lunedì 22 luglio 2013

Svolta storica dell'Ue sulla demarcazione del «made in Israel»

Michele Giorgio GERUSALEMME - Non sorprende l'irritazione di Israele. Potrebbero segnare un passaggio storico di eccezionale importanza le nuove linee guida dell'Unione europea verso le colonie israeliane costruite nei Territori occupati in violazione di risoluzioni e convenzioni internazionali. Si vedrà già nei prossimi giorni se Bruxelles confermerà la decisione presa ed eviterà una repentina retromarcia. Per ora si sa che, a partire dal 19 luglio, ai 28 Stati dell'Unione sarà «proibito» cooperare in qualsiasi modo con gli insediamenti colonici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (territori palestinesi) e sulle Alture del Golan (parte della Siria). Tel Aviv, che continuerà a godere di rapporti privilegiati con l'Ue, dovrà però garantire che qualsiasi progetto di cooperazione con l'Europa - dall'istruzione alla ricerca - riguardi solo il suo territorio e non le colonie. Centrale anche il riferimento alle Alture siriane del Golan che Israele, dopo averle occupate nel 1967, con un voto della Knesset, più di trent'anni fa, ha annesso unilateralmente al suo territorio, assieme alla zona araba di Gerusalemme. «Lo scopo delle nuove linee-guida è di fare una distinzione fra Israele e i Territori occupati», ha spiegato David Kriss, portavoce della delegazione europea in Israele. «Al momento attuale - ha aggiunto - le entità israeliane beneficiano di sostegni finanziari e di cooperazione con l'Ue e queste linee-guida sono state concepite allo scopo che ciò prosegua in futuro. Al tempo stesso è stata espressa la preoccupazione che entità israeliane nei Territori occupati possano beneficiare di sostegni europei». Da qui la necessità di definire «limitazioni territoriali», esplicite ed inequivocabili, che dovrebbero avere immediati riflessi anche commerciali. Israele infatti esporta le merci delle colonie - dall'agricoltura all'hi-tech - come se fossero prodotte nel suo territorio e non nella terra occupata, strappata a palestinesi e siriani 46 anni fa con la forza delle armi. Secondo dati diffusi sui giornali nei mesi scorsi, l'Ue importa dalle colonie beni per circa 287 milioni di dollari l'anno. Scontata la reazione dei coloni e del governo israeliano che da sempre ricercano riconoscimenti internazionali, di fatto o espliciti, dell'occupazione e della colonizzazione. L'Unione europea, sostengono i settler, avrebbe assunto posizioni «unilaterali e discriminatorie» e, pertanto, «non può più essere considerata neutrale e obiettiva». Rabbioso il commento del premier Netanyahu che nega una differenza tra il territorio israeliano e quello palestinese occupato. «Non accettiamo ultimatum esterni circa i nostri confini», ha detto. «In quanto primo ministro di Israele - ha avvertito Netanyahu - non posso consentire che si colpiscano centinaia di migliaia di israeliani che vivono in Giudea-Samaria, nelle alture del Golan e a Gerusalemme, nostra capitale riunificata». Dopo consultazioni con i ministri Tzipi Livni e Naftali Bennett e col viceministro degli esteri Zeev Elkin, il primo ministro ha ribadito che i confini definitivi di Israele saranno stabiliti solo mediante trattative dirette fra le parti interessate. Nel frattempo, fa capire Netanyahu, il suo paese continuerà a comportarsi come meglio crede, incurante delle decisioni europee. Soddisfatti i palestinesi. Secondo Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell'Olp, dopo le numerose dichiarazioni e condanne «l'Unione europea è passata a decisioni politiche efficaci e a passi concreti che costituiscono un cambiamento qualitativo». Cambiamento che, a suo giudizio, avrà un impatto «positivo» per una possibile ripresa del negoziato bilaterale. Come spesso accade, i palestinesi sotto troppo ottimisti nei confronti della coerenza dell'Ue in Medio Oriente.

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