gente nel campo [di Qalandiya] ha smesso di dormire perché stiamo svegli per la preoccupazione, aspettando che arrivino gli israeliani." Patrick O. Strickland è un giornalista investigativo di Mint Press News: I suoi articoli sono apparsi su Aljazeera English, Truthout e The Electronic Intifada. (tradotto da mariano mingarelli)

domenica 8 settembre 2013

Israele propone «confini mobili» A Gaza zona cuscinetto egiziana

Israele propone «confini mobili» A Gaza zona cuscinetto egiziana di Michele Giorgio GERUSALEMME - Ignorati dai media impegnati a seguire le tappe di avvicinamento alla nuova guerra che gli Usa scateneranno in Medio Oriente, il cuore del conflitto mediorientale, quello isarelo-palestinese, rischia l'oblio. L'espansione delle colonie israeliane a Gerusalemme Est e in Cisgiordania procede senza soste nonostante i negoziati ripresi a luglio tra il governo Netanyahu e l'Anp di Abu Mazen, dopo quattro anni di blocco. I colloqui proseguono, guidati dal negoziatore palestinese Saeb Erekat e dalla ministra israeliana Tzipi Livni. Si sa poco dei risultati. Si è appreso che dopo la liberazione di 24 detenuti politici palestinesi avvenuta il mese scorso, un altro gruppo di prigionieri dovrebbe essere scarcerato da Israele a fine settembre. Non sembra esserci nulla di concreto dietro l'ottimismo di maniera del Segretario di stato John Kerry convinto che in «nove mesi» le due parti potranno raggiungere uno «storico accordo». A dirlo con franchezza è stato un protagonista degli accordi di pace di Oslo (1993), Yasser Abed Rabbo. «Non mi aspetto alcun progresso, a meno che non vi sia una pressione americana forte», ha detto Abed Rabbo rompendo il velo di riserbo che circonda i colloqui. D'altronde il tavolo del negoziato in corso assomiglia tanto a quelli inutili visti da venti anni a questa parte. Secondo la Associated Press, Israele ha «suggerito» la creazione di uno Stato palestinese con confini «mobili», provvisori, sul 60% della Cisgiordania, lasciando intatti dozzine di insediamenti ebraici e basi militari. I colloqui sulle frontiere non sono proprio cominciati e le discussioni si concetrano quasi esclusivamente su questioni di sicurezza. Gli israeliani vogliono mantenere il controllo del confine della Cisgiordania con la Giordania, conservare stazioni di preallarme sulla cima delle colline e mantenere basi militari vicino al confine giordano. Un alto funzionario palestinese ha detto alla agenzia cinese Xinhua che Israele ha presentato 17 punti in gran parte su questioni di sicurezza. L'Anp di Abu Mazen avrebbe respinto qualsiasi presenza militare israeliana dentro lo Stato palestinese ma si sarebbe detta pronta a valutare la creazione di uno Stato in «quattro fasi». Dei profughi palestinesi e dello status di Gerusalemme non si è discusso. Non è quello che abbiamo già letto e ascoltato per venti anni? E nella Striscia di Gaza il dramma della popolazione civile «vive» il perenne blocco israeliano e quello rinnovato egiziano dopo il golpe militare che il 3 luglio ha deposto Mohammed Morsi. Come capo di stato ed esponente di primo piano dei Fratelli musulmani, Morsi aveva allacciato relazioni strette con i «cugini» di Hamas. Alle quali le nuove autorità egiziane hanno dato un brusco taglio. Non solo, accusano Hamas e i palestinesi di Gaza di offrire sostegno ai gruppi jihadisti che l'Esercito da oltre due mesi insegue e combatte nel Nord del Sinai. Accuse che il governo di Gaza ha negato con forza, senza successo. A pagare sono stati subito i civili, che ora devono fare i conti con l'apertura occasionale del valico di Rafah, unica porta sul mondo per chi vive nella Striscia. Qualche giorno fa allarmato dai lavori di livellamento di ruspe militari egiziane lungo il confine, il governo di Hamas ha criticato l'Egitto che si appresta a realizzare nell'area una «zona cuscinetto», per bloccare i movimenti di persone, merci (e armi) lungo le gallerie sotterrane tra il Sinai e Gaza. «Le zone cuscinetto sono superflue fra Paesi amici, legati da vincoli storici», ha commentato Ihab al-Ghusein (Hamas). Per il sito al-Ray, i militari egiziani hanno fatto saltare in aria 13 abitazioni utilizzate come sbocco di tunnel di contrabbando per approntare lungo il confine una fascia di terra larga 500 metri, lunga 10 km, sgombera di edifici e di vegetazione. L'Egitto ha anche proclamato un divieto di pesca presso i suoi confini marittimi, complicando la vita dei pescatori di Gaza.