martedì 12 agosto 2008

ADDIO VIAGGIATORE DEL SOGNO

Mahmud Darwish, luce della Palestina e uno dei più grandi poeti contemporanei ci ha lasciati. Il mondo è un po’ più vuoto e triste, ma restano “i messaggi che le sue mani hanno affidato alle colombe”. Nella sua opera “Murale” con la chiaroveggenza e la grandezza dei veri poeti aveva percorso come un sogno l’ultimo viaggio verso la morte.
“Ho visto i miei tre compagni singhiozzare
Mentre
M’intessevano un sudario
con fili dorati
Ho visto paesi cingermi
Con braccia mattinali:
sii degno del profumo del pane
Intonati ai fiori del marciapiede
Ché il forno di tua madre è ancora acceso
E il saluto caldo come il pane.
Non abbiamo sentito particolari commemorazioni dai nostri media, per la morte di uno dei più grandi poeti a livello mondiale, a cui del resto non fu conferito il Nobel per la letteratura perché palestinese. Così Darwish appare ai nostri occhi come uno dei 36 giusti nascosti che reggono il mondo in ogni generazione.
Era nato il 13 marzo 1941 in Galilea. Durante la guerra del 48 il suo villaggio fu raso al suolo e gli abitanti costretti all’esilio. Studiò nelle scuole arabo-israeliane e andò a vivere ad Haifa. Pubblicò la prima raccolta di poesie “Uccelli senza ali” a 19 anni, in seguito le sue opere conosciute in tutto il mondo furono tradotte in 40 lingue. Aderì al partito comunista israeliano nel 1961. Fu incarcerato a causa delle sue opere poetiche.
“Ho detto al carceriere sulla riva occidentale
-Sei il figlio del mio vecchio carceriere?
-Si-
-E tuo padre dov’è?
-Ha detto- mio padre è morto da anni mi ha dato in eredità la sua missione e il suo mestiere e mi ha raccomandato
Di proteggere la città dal tuo canto…
-Ho detto –da quanto mi sorvegli e t’imprigioni dentro di me?
Ha detto –da quando hai scritto le tue prime canzoni-
All’inizio degli anni 70 scelse l’esilio e partì prima per Mosca e successivamente si trasferì al Cairo. Nel 73 a Beirut diresse il mensile “Questioni palestinesi”. Nel 93 si dimise dal Comitato esecutivo dell’OLP per protestare contro gli accordi di Oslo. Nel 96 viene autorizzato per la prima volta a entrare in Israele, dopo l’esilio, per partecipare ai funerali dello scrittore Emil Habibi. Il 15 novembre 1988 scrisse la Dichiarazione di indipendenza dello stato di Palestina proclamato da Arafat ad Algeri.
In questi ultimi anni ha vissuto tra Ramallah, Amman e il Cairo.
Nel marzo 2002, durante la seconda Intifada, da mesi assediato a Ramallah e impossibilitato a rispondere ai molti inviti ricevuti dall’estero, invitò alcuni scrittori di fama internazionale a recarsi in Palestina. Una delegazione di 8 scrittori provenienti da 4 continenti del Parlamento Internazionale degli scrittori rispose al suo invito, rompendo l’assedio.
“E’ per me un grande piacere e un onore accogliervi su questa terra nella sua primavera di sangue, una terra che ha la nostalgia del suo vecchio nome: terra d’amore e di pace. La vostra visita è un modo per rompere il nostro sentimento di isolamento. Con voi noi ci rendiamo conto che la coscienza internazionale, di cui siete onorevoli rappresentanti, vive ancora ed è capace di protestare e di schierarsi dalla parte della giustizia. Voi ci avete dato l’assicurazione che gli scrittori hanno ancora un ruolo importante da svolgere nella lotta per la libertà e nella battaglia contro il razzismo” Fu l’inizio del suo discorso di saluto.
Mahmud Darwish ci ha lasciato, ma la sua poesia resterà con noi per sempre, i suoi versi canteranno nelle future generazioni e daranno forza alla lotta del popolo palestinese per la libertà e la giustizia, daranno a tutti noi la gioia interiore di elevarci per un momento sopra la miseria del mondo. La sua poesia resta come una grandiosa testimonianza e un grande regale al mondo.
“Verde la terra del mio poema, verde e alta…
Piano lo annoto, piano,
al ritmo dei gabbiani nel libro dell’acqua. Lo scrivo
e lo lascio in eredità a coloro che si domandano:
per chi canteremo
quando la salsedine si diffonderà nella rugiada?
Verde, lo scrivo nel libro dei campi
Sulla prosa delle spighe incurvate da un pallido turgore
Che è in loro, che è in me. Ogni volta che sono diventato amico
O fratello di una spiga, ho imparato a sopravvivere al nulla e al suo contrario: “sono il chicco di grano che muore
Per germogliare di nuovo,
nella mia morte c’è vita…”

1 commento:

Angela ha detto...

Myriam, sono parole eterne quelle della poesia...grazie per averne parlato, in questo assordante silenzio...
ang