giovedì 30 giugno 2011

EGITTO, LA RABBIA DI TAHRIR CONTRO I MILITARI

Il passato continua a gravare sul paese, teatro di una rivolta che ha fatto cadere il «faraone» Mubarak ma che ha solo scalfito la struttura del regime.

MICHELE GIORGIO

Il Cairo, 30 giugno 2011, Nena News (nella foto una immagine di Piazza Tahrir durante le proteste contro il regime di Hosni Mubarak) – «Chiediamo le dimissioni del ministro dell’interno el Issawi, il rilascio di tutti gli arrestati e l’apertura immediata di un’inchiesta». Sono queste le richieste presentate al governo e ai militari al potere da 25 formazioni politiche egiziane dopo la repressione durissima compiuta dalla polizia delle proteste di migliaia di giovani, cominciate martedì sera durante una conferenza in un teatro di Agouza e davanti alla televisione di stato e proseguite fino a ieri pomeriggio in Piazza Tahrir e davanti al ministero dell’interno. I feriti sono oltre mille e tra questi un centinaio sono stati ricoverati in ospedale. Sono state le ore più difficili per l’Egitto dalla cacciata dell’ex rais Hosni Mubarak lo scorso 11 febbraio. Il passato continua a gravare sul paese, teatro di una ribellione che ha fatto cadere il «faraone del terzo millennio» rimasto per trent’anni al potere ma che ha solo scalfito la struttura del regime.

Ieri sera una calma carica di tensione regnava in Piazza Tahrir. L’accaduto ha inviato un segnale molto preoccupante al paese che si prepara ad entrare nella campagna elettorale vera e propria in vista delle legislative di fine settembre. La polizia ha trasformato in una battaglia la denuncia pubblica di migliaia di egiziani per il ritardo nell’apertura dei processi nei confronti degli esponenti del regime di Mubarak e dei comandanti della polizia responsabili del massacro di centinaia di manifestanti tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. In strada ormai i giovani dimostranti, almeno quelli che fanno riferimenti ai movimenti laici, non scandiscono più «Il popolo vuole la caduta del regime», lo slogan della rivoluzione, ma «Il popolo vuole le dimissioni di Tantawi», ossia del generale a capo del Consiglio supremo delle Forze Armate che dallo scorso 11 febbraio controlla il paese. Ma i militari si sentono forti. All’estero godono del pieno sostegno degli Stati Uniti, già grandi alleati di Mubarak, e in casa hanno dalla loro parte i partiti islamisti, Fratelli Musulmani in testa, che ieri si sono guardati dal condannare la brutalità della polizia contro i manifestanti.

Chi crede ancora in un nuovo Egitto perciò ieri si è precipitato in Piazza Tahrir. Lo hanno fatto tre candidati alle presidenziali: Hamidine Sabahi, del partito Karama, l’ex giornalista televisivo Bossayana Kamell e il medico Abdel Moneim Aboul Foutouh, espulso dai Fratelli musulmani per la decisione di correre per la poltrona di presidente e per aver pubblicamente riconosciuto il diritto alla conversione religiosa. Aboul Foutouh ha criticato le forze di sicurezza per la violenza «spropositata» contro le famiglie dei martiri della rivoluzione aggradite dalla polizia. Un altro candidato alla presidenza, Mohamed ElBaradei, ha denunciato su twitter le «violenze contro i manifestanti» mentre il movimento 6 Aprile, fra i primi promotori della rivolta anti-Mubarak, ha fatto appello, sulla sua pagina Facebook, ad un sit in permanente di protesta contro l’uso della forza da parte della polizia. Wael Ghonein, il più noto dei cyberattivisti, ha ricordato sulla sua pagina Facebook che oggi è atteso il verdetto nel processo per la morte di Khaled Said, il giovane di Alessandria pestato a morte un anno fa dalla polizia e la cui figura ha ispirato la rivoluzione di gennaio. Una manifestazione di solidarietà con gli attivisti di piazza Tahrir si è svolta in Midan Isaaf, a Suez, città dove cadde il primo martire della rivoluzione.

«Con questi scontri si tenta di diffondere il caos in Egitto…sono in attesa dei risultati dell’inchiesta per stabilire le responsabilità per quanto è avvenuto», ha dichiarato il premier Essam Sharaf. Ma la sua credibilità è in forte dubbio. Tanti egiziani non gli credono più. E suona ormai come un ritornello di una canzone l’accusa che governo e militari rivolgono tutte le volte «ad elementi del passato regime» che, dicono, intenderebbero scatenare il caos. «Sono invenzioni, è ora di dirlo con estrema chiarezza» ha detto al manifesto Nabil Abdul Fattah, uno degli analisti politici più noti. «Le autorità denunciano teppisti e criminali ma la verità è che le forze di sicurezza non sono cambiate, i comandanti e gli agenti della polizia sono gli stessi, poco o nulla è mutato ai vertici del potere, il regime è lo stesso e vuole consolidarsi, anche con la repressione». Nena News

questo articolo e’ stato pubblicato il 30 giugno 2011 sul quotidiano Il Manifesto

Preparativi di guerra

Leggendo questo articolo si rimane basiti. Israele spende tutte le sue energie a scatenare, programmare, mantenere guerre. A che servirebbero altrimenti tali incredibili preparativi? Chi vogliono attaccare questa volta? Di nuovo il Libano del sud? Le navi della Freedom Flottilla? La Siria? Chi altro?
Una popolazione tenuta in ostaggio dalla guerra e dalla paranoia dei sempre più scalmanati e guerrafondai sionisti. Una popolazione che è stata abituata a pensare che è normale vivere sempre attaccando qualcuno "prima di venire attaccato" e che la guerra è una condizione di vita normale. Normalmente la guerra Israele la fa soffrire agli altri, mentre i danni che subisce grazie alle sue guerrafondaie politiche è ridicolo e inconsistente. Ma anche vivere con una condizione psicologica di tale paranoia non dev'essere piacevole. Eppure potrebbero vivere in pace se solo si adeguassero ai principi di giustizia e di legalità, se si ricordassero di essere esseri umani e non macchine da guerra o relitti paranoici e psicolabili, se applicassero le leggi internazionali e rispettassero le risoluzioni dell'ONU. Ma contenti loro...Noi intanto gli facciamo un grande piacere applicando il BDS, se servirà a svegliarli dal sonno della ragione ne trarranno discreti vantaggi e ci dovranno ringraziare.



Esercitazioni nazionali per la sicurezza

Associazione di Amicizia Italo-Palestinese, 28 Giugno 2011
Haaretz.com
22.06.2011

A giro per Israele scattano le sirene quando l’esercitazione di sicurezza diventa nazionale.
L’esercitazione, denominata Turning Point 5, impegna il Comando del Fronte Interno, l’Autorità Nazionale di Crisi, il governo locale e nazionale e i servizi di emergenza.
Mercoledì mattina, alle 11, sono scattate in tutto il paese le sirene come parte di una esercitazione di crisi nazionale che era iniziata domenica e che è previsto duri fino a giovedì. 
Le autorità hanno chiesto alla popolazione di entrare nei rifugi non appena odono il suono della sirena. Nel sud d’Israele, bersaglio di ripetuti lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, sono scattate per errore due sirene invece di una come nel resto del paese. La seconda è scattata alle 7 del pomeriggio.
    
esercitazione del Comando del Fronte Interno nel 2004
L’esercitazione, che è stata soprannominata Turning Point 5, interessa il Comando del Fronte Interno, l’Autorità Nazionale di Crisi, il governo nazionale e locale e i servizi di emergenza. 
Nei primi tre giorni di questa settimana, diversi enti governativi e servizi di emergenza hanno controllato la loro prontezza. Mercoledì, l’esercitazione entrerà nell’ambito pubblico, con decine di sirene che simuleranno sia attacchi con missili convenzionali che chimici. 
Le esercitazioni hanno il compito di verificare il tempismo di scuole, uffici governativi, altri posti di lavoro e abitazioni private. 
Giovedì, il capo del dipartimento popolazione al Comando del Fronte Interno, Col. Efi Mishov, ha affermato che ha preso parte all’esercitazione dello scorso anno il 47% della popolazione che è entrata nei rifugi non appena ha udito le sirene. 
“Quest’anno ci aspettiamo una maggiore partecipazione, ma non in modo significativo. Sono cose che si accumulano nel corso degli anni. In Israele la reazione è relativamente buona rispetto ad altri paesi del mondo; è questione di imparare, e ci lavoriamo su tutto l’anno.” 
Una esercitazione, per verificare la prontezza di reazione nei confronti di un attacco con testate chimiche su Rishon Letzion, interesserà l’Ospedale Assaf Harofeh, che farà pratica sul ricovero di un centinaio di vittime. Altre esercitazioni di risposta ad armi chimiche si svolgeranno a Nazareth Alta, al porto di Haifa e nella zona industriale di Ramat Hovav nel Negev. 
Il Comando del Fronte Interno si eserciterà pure in varie località del paese sull’evacuazione di persone intrappolate in edifici collassati. 

FLOTILLA, IL DIARIO DI BORDO DI VAURO

Da oggi il quotidiano Il Manifesto comincia la pubblicazione dei racconti di Vauro dalla nave italiana "Stefano Chiarini" che partecipa alla Freedom Flotilla 2 "Stay Human".

DI VAURO SENESI

Roma, 29 giugno 2011, Nena News – Inizia oggi il mio «diario di bordo» anche se il termine è improprio visto che a bordo ancora non sono. La «Stefano Chiarini» è alla rada a Corfù. Le altre navi della Freedom Flotilla sono ancorate in diversi porti greci e via via gli attivisti provenienti da tanti paesi diversi stanno lasciando Atene per raggiungerle. Ci sono state e ci sono forti pressioni da parte di Israele sul governo greco perché impedisca alle navi di salpare alla volta di Gaza e le autorità stanno creando non poche difficoltà di ordine burocratico per ritardarne in ogni modo la partenza che comunque è ormai imminente. Prova ne è la continua escalation della propaganda israeliana per screditare il valore assolutamente pacifico della Flotilla. Ieri il ministro degli esteri Lieberman è arrivato a dichiarare che i pacifisti sarebbero tutti attivisti terroristi che vanno cercando il sangue. Si va dal sostenere che a bordo ci sarebbero liquidi chimici altamente infiammabili per bruciare i commandos israeliani nel momento dell’arrembaggio, fino a far circolare su Youtube il video di un presunto gay americano che racconta di non essere stato accettato sulla Flotilla a causa della sua omosessualità. E che, vista l’omofobia di Hamas, questa sarebbe la prova che Hamas è a capo dell’organizzazione. Peccato che il video risulti postato dall’ufficio del primo ministro israeliano.

Ma a quanto pare non ci si limita soltanto a misure propagandistiche, ieri (l’altro ieri per chi legge) una nave, la greca «Giuliano» ha subìto un atto di sabotaggio, l’albero dell’elica è stato segato da qualche esperto subacqueo. Nonostante la tensione il clima tra i pacifisti è improntato all’ottimismo e la determinazione a portare a buon fine la missione è molto salda. Dopo gli stage seguiti da tutti per addestrarsi a non reagire con violenza, né fisica né verbale, all’eventuale attacco israeliano in mare, sono stati aumentati i livelli di vigilanza per evitare che qualche provocatore possa riuscire ad infiltrarsi nelle file degli attivisti che si imbarcheranno. La totale ed assoluta trasparenza sulla natura pacifica della operazione della Flotilla è l’unica e lamigliore risposta alla ostilità del governo israeliano che già ieri si è visto costretto a ritirare l’assurda minaccia di non consentire ai giornalisti che si fossero imbarcati l’accesso ad Israele per dieci anni. Del resto sulle navi saranno presenti anche giornalisti israeliani come Amira Hass di Haaretz e Menechem Gantz di Yedoth Ahronoth che avrebbe dovuto imbarcarsi proprio sulla «Stefano Chiarini» ma che salirà invece sulla nave americana.

Quella che si sta «combattendo» in questi giorni prossimi alla partenza è in definitiva la «battaglia» tra chi ha dalla sua soltanto la convinzione delle ragioni di un’azione di pace e chi considera queste una sfida ed una pericolosa provocazione alla propria autorità ed è pronto ad usare ogni mezzo lecito ed illecito per contrastarle. In palio c’è la speranza. La speranza della gente di Gaza strangolata dalla guerra e da anni di assedio di vedere apparire all’orizzonte del suo mare le navi che insiemeagli aiuti portino il segnale tangibile che esiste un mondo che non la dimentica, che non la lascia sola. Nena News

martedì 28 giugno 2011

SOLIDARIETA' ALLA LIBERA REPUBBLICA DELLA MADDALENA

SOLIDARIETA' ALLA LIBERA REPUBBLICA DELLA MADDALENA

Almeno duemila agenti fra polizia, carabinieri, guardia di finanza e
corpo forestale.
Una quantità impressionante di lacrimogeni sparati contro i
manifestanti. Idranti e ruspe per spazzare via le barricate contro il
TAV. A dieci anni dal massacro di Genova, lo Stato italiano ha voluto
imporre il suo dominio contro la Libera Repubblica della Maddalena, un
presidio di libertà e autogestione costruito dalla popolazione valsusina
che resiste alla devastazione ambientale.
Le minacce del ministro dell’Interno Maroni si sono concretizzate alle
prime luci dell’alba: un’operazione militare in grande stile sostenuta
dal plauso di tutti i poteri forti, dai partiti di centrodestra e
centrosinistra passando per Confindustria.
Nonostante questo, il movimento NO TAV non si piega: la resistenza
continua nella convocazione di scioperi spontanei nelle fabbriche della
valle (quattro fabbriche, da stamane, in sciopero spontaneo), nei
blocchi stradali e ferroviari di queste ore convulse, nella generosa
consapevolezza dei valsusini che lottano a mani nude per la salvaguardia
della loro valle, della loro salute, del loro futuro.
La mobilitazione in risposta all'arroganza del governo si sta estendendo
nella penisola: alcune organizzazioni hanno proclamato lo sciopero
generale; presidi e manifestazioni di protesta si annunciano, per il
pomeriggio, in moltissime città italiane.
I fatti di questa mattina dimostrano che la vera violenza è quella dello
Stato che spiana la strada agli interessi criminali del capitalismo
ripristinando il suo disordine in punta di manganello.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
denuncia la repressione dello Stato nei confronti di questa lotta
decennale per la libertà e l’autodeterminazione e rinnova la sua massima
solidarietà alle popolazioni valsusine in lotta.

Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana - FAI

Il giorno 28 giugno 2011 12:47, Andrea Maggi ha scritto:


Appuntamenti Roma: oggi ore 12.30 (Montecitorio) - giovedì ore 17.30 (st. Tiburtina)

Val di Susa Ovunque

Le barricate chiudono le strade e aprono i cammini

La grave aggressione militare di oggi in Val di Susa è l’ultima dimostrazione di come a governare questo paese siano gli interessi economici di pochi speculatori a danno della salute pubblica e in sprezzo della volontà popolare.
La TAV in Val di Susa è un’opera inutile e dannosa che comporterà la devastazione del territorio e lo spreco di denaro pubblico per arricchire qualche lobby.
Lega PD e PDL invocano unanimemente la militarizzazione del territorio criminalizzando i cittadini e le cittadine in lotta, come del resto è naturale, visto che rappresentano gli stessi interessi economici.
Dalla TAV in Val di Susa ai rifiuti in Campania, dal Ponte sullo Stretto alla cementificazione di Roma, questo è il modello che viene applicato da chi ci governa. A questo modello opponiamo la forza della partecipazione popolare di chi si batte per mantenere pubblici i beni comuni, dall’acqua all’energia ai territori.
Per questo saremo oggi (martedì) alle 12.30 a Montecitorio a fianco dei cittadini e delle cittadine napoletani e promuoviamo una manifestazione in solidarietà con la Val di Susa per giovedì alle 17.30 a piazzale della Stazione Tiburtina, futuro snodo della TAV romana e risponderemo agli appelli dei comitati della Valle partendo in massa per il Piemonte.

Contro devastazioni e speculazioni, 10 100 1000 Barricate

Roma Bene Comune
Assemblea Romana NoTav

Continua la delinquenza dei coloni che feriscono pastori e animali sotto gli occhi benevoli e conniventi dell'esercito

" Coloni di Havat Ma'on attaccano pastori palestinesi con coltelli e lanciando pietre in Meshakha valley, colline a sud di Hebron"

At-Tuwani – Verso le dieci del mattino, nella valle di Meshakha, nelle colline a sud di Hebron, davanti all'avamposto illegale di Havat Ma'on, alcuni pastori palestinesi che stavano pascolando i loro greggi sono stati assaliti da 11 coloni, provenienti dal suddetto avamposto, armati di coltelli e pietre. Al momento non c'erano internazionali e non tutti erano mascherati, hanno rincorso i pastori lungo tutta la valle per centinaia di metri lanciando pietre contro di loro ed i propri greggi, urlando ingiurie contro la religione musulmana asserendo che nessun internazionale oggi, li avrebbe protetti. Secondo quanto riportato da Shaady, pastore del villaggio di Maghayr al Abeed, un colono armato di coltello ha attaccato il suo asino per colpirlo, lui ha quindi cercato di mettere in fuga l'animale, ma nel tentativo Shaady è stato colpito da delle pietre sulla schiena e sul tronco, colpo che gli ha tolto il respiro. Shaady ha mostrato un grosso livido sulla schiena e alcune contusioni, come risulato di questo attacco.
coloni attaccano pastori02


Anche le pecore e le capre del gregge sono state colpite dalla raffica di pietre. Questo evento ha costretto il pastore a rimanere per alcuni minuti con il suo gregge cercando di guidarlo nelle fuga, evitando di smarrire o di esporre troppo il gregge all'assalto dei coloni. I palestinesi hanno riferito inoltre che alcuni soldati israeliani erano presenti alla scena ma non sono intervenuti per arginare l'attacco, non si sono nemmeno avvicinati. E' stato inoltre riferito che alla fine i soldati sono stati visti in compagnia degli stessi coloni in atteggiamenti amichevoli quasi accompagnandoli nel loro viaggio di ritorno verso l'avamposto di Havat Ma'on.
coloni attaccano pastori

Shaady ha voluto precisare che noi palestinesi: "abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile da parte dell'Europa e dell'America per vedere chi dei due è il vero aggressore, e di che tipo di trattamento i coloni riservano ai palestinesi."
coloni attaccano pastori 01

[Note: secondo la IV Convenzione di Ginevra, la II Convenzione dell'Aja, la Corte Internazionale di Giustizia e numerose risoluzioni ONU, tutti gli insediamenti israeliani nei Territori Palestinesi Occupati sono illegali. Gli avamposti sono considerati illegali anche secondo la legge israeliana.]



Operazione Colomba e Christian Peacemaker Teams mantengono una presenza costante nel villaggio di At-Tuwani e nell'area delle colline a sud di Hebron dal 2004.

Per informazioni:

Operazione Colomba, +972 54 99 25 773
Christian Peacemaker Teams +972 54 25 31 323

Israele detta legge e decide per tutto il mondo cosa si può sapere e cosa no dei suoi crimini

Steve Jobs si piega al volere di Israele: cancellata l'applicazione "Terza Intifada"

di Emma Mancini

Paranoia tecnologica o imposizione della propria narrativa? Dietro la richiesta di Israele di cancellare l’applicazione Apple “Terza Intifafa”, probabilmente, ci sono entrambe. Inaccettabile per Tel Aviv che in ogni parte del mondo si possa assistere sullo schermo di un iPad o un iPhone alle violazioni quotidiane subite dai palestinesi.

apple

ll sito 3rdIntifada.com da cui è stato ripresa l'applicazione Apple



Pressioni sulla Apple immediate e Steven Jobs obbedisce: l’applicazione va cancellata. È successo ieri, quando il gigante della tecnologia Apple ha rimosso definitivamente l’applicazione filo-palestinese “Terza Intifada”, un programma in lingua araba creato da una compagnia di Dubai, che secondo il governo israeliano incitava il mondo arabo alla violenza contro gli ebrei. Un’applicazione che riprendeva in tutto e per tutto il sito 3rdintifada.com, un network che fa informazione e offre editoriali sull’occupazione militare israeliana e le ragioni della causa palestinese.

Ma cosa mostrava di tanto temibile l’applicazione Apple? Uccisioni di palestinesi e foto dei martiri, demolizioni di case da parte dei bulldozer militari israeliani, la vita a Gerusalemme Est e le altre violazioni più note del conflitto, documentari e canzoni che narrano la Nakba. Inaccettabile per Israele, che ha accusato la società californiana di incitare alla violenza contro lo Stato ebraico attraverso un’applicazione che fa riferimento a Israele come entità sionista e “convince il mondo intero a simpatizzare con la causa palestinese”.

Steve Jobs, che nei giorni scorsi aveva ignorato le pressioni israeliane e aveva deciso di non rimuovere dagli Apple Store l’applicazione, si è ritrovato nella cassetta della posta una lettera di Yuli Edelstein, ministro israeliano per gli Affari Pubblici e la Diaspora. Nella missiva il ministro ha richiamato Jobs all’ordine, chiedendo “l’immediata rimozione dell’applicazione, così da continuare nella tradizione delle applicazioni Apple dirette solo al divertimento e a fini informativi, applicazioni che non sono mai state strumento di incitamento alla violenza”.

“Se si guarda agli articoli – continua Edelstein -, alle storie e alle fotografie che appaiono nel programma, appare chiaro che si tratta di un’applicazione anti-israeliana e anti-sionista che di fatto, così come suggerisce il nome, chiama ad una rivolta contro Israele”. Difficile resistere ad un ministro tanto convincente, lo stesso che a marzo riuscì a far rimuovere la pagina Facebook “Terza Intifada”, adducendo la stessa motivazione: incitamento alla violenza e alla sollevazione contro Israele attraverso la lotta violenta.

Insomma, se Mark Zuckerberg ha ceduto, difficile che Steve Jobs riuscisse a resistere alle potenti lobby israeliane. “Abbiamo rimosso l’applicazione dagli Apple Store perché viola le nostre linee guida e offende un intero gruppo di persone”, ha detto mercoledì un portavoce della Apple, citato da Al Jazeera.

Riflessioni in merito allo strapotere mediatico ed economico israeliano si sprecherebbero. Ad inchinarsi ai voleri e ai capricci di Tel Aviv sono state due delle compagnie tecnologiche più potenti e influenti del globo, che avevano fatto dell’informazione libera e della condivisione di notizie e opinioni il loro cavallo di battaglia.

domenica 26 giugno 2011

Bambini di Nabi Saleh

Nabi Saleh: lacrimogeni israeliani contro i bambini feriti due bambini di 4 e 11 anni

CISGIORDANIA: MANIFESTAZIONE “COLORATA” A NABI SALEH
Centinaia di palestinesi partecipano alle proteste settimanali del venerdì nei principali villaggi della Cisgiordania. A Nabi Saleh l'esercito israeliano lancia lacrimogeni contro i bambini.

DI MARTA FORTUNATO

Beit Sahour, 25 giugno 2011, Nena News (nella foto, manifestazione a Nabi Saleh) - Venerdì di proteste e manifestazioni per il popolo palestinese. Ma anche venerdì di lacrimogeni ed arresti. Come sempre le dimostrazioni non-violente nei villaggi della Cisgiordania, contro la politica israeliana di confisca, espropriazione ed annessione delle terre, hanno avuto fine con la violenza e con l’usurpazione dei diritti dei palestinesi. Il bilancio della giornata di ieri, venerdì 24 giugno, è stato di almeno 10 feriti e 4 arrestati.

A Nabi Saleh, villaggio situato a 15 km a nord di Ramallah, una cinquantina di attivisti hanno risposto all’appello lanciato su Facebook dal movimento dei giovani palestinesi, dal titolo “Colora la tua libertà”. I bambini del villaggio hanno sfilato assieme ad attivisti palestinesi ed israeliani indossando maschere e vestiti colorati e hanno fatto volare in cielo aquiloni dalle mille tonalità. Simbolo di gioia e libertà, libertà che viene costantemente violata dai soprusi fisici e psicologici perpetrati dai soldati israeliani.

“Mentre ci stavamo dirigendo verso la collina vicina a Nabi Saleh per far volare gli aquiloni, l’esercito ci ha fermato e ha iniziato a lanciare lacrimogeni” ha riferito un’attivista israeliana all’agenzia di stampa palestinese Ma’an. Successivamente l’esercito si è diretto verso il centro del villaggio e mentre il cielo si colorava di aquiloni, i manifestanti riparavano nelle case di Nabi Saleh scappando dai gas lanciati dai soldati.

“Non hanno avuto compassione nemmeno quando si sono trovati di fronte a dei ragazzini che cantavano per le strade con le facce colorate” ha raccontato un abitante del villaggio. Due bambini, di 4 ed 11 anni sono stati feriti da un candelotto, un attivista israeliano è stato arrestato.

Nabi Saleh è uno dei tanti villaggi della Cisgiordania che quotidianamente lotta contro l’allargamento delle colonie israeliane e contro le continue violenze nei confronti della popolazione palestinese. Circondato e costantemente minacciato dall’espansione dell’insediamento illegale di Hallamish, questo villaggio, che dal 2009 ha dato vita a manifestazioni settimanali di protesta, ha subito dall’inizio del 2011 una serie di arresti mirati che lo hanno privato dei principali leader della resistenza popolare. Lo scopo principale di questi atti era quello di indebolire le proteste non violente e di minare alla base la sopravvivenza dei comitati popolari, ma la resistenza in cui questo villaggio è impegnato è stata sostenuta dalla partecipazione di numerosi attivisti. Ogni venerdì il gruppo di giovani palestinesi, autori dell’organizzazione della manifestazione di ieri, partecipa alla marcia del villaggio.
“Negli ultimi quattro mesi la maggior parte dei leader di Nabi Saleh sono stati arrestati, ha spiegato a Nena News Majd, un ragazzo di Ramallah molto attivo in questo movimento, – e noi, giovani, abbiamo deciso di sostenere gli abitanti del villaggio e di manifestare con loro ogni venerdì”. L’ultimo grave arresto, avvenuto il 24 marzo 2011 ha coinvolto il coordinatore delle proteste del venerdì, Bassem Tamimi, il quale da tre mesi è in detenzione amministrativa perché accusato, secondo la versione israeliana, di “incitare al lancio di pietre e di organizzare manifestazioni illegali”.

Lacrimogeni contro un ragazzo palestinese, nel villaggio di Bil'in

Nel villaggio di Bil’in gli abitanti hanno partecipato alla manifestazione di venerdì 24 giugno con una speranza in più e con una nuova lotta nel cuore. Il percorso del Muro di Separazione cambierà. Martedì scorso i bulldozer dell’esercito israeliano hanno iniziato i primi lavori di smantellamento di questa terribile barriera, dichiarata illegale dall’Alta Corte: non è stata costruita per motivi di sicurezza ma con lo scopo di espandere le terre su cui sorgono le colonie della Cisgiordania. Sono stati necessari più di quattro anni di lotte, la morte di due abitanti, e l’arresto e il ferimento di decine di persone perché questa dichiarazione venisse attuata. In questo modo il muro passerà più vicino all’insediamento di Modiin Illit restituendo al villaggio di Bil’in parte delle terre annesse illegalmente da Israele.

Tuttavia, il nuovo tracciato stabilito dalle autorità israeliane e già sanzionato dall’Alta Corte, lascia dalla parte israeliana 350 acri di terra appartenenti al villaggio. “Quello che Bil’in ha ottenuto col cambiamento del percorso del muro, rappresenta meno della metà delle terre che sono state confiscate” ha dichiarato all’emittente televisiva dell’agenzia di stampa Reuters il primo ministro palestinese Salam Fayyad, che ieri ha preso parte alla manifestazione. “Tuttavia è un primo passo per il futuro, e per questo ha un significato molto importante… anche se tutto verrà risolto quando termineranno le ingiustizie, l’occupazione, le colonie e i muri” ha affermato durante la preghiera di mezzogiorno.

Questo è l’inizio di una lotta, non la fine. Ieri centinaia di manifestanti guidati da un bulldozer hanno marciato fino al vecchio tracciato della barriera di separazione, che da qualche giorno l’esercito israeliano sta smantellando. Una dozzina di dimostranti ha cercato di abbattere il muro ma è stata fermata dai gas lacrimogeni e dai proiettili di plastica lanciati dai soldati israeliani. Otto persone sono state ferite.

Anche a Silwan, quartiere di Gerusalemme Est ci sono stati violenti scontri tra i manifestanti e l’esercito. Molte case sono state perquisite e tre persone, tra cui un ragazzo di 16 anni, sono state arrestate. Nena News

sabato 25 giugno 2011

Per i parlamentari non c'è crisi

@ *di qualche settimana fa c'era un
> articoletto che spiega che recentemente
> il Parlamento ha votato
> all'UNANIMITA'** **e senza astenuti un
> aumento di stipendio per i parlamentari
> pari a circa € 1.135,00 al mese.*
>
> *Inoltre la mozione € stata camuffata
> in modo tale da non risultare* *nei
> verbali ufficiali.*
>
>
> * STIPENDIO **Euro 19.150,00 AL MESE*
>
> *STIPENDIO BASE **circa Euro 9.980,00
> al mese**
>
> PORTABORSE** circa Euro 4.030,00 al
> mese (generalmente parente o familiare)
> *
>
> *RIMBORSO SPESE AFFITTO **circa** **Euro
> 2.900,00 al mese*
>
>
>
> *INDENNITA' DI CARICA** (da Euro 335,00
> circa a Euro 6.455,00)*
> *_TUTTI ESENTASSE
> _**+
>
> **TELEFONO CELLULARE** gratis**
>
> **TESSERA DEL CINEMA** gratis**
>
> **TESSERA TEATRO** gratis
>
> **TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA**
> gratis**
>
> ** FRANCOBOLLI** gratis**
>
> **VIAGGI AEREO NAZIONALI** gratis**
>
> **CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE** gratis**
>
> **PISCINE E PALESTRE** gratis**
>
> **FS* *gratis **
>
> **AEREO DI STATO** gratis
>
> **AMBASCIATE **gratis **
>
> ** CLINICHE** gratis**
>
> ** ASSICURAZIONE INFORTUNI** gratis**
>
> ** ASSICURAZIONE MORTE** gratis**
>
> **AUTO BLU CON AUTISTA** gratis
>
> **RISTORANTE **gratis (nel 1999 hanno
> mangiato e bevuto gratis per Euro
> 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e
> hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi
> in parlamento mentre obbligano i
> cittadini a 35 anni di contributi ( **41
> anni per il pubblico impiego !!!**)**
>
> **Circa Euro 103.000,00 li incassano con
> il rimborso spese elettorali (in
> violazione alla legge sul finanziamento
> ai partiti), più i privilegi per quelli
> che sono stati Presidenti della
> Repubblica, del Senato o della Camera.
> (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione
> e gratis un ufficio, una segretaria,
> l'auto blu ed una scorta sempre al suo
> servizio)*
>
> *La classe politica ha causato al paese
> un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di
> EURO.**
>
> **La sola camera dei deputati costa al
> cittadino _Euro 2.215,00 al MINUTO !!_**
>
> **Far circolare. S_i sta promuovendo un
> referendum per l' abolizione dei
> privilegi di tutti i
> parlamentari._............ queste
> informazioni possono** **essere lette
> solo attraverso Internet in quanto quasi
> tutti i massmedia rifiutano di portarle
> a conoscenza degli italiani......**
>

FLOTILLA 2: COMINCIATO IL CONTO ALLA ROVESCIA

Quando le navi saranno in mare e la notizia circolerà in tutto il mondo, la nuova missione avrà raggiunto i suoi obiettivi: rendere noto all'opinione pubblica internazionale la storia e l’attualità dell’occupazione israeliana

ANALISI DI MILA PERNICE*

Roma, 24 giugno 2011, Nena News – Il conto alla rovescia è iniziato. Dopo più di un anno di preparazione, che ha coinvolto una coalizione di oltre 20 paesi, centinaia di attivisti provenienti da decine di nazioni sono pronti a partire con l’obiettivo di rompere l’infame assedio della Striscia di Gaza e di lanciare alla comunità internazionale un messaggio forte e chiaro: non siamo disposti ad unirci alla vostra omertosa complicità con le politiche israeliane.

E’ questa la “Freedom Flotilla 2 – Stay Human”, che sta per levare le ancore per far prevalere la forza della ragione contro la “ragione della forza”, come quella perpetrata da più di 60 anni con l’obiettivo di cancellare il popolo palestinese dalla propria terra. Come quella che a Gaza ha ucciso più di 1400 persone con le bombe di “Piombo fuso”. O come quella, già rivolta lo scorso anno nei confronti della prima Freedom Flotilla, quando 9 passeggeri turchi furono assassinati dalla marina israeliana, la stessa che oggi minaccia di attaccare nuovamente le navi che salperanno tra pochi giorni. “In ogni caso Israele perderà” aveva detto lo scorso dicembre Huwaida Arraf, del Free Gaza Movement, a Roma, quando l’Italia ha ospitato uno dei meeting della coalizione internazionale decisa a concretizzare il progetto della nuova flotilla. In effetti, già solo nel momento in cui le navi saranno in mare e la notizia circolerà tra le agenzie di stampa e i media di tutto il mondo, la nuova missione avrà raggiunto i suoi obiettivi: quello di rendere noto all’opinione pubblica internazionale che la storia e l’attualità dell’occupazione israeliana della Palestina non consentono alcuna forma di equidistanza tra l’oppresso e l’oppressore, tra il popolo colonizzato e il progetto coloniale sionista; quello di isolare Israele e le sue politiche e di mettere in evidenza la costante violazione dei diritti umani del popolo palestinese.

Perché nel momento in cui si difende il diritto internazionale se ne denunciano anche le contraddizioni: è in nome di quel diritto, “liberamente” interpretato dalle forze Nato, che stanno cadendo bombe sulla Libia, mentre oltre 70 risoluzioni dell’ONU continuano ad essere contravvenute dall’apparato politico e militare israeliano. senza alcuna forte presa di posizione della comunità internazionale. Eppure Israele minaccia, in base al consueto mantra delle “ragioni di sicurezza”, di attaccare l’iniziativa che porterà al largo delle coste di Gaza, in acque internazionali, civili disarmati. Gli attivisti della Freedom Flotilla hanno da subito invitato giornalisti e rappresentanti Onu ad ispezionare le navi da cima a fondo, con la piena consapevolezza che ogni insinuazione mossa da Israele e dai governi suoi alleati rispetto all’ipotetica presenza di armi a bordo è strumentale alla criminalizzazione di un’iniziativa determinata ma assolutamente pacifica. Lo ha ribadito nel suo ultimo comunicato la stessa coalizione: “la nostra destinazione è Gaza. Le nostre intenzioni sono non violente. Il nostro obiettivo è far cessare l’assedio illegale, completamente e permanentemente”.

Un assedio che prosegue da oltre 4 anni, cioè dal momento in cui le autorità israeliane hanno capito che la vittoria di Hamas alle elezioni legislative del 2006 poteva essere utilizzata per attuare una sorta di punizione collettiva del milione e mezzo di abitanti della Striscia. Da allora gli aiuti umanitari entrano col contagocce e a intermittenza in un territorio che non ha più, da tempo, un’economia propria, su cui poter contare. Recentemente, ricorda ancora la coalizione della Flotilla 2, “l’autorità sanitaria di Gaza ha proclamato lo stato di emergenza a causa di una grave carenza di medicine vitali. Circa 178 tipi di farmaci e 123 tipi di forniture mediche sono già esauriti e altri 69 tipi di farmaci e 70 tipi di forniture mediche sono destinati ad esaurirsi nei prossimi tre mesi”. Ovvio che i “canali stabiliti” per far arrivare aiuti a Gaza non bastano, ma è anche vero che, e fanno bene a sottolinearlo gli internazionali, “in nessun’altra parte del mondo la comunità internazionale chiede alla popolazione di accettare aiuti umanitari al posto della libertà”. Questo il senso della Freedom Flotilla, quello di portare, insieme agli aiuti, un forte segnale politico di sostegno alla lotta di liberazione palestinese.

In Italia oltre 10.000 persone, con la manifestazione dello scorso 14 maggio a Roma, hanno ribadito il proprio sostegno alla missione, che porterà in acque internazionali anche la nave italiana “Stefano Chiarini” e con essa giornalisti e rappresentanti di un movimento che da anni non esita a scendere in piazza al fianco del popolo palestinese e contro la subalternità dei governi italiani alle politiche israeliane. Un movimento che ha contribuito all’allargamento e alla sempre crescente efficacia della Campagna BDS, cui di pari passo ha corrisposto la sempre crescente preoccupazione israeliana per questa forma di offensiva pacifica e di massa. La coalizione italiana, che comprende più di 200 adesioni di comitati, associazioni, partiti, sindacati, sta già chiamando alla mobilitazione nell’eventualità che Israele ricorra ancora una volta alla forza militare per fermare le navi della Flotilla: “nel caso l’attacco minacciato si verificasse, invitiamo sin da ora a scendere subito in piazza, a Roma all’ambasciata israeliana in Via Michele Mercati, a Milano al consolato israeliano in Corso Europa e in tutte le altre città nelle piazze principali”. Un minuto dopo l’attacco. Punto di riferimento per la mobilitazione e per la diffusione delle informazioni sarà un info point che il coordinamento italiano metterà a disposizione a Roma, in Via Baldassarre Orero 61, per seguire ogni minimo passaggio che riguarderà la missione in generale e la nave italiana in particolare, che ospiterà anche passeggeri svizzeri, olandesi e turchi che si sarebbero imbarcati sulla Mavi Marmara, che non partirà più, come annunciato qualche giorno fa da Ankara.

A Gaza sono in migliaia ad attendere l’arrivo della Flotilla perché, come hanno sottolineato pochi giorni fa in un comunicato 46 organizzazioni della società civile palestinese rivolgendosi ai popoli di tutto il mondo, “le iniziative della società civile che organizza le Freedom Flotilla sono una presa di posizione di giustizia e solidarietà verso il popolo palestinese, mentre i vostri governi non lo fanno”. In questa presa di posizione sta tutta l’umanità cui si appellava lo slogan di Vittorio Arrigoni, quello che tutte le organizzazioni della coalizione hanno voluto adottare per titolare la Freedom Flotilla 2. E’ la stessa umanità che, nelle ore in cui le acque internazionali saranno solcate dalle navi della flotta, porterà al massimo livello tensione e apprensione per l’incolumità di tutti i passeggeri. Nena News

*Contropiano

giovedì 23 giugno 2011

A SOSTEGNO DELLA "FREEDOM FLOTILLA" 2

Da: Giuristi Democratici Roma
Date: 22 giugno 2011 20:20
Oggetto: COMUNICATO STAMPA GIURISTI DEMOCRATICI -



L'Associazione nazionale Giuristi Democratici è estremamente preoccupata per la possibilità che nuove azioni violente ed illegali da parte delle Forze armate israeliane nei confronti della flotilla di solidarietà verso Gaza, come poco più di un anno fa, determinino vittime innocenti e nuovi gravissimi vulnera al diritto internazionale.
Come chiaramente stabilito dalla Commissione di inchiesta istituita dalle Nazioni Unite dopo i gravi fatti dello scorso anno, l'azione israeliana violò in tale occasione varie norme di diritto internazionale ( http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/15session/A.HRC.15.21_en.pdf ). In particolare, come afferma il paragrafo 262 del rapporto di tale Commissione d’inchiesta, l'aggressione alla flotilla da parte della Marina israeliana costituì con ogni evidenza un atto illecito. Il paragrafo 264 specifica che non si trattò solo di atto sproporzionato, ma ingiustificatamente violento e brutale, tale da costituire una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani e di quello umanitario.
Oggi non sembrano affatto a tale riguardo tranquillizzanti le dichiarazioni di un anonimo alto ufficiale israeliano alla stampa, secondo le quali ci si sforzerà di infliggere il “minor danno possibile” agli attivisti ( http://www.anhourago.co.nz/show.aspx?l=8616619&d=507).
Il blocco di Gaza e la punizione indiscriminata della popolazione civile che esso rappresenta costituiscono del pari gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani delle popolazioni coinvolte.
Riteniamo che sia un preciso dovere delle istituzioni italiane a ogni livello vigilare affinché non si diano nuove tragiche ripetizioni di quanto avvenuto un anno fa nelle acque internazionali del Mediterraneo. Ciò in ottemperanza degli articoli 10 e 11 della Costituzione repubblicana, nonché dei doveri che incombono sull'Italia in quanto firmataria della Carta delle Nazioni Unite, delle Convenzioni di Ginevra sul diritto internazionale umanitario, dei Patti internazionali sui diritti umani e di ogni altro atto internazionale rilevante di cui l’Italia sia parte. Ricordiamo inoltre che la Corte internazionale di giustizia, nel suo Parere sul muro costruito in territorio palestinese del 9 luglio 2004, ha affermato l'obbligo di tutti gli Stati a imporre a Israele, fra l'altro, il rispetto degli obblighi che gli incombono ai sensi del diritto internazionale umanitario ( http://www.icj-cij.org/docket/files/131/1670.pdf, p. 70).
È quindi dovere delle istituzioni attivarsi in questo senso, nel supremo interesse della pace, della sicurezza internazionale e della tutela dei diritti umani di popoli da tempo vittime di gravi crimini, nonché degli attivisti internazionali che, in modo pacifico, si adoperano per garantire il rispetto di tali diritti, purtroppo invece il più delle volte ignorati dagli Stati.

Torino-Padova-Roma-Napoli-Palermo
22 giugno 2011

OFFENSIVA SERRATA CONTRO FLOTILLA 2

Offerto all’Onu di ispezionare le navi in partenza per Gaza ma Grecia, Germania e Usa ammoniscono i propri cittadini dal partecipare. Due deputati tedeschi si ritirano. L’ambasciatore israeliano a Washington parla del blocco della Striscia come di «questione di vita o di morte».

Roma, 23 giugno 2011, Nena News – Mentre centinaia di pacifisti e decine di giornalisti, parlamentari e personalità si preparano a salire a bordo delle 15 navi della Flotilla 2 «Stay Human» che nei prossimi giorni salperanno per la Striscia di Gaza, prosegue con un’intensità senza precedenti l’offensiva diplomatica israeliana contro la missione volta a violare il blocco navale attuato davanti alle coste della Striscia. Le pressioni, sempre più forti, hanno già spinto, qualche giorno fa, il governo turco del premier Erdogan ad imporre, di fatto, alla Ong islamica “Ihh” di ritirarsi dalla spedizione navale e di tenere ferma nel porto la nave Mavi Marmara che lo scorso anno fu arrembata da commando israeliani con un bilancio di nove civili turchi uccisi.

Riecheggiano le parole pronunciate ieri dall’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren, che ha descritto il blocco di Gaza, navale e terrestre, come una «questione di vita o di morte» per Israele. Oren ha riaffermato che il blocco serve ad impedire al movimento islamico Hamas, che governa Gaza dal 2007, di «riarmarsi di missili e razzi» e che non può essere fatta «alcuna eccezione», inclusa la Freedom Flotilla. Da parte sua l’ambasciatore israeliano al Palazzo di Vetro, Ron Prosor, in una lettera inviata al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha addirittura accusato le tre principali organizzazioni dietro la Flotilla – Campagna europea contro l’assedio di Gaza, Free Gaza Movement e l’International solidarity movement – di mantenere contatti stabili con formazioni «terroristiche». Prosor ha avvertito che la realizzazione della spedizione navale provocherà «conseguenze gravissime».

Manifestazione a sostegno della Freedom Flotilla

A nulla è servita la proposta fatta alle Nazioni Unite dalla coalizione di Ogn ed associazioni che sponsorizzano la Flotilla 2, affinchè funzionari internazionali ispezionino le navi prima della partenza per Gaza in modo da accertare l’assoluta assenza a bordo di qualsiasi arma o carico sospetto e il carattere pienamente pacifico della missione navale che mira a portare aiuti umanitari e solidarietà alla popolazione della Striscia sotto blocco israeliano (ed egiziano) dal 2007.

La pressione diplomatica israeliana ha visto nelle ultime ore la Germania, la Grecia e gli Stati Uniti ammonire con forza i propri cittadini dal prendere parte alla Flotilla 2. Due deputati tedeschi Annette Groth e Inge Hoeger, che erano a bordo della Mavi Marmara lo scorso anno, si sono fatti da parte. Il Dipartimento di stato Usa ha avvertito i 36 cittadini americani della “Audacity of Hope” – la nave statunitense che porta il nome di un famoso libro di Barack Obama – che le acque di Gaza sono «pericolose e instabili». Contro la partecipazione di ebrei americani si sono concentrati in queste ultime ore i coloni israeliani che attraverso il loro sito d’informazione, Arutz 7, hanno preso di mira l’avvocato del lavoro Richard Levy che in una dichiarazione di qualche giorno fa aveva definito «molto importante» la partecipazione di ebrei statunitensi alla Flotilla 2.

Un forte appoggio alla missione è invece giunto dal senatore dello Sinn Fèin irlandese, Trevor Ó Clochartaigh, che ha chiesto al ministero degli esteri del suo paese di agire subito per impedire che la Marina militare israeliana blocchi con la forza la flottiglia pacifista, su cui si imbarcheranno 20 irlandesi, tra i quali deputati, ex sportivi e attivisti dei movimenti pacifisti. Lo scorso anno una nave irlandese, la Rachel Corrie, venne bloccata in mare dagli israeliani e trainata al porto di Ashdod. Di recente si è aggiunta ufficialmente alla Flotilla anche una nave malese, alla quale ha fatto gli auguri il premier Datuk Seri Najib Tun Razak.

Della Freedom Flotilla 2 «Stay Human», dedicata all’attivista italiano Vittorio Arrigoni, assassinato due mesi fa a Gaza, fa parte anche la nave italiana «Stefano Chiarini», che porta il nome del giornalista del quotidiano Il Manifesto scomparso prematuramente nel 2007. Le altre imbarcazioni provengono da Francia, Gran Bretagna, Estonia, Lettonia, Svezia, Australia, Kuwait e Portogallo. Nena News

mercoledì 22 giugno 2011

Empatia, cambiamento, speranza GIUSTIZIA

Riflessioni e domande di tre studentesse del liceo classico "Galluppi" di Reggio Calabria sul mio libro "Gabbie"

Francesca Ricci

Nel libro vi sono racconti che narrano anche la difficoltàe il dolore dell'espatrio: poichè anche se da una parte si sentono salvi dalle difficoltà e dai dolori della loro patria, sono preoccupati per l'inospitalità dei paesi che li "ospiteranno"perciò lei tocca, in un certo modo, anche una corda che ci porta a riflettere sul fenomeno del razzismo. Personalmente ritengo il libro "Gabbie" molto interessante poichè leggendolo mi sono trovata sconvolta, mi ha aperto una finestra su un mondo pieno di dolore, che rispetto alla mia vita giornaliera non credevo potesse esistere realmente. Noi viviamo in una realtà completamente differente che ci fa pensare che le disgrazie non potranno mai capitarci perchè le sentiamo troppo distanti. Ma non è così. Questo libro ci aiuta a capire la sofferenza che porta una qualsiasi guerra, non a giudicare pensando di sapere tutto. Prima di giudicare dobbiamo essere consapevoli, conoscere la realtà dei fatti in tutti i suoi aspetti. Da quale finestra ha cominciato, nel cammino della sua vita, a interessarsi alla questione israelo-palestinese?
All'inizio ci siamo affezionati a una bambina che non ha la possibilità di uscire di casa e abbiamo ascoltato insieme a lei le descrizioni di un uomo cieco proveniente dal Marocco, rimanendo incantati e affascinati. In seguito siamo rimasti turbatialla vista del muro che divide e che semina sofferenza, abbiamo pianto vedendo dei bambini CRUDELMENTE assassinati, abbiamo seguito con dolore una gatta tra i cadaveri e le macerie di una città distrutta e abbiamo appreso con stupore i pregiudizi che dividono palestinesi e israeliani. Sono rimasta molto colpita da questi racconti che mi hanno fatto commuovere e riflettere e ho gradito il suo modo di scrivere, diretto e semplice, ma allo stesso tempo sensibile e profondo. Condivido il suo pensiero e trovo orribile e doloroso che qualcuno possa nascere e morire senza poter conoscere la pace e la tranquillità di una vita normale.
Come si può continuare a sorridere in un mondo pieno di morte e di dolore?


Laura Veraldi

"Gabbie" per lei sono le sbarre che imprigionano la libertà dell'uomo. L'uomo palestinese nasce in un mondo dove le regole sono state fatte senza essere condivise, dove si subiscono l'ambiente sociale e gli eventi, dove la morte naturale diventa un insolito evento, dove nemmeno i morti possono riposare in pace.
In questo mondo così attento alle necessità dei pochi con molti interessi economici, come pensa si possa esprimere il singolo? Quanti limiti ha ognuno di noi nell'esprimere se stesso? Quale ritiene sia il senso della vita? Come esprimerlo?

Marta Iania

Leggendo il libro mi sono ritrovata sconvolta perchè mi ha aperto una finestra su un mondo pieno di dolore. Il libro aiuta a capire la sofferenza. Prima di giudicare dobbiamo essere consapevoli conoscere la realtà dei fatti in tutti i suoi aspetti perchè il dolore del mondo divenga il nostro dolore e in questo andare verso l'umanità possiamo trovare noi stessi...

martedì 21 giugno 2011

FLOTILLA 2 CHIEDE ALL’ITALIA MOBILITAZIONE IMMEDIATA

La Marina israeliana annuncia che bloccherà le navi in partenza per Gaza. Il Coordinamento italiano invita la società civile a scendere in piazza se le violenze dello scorso anno dovessero ripetersi. A Roma un info point per aggiornamenti in tempo reale.

DI EMMA MANCINI

Roma, 21 giugno 2011, Nena News – Un info point terrà costantemente aggiornata la capitale sugli sviluppi del viaggio che la Freedom Flotilla 2 sta per intraprendere alla volta di Gaza. Un viaggio rischioso, dopo le minacce della Marina Militare israeliana, ma che nessuno ha intenzione di sospendere.

Le otto-dieci navi della seconda Flotilla, dedicata all’attivista italiano Vittorio Arrigoni e diretta a Gaza con a bordo aiuti umanitari, giocattoli, materiale scolastico e medicinali, salperanno nei prossimi giorni. L’obiettivo è accendere l’attenzione del mondo sull’assedio israeliano alla popolazione palestinese della Striscia. E per mantenere alta l’attenzione, la Freedom Flotilla Italia metterà in funzione un info point con l’obiettivo è diffondere in tempo reale le notizie sulle navi e sul viaggio verso Gaza.

“L’iniziativa della Freedom Flotilla – spiega in un comunicato il Coordinamento Nazionale della Freedom Flotilla Italia –, di cui è parte la nave italiana ’Stefano Chiarini’, è assolutamente legale e non violenta. Respingiamo con forza le ridicole insinuazioni della propaganda sionista in merito alle armi od altri strumenti offensivi a bordo delle nostre navi”.

Ecco perché il Coordinamento chiede l’aiuto di Roma e dell’Italia intera: una mobilitazione immediata nel caso in cui l’aggressione minacciata da Israele si concretizzi, come accaduto nel maggio dello scorso anno. “Facciamo appello a tutti gli amici del popolo palestinese – continua il comunicato – affinché siano pronti a mobilitarsi immediatamente nel caso il governo israeliano decida di mettere in atto le sue minacce e di attaccare la Freedom Flotilla, come avvenuto lo scorso anno, quando vennero assassinati dai militari israeliani nove attivisti. Nel caso l’attacco minacciato si verificasse, invitiamo sin da ora a scendere subito in piazza, a Roma all’ambasciata israeliana in Via Michele Mercati, a Milano al consolato israeliano in Corso Europa ed in tutte le altre città nelle piazze principali”.

Intanto si parte oggi con un assaggio in terra italiana: alle 18 Piazza Duomo a Milano si colorerà delle bandiere della Palestina e della Freedom Flotilla.

Le otto o dieci navi in partenza per Gaza porteranno tra 500 e 600 attivisti provenienti da 22 diversi Paesi del mondo. Non ci saranno i turchi della Mavi Marmara, oggetto della violenza israeliano nel 2010, ufficialmente perché i danni subiti lo scorso anno non permetterebbero la navigazione. Ma c’è chi vede nello stop imposto dal governo di Ankara, impegnato in un riavvicinamento con Israele, il vero motivo dell’annullamento del viaggio. Troppe le pressioni su Erdogan da parte occidentale e la Marmara non partirà.

Non mancheranno gli americani, ed in particolare gli ebrei americani che secondo “The Audacity of Hope” (la nave statunitense) saranno circa il 28% dei 36 passeggeri. “È importante che ci siano ebrei nella nave – ha detto Richard Levy, avvocato ebreo di New York citato dall’agenzia palestinese Ma’an News – La lobby filo-israeliana nel nostro Paese è molto potente. Non possiamo sostenere l’assedio israeliano, moralmente e giuridicamente inaccettabile”.

La nave a stelle e strisce porterà a Gaza anche migliaia di lettere di amicizia e solidarietà alla popolazione palestinese, per mettere in contatto le due società civili. L’iniziativa è stata annunciata dalla Audacity of Hope direttamente al presidente Obama in una lettera. Lo stesso presidente che attraverso i suoi portavoce ha invitato i cittadini americani a non imbarcarsi, per timore di indispettire l’arrogante alleato israeliano, ma anche perché le minacce alla Freedom Flotilla da parte di Tel Aviv non appaiono troppo velate.

La Freedom Flotilla II sarà dedicata all'attivista italiano Vittorio Arrigoni

Domenica durante una cerimonia al porto di Haifa, il comandante della Marina Militare israeliana, l’ammiraglio Eliezer Marom, aveva annunciato che la Flotilla sarà bloccata in alto mare e non sarà permesso ad alcuna imbarcazione di raggiungere le coste di Gaza. Un film già visto: a maggio dello scorso anno, la prima Freedom Flotilla fu arrembata da commando d’Israele e nove attivisti turchi rimasero uccisi nell’attacco. Dietro gli slogan umanitari, secondo Marom, si nasconde in realtà un pericoloso antisemitismo, “un odio verso lo Stato ebraico. Si cerca una provocazione di carattere mediatico per creare un’atmosfera di delegittimazione di Israele”.

L’ammiraglio ha poi proseguito indicando nella Flotilla uno strumento di lotta utile per Hamas: permettere alle navi internazionali di raggiungere Gaza, aprirebbe la navigazione libera verso la Striscia e “Hamas potrebbe dotarsi di quantità incontrollate di armi e minacciare Israele con missili terroristici”.

Secondo quanto riportato dall’agenzia italiana Ansa, fonti dell’intelligence di Tel Aviv temono che attivisti provenienti da Yemen e Giordania attaccheranno i soldati israeliani nel caso in cui questi blocchino le navi. Nei giorni scorsi i militari israeliani sono stati impegnati nella simulazione di un abbordaggio con tecniche nuove, al fine di “limitare” la perdita di vite umane. Limitare, non eliminare. Nena News

lunedì 20 giugno 2011

SI, SI, SI!

E' passata una settimana dalla vittoria del Referendum che ha visto la vittoria dei si, ma questa poesia riflette molto bene i nostri sentimenti, grazie Giuseppe.

E invece Sì





Ci avevi detto NO, notte balorda

ci avevi detto forse, albeggiando

ci avevi detto il dove, anche il quando

poi allo sfociar del sole

ancora in mezzo al dubbio, ci hai lasciati



attendendo lo strapotere dei maghi

della parola, del tacito consenso

come se quel dannato d’un tramonto

non potesse mutare

e fosse No la sillaba perfetta.



Invece Sì, a mucchi, strati, coltri

le frasi sopra al cuore

la sindrome del rancore che si muta

in languore d’abbracci

lenti come quel senso di vittoria

che non sapevamo più di possedere.



Come dal limbo spento nasca un fiore

come se dalla barca di Caronte

sbocciasse la fonte del piacere

del nostro folle, insano e sacro gesto

che ci renda la misura del non visto



del non sperato, del corredo che da sempre

abbiamo dentro, e finalmente

ci apparecchia al mondo

e finalmente ci sparecchia al cielo

dal velo di rassegnato moto perenne

che pensavamo fosse la realtà.



Riprendiamoci tutto, la notte

il filo d’aria, anche il destino

la luna, il senno, il senso e la misura

che non debba finire sul più bello

che non ci svegli in mezzo al guado

che non ci venga mai a mancare il fiato.



Che non sia un POI, quel che abbiamo dentro

ma un grande ORA, fatto d’aria pura

di frasi a getto, di ridere alla sorte

di stridere al suono di cannoni

che ci sparano addosso, ora quasi a salve.



E salve a tutti allora

mordiamolo maturo il dolce frutto

e da questo gesto, momento

si ricominci il tutto.


Giuseppe Spinillo

giovedì 16 giugno 2011

Carneficina siriana e moderazione israeliana

Domenica 12 Giugno 2011 11:51 Gideon Levy



11/06/2011

Vediamo il regime siriano massacrare decine di dimostranti disarmati ogni giorno, e diciamo che “sta trucidando il suo stesso popolo”; ma quando l’esercito israeliano uccide 23 manifestanti siriani disarmati in un solo giorno, ci vantiamo del fatto che esso “ha agito con moderazione” – scrive il giornalista israeliano Gideon Levy

***

Il regime del presidente siriano Bashar Assad sta massacrando decine di inermi manifestanti siriani ogni giorno. In Israele siamo soliti schioccare la lingua in stato di shock e dire che Assad “sta trucidando il suo stesso popolo”, ma quando le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno ucciso 23 manifestanti siriani disarmati in un giorno, ci siamo vantati del fatto che l’esercito israeliano “ha agito con moderazione”.

I dimostranti nella città siriana di Hama e i manifestanti al confine del Golan si assomigliano non solo nel loro ricorso a mezzi non letali, ma anche nei loro obiettivi. Sia gli uni che gli altri stanno cercando di cambiare l’ordine costituito. E la risposta delle autorità in entrambi i casi – l’uso di proiettili veri contro i manifestanti – è sorprendentemente simile.

In Israele la gente subito spiegherà che l’esercito israeliano compie ogni sforzo per non uccidere i manifestanti, e in effetti il numero di vittime in Siria è molto più elevato, ma i mezzi sono simili – l’uso di proiettili veri contro manifestanti disarmati. E il conteggio delle vittime potrebbe perfino risultare comparabile se, Dio non voglia, i manifestanti del Golan insisteranno nella loro ribellione – e l’opinione pubblica israeliana non avrebbe alcun problema rispetto a questo, naturalmente. Anche se assomigliamo alla Siria, non appariamo così ai nostri occhi.

Lungo la recinzione di confine sulle alture del Golan, Israele ha eretto un’ulteriore barriera di sicurezza ancora più robusta per proteggersi, ed in particolare per offuscare la sua stessa consapevolezza della presenza dei manifestanti sul confine. Con questa barriera, abbiamo creato il nostro mondo, il mondo dei nostri sogni, l’illusoria bugia “contrapposta” che ci raccontiamo.

A Hama sono combattenti per la libertà. Al confine con le alture del Golan sono dimostranti prezzolati, folle aizzate e terroristi. Attraversare il confine con le alture del Golan comporta una minaccia alla sovranità di Israele, anche se non un solo paese al mondo riconosce la sovranità israeliana sul Golan. I manifestanti al confine del Golan sono giovani privi di ogni coscienza politica che sono stati spronati a farlo, mentre i loro omologhi che manifestano contro il regime siriano sono giovani istruiti con il senso della democrazia, gente dell’illuminata rivoluzione di Facebook e Twitter.

Sulle alture del Golan, Assad li porta in autobus verso la morte, e la colpa è tutta loro. Le IDF hanno trovato un modo per dimostrare che la maggior parte delle vittime sono state responsabili della loro morte o delle loro lesioni. Il pensiero che quei giovani determinati sul Golan stanno rischiando la vita proprio a causa della stessa coscienza politica e democratica, identica a quella che sta motivando i loro colleghi nelle città siriane che si stanno ribellando contro il regime di Assad, semplicemente non ci viene in mente.

Sul nostro confine sono dei rivoltosi. Nelle città siriane sono manifestanti. Laggiù vi è un’ammirevole protesta nonviolenta, mentre quella stessa battaglia quando viene combattuta sul nostro confine è considerata violenta, e i suoi protagonisti vanno incontro alla morte.

Abbiamo inventato un mondo tutto per noi: Assad ha mobilitato questi giovani palestinesi per distrarre l’attenzione. Ma a dir la verità, noi veniamo distratti in misura non certo minore, distolti dagli obiettivi di questi giovani che non siamo nemmeno disposti ad ascoltare.

Qualcuno qui ha forse pensato al viaggio “della memoria” compiuto da un giovane palestinese siriano che ha attraversato il confine ed è riuscito ad arrivare a Jaffa per visitare la casa ancestrale della sua famiglia? Magari possiamo provare a ricordare al lettore israeliano che questi sono figli di rifugiati, alcuni dei cui antenati sono fuggiti o sono stati espulsi da Israele nel 1948 e non è stato permesso loro di tornare. E altri sono stati espulsi o sono fuggiti dalle alture del Golan nel 1967, e sono stati privati anch’essi del loro diritto di tornare.

Forse è possibile ricordare che Israele in larga misura conquistò il Golan nel 1967 come risultato di un’iniziativa israeliana. Forse è possibile ricordare che da tre generazioni queste famiglie di rifugiati vivono in condizioni disumane nei loro campi profughi. E’ vero che ciò è colpa del regime siriano, ma anche Israele ha una responsabilità per il loro destino. Forse è perfino possibile dire che vi è un grado di legittimità nella loro lotta, proprio come la lotta dei loro colleghi contro il regime siriano è legittima. Sia gli uni che gli altri vogliono una vita di libertà e dignità. Nessuno di essi ne può disporre.

Nel nuovo mondo arabo che sta prendendo forma davanti ai nostri occhi, a un certo punto questi giovani sia in Siria che al confine del Golan dovranno essere ascoltati, e alcune delle loro richieste dovranno ricevere una risposta, soprattutto se essi persevereranno nella loro lotta disarmata.

Ma noi ci siamo messi tutto dietro le spalle. Nasconderemo la testa sotto la sabbia. Costruiremo un’altra recinzione di confine, e un’altra ancora. Chiameremo “notte” il giorno e “giorno” la notte, continuando a ripeterci che stiamo agendo con moderazione – uccidendo con proiettili veri 23 giovani che non hanno sparato un solo colpo. Accuseremo loro e i loro leader della responsabilità della loro morte. La cosa importante è che le nostre mani siano pulite, le nostre orecchie siano tappate e i nostri occhi siano chiusi.

Gideon Levy è un giornalista israeliano; è membro del comitato di redazione del quotidiano “Haaretz”; è stato portavoce di Shimon Peres dal 1978 al 1982

mercoledì 15 giugno 2011

Sardegna: radar anti-migranti

Sardegna: radar "anti-migranti" non si fermano. Ma neppure i presidi
In Sardegna i "radar anti-migranti" non si fermano e così la volontà dei sindaci e dei cittadini a resistere sull'installazione di nuove "servitù militari". Ma c'è una novità emersa al vertice tra sindaci e autorità: i radar non sarebbero militari ma assolutamente "civili".

In Sardegna si vogliono costruire, in zone incontaminate e di grande valore ambientale e naturalistico, dei "misteriosi" radar "anti-migranti" pare di fabbricazione israeliana. E' proprio Legambiente Sardegna (http://is.gd/2ekYMy) a scrivere in un comunicato che "i quattro radar previsti in Sardegna fanno parte di un progetto nazionale che comprende in totale 18 installazioni dislocati nelle regioni del centro e del sud d'Italia" e le zone scelte dovrebbero essere: 'Capo Pecora a Fluminimaggiore, Capo Sperone a Sant'Antioco, Punta Foghe a Tresnuraghes, l'Argentiera nel comune di Sassari, tutte zone di alta valenza ambientale,paesaggistica e naturalistica tutelate dal PPR". Ovviamente i cittadini sardi non ci stanno ad essere soggetti una volta di più alle "servitù militari" di cui la Sardegna è una delle regioni italiane più soggette, ed hanno incominciato a protestare con dei presìdi nei luoghi dove si vorrebbero costruire le antenne. Anche la preoccupazione per la salute e per le radiazioni elettromagnetiche preoccupano i cittadini, anche perché su questi impianti sovente non c'è mai trasparenza e diretto controllo da parte della popolazione. C'è un blog che si sta occupando della situazione che si chiama "NORADARSARDEGNA" (http://is.gd/61rj0u) che descrive la vicenda nella sua presentazione in modo molto efficace: "Nessun Radar né a Capo Sperone né altrove. Contro la militarizzazione dei territori, il controllo e la repressione sociale. Mobilitiamoci dal basso per impedire la costruzione di un radar di 36 metri per il controllo dei flussi di migranti dal nord Africa. Impediamo l'ennesimo sfratto a favore dei militari e l'ennesima fonte di inquinamento". Mercoledì 25 maggio si è tenuto un vertice tra gli amministratori locali coinvolti (anche "obtorto collo") nel progetto dei "radar" e i Prefetti di Cagliari e Oristano. Un sit in dei cittadini "no radar" fuori dalla Prefettura di Cagliari, intanto, manifestava contro l'iniziativa (qui le foto http://is.gd/JIin4M). Ma il risultato della riunione, come testimonia anche la cronaca de "L'Unione Sarda" del 26 maggio (http://is.gd/8UqPfQ) è stata molto amara per chi non vuole queste "antenne" nel proprio territorio, perché la faccenda sarebbe "questione di sicurezza nazionale". E quindi, nella tradizione italiana, occidentale e "cinematografica", quando c'è in ballo "la sicurezza nazionale" le istanze della popolazione vengono spesso messe da parte (ma sempre nel loro interesse "più ampio" ovviamente, no?). I sindaci presenti al vertice di mercoledì, forse perché l'"interesse nazionale" di solito fa pensare a qualcosa di "top secret" e quindi di "militare" hanno chiesto che questi "radar" siano spostati in luoghi dove già esistono servitù militari. Ma questo non sarebbe possibile perché, come come si legge dall'Unione Sarda: "I rappresentanti della Guardia di Finanza hanno, peraltro, sottolineato che non si tratta di attività militari, ma di radar a uso civile". Questi radar servirebbero, sempre come riporta il quotidiano sardo "in un'ottica di controllo dei migranti e anche dei traffici di stupefacenti". Inoltre chi vuole costruire questi "radar" afferma che non ci sarebbero assolutamente problemi per la salute. Ovviamente i comitati "no radar" naturalmente non si arrendono e promettono che i comitati "sparsi" per l'isola si fonderanno in uno solo. Come per altre "costruzioni" invise alle popolazioni (ad esempio la TAV), l'unico mezzo possibile per contare "democraticamente" nelle decisioni (oltre ai referendum, quando possibili) rimane il presìdio fisico dei territori (sempre in modo assolutamente nonviolento) e l'informazione. Intanto Antonio Cinellu, sindaco di Tresnuraghes dopo l'incontro in Prefettura afferma: "Nel nostro comune non metteranno piede". E c'è da credergli.

Iginio Santi

martedì 14 giugno 2011

Ho imparato - saluto a Gaza

di Silvia Todeschini
Quest'anno sono stata a scuola. Ci sono tanti tipi di scuola, alla scuola dove sono stata io non c'erano insegnanti professionisti, ma si imparavano tante cose lo stesso. Ora vi racconto cosa ho imparato. Il programma delle lezioni è stato intenso, ma come tutti è venuto il momento di andare in vacanza per i mesi estivi, perché una delle cose che ho imparato è che c'è bisogno di pause per interiorizzare le lezioni.

Ho imparato che il suono delle zannane è diverso da quello degli f16 che è diverso da quello degli apache. Ho imparato a distinguerli. Non ho imparato a distinguere i sonic boom dalle bombe reali, però. Questo è programma dell'anno prossimo.

Ho imparato il suono dei proiettili, ho imparato che quando sparano in aria si sente un solo botto, quando sparano in terra si sentono 2 botti ravvicinati e quando oltre ai 2 botti si sente un fischio allora comincia ad esserci un problema.

Ho imparato che ci sono proiettili che fanno dei buchi grossi e proiettili che li fanno più piccoli. E che ci sono persone disposte ad essere piene di buchi in nome di quello in cui credono. Che i buchi nelle persone non sempre riescono a fermarle. Di sicuro non riescono a fermare le loro idee.

Ho imparato che non tutti possono resistere 63 anni. Ho imparato che è difficile. Però ho anche imparato che è possibile, ed il fatto che sia reale rende la vittoria vicina.

Ho imparato che non si può rifiutare un bicchiere di tè. Ho imparato che rifiutarlo è una grave offesa.

Ho imparato che se una granata da un carro armato israeliano uccide tua madre e tua sorella, te sei ferita e a 16 anni con il filo di voce che ti è rimasto affermi: “neanche nei sogni di israele ce ne andremo dalla nostra terra”, in Palestina sei una ragazza normale.

Ho imparato che la resistenza è fatta di tante cose, è una pratica quotidiana. Ho imparato che se non resistiamo assieme ognuno con i suoi mezzi non vinceremo mai. Ho imparato che potremo vincere solo se saremo uniti. Non ho ancora imparato come si fa a essere davvero tutti uniti, anche questo è programma dell'anno prossimo.

Ho imparato che il fosforo bianco lascia cicatrici che durano per sempre, che anche le bombe spesso rendono impossibile una vita normale dopo. Ho imparato che le macchie di sangue, anche se non è il tuo, fanno fatica ad essere lavate...in tutti i sensi.

Ho imparato che se la mia vicina o il mio vicino non sono liberi allora non lo sono nemmeno io, perché la libertà è una pratica collettiva.

Ho imparato che avere qualcuno che ascolta i tuoi problemi è importante. E non potere parlare è tremendo.

Ho imparato che ci sono luoghi, come qui a Gaza, dove i colori sono più colorati, il nero è più scuro ed il giallo è più brillante, il rosso più intenso e la gioia più energica, la tristezza più tremenda, la forza più tenace. Ho imparato che il nostro mondo occidentale vive di gradazioni di grigio, e che è tutto avvolto in un involucro di plastica protettiva.

Ho imparato che un amico morto ammazzato non è una cosa facile da superare. Però ho anche imparato che anche quando credi che non ce la puoi più fare, quando pensi che “starò stesa qui per l'eternità, non riuscirò più ad affrontare il mondo fuori”, anche in questi casi con un po' di pazienza la forza si può trovare.

Ho imparato che anche la forza si può imparare. Ho imparato che non esiste un limite oltre il quale non ti puoi spingere. Però ho anche imparato che ci vuole molta pazienza per superarli ad uno ad uno questi limiti.

Ho imparato che si può avere paura di morire. Ma è molto peggio quando si ha paura di vivere. Perché la morte dura un istante mentre la vita dura una vita intera.

L’Israele che io mi aspetto. E tu? Cosa aspetti?

Kermesse israeliana a Milano, le ragioni dei contestatori in vista della manifestazione del 18 giugno

I lavori di costruzione dei palchi in Piazza del Duomo a Milano sono iniziati martedì scorso. Ospiteranno la più grande manifestazione di propaganda israeliana mai vista in Europa. L'Israele che non ti aspetti: Unexpected Israel. 2,5 i milioni di euro investiti.

L'evento è promosso dal Ministero dello sviluppo economico e dal Governo dello Stato di Israele, dalla Camera di Commercio di Milano, in collaborazione con l'Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), da Assolombarda e dall'Ambasciata dello stato di Israele a Roma, dall'Ufficio commerciale dello Stato di Israele a Milano. Le autorità competenti, tra esse nello specifico la Regione Lombardia, sono state interpellate nei mesi scorsi affinché informassero i cittadini circa lo svolgimento ed i contenuti delle iniziative previste, l'origine dei fondi, il coinvolgimento delle istituzioni italiane. Per mesi queste lecite richieste sono state ignorate, così come è stata ignorata l'interpellanza presentata in Regione allo scopo.

Successivamente, all'inizio del mese di Maggio, diverse associazioni ed organizzazioni milanesi hanno allertato molteplici realtà di tutta Italia, coinvolte nella difesa dei diritti umani nelle terre che costituiscono oggi Israele e i Territori Occupati della Cisgiordania e Gaza. Scontrandosi con il silenzio delle istituzioni centinaia di cittadine e cittadini si sono organizzati per dare una giusta risposta a quella che ritengono essere la manifestazione di propaganda di un regime di apartheid sempre più preoccupato per la propria credibilità nel mondo. Il comitato, che si è dato il nome di No All'Occupazione Israeliana di Milano, ritiene che Israele porti avanti da 63 anni politiche di occupazione e colonizzazione illegale di terre, crimini contro l'umanità, crimini di guerra. Per questo motivo ha organizzato una dieci giorni alternativa che prevede eventi di controinformazione, proteste, cineforum, ed ha indetto un corteo nazionale il 18 giugno a Milano.

Finalmente, in data 10/06/2011, il sottosegretario alla Presidenza della Regione Lombardia, dott. Paolo Alli, ha accolto una delegazione del comitato. Durante l'incontro ha negato il coinvolgimento della Regione nell'iniziativa. La presenza del logo della Regione nella diffusione di alcune delle iniziative previste dunque non si spiega.

Molteplici gli attacchi della stampa in questi giorni. I cittadini italiani contrari alla kermesse israeliana sono stati dipinti quali personaggi razzisti, violenti ed antidemocratici. La difesa dei principi dell'antirazzismo, della non violenza e della democrazia è tuttavia il valore a cui fanno riferimento coloro che criticano la politica di Israele, i suoi crimini, le sue fondamenta ideologiche.

Razzista è Israele infatti, nella misura in cui decine di leggi discriminano direttamente ed indirettamente il milione e mezzo di Palestinesi che vivono al suo interno. La legge israeliana proibisce infatti il matrimonio interreligioso, (esisteva una legge simile nel Sudafrica dell'Apartheid) ed il ricongiungimento famigliare nei matrimoni che riguardino Palestinesi orginari da Israele e Territori Occupati. Razzista è Israele nel momento in cui prescrive per legge (Law of Return, 1950) che qualsiasi cittadino ebreo nel mondo possa ricevere automaticamente la cittadinanza israeliana, mentre lo proibisce ai palestinesi che in quelle terre possiedono ancora parenti, case, terre, in contravvenzione con il diritto internazionale che prevede il Diritto al Ritorno dei profughi, riconosciuto in molteplici risoluzioni ONU.

Razzista è Israele infine, quando richiede ai cittadini l'identificazione religioso/razziale nella carta di identità, attraverso un codice numerico. Il report annuale sui Diritti Umani del Dipartimento di Stato statunitense conclude: "Esiste uno stato di discriminazione a livello legale e sociale contro cristiani, musulmani e drusi ".

Violento, e più che violento, criminale è Israele, quando erige un muro alto otto metri e lungo ormai 500 chilometri, condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia il 9 luglio 2004, quando in dieci anni arresta più di 2500 minori, quando per legge decide che un palestinese è minore fino ai 16 anni, e un israeliano lo è fino ai 18. Criminale, quando ferisce 5300 persone e ne uccide 1385: 726 civili, 318 bambini. Persone recluse in gabbia, quella gabbia umana che è oggi la Gaza sotto assedio, persone cui viene tolto anche il diritto di scappare. Da parte israeliana, in quegli stessi, famigerati giorni, morirono 13 persone (di cui 3 civili. Tra i soldati 4 furono uccisi da fuoco amico).

Antitesi della democrazia è poi Israele, autodefinendosi "Stato Ebraico Democratico". Come potrà una democrazia mantenere la propria natura democratica mantenendo quella strettamente ebraica? I cittadini non ebrei in che modo si inseriranno in tale democrazia? Tale fondamento ideologico conduce alla politica di pulizia etnica in corso dal 1948 fino ad oggi e dunque da un lato alla necessità di espellere gli abitanti non ebrei dal territorio, dall'altro alla natura profondamente razzista dello stato in questione. Dichiarava il Ministro degli Esteri Israeliano Ariel Sharon il 15 novembre 1998: "E' dovere dei leaders israeliani spiegare alla pubblica opinione chiaramente e coraggiosamente che non c'è Sionismo, colonizzazione, Stato Ebraico senza l'espulsione degli arabi e l'appropriazione delle loro terre" .

Questo è l'Israele che io mi aspetto. E tu? Cosa Aspetti? Aspetti di leggere sul sito ufficiale di Unexpected Israel che: "Da una terra assolata con una breve stagione piovosa arrivano tra le risorse idriche intelligenti più significative al mondo. Israele ha trasformato il suo suolo arido in un fertile paradiso (...) Nel campo della depurazione idrica Israele esperimenta costantemente nuovi metodi avanzati. Israele fa fiorire il deserto (...) La struttura di desalinazione più grande del Medio Oriente è in Israele e produce più di 350 milioni di metri cubi di acqua potabile l'anno a prezzi contenuti".

Aspetti di poter ammirare le fotografie esposte nella mostra "Kibbutz, architettura della collettività" nella galleria Vittorio Emanuele di Milano. Fotografie che evocano "un'idea di giovinezza, libertà, di apertura alla vita (...) l'idea di Israele quale fertile melting pot di culture". E non ti diranno che proprio un kibbutz - Beit Guvrin- è emerso dalle case di Beit Jibrin, villaggio palestinese i cui abitanti vivono oggi nel campo profughi Alazzeh, a mezz'ora di strada, senza l'acqua potabile di cui Israele si fa vanto, con pile di piatti sporchi sul pavimento, nella calura estiva, aspettando che Israele conceda loro quei cinquanta litri di acqua procapite al giorno, allorquando un israeliano ne ha a disposizione 242, allorquando l'Organizzazione Mondiale della Salute ne prescrive cento al giorno.

"Non aspettiamo, denunciamo la complicità delle Istituzioni e delle Aziende Italiane!", ci dice il Comitato No all'Occupazione Israeliana di Milano. Non aspettiamo, aderiamo alla campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni), agiamo perché il diritto internazionale venga rispettato. Denunciamo un evento propagandistico volto ad offuscare il volto di un intero popolo.
Caterina Donattini

No All'Occupazione Israeliana di Milano

domenica 12 giugno 2011

Foto della manifestazione a Milano contro la kermesse israeliana

Israele che non ti aspetti:
http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/06/11/foto/milano_la_manifestazione_pro_palestina-17559155/1/

Alla società civile il compito di riscattare la dignità dell'Italia

Milano come la Palestina. E’ la politica dei fatti compiuti


di Sergio Cararo*


Dunque Piazza del Duomo a Milano verrà occupata dagli apparati di stato di Israele. Le istituzioni italiane e quelle israeliane – di comune accordo - hanno deciso che la kermesse va mantenuta a qualsiasi costo nel cuore della capitale economica del nostro paese.

Per molti aspetti la decisione non sorprende. Israele ha abituato la comunità internazionale ad accettare la “politica dei fatti compiuti” dalla quale è poi molto difficile recedere. I palestinesi hanno sperimentato e pagato sulla loro pelle questo modus operandi.

Le colonie e il Muro sui Territori Palestinesi sono stati realizzati nonostante le risoluzioni dell’Onu o la sentenza della Corte Internazionale dell’Aja affermassero che entrambi erano illegali. Ma adesso le colonie e il Muro sono lì e smantellarli comporta un costo politico, economico ed umano assai superiore alla scelta di non realizzarle.

Così è avvenuto a Milano. Gli apparati ideologici di stato israeliani avevano deciso di occupare un luogo strategico della città dal punto di vista della comunicazione e non hanno voluto recedere nonostante le crescenti contestazioni delle reti e associazioni che sostengono i diritti del popolo palestinese.

I supporter italiani della politica israeliana cercano di manipolare la realtà e di veicolare la kermesse di Milano come un innocuo evento culturale con scrittori e cantanti israeliani. Sanno tutti che così non è come non lo era stata la Fiera del Libro di Torino nel maggio del 2008.

Il convegno sul business tra Italia e Israele con la presenza di alte cariche istituzionali di entrambi i paesi rendono infatti la presenza di Grossman e il concerto di Noa un classico specchietto per le allodole.

Uno Stato ispirato ed edificato sulla base di un modello coloniale, ha infatti un bisogno estremo di curare la propria immagine all’estero, soprattutto quando la contraddizione tra immagine e realtà deflagra sistematicamente e ripetutamente in ogni punto in cui Israele viene a confliggere con gli attori sociali che ne contestano la politica colonialista, siano essi palestinesi o attivisti internazionali.

Le istituzioni italiane – nel loro complesso e dall’alto verso il basso – si adagiano nella complicità con la politica israeliana. Ne agevolano gli affari economici e le operazioni di immagine, come nel caso di Milano, e adottano una indulgenza straordinaria verso le azioni più brutali delle autorità israeliane limitandosi, quando è impossibile fare altrimenti, a parole di circostanza.

Alle vittime della politica israeliana vengono riservate sempre e sole parole e proposte parziali e consolatorie che hanno perso nel tempo anche il pudore dell’equidistanza.

Alla Fiera del Libro di Torino dissero che avrebbero dedicato una edizione anche alla Palestina ma ancora non si vede niente, il Presidente Napolitano in visita in Israele si è limitato a promettere una ambasciata per i palestinesi ma in cambio ha avallato l’intero impianto ideologico del colonialismo sionista, il neo sindaco di Milano annuncia che promuoverà una kermesse anche sulla Palestina e possiamo solo augurarci che sarà coerente tra enunciazioni e fatti.

Ma intanto la realtà ci dice che le cose vanno esattamente come è andata la storia fino ad oggi: nonostante esistesse una esplicita risoluzione dell’Onu lo Stato di Israele è nato nel 1948 e quello palestinese no.

Le istituzioni italiane con maggior pudore si trincerano dietro una formula fortemente depotenziata dalla realtà sul campo: due popoli due stati. Eppure sanno benissimo che oggi le condizioni minime sul piano territoriale, economico, ecologico, politico rendono impraticabile la nascita di uno stato palestinese effettivo, indipendente, sovrano, con confini liberi e sicuri. La politica israeliana dei fatti compiuti non include questa possibilità della storia.

Per questi motivi la decisione di non recedere dal consentire l’occupazione israeliana di Piazza del Duomo appare come una conferma dell’apparato ideologico di Israele, un apparato strettamente coerente con l’impianto colonialista del progetto sionista che “si è fatto Stato” e che lascia agli interlocutori solo la possibilità di piegarsi alla politica dei fatti compiuti.

Il governo Berlusconi si compiace pubblicamente di essere il “miglior alleato di Israele in Europa” e la kermesse di Milano è una delle cambiali da pagare sull’altare di questa alleanza. L’altra sarà probabilmente il tentativo di ostacolare la partenza della nave italiana nella Freedom Flotilla (come esplicitamente richiesto da Netanyahu) o di negare qualsiasi protezione ai cittadini italiani che vi si imbarcheranno, esattamente come è stato trascurato ogni serio intervento quando Vittorio Arrigoni è stato sequestrato e poi ucciso a Gaza.

Ben venga dunque la mobilitazione e la contestazione della kermesse israeliana a Milano. Gli attori sociali e politici che le animeranno in qualche modo riscatteranno anche l’immagine del nostro di paese, una immagine oggi inquinata dalla complicità a tutti i livelli con l’occupazione israeliana e la negazione dei diritti fondamentali dei palestinesi (oltre che dalla bombe vigliacche sulla Libia).

Quella della Palestina rimane una ingiustizia della storia e una vergogna permanente della comunità internazionale che spetta alla gente normale contrastare perché le istituzioni confermano che non ne hanno la volontà.

Per questo è importante la massima partecipazione democratica alle iniziative di informazione, controinformazione, contestazione che ci saranno a Milano nei prossimi giorni e alla manifestazione nazionale convocata a Milano per sabato 18 giugno.


* direttore di Contropiano, co-fondatore del Forum Palestina

I peggiori insetti mefitici sono i coloni

CISGIORDANIA, RACCOLTI INONDATI DA FOGNE DELLE COLONIE
Non bastano gli attacchi quotidiani, le violenze a contadini e pastori. Ora a rendere la vita difficile ai palestinesi dei villaggi a sud di Hebron ci si mettono pure le fogne degli insediamenti israeliani.

DI EMMA MANCINI

Beit Sahour (Cisgiordania), 09 giugno 2011, Nena News – Il problema non è certo nuovo, da oltre vent’anni 15 villaggi palestinesi soffrono per le esalazioni e l’inquinamento proveniente dalle acque nere prodotte dai non graditi vicini. Un problema che durante l’estate diventa impossibile da affrontare. Insetti, zanzare, odore mefitico avvolgono ogni anno Dahiriyya, Al-Riniyya, Fawwar Camp, Abo Asaja, Abo Ghozlan e altri piccoli villaggi del distretto, nelle valli a Sud di Hebron e a Nord di Yatta. Le responsabili sono le colonie che circondano l’area, Kiryat Arba e Bet Hagay su tutte.

L’effetto sulla vita quotidiana dei residenti è tragico. Le fogne corrono vicinissime alle case: molti abitanti soffrono da anni di malattie connesse all’inquinamento e alla puntura di insetti, in particolare i bambini. Gli insetti, e le zanzare specialmente, attaccano le piantagioni nelle terre dei villaggi, distruggendo il raccolto e intaccando seriamente le poche fonti di entrata economica dei residenti. Ad essere colpite sono le colture tipiche delle colline a Sud di Hebron, vegetali e uva. “La maggior parte del raccolto è andato in fumo a causa degli insetti – racconta un contadino all’AIC – A volte non riesco a restare troppo tempo nella mia terra a lavorare per le zanzare e l’odore insopportabile”.

Un odore che non cessa durante la notte e che peggiora in estate. I palestinesi residenti non possono lasciare le finestre o le porte aperte, nemmeno quando il caldo estivo diventa intenso, e le ore in bianco aumentano costantemente. Difficile dormire avvolti nella puzza di fogna e negli attacchi notturni delle zanzare.

Le organizzazioni locali hanno denunciato più volte il problema alle autorità israeliane, responsabili dell’intera area: dopo gli accordi di Oslo del 1993, la zona è considerata Area C, sotto l’esclusivo controllo civile e militare dello Stato di Israele. Ma una soluzione, nonostante le tante promesse, non è stata mai nemmeno cercata. Le proteste dei villaggi si scontrano contro l’invalicabile muro dell’amministrazione civile israeliana.

Per questo, nelle passate settimane i residenti dei 15 villaggi hanno deciso di agire da soli, supportati dai comitati popolari. La scorsa settimana è stato organizzato un meeting nei villaggi di Abo Asaja e di Abo Ghozlan al fine di programmare le proteste a venire. La popolazione ha così lanciato un vero e proprio movimento di base con l’obiettivo di attirare l’attenzione delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, la stampa estera e l’opinione pubblica internazionale.

Più volte i membri dei comitati locali hanno sottolineato come un simile problema affligga ormai l’area da oltre 20 anni. Le autorità israeliane hanno sempre evitato di dare risposte concrete, seppur non appaia difficile risolvere il problema delle acque nere: le fogne dovrebbero essere coperte con dei tubi, di modo che le acque non scorrano più in superficie.

L’espansione degli insediamenti a Sud di Hebron, le violenze quotidiane dei coloni contro contadini e pastori e il problema delle fogne sono parte della stessa politica: rendere la vita dei palestinesi impossibile da vivere, così da costringerli a lasciare terre e villaggi. È il cosiddetto “quiet transfer”, strategia organizzata e sistematica volta all’espulsione dei residenti palestinesi. L’obiettivo finale? Occupare le terre ed annetterle alle colonie a Sud della Cisgiordania, così da realizzare una concreta e ufficiosa annessione del zona meridionale del distretto di Hebron allo Stato di Israele. La stretta cooperazione tra coloni e autorità israeliana è solo l’ennesima prova di una tale strategia. Nena News

questo articolo e’ stato pubblicato da www.alternativenews.org

http://www.alternativenews.org/italiano/index.php/topics/hebron/2949-i-raccolti-palestinesi-distrutti-dalle-fogne-israeliane

Le acque nere delle fogne dei coloni devastano i raccolti palestinesi

Mecozzi e Giudici sulla Kermesse israeliana

ISRAELE, OVVERO L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA



«Israele che non ti aspetti» è il titolo scelto per una kermesse (dal 12 al 23 giugno) di eventi espositivi, promossi dall'Ambasciata di Israele con la Regione Lombardia e l'ex giunta Moratti.

Per alcuni giorni il centro di Milano verrà «occupato» dall'esibizione di tecnologie sofisticate nei settori della sicurezza e degli armamenti, del trattamento delle acque, della sanità e dell'informatica.

Nella stessa occasione un vertice di uomini d'affari italiani e israeliani discuterà di cooperazione economica tra i due paesi.

«Fare affari», è l'invito dell'ambasciata di Israele, accolto dalla partecipazione imprenditoriale e istituzionale italiana.

Il titolo indica la consapevolezza che a Israele si pensa come ad a un paese super militarizzato, in guerra - che è un dato di fatto - cercando di attrarre l'attenzione su un'altra faccia.

Ma queste presunte due facce, sono in realtà una sola: quella dell'insostenibile politica israeliana coloniale e di occupazione. Una politica che andrebbe sanzionata, non alimentata!


Scienza e ricerca non sono mai neutre.

La ricerca scientifica è strettamente legata a quella militare e della sicurezza.

Viene quotidianamente «testata» dal governo di Israele su migliaia di palestinesi, la cui vita è resa impossibile dal sistema dell'occupazione militare ed economica.

Centinaia di check points tecnologico/militari impediscono il movimento della popolazione, come lo sviluppo economico;

l'impenetrabile «barriera di difesa» o «muro dell'apartheid» protetto da un sistema sofisticatissimo di sensori e comandi hi- tech, ha confiscato terre e pozzi, demolito case, distrutto terreni agricoli, posti di lavoro, separato famiglie e comunità; ha «spostato» confini internazionalmente riconosciuti.

Il muro è una «violazione del diritto internazionale», ha avvisato la Corte di giustizia dell'Aja (9 luglio 2004).

Gran parte dell'acqua virtuosamente trattata dall'ingegneria israeliana proviene da espropriazioni e spoliazione dei territori, a danno di villaggi, di città e dell'economia palestinesi.

Viene esaltato un sistema sanitario all'avanguardia nella cura dei propri cittadini, mentre a Gaza si negano cure basilari ad una cittadinanza sotto un assedio di anni, condannato dalle agenzie sanitarie mondiali.

Persino le immagini simbolo del turismo sul mar Morto e la città entro le mura di Gerusalemme, parlano di territori occupati secondo le Risoluzioni Onu.


Sostenere economicamente la politica del Governo israeliano, significa sostenere la sua illegale e crudele occupazione e colonizzazione dei territori palestinesi, la sua violenza contro chi rivendica i propri diritti, legalmente sanciti.
La kermesse a Milano è una scelta di parte, di pieno appoggio alla politica del governo di Israele.

Ed è un grave errore, che pregiudica la possibilità che il nostro paese giochi un ruolo attivo per la risoluzione del conflitto, tanto più necessaria quando dal mondo arabo arrivano segnali per un avanzamento democratico di tutta la regione.


La Fiom, impegnata con le società civili palestinese e israeliana per una pace giusta e durevole in Medio Oriente, ritiene che neppure il business e la cooperazione possano prescindere dalla difesa del diritto internazionale, dell'autodeterminazione e della sicurezza per le popolazioni.

Respingiamo le tristi e ormai patetiche accuse di antisemitismo contro ogni voce critica che condanni l'occupazione di territori e popolazioni.

Chi rivendica rapporti privilegiati di Israele con l'Europa, non può sorprendersi per l'attenzione ad una politica che, sempre più diffusamente a livello internazionale, viene chiesto di sanzionare.


*responsabile internazionale Fiom-Cgil
**responsabile org. Fiom-Cgil Milano

lunedì 6 giugno 2011

Porterò il lutto per la Nakba

di Nurit Peled-Elhanan



Porterò il lutto per la Palestina scomparsa che, nella sua maggior parte,
non conoscerò mai.
Porterò il lutto per la Terra Santa, che perde la sua umanità, il suo paesaggio,
la sua bellezza e i suoi figli sull’altare del razzismo e del male.

Porterò il lutto per i giovani ebrei che invadono e profanano
le case delle famiglie a Sheikh Jarrah, buttano in strada i loro abitanti
e ballano e cantano in memoria di Baruch Goldstein, assassino infame
di bambini palestinesi, mentre i proprietari cacciati dalle loro case
con i loro bambini ed anziani dormono sotto la pioggia,
in strada, di fronte alle loro abitazioni.
Porterò il lutto per i soldati e i poliziotti che proteggono questi
malvagi invasori ebrei ortodossi senza alcun rimorso.
Porterò il lutto per le terre di Bil’in e Nil’in e per gli eroi di Bil’in e Nil’in,
molti di loro bambini tra i 10 e i 12 anni,
che senza paura si alzano in piedi per il loro diritto a vivere
con dignità nella terra dei loro padri.
Porterò il lutto per i Diritti Umani che sono stati sepolti da tempo in questo paese,
per il sangue versato impunemente, per gli assassinii commessi con la
benedizione dei rabbini, per il falso mito sionista in cui sono stata
educata e per la storia palestinese, la cui narrazione é proibita, ma
la cui verità ritorna e i cui germogli verdi
spuntano tra i semi delle leggi razziste.
Porterò il lutto per l’ex ministro dell’educazione, Livnat,
che ha difeso la legge contro la commemorazione del giorno della Nakba,
dicendo che “Se non c’è nulla per cui possano portare il lutto,
non avranno motivi per ribellarsi”; parole peggiori delle
peggiori parole dei nostri avversari e dei colonialisti più malvagi.
Porterò il lutto per tutti noi che non sappiamo che fare di fronte a
una legge che è pura crudeltà, una tra le decine di altre leggi razziste
destinate ad assicurarci i posti d’onore – se non tutti i posti –
negli Atti del Parlamento del Democratico Stato Ebraico.
Porterò il lutto per la democrazia di questo paese dove la metà dei
suoi abitanti deve vivere in condizioni che sarebbero proibite,
anche a degli animali, in altre democrazie.
Porterò il lutto per i bambini.
Quelli che sono morti. Quelli che moriranno domani.
Quelli che non sopportano più di vivere qui e quelli che qui vivono,
simili a mostruosi golem[2] che si ribellano contro i loro creatori,
esseri formati di paura, di male, di razzismo, di amore contorto per una
terra che non è la loro, di odio per tutto ciò che non è a loro immagine
e di appetito insaziabile per l’assassinio.
Porterò il lutto il giorno della Nakba.
E anche il giorno che lo precede che noi chiamiamo Giorno della Commemorazione
e che non è altro che un giorno dedicato all’idolatria della carne morta,
alla fine del quale ciascuno esce e cuoce alla griglia altre carni morte,
canta, balla e alla fine è sazio e ubriaco.
Porterò il lutto per il giorno della nostra indipendenza,
che non è altro che la celebrazione del trionfo della reclusione
e dell’assoggettamento.
Per tutte queste ragioni, porterò il lutto il giorno della Nakba.
Mi unirò ai milioni di spossessati, oppressi e umiliati
che non hanno perso la speranza nel futuro e che pensano
che rimanga un’opportunità e che si ergono come i testimoni e
come le braci ancora vive del vero spirito umano.
Porterò il lutto il giorno della Nakba per essere degna di loro,
perché i miei figli sappiano da che parte sto
e perché anch’essi possano credere che c’è una possibilità per la speranza
e per un futuro in cui la giustizia prevarrá.
Porterò il lutto per la democrazia di questo paese
dove la metà dei suoi abitanti deve vivere in condizioni
che sarebbero proibite, anche a degli animali,
in altre democrazie.


(N.B. La prof. ebrea israeliana Nurit Peled-Elhanan - Premio Sajarov
per i Diritti Umani, membro del Parents Círcle for Peace - ha
perduto una figlia quattordicenne in un attentato suicida contro un
autobus. In un documentario in mio possesso del giornalista di
inchiesta australiano John Pilger, il marito di Nurit Peled ha detto di
comprendere la rabbia dei giovani palestinesi: “ Come mia figlia, sono
anch’essi vittime delle dissennate politiche del nostro governo”.)