venerdì 30 settembre 2011

TRACOLLO!!!

Una parte dell'Italia è giunta a questo squallido livello di corruzione morale che suscita disgusto e indignazione. Un modello sottoculturale affermatosi grazie all'avanzata della "rivoluzione inculturale" di Berlusconi e dei suoi accoliti.


Intervista shock di Terry De Nicolò, escort ospite di B.
http://www.youtube.com/watch?v=ehusOyLWgA8


"RISCHIARE IL CULO E VENDERE TUA MADRE" [HQ]
L'OPINIONE DI CONCITA DE GREGORIO SUL VIDEO DI TERRY DE NICOLO' CHE GIRA DA GIORNI SUL WEB.
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“IL TRATTATELLO IMMORALE DELLA SIGNORINA TERRY”
No, non è gossip. È un trattato di antropologia culturale quello che Terry D e Nicolò, probabilmente Teresa, consegna al suo intervistatore in un video che da giorni migliaia e migliaia di persone stanno scaricando in rete. Un trattatello immorale in dieci semplicissimi punti, l´abbecedario della mutazione genetica di cui Pier Paolo Pasolini fu profeta e Silvio Berlusconi responsabile, per un trentennio suadente magnaccia. Colpevole del delitto politico di istigazione alla prostituzione di una generazione intera, corruttore morale e culturale di un Paese.

Sconcertante, ipnotica nel suo non essere mai sfiorata dal dubbio, semplicemente sicura di essere nel giusto la ragazza barese che ha trascorso le sue notti a pagamento in letti di destra e di sinistra fino ad arrivare al Letto Supremo espone in dieci minuti la quintessenza del berlusconismo. Parla all´Italia e molta parte dell´Italia – bisogna dirlo molto chiaro, questo – la trova ragionevole. Una ragazza che sa quello che vuole, che sa stare al mondo. Del resto, molta parte dell´Italia politica, da diverse latitudini, le ha dato ragione. Dunque no, non faremo troppi pettegolezzi anzi non ne faremo alcuno. Semplicemente proviamo a decifrare le parole di una ragazza di vent´anni che ci spiega come si vive nel Paese in cui abitiamo, l´Italia com´è diventata.

Dice Terry De Nicolò che «Tarantini è un imprenditore di grande successo, un mito». L´uomo che ha messo a verbale che «le donne e la cocaina favoriscono gli affari», che ha barattato prostitute in cambio di appalti, che con la moglie ha messo in piedi una ragnatela di ricatti per i quali è oggi agli arresti, è «uno che è riuscito ad arrivare all´apice, e non è da tutti». È stato bravissimo e lo è, perché lui «ha vissuto giorni da leone mentre gli altri vivono 100 anni da pecora». Mussolinianamente, un mito. Se ora si trova nei pasticci è per via «dell´invidia, sono tutti invidiosi, è tutto mosso solo dall´invidia». Quindi, il sottotesto è: quello che conta è arrivare all´apice. Non importa come, anzi bisogna sapere come – con le donne, la cocaina, il ricatto – e semplicemente farlo. Non esiste un problema di rispetto delle leggi, esiste la legge di natura, che è la seguente: «Quando sei onesto non fai grande business, rimani nel piccolo. Se vuoi arrivare in alto devi rischiare in proprio, devi rischiare il culo. Per avere successo devi passare sui cadaveri degli altri ed è giusto che sia così». È giusto che sia così. Chi lo nega non è mosso da una diversa visione delle relazioni fra gli uomini ma da un risentimento personale: è invidioso, perché tutti potendo farebbero come Berlusconi, se non lo fanno è perché non possono.

Difatti la sinistra «ha rotto le palle» con questa «idea moralista che tutti devono guadagnare duemila euro, tutti devono avere i diritti». Eccheppalle, i diritti. «Se vuoi guadagnare ventimila euro al mese ti devi mettere sul campo. Ti devi vendere tua madre. È così». Dunque apparentemente l´alternativa è guadagnare due o ventimila euro al mese, ventimila essendo la cifra appropriata al bisogno di ciascuno. Qui va detto che l´esegeta del berlusconismo dimostra pochissima conoscenza di un Paese in cui anche i duemila sono per una moltitudine una chimera. Ma è un difetto di dettaglio. Dunque, abbiamo detto: rischiare il culo e vendere tua madre. Si fa così. A sinistra, garantisce la ragazza che ne ha contezza, è lo stesso: «Solo che sono più loffi e non pagano». Fra l´originale e la copia è sempre meglio l´originale. Difatti per andare dall´Imperatore devi mettere una collana di smeraldi, «per andare con Frisullo ti puoi anche mettere la collanina dei cinesi».

E veniamo dunque al cuore della questione: la prostituzione. Le donne usate come tangenti, retribuite per fare sesso: pagate in denaro, in seggi, in consulenze a Finmeccanica, in posti al parlamento o all´europarlamento e anche di più. E allora? Il problema qual è? Dice De Nicolò: «La bellezza, come dice Sgarbi, è un valore. È come la bravura di un medico. Se sei bella e ti vuoi vendere devi poterlo fare. Se sei racchia e fai schifo devi stare a casa. È così da che mondo è mondo. Tutte queste storie sul ruolo delle donne, che palle, quelle che non lo vogliono fare stiano a casa e non rompano i coglioni». Cioè: se una ha belle gambe non ha altri problemi della vita, ogni donna è seduta sulla sua fortuna come scrivono persino certi editorialisti, le belle vendono la patonza come i dottori la loro sapienza e finita lì. Le racchie a casa, a meno che non vogliano investire sul futuro: che significa farsi la quinta di reggiseno dal chirurgo e tirarsi un po´ su le natiche. Una piccola spesa che vale la partita, l´Esteta apprezzerà e ti retribuirà per questo. L´Esteta, dice proprio così Terry De Nicolò, è l´Imperatore: «Davanti all´Imperatore non ti puoi presentare con una pezza da cento euro, devi avere minimo un abito di Prada. Perché lui è un esteta, apprezza la bellezza».

A chi dovesse obiettare che si tratta “solo” delle opinioni di una prostituta faremo osservare alcuni dati di cronaca recente. Nei licei le ragazzine di sedici anni – non tutte, parecchie – hanno il book fotografico. Delle ragazze che visitano palazzo Grazioli una viene accompagnata in auto dal padre. Il genitore di una di quelle non ammesse minaccia di darsi fuoco. La madre della giovane che dal bagno del presidente del Consiglio la chiama per dire “mamma indovina dove sono” le risponde brava anziché chiamare la polizia. Il fratello della presunta fidanzata del premier, un giovane dell´hinterland torinese, famiglia operaia, alla domanda: è proprio sua sorella la fortunata? risponde «magari». La professoressa della scuola di Noemi Letizia, all´epoca minorenne, intervistata in tv dice «chi non vorrebbe essere amica di un uomo così potente?». Certo, naturalmente: non tutta l´Italia è così. Non tutte le ragazze sono in fila per accedere al lettone di Putin, la manifestazione delle donne di febbraio lo ha mostrato. Tuttavia ce n´è abbastanza per dire che un modello di vita si è imposto, in questi anni. È il modello della prostituzione. È da sfigati dire che compito di un uomo di governo non è “foraggiare” le prostitute con buste da diecimila euro ma offrire loro possibilità alternative di vita e di lavoro. Se poi si azzardano a dare voti ai loro amanti, come Manuela Arcuri fa alle Iene, vengono depennate come volgari. Volgare cosa? Istigare alla prostituzione o piegarsi alla legge di mercato? In definitiva, volgare è dare voti sfogliando il catalogo degli uomini di cui si è fatta esperienza. «Questo ha fatto cilecca», ha detto ridendo Manuela Arcuri, ed è stata per questa colpa esclusa dalla lista. Più del giudizio dei tribunali l´Esteta teme, si vede, quello delle sue concubine. Nel tempo di cui l´Imperatore detta le regole l´impotenza è il solo fallimento intollerabile. A Terry De Nicolò, tribunale supremo, l´ultima parola.

(Concita De Gregorio)

Risposta a Silvana De Mari da parte dei familiari e degli amici di Vittorio.

Dopo un'inqualificabile lettera di insulti alla memoria di Vittorio di una sedicente scrittrice di fantasy, la risposta dei suoi familiari e amici.



Cara Silvana De Mari,
leggiamo e rileggiamo quanto ha scritto nella sua “Lettera della Domenica” pubblicata da Informazione Corretta il 25 Settembre (http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=115&sez=120&id=41573).
Rileggiamo (più volte, lo confessiamo) per essere certi che quanto scorre sotto i nostri occhi sia realtà e non un brutto scherzo delle nostre menti. Rileggiamo, nonostante il “taglio editoriale” di Informazione Corretta ci sia ben noto e non dovremmo, quindi, affatto stupirci.
Cara Silvana,
come Vittorio, anche noi crediamo fermamente che la libertà di espressione sia una delle grandi conquiste di questo tempo, almeno per qualche fortunato angolo del pianeta, e che ognuno di noi abbia quindi il sacrosanto diritto di esprimere le sue opinioni. Voltaire, come certamente ben saprà, saggiamente diceva: “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”. E noi con lui.
Ma, cara Silvana, di fronte a gravissime affermazioni così palesemente false, totalmente soggettive, ma esposte alla stregua di verità assoluta, non basate su alcuna prova o dimostrazione, espresse pubblicamente con il preciso intento di diffamare una persona che non ha più la possibilità di replicare e di spiegarle, punto per punto, tutte le ragioni per le quali, scrivendo quanto ha scritto, non solo rischia di coprirsi di ridicolo, ma anche di compiere un gesto di assoluta volgarità, cara Silvana, di fronte a tutto ciò ci sentiamo in dovere di prendere eccezionalmente il testimone che Vittorio ci sta porgendo e risponderle.
Ci sentiamo in dovere di dare voce a chi voce non ha più.
Come lui avrebbe fatto.
Come lui faceva ogni giorno.
Silvana,
su una cosa siamo d’accordo: Vittorio è certamente morto con onore, ma altrettanto certamente non per le ragioni a cui lei allude. Vittorio è morto con onore, perché Vittorio ha vissuto con onore ogni singolo istante della sua vita.
Ha conosciuto Vittorio, Silvana?
Ha conosciuto il suo maniacale amore per la verità, la stessa che lei cita nella sempre bella frase di Orwell?
Può trovare le idee di Vittorio discutibili, è assolutamente lecito e comprensibile, ma non può assolutamente permettersi di affermare che abbia commesso in vita azioni riprovevoli e ripugnanti. Non può affermarlo, cara Silvana, perché sa bene di non poterne citare nemmeno una. Non può affermarlo, perché la calunnia e la diffamazione sono intollerabili, specialmente se rivolte a un uomo che non c’è più, ucciso a 36 anni poco più di cinque mesi fa.
Non può affermare che Vittorio vivesse nell’odio.
Vittorio era un uomo pacifico, un giovane uomo che aveva scelto di dedicare la sua vita a quel milione e mezzo di palestinesi segregati nella Striscia di Gaza, innocenti, che non chiedono altro se non di vivere una vita libera, nel rispetto dei propri diritti di esseri umani.
Era un uomo che non aveva bandiere di fronte a cui inginocchiarsi, né quella di Hamas, né quella di Fatah, né quella di Israele; e nemmeno quella italiana. Era un uomo libero, che sapeva riconoscere l’ingiustizia e l’orrore, ovunque si manifestassero. E dovunque le individuasse, ce le raccontava, costasse quel che costasse.
Vittorio soffriva profondamente per qualunque morte, non poteva sopportare la sofferenza altrui, che si trattasse di quella di un bimbo israeliano o di un anziano palestinese.
Non si arroghi il diritto di trasformare la sua opinione in verità, Silvana.
Vittorio non si è mai schierato con il terrorismo. Ha condannato ogni sopruso, ogni violenza, chiunque ne fosse responsabile. E l’ha sempre fatto pubblicamente, scrivendone, parlandone, senza filtri, senza reticenze, ma sempre con una precisione e un’attenzione infinita al rispetto della verità dei fatti che raccontava, attenzione che, purtroppo, non riscontriamo in buona parte del giornalismo italiano.
Vittorio non si è mai schierato con il terrorismo.
Fare da scudo umano per difendere i contadini che, tentando di lavorare i loro campi, vengono quotidianamente cecchinati dai soldati israeliani, equivale a schierarsi con il terrorismo?
Fare da scudo umano per proteggere i pescatori che, tentando di procurarsi in mare quanto necessario per sopravvivere, vengono puntualmente attaccati da navi da guerra israeliane, equivale a schierarsi con il terrorismo?
Vittorio stava dalla parte dei deboli. Dovunque fossero.
Silvana, non confonda i tasselli di un mosaico già abbastanza complicato di per sè. E soprattutto non lo faccia cercando di strumentalizzare a beneficio della sua propaganda la memoria di un uomo certamente imperfetto, come tutti noi, ma straordinario per il suo equilibrio di giudizio e la sua coerenza.
Non si spinga, poi, oltre a quella delicata linea che separa la decenza e il pudore dalla terra di nessuno in cui tutto è permesso, facendo addirittura allusioni al corpo e all’autopsia di Vittorio. Fingeremo di non aver nemmeno letto. Non si avventuri su un terreno di cui non conosce nemmeno un millimetro e ricordi che in certi casi tacere è sempre la scelta migliore.
Vittorio ci ha insegnato che le parole contano, che le parole hanno un peso, che le parole sono sacre, che le parole possono essere un’arma che, come tale, va usata con intelligenza e onestà. Lo ricordi, Silvana, prima di fare nuovamente affermazioni la cui veridicità non potrebbe mai sostenere seriamente.
Vittorio ha sempre detto la verità e, forse, è morto per questo.
Ma nessuno deve e può permettersi di usare la sua vita, la sua memoria, la sua morte come strumento che aiuti a dare risalto alle proprie opinioni. Perciò, Silvana, le esprima, liberamente, ma lasci in pace Vittorio.
Che la pace, ora, speriamo davvero sia riuscito a trovarla.

I familiari e gli amici di Vittorio.

mercoledì 28 settembre 2011

Incontro di Firenze: risvolti e prospettive del riconoscimento dello stato palestinese

L'INIZIATIVA DI SETTEMBRE ALL’ONU PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO PALESTINESE:
RISVOLTI E PROSPETTIVE

Intervento di Marco Ramazzotti Stockel

23.09.2011

Le argomentazioni di un ebreo

Sono ebreo. Faccio parte della rete Ebrei contro l'Occupazione israeliana e della rete Ebrei europei per una pace giusta. Vi parlerò con argomentazioni da ebreo, ma dichiarando subito che rappresento solo me stesso.

Perché uno Stato di Israele? I sionisti sostengono che Israele é la linea di difesa ultima degli ebrei contro le persecuzioni. Capisco le ragioni dei sionisti: la paura delle persecuzioni sono una fetta del nostro DNA ebraico. Chi non vorrebbe fuggire l'incubo del dolore e delle persecuzioni razziali? Da ebreo, capisco le paure ma non accetto le soluzioni.

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Cosa non mi permette di condividere il sogno sionista? Vi riporto alcune parti di un discorso di un rabbino.

“E' precisamente perché siamo ebrei che stiamo manifestando con i Palestinesi. La nostra Torah ci obbliga ad essere giusti. Siamo obbligati a perseguire la giustizia. E cosa c'è di più ingiusto del programma del movimento sionista, in atto da un secolo, di invadere le terre di un altro popolo, di espellere la gente ed espropriarla dei suoi beni ?...... La Palestina era una paese appartenente ad un popolo. Un popolo che stava sviluppando una consapevolezza nazionale. Per noi non vi è alcun dubbio che se i profughi ebrei fossero arrivati in Palestina non con l'intenzione di dominare, ...... di spogliare i palestinesi dai loro diritti fondamentali, essi sarebbero stati i benvenuti dei palestinesi, godendo della stessa ospitalità che popoli musulmani avevano offerto agli ebrei durante il corso della storia.”

Il Rabbino ci esorta a ricordarci dei nostri valori, giustizia, misericordia, umanità, il nostro dovere di difendere chi ha sofferto e soffre.

I Palestinesi soffrono oggi quello che hanno sofferto per secoli gli ebrei.

La propaganda sionista afferma che gli arabi sono i nemici millennari degli ebrei. E' un'affermazione grave, smentita dalla storia: dopo la cacciata da Spagna e Portogallo, gli ebrei hanno avuto due opzioni: emigrare nel mondo cristiano o nel mondo arabo. La storia degli ebrei nell'Occidente cristiano é un susseguirsi di pogroms, stragi, roghi, persecuzioni, e termina con la Shoa. Quella degli ebrei nel mondo arabo – musulmano é una vita integrata nel mondo che li aveva ospitati, dalla metà del 1300 al 1947, cioé più di 600 anni, senza disgrazie e senza tragedie.

Dice ancora il rabbino:

“A tutta l’umanità viene detto dagli esponenti di questo stato che Israele rappresenta gli ebrei. Quest’affermazione è insensata. ….. Coloro che si sono resi colpevoli di gravissime crudeltà nei confronti dei palestinesi non possono rappresentare un popolo misericordioso. …....... Siamo chiamati dal nostro Creatore ad essere leali ai paesi del nostro esilio ed a comportarci in buona fede con tutti gli uomini. Il sionismo è una deviazione di proporzioni nefaste che trascina le sue vittime in conflitti infiniti con altri popoli ...........Occorre chiedere scusa al popolo palestinese, in modo chiaro e preciso. Il sionismo Vi ha fatto un torto. Il sionismo Vi ha rubato le Vostre case. Il sionismo Vi ha rubato la Vostra terra. Facendo queste dichiarazioni, noi dichiariamo davanti al mondo che siamo il popolo della Torah, che la nostra religione ci obbliga ad essere onesti e a comportarci con equità, ad essere giusti, fare del bene ed essere gentili. …................

Mi dicono gli ebrei religiosi (e anche gli ebrei non religiosi), che lo Stato d' Israele esiste perché Dio ha dato la terra di Palestina agli ebrei. Netanyahu ha detto, qualche giorno fa, che gli israeliani hanno diritti che rimontano a 4.000 anni. Infatti: vivevano accanto ai Filistim, ai Palestinesi. Anche i Palestinesi hanno diritti che rimontano a 4.000 anni. Lo dice la Bibbia. Il Dio dei greci ha dato la terra ai greci. Gli Dei romani hanno dato la terra ai romani. Il Dio degli Ebrei ha dato la terra agli ebrei. C'é da stupirsi? In una concezione della religione più adeguata ai nostri tempi, direi che nessun Dio può dare la terra ad un popolo e rifutarla ad un altro. Ma é inaccettabile che la neo-colonizzazione della Palestina sia giustificata dalle parole di Dio.

Io vorrei solo aggiungere che non accetterò mai che un palestinese debba soffrire per un ebreo o per me. I palestinesi sono i miei fratelli.

Non accetterò mai che Israele mi rappresenti perché io sono italiano, europeo. Da militare, oltre che da cittadino, ho giurato fedeltà alla bandiera italiana. La mia difesa, in quanto minoranza religiosa, non sarà mai un altro paese, Israele. Non accetto doppie lealtà. La mia difesa é la lotta, nel mio paese, per la democrazia e per la difesa della Costituzione Italiana. Viva la Repubblica e la Costituzione Italiana!

E' mio diritto e dovere di ebreo italiano di criticare la pulizia etnica e le politiche militaresche, inumane e contro la pace di Israele e di chi lo appoggia, perché minacciano la mia pace, la pace dei Palestinesi, la pace nel Mediterraneo e sono una minaccia per tutti gli ebrei. Israele minaccia con l'arma atomica il MO ed il mondo.

Non posso accettare che la Shoa', l'Olocausto sia usato per ottenere l' impunità e l' assoluzione per le politiche abiette di cui si é lordata la classe dirigente sionista. L'Olocausto ci impone di denunciare i crimini d'Israele e la persecuzione dei Palestinesi. La soluzione finale degli ebrei in Europa é iniziata proprio con discriminazioni e persecuzioni simili a quelle fatte ai Palestinesi. Il muro intorno ai Territori Occupati mi ricorda sinistramente il muro intorno al Ghetto di Varsavia.

Ma un numero sempre crescente di ebrei non può più accettare la propaganda israeliana. Non sono anti-semiti i critici delle politiche Israeliane, non può essere anti-semita il rabbino che citavo, non sono anti-semita io, che sono ebreo. Sono le politiche del sionismo e dello Stato di Israele che provocano l'esacerbarsi dell'anti-semitismo in tutto il mondo.

Politiche italiane

Ho lavorato per molti anni nel PCI e nella CGIL. Ho partecipato ai funerali di Berlinguer: lì, Arafat fu applaudito come Pertini (il nostro grande, indimenticabile Presidente Pertini). Una ovazione incredibile, impressionante, memorabile.
Ma come é cambiato il mio mondo! Chi avrebbe dovuto ereditare la cultura del PCI é oggi un partito pro-sionista.
Ma debbo anche ricordare la decisione di D'Alema di inviare il nostro Esercito in Libano per bloccare minacce di guerra legate a possibili sconfinamenti israeliani o siriani in Libano. D'Alema in questo ha seguito l' esempio di Pertini. Pertini mandò i nostri militari a difendere i palestinesi dopo i genocidi di Shabra e Shatila.
Se le missioni in Iraq e in Afganistan sono deprecabili perché politicamente, strategicamente, umanamente sbagliate, le nostre missioni a difesa dei Palestinesi sono per me motivo di orgoglio e di soddisfazione politica.
Oggi, ovviamente, la Lega e il PdL chiedono il ritiro dei nostri militari dal Libano. Loro, dove c'é bisogno di militari per difendere la pace, come in Libano, li tolgono. Dove far guerra, Iraq e Afganistan, é contro i nostri interessi strategici, i militari li aumentano. Con i governi Berlusconi abbiamo perso il nostro rapporto con il mondo arabo e con i Palestinesi per privilegiare quello con gli USA e Israele.
Berlusconi, dopo aver dichiarato la superiorità del mondo Occidentale cristiano su quello musulmano, dopo aver difeso BenAli di Tunisia, Mubarak di Egitto, Ghaddafi di Libia, e Ruby del Marocco, oggi non coglie nulla della Primavera Araba e non appoggia il riconoscimento dello Stato di Palestina.

La situazione nel mondo arabo dopo la “primavera”

Intanto, per darci la dimensione della lontananza dell' attuale governo Italiano dai problemi reali, ricordo che

- tutti i paesi che hanno partecipato direttamente o indirettamente della “Primavera Araba” avevano governi che mantenevano rapporti con Israele in contrapposizione ai sentimenti delle loro popolazioni. Questi governi sono stati cacciati o hanno cambiato o stanno cambiando politica nei riguardi di Israele. Stiamo assistendo alla disgregazione di un ordine regionale, plasmato dall’Occidente, che è durato a lungo, ma che è ora sull’orlo del collasso.

- Israele. Anni di lavoro diplomatico per far accettare Israele in MO crollati in pochi giorni. Israele ha perso i suoi principali due alleati nella regione, Egitto e Turchia e rischia di perderne altri e di importanti. Dopo le rivolte arabe, Israele avrebbe dovuto rilanciare il processo di pace, fermare almeno gli insediamenti. L’ha affermato anche Obama: un avvertimento che Israele non ha preso seriamente. Come ha detto Gates, il precedente Ministro della Difesa americano, Netanyahu non solo é un ingrato (verso gli USA), ma mette in pericolo il suo paese rifiutandosi di fare i conti con il crescente isolamento di Israele e con le sfide demografiche. Gli USA non sono pronti a premere realmente su Israele per indurla a concrete concessioni sulla questione palestinese, ma Israele deve riconoscere crescenti attriti con l'amministrazione Obama, cosa non da poco. La strategia di Netanyahu, nel medio-lungo periodo, si rivela autodistruttiva. Ne è convinto perfino l'ex capo del Mossad, Meir Dagan, che ha recentemente invitato il suo governo ad accettare l'iniziativa di pace saudita del 2002, a promuovere un'iniziativa verso i palestinesi e soprattutto a lasciar perdere ogni piano di attacco verso l'Iran. Dagan non è solo, ma riflette un consenso crescente negli apparati di sicurezza, sempre più preoccupati dalla divaricazione tra gli interessi elettorali della destra al governo e quelli nazionali (e riconosciuti al livello bipartisan) di più lungo periodo. Israele e la marcia del milione di persone. Israele é paese profondamente diviso Non ci può essere Stato sociale in Israele mentre la guerra continua. Per le scuole, gli ospedali, le case, i servizi sociali i fondi non possono che arrivare dal bilancio delle FFAA e degli insediamenti. Nelle colonie sono investite somme immense. Gli insediamenti rappresentano l'ostacolo politico ed economico principale alla pace e allo Stato sociale. Porre fine al conflitto é la precondizione per ogni tentativo di trasformare Israele in uno Stato sociale. Non ci può essere sviluppo con l'apartheid: la società Agrexco, israeliana, e la società Veolia, francese, sono tra le prime vittime del movimento BDS, Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni.

- gli USA, grazie ad Israele, si sono indeboliti e hanno perso credibilità nella regione. Obama, l'Obama del premio Nobel, rinuncia alla pace in MO per la sua rielezione, per le sue ambizioni. Gli USA hanno una politica profondamente contraddittoria. Difendono duramente Israele, ma quando Israele oltraggia i suoi vicini, Turchia ed Egitto, reagiscono debolmente. Difendono i movimenti della “primavera araba” in Tunisia, Egitto, Libia, Siria ma si oppongono al diritto di autodeterminazione dei Palestinesi. Hanno finito per accettare la politica degli insediamenti Israeliana nonostante che Obama avesse chiesto la sua sospensione. Non sono stati in grado di bloccare l'ANP nel presentare la richiesta di riconoscimento all'ONU, ma minacciano di tagliare aiuti vitali all'ANP ( e quindi di perdere ulteriore credibilità in MO). Hillary Clinton ha annunciato che gli Stati Uniti appoggiano la soluzione dei due Stati e perciò alle Nazioni Unite si opporranno a qualsiasi voto che riconosca uno Stato palestinese. Affermano che la richiesta di riconoscimento alle Nazioni Unite debba essere subordinata alla ripresa dei negoziati. E' palese che non c'é legame tra le due cose, soprattutto quando Israele non negozia più neppure con gli USA. Dopo il voto alle Nazioni Unite, i leader israeliani e americani ci garantiscono che un voto simile comunque non farà alcuna differenza. Ma se le cose stanno davvero così, perché lo contrastano con tale accanimento? Gli USA delegittimano l'ANP, l'ONU (e gli Stati che sono rappresentati nell'Assemblea) e il diritto internazionale. Gli USA possono intervenire sui governi, ma, dopo la “primavera araba”, non hanno nessuna possibilità di parlare ai popoli. Hanno sempre meno potere e sempre meno autorità morale. Crescono le differenze tra USA e Israele nell'analisi delle minacce strategiche anche perché gli sviluppi e le tendenze politiche e sociali stanno modificando la politica di entrambi i paesi. E la crisi economica globale, per quanto tempo permetterà agli USA di essere i soli finanziatori di uno Stato in guerra con il mondo?

- la Turchia ha rotto i rapporti diplomatici e militari con Israele, ha cacciato l'ambasciatore israeliano, chiederà alla Corte Penale Internazionale dell'Aja che indaghi sulla legalità del blocco navale imposto da Israele a Gaza, sosterrà la richiesta di riconoscimento di uno Stato Palestinese alle NU, ha dichiarato che farà scortare dalle sue navi da guerra la prossima “Flotta per la Pace” per Gaza, il primo ministro Erdogan ha parlato della sua nuova politica verso Israele con i governi di Egitto, Libia e Tunisia (effetto trascinamento?) e ha minacciato di “visitare” Gaza.l'Egitto ha aperto il valico di Rafah e ha espulso l'ambasciatore Israeliano. Il popolo e i partiti politici parlano apertamente di nuova politica verso la Palestina. È un cambiamento radicale della politica egiziana nei confronti di Israele. Il trattato di pace “non è un libro sacro” ha detto il primo ministro dell’Egitto, Essam Sharaf.

- Giordania: rapporti gelidi con Israele. Il re Abdullah II, amico degli Stati Uniti, ha dichiarato che il veto americano non solo “isolerebbe ancora di più Israele” e gli USA, ma che porterebbe Israele a distanziarsi ancora di più dalle questioni che interessano la regione. Il personale dell'Ambasciata Israeliana é stato evacuato. Anche questo trattato di pace é ormai fragile.

- i Tunisini intendono affrontare il problema Palestina e non a vantaggio di Israele.

- il Libano é terrorizzato da una possibile ennesima invasione israeliana contro gli Hezbollah, contro i Palestinesi e per impossessarsi dei giacimenti di petrolio e gas.

- la Siria é in via di implosione, in uno scontro tra libertà e dittatura ma anche tra sciiti e sunniti.

- l'Algeria ha sempre vietato manifestazioni a favore della Palestina per accattivarsi gli stati pro-Israele. Ed ora, dopo la “Primavera Araba”, con immensi problemi interni, quanto può durare questa politica di chiusura verso la Palestina?

- i Libici? Vedremo, ma tolto il tappo “Ghaddafi” sarà difficile che il problema palestinese non influisca sugli sviluppi politici di questo paese. Il leader del Consiglio di transizione libico Mohammad Jibril potrebbe visitare la Striscia, su invito formale del governo di Hamas

- E al Qaeda? Ne parlo come riferimento di tutti i gruppi terroristi. Premetto che non ci può essere collusione alcuna con il terrorismo, qualunque sia la sua matrice. Ma una delle principali giustificazioni avanzate da Al Qaeda per il terrorismo é la violenza e l'apartheid israeliano contro i palestinesi. Togliamo la violenza e l'apartheid e contribuiremo a rendere inutile e ingiustificabile il terrorismo.

Sono abitualmente definite 'terrorismo' le azioni militari palestinesi, non quelle israeliane, o quelle ebraiche che hanno portato a costruire lo stato di Israele. Il terrorismo é israeliano e bastano tre parole per spiegare questo concetto: violenza generalizzata contro gli arabi e oppositori politici, apartheid e furto di terra e acqua.

- A tutto questo si aggiunge le pratiche dei Paesi Occidentali: dimenticarsi sistematicamente del diritto internazionale, fare come le tre scimmiette quando si tratta di Israele, stracciarsi le vesti se si tratta di palestinesi.

- Intanto in Europa e nel mondo i popoli continuano la lotta con il BDS, (Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni) e con la Flotta per la libertà di Gaza, di cui ho l'onore di aver fatto parte.

Asia, Africa, America Latina, Russia, Francia, tutto il Mediterraneo e tutto il mondo arabo vota per il riconoscimento della Palestina. E l'Italia perde ogni rapporto profondo con il Mediterraneo ed il mondo arabo. L'Italia e gli Italiani debbono riprendere il loro posto nel Mediterraneo, di cui sono parte, soprattutto dopo la primavera araba, e quindi debbono riconoscere i diritti sacrosanti dei Palestinesi.



Il riconoscimento

Israele. Ben-Gurion vedeva uno Stato palestinese indipendente come un pericolo mortale per Israele. Tutti i successori di Ben-Gurion hanno ereditato lo stesso dogma.

Il riconoscimento di Israele all'ONU nel 1947 era stata condizionata dalla accettazione della risoluzione 181 sulla divisione delle terre e ciò significa che Israele doveva ritirarsi nelle sue aree, e dall' accettazione della risoluzione 194, cioé dopo un anno dalla spartizione i profughi Palestinesi dovevano tornare alle loro case e terre. Jimmy Carter ci ricorda che nel 1978 furono firmati gli Accordi di Camp David che prevedevano l'accettazione della risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, in cui é dichiarata l'inammissibilità di acquisizione di territori a seguito di operazioni militari, il ritiro di tutte le forze militari e civili Israeliane dai Territori Occupati e la concessione della piena autonomia ai palestinesi.

Netanyahu, in discorso fatto meno di due anni fa, esprimeva sostegno alla soluzione dei due Stati. Oggi, di Stato palestinese non se ne parla. L'estrema destra israeliana vuol proseguire i 'colloqui' fino a che si è mangiata tutta la Palestina con la politica degli insediamenti. Oggi, Netanyahu dice che è disposto ad accettare un innalzamento dello status dell’ANP all’Onu ma non il riconoscimento di uno Stato palestinese. Un ministro israeliano ha dichiarato che dal 1947 i Palestinesi hanno sempre rifiutato i negoziati. E io chiedo: ma chi ha ucciso Rabin e perché? Sono passati 20 anni di negoziato senza alcun risultato per i palestinesi. O piuttosto: 20 anni di negoziati e di pulizia etnica, la colonizzazione, le divisioni tra palestinesi, il muro della vergogna, l'apartheid e la mattanza di Gaza. Le condizioni minime israeliane per accettare uno Stato Palestinese sono 1.nessun diritto al ritorno, 2.Stato smilitarizzato, 3.annessione dei insediamenti, 4.nessuna sovranità su Gerusalemme e sulla valle del Giordano, 5.nessun accordo tra ANP e Hamas: sono condizioni inaccettabili per qualsiasi palestinese e per noi democratici. Ci sono sionisti israeliani disponibili a prendere in considerazione l'ipotesi di uno Stato Palestinese per mantenere un po' più a lungo la maggioranza ebraica in Israele e non anche su territori dove gli ebrei sono in minoranza; è il criterio per cui Sharon uscì da Gaza e cercò di far togliere la Striscia dall'elenco dei territori occupati. Oggi

Israele non vuole perdere i tristi risultati dei negoziati di pace e teme una futura lotta popolare comune di palestinesi e israeliani. Sappiamo che 69 % degli Israeliani accetterebbe la decisione dell'ONU di riconoscere uno Stato Palestinese.



Palestina. La richiesta di riconoscimento sanziona la fine del cd processo di pace, o dei negoziati di pace, iniziati nel 1991. Questo fallimento é dovuto alle relazioni di potere diseguali tra Palestina e Israele (appoggiato da USA, Europa e regimi arabi) e alla strategia dell'ANP di costruire la pace sulla base delle richieste israeliane, dimenticando le priorità nazionali, cioé diritti nazionali palestinesi e unità del popolo, forse per un eccesso di real politik e di timore reverenziale verso gli USA.
La Palestina, in base alla Convenzione di Montevideo sui Diritti e Doveri degli Stati, ha tutti gli elementi costitutivi di uno Stato: popolazione stabile, governo, territorio delimitato, capacità di intrattenere rapporti con altri Stati. Non é indipendente. E' riconosciuta formalmente da 122 Stati. L'efficacia legale del riconoscimento all'ONU non dipende dalla fine dell'occupazione Israeliana – che é ritenuta illegale dalla maggior parte degli Stati. E' il diritto del suo governo a governare questo paese – diritto riconosciuto da tutti, anche da Israele – che compensa la mancanza di effettiva autorità sul territorio. Quasi tutti gli stati riconoscono alla Palestina il suo diritto all'auto-determinazione.
Ma il riconoscimento ha una sua principale giustificazione politica nei cambiamenti post “primavera araba”: nell'impossibilità di tornare politicamente indietro. La strategia del riconoscimento richiede all'ANP una nuova politica: distinzione tra Governo e partiti, partecipazione popolare e lotte non violente.
Inutile nascondercelo, anche i palestinesi sul tema del riconoscimento sono divisi.
Sul riconoscimento la popolazione palestinese (inclusa quella della diaspora) non é stata consultata. Tuttavia, in Cisgiordania e a Gaza, l’85% degli intervistati sembra essere a favore dell’iniziativa all’ONU.
I cisgiordani vorrebbero uno Stato, ma Abbas, OLP e ANP devono precisare però che tipo di Stato di Palestina vogliono costruire, se un’entità davvero sovrana o uno staterello senza alcun potere reale che finirebbe per legittimare l’apartheid.
Chi si oppone alla strategia del riconoscimento sono i critici dell'ANP e il Movimento Giovanile Palestinese , che ha perso di legittimità e di credibilità, accusata da alcuni gruppi di collaborazionismo con Israele.
Si oppone una parte dei palestinesi della diaspora. A trattare con Israele e l'ONU è la Autorità Palestinese, che ha autorità teoricamente nei territori occupati, in pratica solo in Cisgiordania: non a Gerusalemme (per volontà israeliana) ne' a Gaza; non rappresenta i palestinesi dei campi profughi, e neppure i palestinesi della diaspora, rappresentati in teoria dall'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che è anni che non si riunisce e non vota rappresentanti. Il rischio immediato è che Abbas voti contro il ritorno dei profughi, che quindi potrebbero 'tornare' solo da dove non sono stati cacciati nel '48, vale a dire la Cisgiordania, dove già non c'è lavoro per i locali, e che quindi non può assorbirli.
Abbas ha dichiarato che vuole delegittimare l'occupazione durata 63 anni, non Israele. Vuole chiedere alla comunità internazionale di riconoscere lo Stato che è stato dichiarato nel 1988, la Palestina nei confini del 1967, con capitale Gerusalemme Est. Vuole l'unità con Hamas e Gaza. Vuole la fine degli insediamenti. Vuole ristabilire un processo di pace significativo e creare una discussione in seno alle Nazioni Unite sul conflitto dopo 20 anni di negoziati bilaterali che si sono rivelate fallimentari. Vuole spingere la comunità internazionale a guardare alle continue violazioni della legge internazionale perpetrate da Israele.



La Palestina all'ONU

La richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, politicamente, che significa?
Già nel 2003 il piano di pace preparato dal “Quartetto “ (USA, Russia, Europa e ONU) e avallato dal Consiglio di Sicurezza chiedeva il riconoscimento di uno Stato Palestinese prima della conclusione dei negoziati con Israele sullo status finale.
Oggi e' probabilmente l' unica strategia che ormai resta possibile ai Palestinesi, dato il rifiuto Israeliano di negoziare con i Palestinesi su insediamenti e frontiere. La situazione attuale non é più sostenibile, e il permanere dell’attuale leadership palestinese non dovrebbe essere data per scontata, perché non può più sostenere l’attuale status quo. La comunità internazionale deve prendere sul serio la frustrazione in seno al popolo palestinese. Il carattere di Stato che la Palestina assumerebbe, darebbe al governo palestinese più consistenza e autorità nel possibile negoziato in quanto Israele e Palestina avrebbero lo stesso status. Questo maggior peso della Palestina e l’appoggio alla Palestina da parte della comunità internazionale impedirebbe l’arbitrarietà con la quale Israele ha condotto i rapporti con i palestinesi, pur senza nulla togliere alle ragioni di Israele e ai suoi obiettivi negoziali. Non è vero che la mossa palestinese è una mossa unilaterale che mette a rischio il processo di pace. Il processo di pace è stato definitivamente ucciso dallo sciovinismo di Netanyahu e dalla debolezza e dall'ambizione di Obama.
Israele vuole evitare che la questione palestinese finisca in contesti multilaterali, come l’ONU, dove i principi del diritto internazionale giocano a suo sfavore e c’è una netta maggioranza a sostegno dei palestinesi. Inoltre, un riconoscimento internazionale dei confini del 1967 come base per la creazione di due stati, sarebbe fonte di forte imbarazzo per Israele, visto che più di 500.000 israeliani, i coloni degli insediamenti, vivono dal lato palestinese di quei confini.

Per essere adottata dall’Assemblea generale, la risoluzione palestinese deve essere approvata da almeno due terzi degli stati membri dell’Onu - ossia 129 paesi.
Gli unici paesi ad aver pubblicamente espresso la loro contrarietà all’iniziativa palestinese sono il Canada, l’Italia, la Germania, l’Olanda, gli Stati Uniti e Israele. L’UE ha da sempre seguito una politica che avrebbe dovuta portarla a riconoscere lo stato palestinese. E l’Unione Europea, andando al voto in ordine sparso, darà conferma del suo declino.
Attualmente i palestinesi possono contare formalmente sul sostegno di almeno 122 stati. L'Autorità Nazionale Palestinese ritiene comunque che riuscirà a ottenere il sostegno di almeno 150 stati, raggiungendo così la maggioranza richiesta per il passaggio della risoluzione all’Assemblea generale. L'ANP – OLP, oggi “osservatore”, potrebbe ottenere all'ONU uno status di “Stato osservatore non membro”, alla pari con il Vaticano. Senza diritto di voto, ma Stato.
Sarebbe una risoluzione priva di vincoli legali, ma pur sempre politicamente significativa in quanto sancirebbe un ampio consenso internazionale in favore del diritto dei palestinesi all' autodeterminazione. Gli stessi palestinesi riconoscono che questa sarebbe una vittoria perlopiù simbolica, ma ci sarà una differenza: l’occupazione continuerà, ma sarà l’occupazione di uno Stato su un altro Stato, che accrescerebbe l’isolamento internazionale d’Israele e potrebbe anche aprire la strada a possibili richieste di sanzioni internazionali nei confronti di Tel Aviv. In particolare, i palestinesi acquisirebbero il diritto di far ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia per accusare israeliani di delitti contro i diritti umani e Israele di violazione della sua sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica e della questione degli insediamenti. Il riconoscimento non comporterebbe l'impossibilità della soluzione dello Stato bi-nazionale o dello Stato unico.

Che accadrà, nel breve periodo, se la richiesta della Palestina venisse accolta? La politica “due popoli e due Stati” ne uscirà rafforzata. Che farà l'UE? Non si sa. Gli USA potrebbero non dare più un soldo di aiuti all' ANP. Israele potrebbe bloccare ogni trasferimento di denaro dal mondo verso l'ANP, potrebbe chiudere le frontiere della Palestina verso Israele ed il mondo. Aspettiamoci violenze di ogni genere dai militari e soprattutto dai coloni.

Che cosa accadrà se la richiesta della Palestina non venisse accolta?

Maggior frustrazione palestinese, ulteriore perdita di potere del Presidente dell'ANP, Abbas, una possibile terza intifada. L'esercito già ha difficoltà a controllare i coloni, adesso li sta riarmando. Possibilità di gravi violenze dei coloni. Ci sono pericoli di una guerra civile. Maggiore instabilità regionale e nel Mediterraneo, possibili incrementi di terrorismi. Perdita di credibilità dell'ONU a livello mondiale. Se l'ANP non fosse più in grado di gestire la Cisgiordania (per problemi interni o a causa di Israele) sarebbe Israele a dover gestire la Cisgiordania (e Gaza). Per Israele sarebbe la catastrofe.
A questo punto, il problema é che faremo comunque noi italiani democratici? Ritengo che occorrerà una nostra nuova politica di aiuti economici e politici alla Palestina, insieme con organizzazioni democratiche di tutto il mondo e una politica di severa, dura condanna politica e morale d' Israele, del sionismo, e di chi li appoggia, in primis il governo Berlusconi, usando tutti, ma TUTTI gli strumenti legali a nostra disposizione. Ricordate quello che facemmo per il Vietnam e per il SudAfrica dell'apartheid.
L’Italia e l’Unione europea farebbero bene a votare per il riconoscimento della Palestina, impegnandosi contestualmente a svolgere nel negoziato il ruolo che hanno sempre lasciato ai soli Stati Uniti.
Adesso tocca ai giovani palestinesi organizzare una nuova resistenza di massa nei Territori Occupati, senza essere risucchiati in quelle spirali di violenza che alienerebbero loro le simpatie del mondo.
Adesso tocca a noi, italiani ed europei, cristiani, musulmani, ebrei, nel ricordo di Vittorio Arrigoni, far sentire la nostra voce per la giustizia, per la pace, per “restare umani” e per la solidarietà con la Palestina.

W la PALESTINA!
Grazie, shalom

MARCIA DELLA PACE PALESTINESE

Palestina, l’altra marcia per la pace

Ispirata alla Perugia-Assisi, una manifestazione parallela alla marcia per la pace che si tiene ogni anno in Umbria ha invaso le colline a sud di Hebron. Il corteo è stato organizzato dal Comitato Popolare di Tuwani, un piccolo villaggio nei Territori palestinesi dove dal 2004 operano due gruppi di volontariato internazionale: Operazione Colomba e i Cristhian Paecemaker Team. La zona è tristemente nota per le violenze perpetuate dai coloni israeliani residenti negli insediamenti vicino al villaggio arabo. Talmente ripetuti che lo stesso governo di Gerusalemme ha dotato di scorta militare i bambini palestinesi durante il tragitto per andare a scuola
di Cosimo Caridi

domenica 25 settembre 2011

Perchè il Medio Oriente non sarà più lo stesso

I Palestinesi non otterranno il riconoscimento dello Stato, ma consegneranno alla storia il “processo di pace”.

Robert Fisk - The Independent.

I Palestinesi non otterranno il riconoscimento dello Stato questa settimana.

Ma – se otterranno abbastanza voti all'Assemblea Generale e se Mahmoud Abbas non soccomberà al suo tipico strisciare davanti al potere USA-Israele – dimostreranno che sono degni del riconoscimento dello Stato.

E stabiliranno per gli Arabi ciò che Israele ama denominare – mentre allarga le sue colonie sulla terra rubata - “dimostrazioni sul campo”: gli Stati Uniti e Israele non potranno mai più schioccare le dita e aspettarsi che gli Arabi battano i tacchi. Gli USA hanno perso il loro appoggio in Medio Oriente. E' finita: il “processo di pace”, la “road map”, gli “accordi di Oslo”, l'intera scemenza è storia.

Personalmente penso che la “Palestina” sia uno Stato di fantasia, impossibile da creare adesso che gli Israeliani hanno rubato così tanta terra araba per i loro progetti coloniali.

Andate a dare un'occhiata alla Cisgiordania, se non mi credete. Le imponenti colonie ebraiche di Israele, le sue perniciose restrizioni alla costruzione di case palestinesi di più di un piano, la sua chiusura perfino degli impianti di depurazione come punizione, i “cordoni sanitari” vicino alla frontiera giordana, le strade riservate ai soli coloni israeliani hanno trasformato la mappa della Cisgiordania nel parabrezza frantumato di un'auto schiantata. A volte sospetto che l'unica cosa che impedisce l'esistenza della “Grande Israele” sia l'ostinazione di quei fastidiosi Palestinesi.

Ma adesso stiamo parlando di questioni molto più importati. Questo voto alle Nazioni Unite - all'Assemblea Generale o al Consiglio di Sicurezza, in un certo senso poco importa – dividerà l'Occidente – gli Americani dagli Europei e una gran quantità di altre nazioni – e dividerà gli Arabi dagli Americani. Aprirà squarci nelle divisioni all’interno dell'Unione Europea; tra Europa orientale e occidentale, tra Germania e Francia (la prima sostenitrice di Israele per tutti i soliti motivi storici, la seconda disgustata dalle sofferenze dei Palestinesi) e, naturalmente, tra Israele e l'Unione Europea.

Una rabbia profonda è stata creata nel mondo da decenni di potere israeliano, dalla brutalità militare e dalla colonizzazione; milioni di Europei, sebbene consapevoli della propria responsabilità per l'Olocausto ebraico, e ben consci della violenza delle nazioni musulmane, non hanno più paura di criticare per timore di essere accusati di antisemitismo. C'è razzismo in Occidente – come sempre ci sarà, temo – verso Musulmani e Africani, così come per gli Ebrei. Ma cosa sono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, nei quali nessun Arabo musulmano può vivere, se non un'espressione di razzismo?

Anche Israele condivide questa tragedia, naturalmente. Il suo pazzo governo ha portato il suo popolo sulla via della perdizione, adeguatamente riassunta dalla sua cieca paura della democrazia in Tunisia ed Egitto – tipico che il suo principale alleato in questa assurdità debba essere la terribile Arabia Saudita – , dal suo crudele rifiuto di scusarsi per l'uccisione di nove turchi della flotilla diretta a Gaza l'anno scorso e dall'uguale rifiuto a chiedere scusa all'Egitto per l'uccisione di cinque suoi poliziotti durante un'incursione palestinese in Israele.

Quindi addio ai suoi unici alleati della regione, Turchia ed Egitto, nello spazio di appena 12 mesi. Il Gabinetto israeliano è composto da persone intelligenti, potenzialmente equilibrate come Ehud Barak, ma anche da folli come il Ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, l'Ahmadinejad delle politiche israeliane. Sarcasmo a parte, gli Israeliani si meritano di meglio.

Può essere che lo Stato di Israele sia stato creato ingiustamente – la Diaspora palestinese ne è la dimostrazione – ma è stato creato legalmente. E i suoi fondatori sono stati perfettamente in grado di fare un accordo con il re Abdullah di Giordania dopo la guerra del 1948 - '49 per dividere la Palestina tra Ebrei e Arabi. Ma era stata l'ONU, riunitasi il 29 novembre del 1947 per decidere il destino della Palestina, a dare legittimità ad Israele, con gli Americani a votare per primi a favore della sua creazione. Ora – per somma ironia della sorte – è Israele che spera di evitare che l'ONU dia agli Arabi palestinesi la loro legittimazione – e è l'America che sarà la prima a porre il veto a tale legittimazione.

Israele ha il diritto di esistere? La domanda è un tranello trito e ritrito, regolarmente e stupidamente tirato fuori dai cosiddetti sostenitori di Israele; tirato fuori regolarmente anche con me, anche se in sempre meno occasioni. Gli Stati – non gli esseri umani – danno agli altri Stati il diritto di esistere. Perchè gli individui lo possano fare, devono vedere una mappa. Perchè (la questione è) dove si trova esattamente, geograficamente, Israele? E' l'unica nazione al mondo che non sa e non dichiarerà dove sia la sua frontiera orientale. E' forse la vecchia linea dell'armistizio delle Nazioni Unite, oppure il confine del 1967 così amato da Abbas e così odiato da Netanyahu, o ancora la Cisgiordania palestinese senza gli insediamenti, o l'intera Cisgiordania?

Fatemi vedere una mappa della Gran Bretagna che comprenda Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord, ed essa ha il diritto di esistere. Ma mostratemi la mappa della Gran Bretagna che pretende di comprendere le 26 contee irlandesi indipendenti in Gran Bretagna e presenta Dublino come città britannica anziché irlandese, e io dirò che no, questa nazione non ha il diritto di esistere entro queste frontiere allargate. E’ il motivo per cui, nel caso di Israele, praticamente tutte le ambasciate occidentali, incluse quella statunitense e quella britannica, sono a Tel Aviv, non a Gerusalemme.

Nel nuovo Medio Oriente, tra la Primavera araba e la rivolta dei popoli liberi per dignità e libertà, questo voto delle Nazioni Unite – passato all'Assemblea Generale, e su cui l'America porrà il veto se arriverà al Consiglio di Sicurezza – costituisce una specie di cerniera; non solo un girare pagina, ma il fallimento dell'impero. Talmente tanto è bloccata su Israele la politica estera statunitense, talmente tanto paurosi verso Israele sono diventati praticamente tutti i membri del Congresso – al punto di amare più Israele che l'America – che l'America si presenterà questa settimana non come la nazione che ci ha dato Woodrow Wilson e i suoi 14 principi di autodeterminazione, non come la nazione che ha combattuto il nazismo, il fascismo e il militarismo nipponico, non come il faro di libertà che, ci dicono, i suoi Padri Fondatori hanno rappresentato – ma come uno Stato burbero, egoista, spaventato, il cui Presidente, dopo aver promesso un nuovo amore per il mondo musulmano, è costretto a sostenere una forza occupante contro un popolo che chiede solo il riconoscimento del proprio Stato.

Dovremmo forse dire “povero vecchio Obama”, come ho fatto in passato? Non credo proprio. Grande nella retorica, vanesio, distribuendo falso amore a Istanbul e al Cairo a pochi mesi dalla sua elezione, proverà questa settimana che la sua rielezione è più importante del futuro del Medio Oriente, che la sua personale ambizione di restare al potere deve occupare il primo posto sulle sofferenze di un popolo sotto occupazione. In questo unico contesto, è strano che un uomo di tali supposti elevati principi debba dimostrarsi così codardo. Nel nuovo Medio Oriente, nel quale gli Arabi stanno pretendendo esattamente gli stessi diritti e libertà dei quali Israele e l'America dicono di essere i campioni, questa è una tragedia assoluta.

I fallimenti dell'America nell'opporsi a Israele e nell'insistere su una pace giusta in “Palestina”, spalleggiata dall'eroe della guerra in Iraq Tony Blair, hanno la loro responsabilità. Ce l’hanno anche gli Arabi, per aver permesso ai loro dittatori di durare così a lungo e quindi di intasare la sabbia con false frontiere, vecchi dogmi e petrolio (e non crediamo che una nuova “Palestina” sarebbe un paradiso per il suo popolo). E ce l’ha anche Israele che dovrebbe essere ben disposta verso la richiesta di riconoscimento dello Stato da parte dei Palestinesi all'ONU con tutti i suoi impegni per la sicurezza e la pace e il riconoscimento di altri membri delle Nazioni Unite. Invece no. La partita è persa. Il potere politico statunitense in Medio Oriente sarà neutralizzato questa settimana nell'interesse di Israele. Un vero sacrificio in nome della libertà...


Fonte: www.independent.co.uk - martedì 20 settembre 2011

Traduzione a cura di Elena Bellini.

Il gruppo” Rifiutarsi morire in silenzio” contro la violenza dei coloni di Ben Lorber

di Ben Lorber


Martedì pomeriggio, 20 settembre, coloni israeliani dell’insediamento di Yitzhar sono arrivati nel villaggio palestinese di Affira Al-Khaeliya, fuori Nablus, e dopo un breve manifestazione hanno preso d’assalto il villaggio, aggredito i residenti e danneggiato le proprietà.

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Il lancio della nuova campagna “Rifiutarsi di morire in silenzio”, domenica 18 settembre.



I soldati israeliani sono giunti sul posto solo per proteggere coloni armati da palestinesi disarmati, che tentavano di difendere il proprio villaggio con le pietre. Negli scontri tra soldati e palestinesi che ne sono seguiti, un ragazzino di 13 anni è stato colpito alla schiena dalla scatola metallica di un gas lacrimogeno lanciato da breve distanza, mentre almeno tre persone sono state ferite da proiettili di gomma.

Thom, un attivista inglese, è arrivato intorno alle 15 con “Rifiutarsi di morire in silenzio”, gruppo di solidarietà creato domenica scorsa dai comitati di resistenza popolare della Cisgiordania. “I soldati erano fermi tra i coloni e i residenti del villaggio, a proteggere gli israeliani che tornavano nel proprio insediamento. Quando abbiamo provato a chiedere ai soldati cosa stessero facendo, ci hanno tirato contro bombe sonore e gas lacrimogeni e più tardi proiettili di gomma. Uno dei gas lacrimogeni ha centrato un ragazzo di 13 anni, colpendolo alla schiena e facendolo cadere a terra. Al momento sembrava paralizzato, non poteva muoversi ed è stato portato via da un’ambulanza. Quando la proprietaria di una casa vicina ha tentato di raggiungere camminando la propria abitazione, i soldati le hanno tirato un gas lacrimogeno tra i piedi. Ha 80 anni. È stata portata via in ambulanza anche lei, ora sta bene. Una volta che i coloni sono tornati nell’insediamento, i soldati hanno cominciato ad arretrare e a lanciare meno lacrimogeni e gli scontri sono finiti”.

“Rifiutarsi di morire in silenzio” è una campagna lanciata domenica nel villaggio di Nabi Saleh, vicino Ramallah. Il gruppo usa un sistema coordinato di automobili e videocamere per monitorare, rispondere e intervenire durante gli attacchi dei coloni che questo settembre si stanno verificando in tutta la Cisgiordania. Parlando dell’utilità di questo gruppo per settembre, Mohammed Khatib, residente a Bil’in e membro del Comitato di Coordinamento della Lotta Popolare, ha sottolineato che “se qualcuno avesse bisogno della prova che i palestinesi non possono contare sulle autorità israeliane per fermare la violenza dei coloni, gli eventi recenti mostrano senza alcun dubbio perché dobbiamo organizzarci da soli. Questo è esattamente quello che i volontari faranno in modo pacifico e civile”.

“L’idea – spiega Thom – è quella di ricevere una telefonata dai villaggi sotto attacco così da raggiungerli velocemente in auto. Ci sono due palestinesi nella macchina e due internazionali, due macchine fotografiche e una videocamera. Andiamo direttamente al villaggio e documentiamo la violenza dei coloni e, se possibile, se non ci sono soldati e sembra che la violenza aumenti, allora gli internazionali intervengono per bloccare le aggressioni”.

“Rifiutarsi di morire in silenzio” rappresenta il tentativo comune di unificare gli sforzi dei comitati popolari dei villaggi della Cisgiordania, nell’affrontare la crescente violenza dei coloni in vista della richiesta di membership della Palestina alle Nazioni Unite. Il miglior modo di reagire alle aggressioni dei coloni, che colpiscono senza preavviso e scompaiono subito dopo che il danno è fatto, è rispondere velocemente e proteggere i palestinesi. Thom spiega che “l’idea è arrivata dalla mancanza di mezzi di informazione nei luoghi dove i coloni compiono le violenze. Ci sono molti report sulle aggressioni dei coloni, si possono trovare numerosi media che coprono l’evento dopo che si è verificato, ma sono pochi quelli che provano a coprire gli eventi mentre si verificano. Così il gruppo vuole tentare di coprire questo gap”.

Gli internazionali giocano un ruolo cruciale nell’organizzazione, non solo come meri osservatori del conflitto, ma come attori solidali con la popolazione palestinese. “Utilizziamo la solidarietà internazionale qui in Palestina – dice Thom – come deterrente alla violenza e per fermare i coloni che entrano nei villaggi”.

I coloni sono entrati ad Affira martedì in risposta all’iniziativa palestinese alle Nazioni Unite, come parte di una campagna volta a “mostrare ai palestinesi di chi è la terra”. Hanno tentato di farlo martedì anche in un altro villaggio, ad Awarta dove alle 17.30 i coloni sono stati visti, come racconta Thom, “nei campi di Awarta suonare, sventolare bandiere israeliane, cantare e festeggiare”. Violenze e intimidazioni anche la scorsa settimana nel villaggio di Burin, vicino Affira, quando i coloni hanno dato fuoco a 220 alberi di ulivo appartenenti a contadini palestinesi.

VIDEO: New Campaign launched against "settlers'" attacks, "LAUNCH REFUSE TO DIE IN SILENCE"

http://www.youtube.com/watch?v=iM61m0mw6ds

Palestinesi in festa in Cisgiordania mentre Abbas tiene il discorso all'ONU

ABBAS ALL’ONU: ORA IL PASSO IN PIÙ

Il plauso di diversi intellettuali e attivisti palestinesi. Che ora chiedono risultati: "Rendere concrete quelle parole e ricreare unità all’interno della lotta popolare”. Più scettiche le organizzazioni progressiste israeliane: Abu Mazen ha dato il minimo, Netanyahu ha mentito.

EMMA MANCINI

Beit Sahour (Cisgiordania), 24 settembre 2011, Nena News
Le piazze palestinesi sono in festa, caroselli per le strade, bandiere che sventolano e il nome di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) gridato nelle vie. Durante il discorso del presidente palestinese, il popolo è rimasto in attesa. Ora, c’è da fare il passo in più: rendere concrete quelle parole che hanno infiammato le piazze.

“Un buon discorso, di alto livello morale, etico e sociale – spiega a Nena News Nassar Ibrahim, scrittore e direttore dell’Alternative Information Center di Beit Sahour – Rimango scettico rispetto ai risultati, ma devo ammettere che Abbas ha saputo parlare con forza all’Assemblea Generale: li ha messi di fronte ai loro doveri, elencando le selvagge violazioni dei diritti umani e nazionali dei palestinesi. Ora però c’è una domanda da porsi: cosa dobbiamo fare per rendere quel discorso un fatto concreto? Parlo di ritrovare l’unità del popolo palestinese e della sua lotta. Dobbiamo fare quel discorso nostro”.

Un processo lungo, che vede coinvolta anche la comunità internazionale, che ieri ha interrotto con applausi e standing ovation le parole di Abbas. “La lotta deve continuare – continua Ibrahim – Serve una lotta che sia diplomatica e politica: come farci sostenere dall’arena internazionale? Come promuovere la solidarietà internazionale al fine di far pressioni concrete su Israele? Ieri sera Netanyahu ha parlato di negoziati. Sono certo che in queste settimane Israele e i suoi più stretti alleati faranno pressioni sull’AP perché abbandoni la richiesta e torni al tavolo di un processo di pace fallimentare. La Palestina deve essere abbastanza forte da resistere a questi canti di sirena. E lo può fare solo ritrovando intorno a quel discorso la propria unità, l’unità della lotta popolare di resistenza”.

L’importanza del palcoscenico internazionale è il cuore del problema. Lo ricorda Ronnie Barkan, attivista israeliano di Anarchists Against the Wall: “L’unica cosa rilevante nel discorso di Abbas è l’aver portato di nuovo e con forza i diritti negati del popolo palestinese in faccia alle Nazioni Unite – spiega a Nena News – Per il resto, non ho trovato nulla di nuovo nelle parole di Abbas e Netanyahu. Il premier israeliano ha detto più bugie possibile nel tempo che aveva a disposizione, ha trasformato la realtà. Mahmoud Abbas ha dato il minimo, non sarei troppo felice se fossi palestinese. Ma almeno ha avuto il merito di mettere sul tavolo una questione scomoda: il riconoscimento dello Stato di Palestina, e quindi i diritti negati di un intero popolo. Insomma, se ne doveva parlare, ora stiamo a vedere cosa succede”.

Ancora meno convinto Roten Mor, attivista israeliano ideatore del Jerusalem Reality Tour: “La verità? Non ho guardato nessuno dei due discorsi, né Abbas né Netanyahu. Perché non mi interessavano, non credo servano a nulla”.



Difficile trovare ieri sera qualche israeliano voglioso di parlare: il portavoce di Breaking The Silence non può rilasciare interviste perché sta celebrando lo Shabbat, e non è il solo. Ieri notte il palcoscenico era occupato dai palestinesi: da Ramallah a Betlemme, il clima che si respirava era di festa. Una festa rotta dall’uccisione di un 33enne da parte dell’esercito israeliano vicino Nablus, dagli arresti a Gerusalemme Est e dai feriti da proiettili di gomma al checkpoint di Qalandiya, dai raid all’interno dei campi profughi di Aida e ‘Azza a Betlemme. Da uno dei campi profughi del distretto, Deisha, parla brevemente il direttore del Phoenix Center, Naji Owdah: “Il tema dei rifugiati è stato toccato velocemente – dice a Nena News – Sì, è vero, Abbas ha ricordato la Nakba e il trasferimento ancora attuale dei palestinesi dalle proprie terre”. Ma nella richiesta formale il presidente dell’AP non ha menzionato il diritto al ritorno e il timore di Owdah è chiaro: “Un eventuale riconoscimento sarebbe un suicidio politico: i confini del 1967 cancellerebbero il diritto al ritorno”.

Eppure c’è chi resta ottimista. “Mahmoud Abbas ha fatto un discorso brillante, ha dimostrato chiaramente e senza ambiguità che la leadership palestinese è ‘irragionevolmente ragionevole’”. Questa l’opinione di Mazin Qumsiyeh, professore alla Bethlehem University e attivista politico, secondo il quale il merito di Abbas è stato quello di aver riportato la questione dove i problemi sono iniziati. “Ha detto che nessuna persona né nessun Paese con un minimo di coscienza può rigettare la richiesta della Palestina – spiega Mazin Qumsiyeh a Nena News – Credo che abbia compiuto il passo giusto. Ora dobbiamo compierne altri. Primo, la leadership palestinese deve implementare subito l’accordo di riconciliazione tra le diverse fazioni politiche e creare un Consiglio Nazionale realmente rappresentativo. Secondo, deve promuovere senza ambiguità la resistenza nonviolenta popolare attraverso una strategia che metta fine alle azioni inutili, che fanno il solletico all’occupazione e arricchiscono i pochi che le organizzano. Terzo, deve ripulirsi: Abbas ha parlato di trasparenza, democrazia e libertà. L’Autorità Palestinese muova il primo passo per ripulire se stessa”.

E infine, il premier Netanyahu: “Ho ascoltato anche lui – conclude Qumsiyeh – Sono rimasto stupito dal numero di frottole che è riuscito ad infilare in un solo discorso”. Nena News

sabato 24 settembre 2011

Per firmare l'appello

Più servizi meno armi. Appello

COME CITTADINO HO DIRITTO ALL’ISTRUZIONE, AL LAVORO, ALLA PENSIONE ED ALLA SANITA'...

...POSSO FARE A MENO DI 131 CACCIABOMBARDIERI F-35 JSF!

Mentre con le due manovre economiche estive, per pareggiare i conti dello Stato, si chiedono forti sacrifici agli italiani con tagli agli enti locali, alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, il Governo mantiene l'intenzione di procedere all’acquisto di 131 cacciabombardieri d'attacco F35 "Joint Strike Fighter" al costo di circa 20 miliardi di euro (15 per il solo acquisto e altri 5 in parte già spesi per lo sviluppo e le strutture di assemblaggio).

Le manovre approvate porteranno gravi conseguenze sui cittadini: si stimano proprio in 20 miliardi i tagli agli Enti Locali e alle Regioni (che si tradurranno in minori servizi sociali o in aumento delle tariffe), ed altri 20 miliardi saranno i tagli alle prestazioni sociali previsti dalla legge del! ega in materia fiscale ed assistenziale, senza contare il blocco dei contratti e degli aumenti ai dipendenti pubblici e l'aumento dell'IVA che colpirà indiscriminatemante tutti i consumatori.

Il tutto per partecipare ad un progetto di aereo militare "faraonico" (il più costosto della storia) di cui non si conoscono ancora i costi complessivi (cresciuti al momento almeno del 50% rispetto alle previsioni iniziali) e che ha già registrato forti critiche in altri paesi partner (Norvegia, Paesi Bassi) e addirittura ipotesi di cancellazione di acquisti da parte della Gran Bretagna. Senza dimenticare che, contemporaneamente, il nostro paese partecipa anche allo sviluppo e ai costosi acquisti dell'aereo europeo EuroFighter Typhoon.

Con i 15 miliardi che si potrebbero risparmiare cancellando l'acquisizione degli F-35 JSF si potrebbero fare molte cose: ad esem! pio costruire duemila nuovi asili nido pubblici, mettere in sicurezza le oltre diecimila scuole pubbliche che non rispettano la legge 626 e le normative antincendio, garantire un'indennità di disoccupazione di 700 euro per sei mesi ai lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro.

Siamo convinti che in un momento di crisi economica per prima cosa siano da salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini, investendo i fondi pubblici per creare presupposti ad una crescita reale del Paese senza gettare i soldi in un inutile e costoso aereo da guerra.


PER QUESTO CHIEDIAMO AL GOVERNO DI NON PROCEDERE ALL’ACQUISTO DEI 131 CACCIABOMBARDIERI F35 E DESTINARE I FONDI RISPARMIATI ALLA GARANZIA DEI DIRITTI DEI PIU’ DEBOLI ED ALLO SVILUPPO DEL PAESE investendo sulla società, l'ambiente, il lavoro e la solidarietà internazionale.

venerdì 23 settembre 2011

Per la Palestina e i palestinesi ieri, oggi e domani

di Fabio Amato da “Liberazione” del 23/09/2011

Sono ore di passione all'Onu. In queste ore si consumerà un passaggio storico. Storico ed importante per i palestinesi, prima di tutto, che chiedono di essere riconosciuti come 194esimo stato membro delle nazioni unite. Sanno di avere con loro gran parte dei popoli della terra, persino dei governi, tranne di quelli che però fanno e disfano nel mondo a loro piacimento, come gli Stati Uniti d'America. La musica per loro, con Obama, non è cambiata.



Tante parole al vento, bei discorsi, tutti rimangiati di fronte al ricatto delle potenti lobbies israeliane negli States e insignificanti di fronte alla real politik della potenza imperiale ed imperialista. Che fa la guerra, come Bush, in Libia, ma manda avanti gli alleati. Che protegge Israele, come Bush, ma con eleganti discorsi che alimentano illusioni.



Gli Usa, con la pilatesca e vergognosa posizione espressa da Obama, mentono sapendo di mentire. Negare, come ha fatto Obama, la responsabilità internazionale e quella dell'Onu nella tragedia palestinese è ipocrisia infinita.



E' stata l'Onu, con una sua risoluzione, nel 1947, ad avvallare la nascita di Israele. Sul 48% della Palestina storica. Ora, dopo il '67, quel 48 si è trasformato in 78%. Con gli accordi di Oslo, i palestinesi si erano detti pronti ad accettare la nascita del loro stato su solo il 22 % di quella che era la Palestina storica e da cui erano stati cacciati con la forza. Ma ad Israele questo non è bastato. Ha continuato a colonizzare, ad annettere terre con il muro, a sequestrare la valle del giordano e l'acqua. Netanyahu ringrazia naturalmente. Colui che ha speso tutta la sua carriera politica per vedere naufragare la possibile soluzione del conflitto con i palestinesi è soddisfatto della posizione di Obama.



Ma anche se un veto fermerà il riconoscimento della Palestina, Israele sta isolandosi sempre di più agli occhi del medio oriente e del mondo.

Di quel mondo e di quelle nazioni, la stragrande maggioranza dell'Assemblea delle Nazioni unite, che dirà sì al riconoscimento dello Stato palestinese.



Enorme è la vergogna per il nostro paese. L'Italia, alle prese con la crisi e con gli ultimi giorni del buffone di Arcore, ignora che il nostro pessimo governo sta per prendere l'ennesima posizione da servo degli Usa e zerbino di Israele, preparandosi a votare contro il riconoscimento dello stato di Palestina. Una vergogna, una sciocchezza diplomatica e una follia geopolitica per un paese nel cuore del mediterraneo.



La formula dei due Stati per i due popoli è stata in questi anni usata da tutte le parti. Da chi con convinzione e serietà proponeva una via d'uscita praticabile al conflitto, a quei governi che, in realtà del tutto complici d'Israele, della sua occupazione e delle sue guerre, facevano finta di non vedere come il processo di pace stesse in realtà morendo sotto i colpi dell'aviazione israeliana a Gaza, degli alberi di ulivo sradicati in Cisgiordania per far posto al muro e alle nuove colonie, delle grida degli abitanti palestinesi di Gerusalemme o di Hebron forzatamente espulsi dalle loro case.



Di quali negoziati parlano, se Netanyahu non vuole toccare neanche un colono, non vuol discutere di Gerusalemme, nè dei profughi, nè dei confini del '67. Quello che chiede Israele, spalleggiato da Usa e da complici come il governo italiano, è la resa dei palestinesi, la loro capitolazione in cambio di una gruviera di territori e città, piena di coloni e muri.



Questi sepolcri imbiancati sono stati smascherati dall'iniziativa dell'Olp e di Abu Mazen. Se costoro erano per i due stati, perché non riconoscono quello che non c'è, la Palestina? L'iniziativa all'Onu è uno scatto di orgoglio e dignità da parte di una leadership, quella palestinese, logorata dal pugno di mosche che il processo politico negoziale le ha lasciato. Frutto di coraggio ma anche di disperazione. Un nulla di fatto che ne erodeva credibilità e consenso, e che con questa decisione di richiedere il riconoscimento dello stato di Palestina all'Onu recupera consensi riuscendo ad unire le tante fazioni palestinesi.



Una scelta compiuta nonostante le arroganti minacce di tagliare i fondi e gli aiuti internazionali da cui dipendono. L'Europa come al solito non è pervenuta. Chi sarà a favore, chi contro, chi si asterrà. Un ulteriore segnale della crisi verticale di una costruzione politica la cui unica anima è quella delle banche e la cui unica politica estera è quella di andare al carro della Nato e degli Stati Uniti.

Al veto degli Usa nel Consiglio di sicurezza è probabile che segua il sì dell'assemblea, che con i due terzi può dare all'Olp e alla Palestina lo status di osservatore non membro. Sarebbe comunque uno smacco per Usa e Israele e una vittoria politica per l'Olp. Nei prossimi giorni e mesi la situazione potrebbe vedere un innalzamento della tensione. Perché nonostante l'isolamento Israele continuerà ad occupare i territori palestinesi, ad assediare Gaza, a costruire colonie e muro.


Ed allora va continuata la mobilitazione dal basso e la lotta, con strumenti come la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, che può essere usata da tutti per denunciare Israele, la sua politica coloniale e costringerla a cambiare, nonostante i suoi potenti alleati, le sue bombe atomiche, la sua ostinata occupazione, la più lunga della storia contemporanea.

Un pezzo di Palestina è in Libano

di Stefania Limiti - 22 Settembre 2011

Voci dai campi profughi dove si vive in condizioni estreme. Con la grande illusione che Israele, paese che occupa militarmente terre di altri, voglia costruire la pace
Stefania LimitiScrivo questo post di ritorno da Beirut, dove il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila ha portato la solidarietà ai rifugiati della Palestina

Un pezzo di Palestina è in Libano. Oltre cinquecentomila persone, cacciate dalle loro case nel 1948 e poi nel 1967, vivono in circa dodici campi profughi sparsi nel paese dei Cedri, oggi alle prese con una difficile sfida per difendere la propria indipendenza e per superare l'eredità coloniale.
Nel 2003 l'ufficio centrale di statistica palestinese (Pcbs) calcolava che nel mondo ci sono 9.6 milioni di palestinesi: quasi cinque milioni (4.8 per l'esattezza) quelli della diaspora - una delle grandi tragedie del '900 completamente rimossa - che vivono in Giordania, Libano, Siria ma anche in altri stati arabi, Europa e Stati uniti: un milione e centomila vivono in Israele, i cosiddetti «arabo-israeliani», 3.7 quelli che risiedono nei Territori occupati - 380 sono le scuole gestite dall'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, un dato che segnala la gran quantità di bambini palestinesi costretti ad affrontare lo studio in condizioni di grande difficoltà.

Ciascun palestinese della diaspora, in genere, spera di poter tornare a visitare un giorno, o a vivere, nella terra dove loro o i loro cari sono stati cacciati. Il loro caso non compare in nessuna agenda internazionale. In particolare, le autorità del Libano, dove i palestinesi da sempre hanno segnato con la loro cultura e il loro protagonismo la vita del paese, portando progresso ma anche le inevitabili divisioni, vorrebbero volentieri disfarsene: non a caso la competenza su di loro è assegnata al ministero dell'Interno, come fossero un fatto di ordine pubblico e non a quello degli Affari sociali. I Palestinesi in Libano sono stranieri di serie b, senza la possibili di andarsene: non hanno neanche un passaporto ma solo la carta rilasciata dall'Onu che attesta il loro status di profugo. Come risolvere la grande questione dei rifugiati, se non riconoscendo il loro diritto al ritorno, proprio come prevede la risoluzione dell'Onu numero 194? - strano caso del destino, lo stesso numero d'ordine che verrebbe assegnato allo Stato palestinese, se venisse riconosciuto dal Palazzo di Vetro il suo diritto alla esistenza.

Pensate: la validità di quella risoluzione (che stabilisce il diritto al ritorno e al risarcimento economico e morale dei profughi della Palestina) è stata riafferma da ben 120 votazione nel corso di questi anni - anche se, più delle tre cifre, colpisce il fatto che è stata sempre, pervicacemente, disattesa. Fu approvata l'11 dicembre del 1948, verso la fine della guerra arabo-israeliana ed esprime apprezzamento per gli sforzi dell'inviato delle Nazioni Unite Folke Bernadotte dopo il suo assassinio da parte dei membri della Banda Stern.
Uno dei grandi interrogativi che pesa sulla iniziativa diplomatica dell'Autorità palestinese riguarda i confini: come chiamare Stato il residuo delle terre di Cisgiordania e Gaza, prive di contiguità territoriale, rosicchiate dagli insediamenti israeliani che hanno ridotto progressivamente i confini della Palestina stabiliti nel 1967? Ma l'interrogativo che angoscia i rifugiati riguarda la loro esistenza: se il riconoscimento dello Stato palestinese li dimenticasse, ci ha spiegato a Beirut il ricercatore indipendente Jaber Suleiman, del Gruppo Ritorneremo, (autore di Marginalised Community: the case of Palestinian Refugees in Lebanon, edito dal Development Research Centre on Migration, Globalisation and Poverty, aprile 2006) allora non sarebbe un evento da salutare con entusiasmo. Per Talal Salman, stimato intellettuale libanese, direttore di As Safyr, uno storico giornale indipendente di Beirut, i negoziati sono una perdita di tempo: Israele non ha nessuna intenzione di fare la pace, gli Stati Uniti non hanno intenzione di convincerli, e senza una soluzione per loro, i rifugiati, non si chiuderà mai la piaga dell'occupazione.
I profughi in Libano vivono in condizioni davvero estreme ma non rinunciano alla loro dignità e alla loro storia: nei campi accolgono le delegazioni con le musiche tradizionali cantate da ragazze e ragazzi in abiti tradizionali, allevano i loro figli cercando di preservarli dall'angoscia che nasce quando non c'è futuro, e di strapparli alla rapacità di alcuni gruppi di terroristi radicali, un fenomeno controllato ma non certo inesistente. E pensano alla loro Palestina le giovani educatrici che organizzano i corsi anti-violenza per bambini e donne del campo di El Buss, nel sud del Libano, i medici e gli insegnanti che si prendono cura della gente in ogni misero campo o gli attivisti dalla Ong Beit Atfal Assoumud (partner del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila nel viaggio), un poderoso, laico argine, insieme al suo leader, Kassem Aina, al lavoro dei gruppi estremisti fondamentalisti.
In questi giorni, alla vigilia del dibattito sulla risoluzione presentata dall'Autorità palestinese che chiede di essere riconosciuta come Stato, colpisce la violenza di alcuni commentatori ospitati dai maggiori quotidiani italiani i quali hanno spesso un argomento su cui poggiare la loro invettiva contro l'esistenza di uno Stato palestinese - pur sapendo che non c'è più terra disponibile per realizzarlo, se Israele non si ritira dai propri insediamenti: tirano fuori <>, un mito creato a tavolino, insieme ad una massiccia offensiva mediatica contro il presidente Yasser Arafat, indicato come il responsabile del fallimento del negoziato e del rifiuto delle <> di Ehud Barak. Un'interessata bugia per nascondere il nodo del conflitto: il fatto che Israele non intende affatto tornare ai confini del 1967 e restituire ai palestinesi quel misero 23% costituito dai territori occupati. Piuttosto vuole annettersi circa la metà della Cisgiordania e concentrare gli abitanti arabi in bantustan, attorno ai centri abitati e ai villaggi, separati gli uni dagli altri e circondati dalle truppe israeliane. In altri termini Tel Aviv punta all'annessione del «massimo di territorio con il minimo di arabi». Robert Malley, membro del team Usa a Camp David, oltre alle critiche di noti commentatori israeliani come Meron Benvenisti e Uri Avnery, sostenne in quei giorni di attivismo del presidente Clinton che Yasser Arafat aveva più volte messo in guardia Bill Clinton sui pericoli di un vertice convocato senza un'adeguata preparazione soprattutto dopo che il premier israeliano Ehud Barak si era rifiutato di attuare una serie di precedenti accordi firmati tre mesi prima con l'Autorità palestinese, come il terzo ritiro parziale dalla West Bank, il trasferimento all'Anp di tre villaggi vicini a Gerusalemme est e la liberazione di 1500 prigionieri palestinesi. Il presidente Clinton riuscì infine a convincere Arafat ad andare a Camp David, dove non vi fu alcuna proposta scritta da parte di Ehud Barak dal momento che le presunte offerte furono presentate come vaghe «idee dei mediatori Usa», promettendogli, inutilmente, che, se il summit fosse fallito nessuna delle parti in causa, a cominciare dagli Usa, avrebbe potuto gettarne la responsabilità sulle altre. A dieci anni dal quel falso negoziato, siamo ancora alle prese con una grande illusione: quella della volontà di Israele, paese che occupa militarmente terre di altri, di costruire la pace.

giovedì 22 settembre 2011

Annuncio choc dei coloni: marceremo verso le città palestinesi

di Marta Fortunato

La tensione in Cisgiordania aumenta mentre la tanto attesa data del 23 settembre si avvicina: i coloni stanno organizzando marce contro le città palestinesi mentre i comitati popolari escogitano metodi non violenti per difendersi.


La nuova iniziativa dei comitati popolari palestinesi in caso di attacchi dei coloni ha già un nome: “Ci rifiutiamo di morire in silenzio”. Un progetto che fa affidamento su volontari palestinesi, israeliani ed internazionali e che mira a controllare e a documentare quanto avviene in tutto il territorio della Cisgiordania attraverso delle ronde in auto per far fronte alle possibili aggressioni dei coloni israeliani contro i villaggi palestinesi.

Oggi, lunedì 19 settembre, questa campagna è stata inaugurata nella sorgente di Ein al-Qaws, vicino al villaggio di Nabi Saleh (area di Ramallah), recente teatro di scontri e di minacce da parte dei coloni del vicino insediamento di Halamish.

“L'idea principale è quella di avere un gruppo di volontari con videocamere che possano proteggere i palestinesi” ha dichiarato Mohammed Khatib, membro del Comitato Popolare di Bil'in all'agenzia di stampa Inter Press Agency (IPS) – se questo non fermerà i coloni, proteggeremo il nostro popolo con i nostri corpi, senza mai fare ricorso alla violenza. Se loro vogliono usare la violenza sono liberi di farlo, ma noi utilizzeremo solo metodi non-violenti”.

Dalla fine di agosto l'esercito israeliano ha iniziato ad armare e ad addestrare i coloni della Cisgiordania fornendo loro gas lacrimogeni, bombe sonore e cani addestrati per disperdere la folla durante le manifestazioni che Israele prevede che avranno luogo alla fine di questa settimana, quando l'Autorità Palestinese si rivolgerà all'ONU per chiedere il riconoscimento dello stato palestinese.

Tesi smentita da Mohammad Khatib: non ci sarà nessun episodio di violenza da parte palestinese. Piuttosto tutto ciò sembra solo un modo per giustificare le aggressioni israeliane contro la popolazione palestinese.

Proprio ieri i coloni e i gruppi israeliani di estrema destra hanno dichiarato che martedì pomeriggio (20 settembre) daranno inizio a delle marce verso i centri palestinesi che sono sotto il controllo dell'Autorità Palestinese.
“Noi abbiamo il diritto di vivere in Cisgiordania” ha dichiarato Meir Bertler, leader di Hilltop Youth all'agenzia di stampa israeliana Ynet News – e questa settimana organizzeremo marce, e mostreremo la nostra presenza per far capire a tutti a chi appartiene questa terra”.

Da qui la decisione del Coordinamento dei Comitati per la Resistenza Popolare di proteggere i palestinesi. “Non possiamo fare affidamento sulle autorità israeliane” ha continuato Mohammad Khatib – gli eventi recenti mostrano che è necessario che ci auto-organizziamo e ci auto-difendiamo. Ed è esattamente questo il ruolo dei nostri volontari, quello di proteggerci usando metodi civili e pacifici”.

Secondo le ultime statistiche dell'OCHA (Ufficio ONU per il Coordinamento degli affari umanitari), le violenze dei coloni sono in forte aumento e costituiscono uno dei principali motivi che costringono la popolazione palestinese al trasferimento forzato. Come l'episodio avvenuto nel villaggio palestinese di Susyia (colline a sud di Hebron), il 9 settembre: alcuni coloni hanno dato fuoco ad una delle strutture abitative del villaggio ferendo un palestinese e lasciando 12 persone senza un tetto sulla testa.



Dal 7 al 13 settembre, riportano dati OCHA, i coloni israeliani hanno ferito 7 palestinesi in tre diversi episodi di violenza. E nei primi otto mesi del 2011, almeno 6680 alberi di proprietà palestinesi sono stati sradicati, tagliati o dati alle fiamme.

“Con questa campagna vogliamo mostrare ai palestinesi che è possibile difendersi dagli attacchi in modo non violento e vogliamo dire ai coloni: 'Se il vostro governo è dalla vostra parte e il vostro esercito vi aiuta, noi non aspetteremo in silenzio che ci uccidiate'. Al contrario, ci auto-proteggeremo e faremo uso di metodi non violenti per mostrare quello che realmente sta avvenendo” ha concluso Mohammad.

martedì 20 settembre 2011

p.s. L'Arci e Un ponte per...figurano per errore tra gli intestatari della lettera sulla marcia per la pace

Miriam

LETTERA APERTA AGLI ORGANIZZATORI DELLA MARCIA PER LA PACE

Al Tavolo della Pace
All’ARCI
Ad Assopace
Ad un Ponte per
Alla Fiom
Alla CGIL- Direzione e Settore Esteri



LETTERA APERTA AGLI ORGANIZZATORI DELLA MARCIA PERUGIA-ASSISI ED A TUTTI I
“PACIFISTI” ITALIANI

Nel manifesto di convocazione della “Marcia della Pace” sono contenuti
generici appelli contro “le guerre”, “la violenza”, “il commercio delle armi”
ed a “mettere fine alla guerra in Libia, in Afghanistan”, ecc.

Ma allora vi chiediamo: da 6 mesi è in corso una sanguinosa guerra che ha
comportato 9.000 azioni di bombardamento sulla Libia, che ha causato immani
distruzioni e privazioni per la popolazione, migliaia, o forse decine di
migliaia, di vittime civili innocenti, centinaia di migliaia di profughi.

DOVE ERAVATE IN QUESTI 6 MESI? ERAVATE VOLTATI DALL’ALTRA PARTE?

Piccoli gruppi come noi hanno tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica
con una serie di manifestazioni ignorate dalla stampa. Ci siamo recati presso
le ambasciate dei paesi non belligeranti (Cina, Russia, India, Brasile,
Sudafrica, ecc.) per chiedere di favorire un cessate il fuoco immediato ed una
mediazione tra le parti sotto l’egida di organizzazioni neutrali quali l’Unione
Africana o i paesi sudamericani.
Perché non avete fatto nulla? Non vi siete accorti che i paesi aggressori
(USA, Francia, Gran Bretagna, Italia, paesi della NATO, monarchie arabe
reazionarie come il Qatar e gli Emirati) stavano violando lo spirito e la
lettera della risoluzione dell’ONU che parlava di una presunta azione di
“protezione dei civili”, ponendosi invece l’obiettivo di un cambio di regime
con la forza delle armi? Non vi siete accorti che gli insorti erano
continuamente riforniti di armi e appoggi logistici e militari e sobillati a
non aderire ad alcuna trattativa? Non vedete che l’unico scopo di questa
operazione è la spartizione delle risorse della Libia in un ambito neo-
coloniale?

Perché non una parola di condanna avete espresso sui bombardamenti e le azioni
militari degli aggressori? L’unica parola di condanna esplicita l’avete rivolta
contro un altro paese, la Siria, dove il governo ha aperto un dialogo con l’
opposizione più responsabile. Ma anche in questo caso, come in Libia, frange
di Al-Qaeda, integralisti islamici radicali ed ex-combattenti dell’Afghanistan
vengono forniti di armi e sobillati da USA, Francia , Gran Bretagna e monarchie
arabe reazionarie (Arabia Saudita in testa) a destabilizzare il governo negando
ogni dialogo.

STATE FORSE INDICANDO AI BOMBARDIERI DELLA NATO IL PROSSIMO OBIETTIVO?

Vi ricordiamo che tutte le guerre e le aggressioni precedenti sono state
precedute da bugie palesi (armi di distruzione di massa di Saddam, massacro di
10.000 civili libici mai avvenuto con relative false immagini di fosse comuni,
ecc.) e giustificate con la retorica dei “diritti umani” violati.


VI RISULTA CHE LE CONDIZIONI MORALI E MATERIALI DEI CIVILI DELL’IRAQ, DELLA
SOMALIA, DELL’AFGHANISTAN, DEL KOSSOVO, ED OGGI DELLA LIBIA SIANO MIGLIORATE
DOPO GLI INTERVENTI ARMATI “UMANITARI” OCCIDENTALI? L’UNICO RISULTATO SONO
STATI MILIONI DI MORTI E DI PROFUGHI, GUERRA CIVILE, DISATRO UMANITARIO, CROLLO
DI TUTTE LE CONDIZIONI DI VITA.

Anche il gemellaggio che proponete tra le vittime dell’11 settembre 2001 e le
vittime innocenti della guerra della NATO in Afghanistan è ambiguo, non indica
responsabilità e quindi non può portare a nessuna reale pacificazione.
Forse le centinaia di migliaia di vittime della presunta “guerra al terrore”
in Afghanistan, e poi anche in Iraq, possono essere giustificate come
contrappeso ai 2000 morti delle torri gemelle ? Un episodio che, oltre tutto,
presenta troppi lati oscuri, e la cui versione ufficiale è tecnicamente
insostenibile?

IN QUESTE CONDIZIONI LA “MARCIA DELLA PACE” RISCHIA DI DIVENTARE IL FUNERALE
DELLA PACE.

Questi sono i motivi per cui non parteciperemo alla marcia. Non parteciperemo
ad iniziative rituali ed istituzionali, ma continueremo con le nostre
iniziative concrete a favore di un cessate il fuoco immediato e per la
promozione del dialogo tra le parti in Libia, come in Siria.


Per il Comitato NO-WAR: Marinella Correggia mari.liberazioni@yahoo.it
Vincenzo Brandi brandienzo@libero.it
Per USA Citizens against War Patrick Boylan patrick@boylan.it

lunedì 19 settembre 2011

Processo Arrigoni

PROCESSO ARRIGONI. IL “NUOVO” EGITTO CONSENTIRÀ O NO L’INGRESSO ALLA DIFESA ITALIANA?
Posted on 18 settembre 2011 by dimitri| Leave a comment

Comunicato stampa.

Tra due giorni l’avvocato della famiglia Arrigoni, accompagnato da una piccola delegazione di cittadini italiani, si recherà a Gaza City per la seconda udienza del processo che dovrebbe far luce sui mandanti e gli assassini di quella che, per decine di migliaia di persone, era “la voce di Gaza”.
A distanza di 48 ore dalla partenza, l’avvocato Pagani non sa ancora se l’Egitto gli fornirà l’autorizzazione per attraversare il valico di Rafah.
I rappresentanti dello Stato italiano, il cui dovere è quello di accertare la verità e ottenere giustizia per il proprio cittadino assassinato cinque mesi fa, cosa stanno facendo per rispettare il loro compito? Sappiamo che Vittorio era una voce scomoda anche per il nostro governo, ma questo non può ostacolare la ricerca della verità né ridurre il dovere, da parte del Ministro degli esteri, di fare quanto possibile – e quanto dovuto – affinché sia resa giustizia alla memoria di Vik.
Il presidente Napolitano, il 16 aprile disse “accertare subito la verità”. Sono trascorsi cinque mesi da quella dichiarazione, perciò chiediamo che lo Stato italiano faccia il suo dovere affinché le parole di Napolitano non abbiano il suono della pura retorica.

Ufficio Stampa FreedomFlotilla Italia

CONTATTI: 338.1521278

Allarme per gruppi criminali francesi in Palestina per aggredire la popolazione. Trenta già in loco

URGENTE - gruppi paramilitari di sionisti francesi della LDJ alla volta della Palestina per affiancare i coloni

Condividete per favore - PLS SHARE !

(ARABIC ENGLISH FRENCH SPANISH follow )





Che accade mentre Sarkozy si frega le mani in Libia ?

Che la Francia, membro dell'ONU, lascia partire gruppi paramilitari di sionisti francesi della LDJ ( Ligue de défense juive), gruppo con all'attivo aggressioni ,violenze, atti vandalici ed un omicidio. Partono alla volta delle colonie per affiancare i coloni *, in previsione della dichiarazione dello stato di Palestina. Trenta sono gia arrivati, altri in arrivo. ( Fate circolare )



La LDJ è proibita negli US e persino in Israele perché considerata un organizzazione terroristica che si è macchiata in US ed Europa di attentati terroristi.Ebbene in Francia no, non solo è consentita, ma protetta dalla Polizia - gode di una quasi completa impunità. Nonostante le prove di conclamato coinvolgimento in fatti criminali gravissimi questa gente non viene né imputata né processata.

Fondata a New York nel 1968 dal rabbino americano Meir Kahane si ritrova sotto pseudonimi diversi: in Israele, il partito fratello della JDL, Kach (Kahane Chai è diventato, "vive Kahane") è stato bandito nel 1994 con leggi anti-terrorismo dopo la strage di Hebron, perpetrato da un membro del Lega (29 morti). JDL e Kach condividono lo stesso logo, negli Stati Uniti, Kahane Chai è nella lista delle organizzazioni terroristiche in Francia, l'originale "Libertà di associazione - La democrazia e il giudaismo ", creato nel 2001, fu sciolta due anni dopo, secondo l'articolo di Wikipedia dedicato alla JDL. La Lega, che non è mai stata ufficialmente registrata, né proibita, è stata ripetutamente implicata in atti di violenza. Alcuni dei suoi membri o "simpatizzanti" sono stati condannati. Nel 2002, un agente di polizia è rimasto gravemente ferito durante una manifestazione a Parigi. Più di recente, a maggio, durante una serata indetta da associazioni pro-palestinesi è stata gravemente disturbata dal gruppo.



Da Tarik Hamzaoui "( AIUTO!!!…..Ne sono sicuro!!! Che banda di vermi!!! Fate girare l'informazione!!!! )

Ho avuto informazioni circa la partenza di i razzisti della LDJ, sono già trenta ad essere arrivati sul posto in Palestina nei territori occupati, sono partiti Venerdì mattina e domani saranno ancora una quindicina a viaggiare da Roissy!!!! Vanno ad aiutare i coloni ad aggredire i Palestinesi! "

domenica 18 settembre 2011

Silenzio stampa sulle uccisioni a Gaza

LETTERA APERTA A TUTTI I COLLEGHI GIORNALISTI ITALIANI
di Mara Bottini

In tutti i 360 km² della Striscia di Gaza si succedono i bombardamenti di elicotteri Apache, Droni e cacciabombardieri F16 israeliani che si aggiungono ai cannoneggiamenti dal mare.
L’offensiva lanciata da Israele dopo l’attentato di Eliat – immediatamente scattata senza aprire alcuna inchiesta sui reali responsabili – colpisce i civili: solo il primo giorno, 3 i bambini morti su 9 persone.
11, 13, 2 anni i piccoli angeli schiacciati da un odio più grande di loro.
Con l’unico peccato – mortale – di esser nati gazawi.
Oggi sabato 20 agosto 2011 alle ore 11 locali le vittime confermate dagli ospedali sono oltre 40.

Da Facebook a Twitter, i giovani palestinesi della striscia più martoriata del Medio Oriente chiedono umanità, stanchi di essere prigionieri 1, 2, 3, 4 volte.
Ostaggi delle divisioni/corruzioni/politiche dei loro Governi. Fatah e Hamas.
Della ferrea volontà del Governo dei falchi israeliano,
che persegue un sistema di Apartheid in tutti i Territori Palestinesi.
E che a Gaza opera un vero genocidio. Continuo, implacabile, passivamente accettato dal mondo.
Il segretario generale dell’ONU Ban-Ki-Moon ha espresso sdegno.
Come se bastasse a salvare le vite di persone innocenti, costrette a scrutare il cielo in attesa di capire dove colpirà la prossima bomba, quale amico, moglie, sorella, figlio, fratello, cugino ucciderà.

La conta dei morti aumenta di ora in ora. Dall'altro ieri alle 17 l’attacco non è mai cessato: si sposta da Gaza City a Rafah, da Khan Yunis a Deir al Bahal fino ai confini con il Sinai, dove sono stati uccisi anche soldati egiziani. Lascia dietro di sé cadaveri di persone già disperate.
Già provate dall’operazione Piombo Fuso del 2008-2009.

La campagna militare delle Forze Armate Israeliane doveva colpire i miliziani islamisti di Hamas saliti al potere dopo le "libere" elezioni volute da USA e Israele. Che Hamas ha pensato bene di "santificare" con un bagno di sangue di civili dissenzienti e militanti di Al Fatah (500 morti in un solo giorno, neanche gli israeliani vantano un tal successo). Invece ha falcidiato più di 2.500 persone - tra cui centinaia di bambini, migliaia di civili inermi e qualche (solo qualche) miliziano.
Il 6 gennaio i carri armati israeliani hanno sparato due colpi contro una scuola dell'ONU nel campo profughi di Jabalya utilizzata come rifugio dalla popolazione dalla furia dei combattimenti tra Hamas e l'esercito israeliano. 30 morti e 55 feriti solo in questo attacco.
Fortunatamente durante tutto Piombo Fuso, gli israeliani uccisi dai razzi Qassam sono stati 4 in totale. 16 le vittime degli ultimi anni. Morti importanti, da ripettare e onorare. Come da onorare sono i 2500 caduti palestinesi.

Oggi i Gazawi temono una nuova campagna, atterriti si chiedono quando cesserà l’ennesimo massacro.
I nipoti dei sopravvissuti dell’Olocausto usano la stessa tragica matematica dei nazisti. Ma la centuplicano: 1 israeliano morto significa 100 cadaveri palestinesi. L’1 a 10 tedesco è superato.

Vorrei poteste vedere i visi, leggere i commenti su social network e siti, ascoltare il susseguirsi dei nomi di morti e feriti, di luoghi attaccati e palazzi crollati. Invece non potete. Nessun giornalista italiano può testimoniare quello che accade dentro la città-prigione.
Vittorio Arrigoni è morto e Gaza è più sola.
Sappiate però che nella Striscia coraggiosi e quasi sempre gratis, agiscono reporter, fotografi, videomaker, giornalisti. CNN, BBC, Al Jazeera, Reuters collaborano con loro.
E pubblicano notizie verificate alla fonte.

L’Italia tace. Gli articoli hanno la certezza dei numeri forniti dagli israeliani, la debolezza dei “si dice” e dei “dati non confermati” che riempie ogni articolo senza conferme ha la flebile voce palestinese.
Più spesso c’è solo il loro silenzio di morte.

Ci sono, contattate i colleghi. Non solo tutti parziali, non sono tutti hamaisti, o terroristi: il pregiudizio comune non vi spinga, cari colleghi giornalisti, a dimenticare l’obbiettività. L’umanità.
Parlate per favore un linguaggio che non sia il solito, straziante monologo dettato da Israele.

Allego telefoni, indirizzi di posta elettronica, link di siti. Indagate. Fate il vostro lavoro.
Ricordate il valore della nostra professione.
Basta guardare: video, foto, dichiarazioni mediche. Già dalle immagini potrete vedere bimbi straziati, abbrustoliti – letteralmente - da armi non convenzionali e proibite dalla legislazione internazionale come le bombe al fosforo bianco.

Guardare e scrivete. Per favore.
Contribuite a far cessare lo sterminio. Provate a guardare quelle facce stravolte, quella carne lacerata, carbonizzata, violentata. Dopo io credo, potrete pubblicare articoli più imparziali di quelli pieni di ignoranza che funestano in questi giorni web e carta stampata.

Ieri l’ANSA citava i morti di Erat, scordando che ai 6 caduti israeliani già se ne erano aggiunti 5 da Gaza. Oggi un post di Rainews http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=155690&utm_source=Rainews24+via+twitterfeed&utm_medium=twitter&utm_campaign=news
riporta le dichiarazioni di Hamas che considerano rotta la tregua con Israele stabilita nel 2009, riporta numeri e dichiarazioni di morti israeliani. Non cita nemmeno uno dei 40 gazawi uccisi dalle forze armate israeliane: da quel pezzullo si deduce che Hamas attacchi Israele, nulla a indicare che Gaza da 3 giorni è bombardata da mattina a notte fonda. E che dopo una breve sospensione all’alba, ricominciano i tuoni delle bombe e i suoni disperati delle ambulanze.
Questa informazione univoca deve finire. Ne va della nostra professione.

Nessun distinguo: sono tutti vittime e carnefici. Palestinesi e israeliani: come insegna Albert Camus l’uno si trasforma nell’altro durante l’asprezza di una guerra. Nessuna presa di posizione contro gli uni per gli altri.
Solo la richiesta di usare l’umanità che solo una verità approfondita determina, di saper guardare la differenza tra Popolo e Governo.

Le parole possono essere paragonate ai raggi X; usate a dovere, attraversano ogni cosa. Leggi, e ti trapassano. Aldous Huxley IL MONDO NUOVO.

Ecco. Siate i raggi x di questo conflitto. Raggi x anziché fotocopie.
Perché ora i media italiani non pubblicano analisi e approfondimenti bilaterali, scrivono le parole di una sola parte offesa. Dimenticando che questa è anche parte in causa. Una parte belligerante, attiva si: di Droni, Apache, F16. Attivamente omicida verso i civili così come lo è Hamas. Fortunatamente a oggi sono 10 le vittime israeliane tra soldati e cittadini. Sui 40 morti palestinesi, solo 3 i miliziani.

Lo squilibrio inizia dalle vostre penne incerte. Aiutate Gaza e i Gazawi. Non Hamas. Il Popolo palestinese. Il popolo della Striscia. Gente, persone, non terroristi.
Aiutateli ritrovando l’equanimità persa. I pregiudizi di cui sono vittime li uccidono ogni volta.

Come scrive Vittorio Arrigoni sul libro Gaza Restiamo Umani, se ognuno di noi fosse solo per un minuto al giorno palestinese così come i nostri nonni sono stati ebrei, non ci sarebbe questa strage impunita e inascoltata.
L’Europa ha combattuto Hitler e Mussolini. Italiani comuni e partigiani hanno combattuto nazismo e fascismo. La tragedia dei campi di sterminio è tra le più drammatiche e tra le più documentate della storia.

Oggi si ripete la discriminazione razziale, oggi la Striscia di Gaza è un lager a cielo aperto. Che non può liberarsi di nessuno dei suoi aguzzini. Non del proprio Governo di Hamas, che impone un vero Stato di Polizia. Non delle persecuzioni israeliane, che falcidiano vittime inermi. Non del silenzio assordante del mondo che pare non considerarli umani.

RIEPILOGO
A 6 ORE FA
Gaza Hospitals Announces The State of Extreme Emergency In Gaza City
And the Final Outcome For the Past Hour Is :
1- Five Raids On Center Gaza City .. And Two On Khanyounis City.
2- One Martyr " 13-y Old " And 12 Injuries, In the Attack Of Abu-Samra Home.
3- Two Martyrs In The Attack Of Anssar Building.
4- Abu-Samra Home Was Totally Destroyed.
5- Anssar Building, Arafat Police Academy and Al-Muntada Building Were poorly Damaged.


ORA SI AGGIUNGE LA 9 VITTIMA Mohammed Enaya, 22, just killed by israeli missiles not in Gaza but .. Eastern Zeitoun from Danmike

E nel mentre scrivevo questo pezzo, che non ha certo la velleità di essere un articolo, è arrivato il NUMERO 10. Era un uomo che percorreva la strada con la sua motocicletta a nord della Striscia.
Due i bambini feriti, nel tempo di mezz’ora. Uno ha perso le gambe.

PER UN TOTALE A ORA DI 10 MORTI E 23 FERITI GRAVI.

Ma questa conta è superata: oggi sabato 20 agosto 2011 alle ore 11 locali le vittime confermate dagli ospedali sono oltre 40.


SE VOLETE FOTO E NOTIZIE, ALLEGO I NOMI DI 2 GIORNALISTI DI GAZA.
SE VI BASTANO LE VELINE DEL GOVERNO ISRAELIANO, LASCIO A VOI IL CONFRONTO CON LA VOSTRA ETICA PROFESSIONALE

Abed Enen giornalista, Rafah mail alllove.ab@hotmail.com


Sameh Ramadan
journalist - Translator
Gaza Strip
s_ramadaan@yahoo.com
00970597211162

Mohammed Omer
@Mogaza su Twitter
Profile: Chicago/Gaza, Mohammed Omer (1984)is a Palestinian journalist. reporting for several media outlets, including the Washington Report http://en.wikipedia.org/wiki/Mohammed_Omer http://rafahtoday.org
IL suo ultimo rapporto 8 ore fa: “Gaza in the last 24 hours:15 killed, 44 injured. among them 11 children, 10 women, and 3 elderly. Israel F16s are hovering on low altitudes”

Link e siti:
- su TWITTER le parole chiave da digitare per trovare i blogger palestinesi (scrivono in inglese, sperano che la loro voce venga ascoltata) sono #ProtectGaza #Gaza #PrayforGaza
- su Facebook basta facciate la ricerca con GAZA, chi è giornalista lo scrive già nelle note introduttive.
- su Internet, oltre alla nota http://www.maannews.net/eng/ViewPage.aspx?DID=GAZ
che non è aggiornata di minuto in minuto (solo twitter dà questo vantaggio),
c’è il blog http://electronicintifada.net
quello dei Gaza Youth Breaks Out (GYBO) http://gazaybo.wordpress.com/
gruppo di giovani gazawi che si sono riuniti per urlare in 2 manifesti-dichiarazione (online) il loro sdegno, la stanchezza di essere giovani in un mondo di morte.
Da non perdere le parole dell’avvocato e attivista per i diritti umani inglese Julia Churley http://juliachurley.blogspot.com/ che condive le sorti dei gazawi con amore grande e disinteressato

Altri siti: http://occupiedpalestine.wordpress.com
http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2011/08/2011820649



Grazie. Mara Bottini
[http://a4.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-snc6/206278_1916154034460_1560260949_2006091_2651959_n.jpg]Quando muore uno di noi. occhi e anima di tutti gli altri.