lunedì 11 marzo 2013

Discorso del presidente dell'Uruguay, José Mujica, al summit di Rio de Janeiro, 20 - 22 June 2012

Autoritá e organizzazioni presenti di tutte le latitudini, mille grazie. Grazie al popolo del Brasile e alla sua Presidentessa, Dilma Rousseff. Grazie per la buona fede che, sicuramente, ha caratterizzato tutti gli oratori che mi hanno preceduto. Esprimiamo la profonda volontá come governanti di sostenere tutti gli accordi che questa nostra povera umanitá possa sottoscrivere. Mi sia permesso di fare alcune domande ad alta voce. Tutto il pomeriggio si é parlato di sviluppo sostenibile. Di tirare fuori dalla povertá masse immense. Che cosa ruota nella nostra testa? Il modello di sviluppo e di consumo attuale delle societá ricche? Mi domando: che cosa succederebbe al pianeta se gli indiani avessero in proporzione la stessa quantità di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno resterebbe per poter respirare? Piú chiaramente: il mondo possiede oggi gli elementi materiali per rendere possibile che 7 o 8 miliardi di persone possano ottenere lo stesso grado di consumo e di spreco che hanno le societá occidentali piú opulente? Sará possibile tutto ció? O dovremmo sostenere un giorno, un altro tipo di discorso? Perché abbiamo creato questa civilizzazione figlia del mercato, figlia della competizione e che ha portato un progresso materiale portentoso ed esplosivo? Ma l’economia di mercato ha creato una societá di mercato. E ci ha regalato questa globalizzazione, che significa guardare a tutto il pianeta. Stiamo governando la globalizzazione o è la globalizzazione che ci governa? É possibile parlare di solidarietá e di stare tutti insieme in una economía basata sulla competizione spietata? Fino a dove arriva la nostra fraternitá? Non dico queste cose per negare l’importanza di quest’evento. Ma al contrario: la sfida che abbiamo davanti é di una grandezza colossale e la grande crisi non é ecologica, é política! L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma queste forze governano l’uomo ... e la vita! Non veniamo alla luce solamente per svilupparci, cosí, in generale. Veniamo alla luce per essere felici, perché la vita é corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale quanto la vita, questo é elementare. Ma se la vita scappa via, lavorando e lavorando per consumare sempre di più perché la societá del consumo é il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare per tutti il fantasma della stagnazione. Ma questo iperconsumo é lo stesso che sta aggredendo il pianeta. Ma loro devono generare questo iperconsumo, producono cose che durano poco, perché devono venderne sempre di più. Una lampadina elettrica, quindi, non puó durare piú di 1000 ore accesa. Ma esistono lampadine che possono durare 100mila ore accese! Ma questo non si puó fare perché il problema é il mercato, perché dobbiamo lavorare e dobbiamo sostenere una civilizzazione dell’usa e getta, e cosí rimaniamo in un circolo vizioso. Questi sono problemi di carattere político che ci stanno indicando che é ora di cominciare a lottare per un’altra cultura. Non si tratta di immaginare il ritorno dell’uomo all’epoca delle caverne, né di costruire un monumento all’arretratezza. Ma non possiamo continuare, indefinitamente, ad essere governati dal mercato, dobbiamo cominciare a governare il mercato. Per questo dico, nella mia umile maniera di pensare, che il problema che abbiamo davanti é di carattere político. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca o anche gli Aymara – dicevano: “povero non é colui che ha poco, ma colui che ha bisogno di molto e desidera ancora di piú e di piú”. Questa é una chiave di carattere culturale. Quindi, saluteró volentieri lo sforzo e gli accordi che si faranno. E li sosterró, come governante. So che alcune cose che sto dicendo, stridono. Ma dobbiamo capire che la crisi dell’acqua e l’aggressione all'ambiente non ne sono la causa. La causa é il modello di civilizzazione che abbiamo costruito. E quello che dobbiamo cambiare é la nostra forma di vivere! Appartengo a un piccolo paese dotato di molte risorse naturali per vivere. Nel mio paese ci sono poco piú di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, delle migliori al mondo. E circa 8 o 10 milioni di pecore meravigliose. Il mio paese é un esportatore di cibo, di latticini, di carne. É una semipianura e quasi il 90% del suo territorio é sfruttabile. I miei compagni lavoratori hanno lottato tanto per le 8 ore di lavoro. E ora stanno ottenendo le 6 ore. Ma chi lavora 6 ore, poi cerca un secondo lavoro; quindi lavora piú di prima. Perché? Perché deve pagare una quantitá di rate: per la moto, per l’auto e per molte altre cose e quando vuole riposarsi … é un vecchio reumatico – come me – al quale gli è già passata la vita davanti! E allora uno si fa questa domanda: questo é il destino della vita umana? Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non puó essere contrario alla felicitá. Deve essere a favore della felicitá umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché é questo il tesoro piú importante che abbiamo: la felicitá! Quando lottiamo per l'ambiente, dobbiamo ricordare che il primo elemento dell'ambiente si chiama felicitá umana! Revisione della traduzione a cura di Alfredo Tradardi Torino, 10 marzo 2013

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