lunedì 22 settembre 2014

RICOSTRUZIONE DI GAZA

Onore alle vittime: evitare di ripetere gli errori del passato nella ricostruzione di Gaza
Di Omar Shaban
Agosto 2014

Al Shabaka

Sommario
Per quanto sconvolgenti siano stati gli orrori della guerra che Israele ha scatenato nella Striscia di Gaza dal 7 luglio, la dimensione dei danni rischia di essere ancora più spaventosa. Una conferenza dei donatori per Gaza è prevista per settembre in Norvegia, ma se i donatori e l’Autorità Nazionale Palestinese di Ramallah adotteranno lo stesso approccio per la ricostruzione che hanno seguito dopo le scorse due guerre, le sofferenze di Gaza continueranno immutate. In questa sintesi politica, l’editorialista di Al-Shabaka Omar Shaban descrive le dimensioni della distruzione e spiega perché la ricostruzione sarà più difficile questa volta. Egli illustra gli errori che sono stati fatti nelle precedenti richieste dei donatori e negli sforzi della ricostruzione e sostiene che questi possono – e devono- essere evitati.

Perché questa guerra è molto peggiore
La Striscia di Gaza- uno dei luoghi più densamente abitati al mondo- ha subito tre guerre in soli sette anni. Peraltro la terza guerra è risultata peggiore delle due precedenti: il brutale attacco israeliano di 22 giorni nel 2008-09 e quello di otto giorni nel 2012, per quanto siano stati terribili, e lo dico in base alla mia personale esperienza in quanto persona che ha cercato di sopravvivere ad essi. Al 10 agosto nell’attuale guerra gli attacchi israeliani dall’aria, da terra e dal mare hanno ucciso 1.914 palestinesi e ne hanno feriti 9.861, in base a quanto affermato dal ministero palestinese della Salute, rispetto ai 1.4000 uccisi nel 2008-09. Le Nazioni Unite hanno stimato che fino ad ora il 73% dei morti nell’attuale attacco erano civili, compresi 448 bambini. Molti dei feriti hanno ricevuto danni gravissimi e non potranno riprendersi completamente, rimanendo del tutto o parzialmente disabili.
Ma questa guerra non è peggiore solo perché il numero di morti è maggiore; è peggio perché questa volta sarà molto più difficile la ricostruzione. La distruzione è cumulativa: si aggiunge alle distruzioni delle due precedenti guerre di Israele contro Gaza, molte delle quali non sono state superate. Per fare solo un esempio: 500 famiglie stanno ancora aspettando la ricostruzione delle loro case demolite. In più, la maggior parte dei danni significativi alle infrastrutture e ai pozzi d’acqua non sono stati riparati. Si stima che la sola guerra del 2008-09 abbia causato circa 1.7 miliardi di dollari di danni materiali a fattorie, fabbriche, servizi ed edifici pubblici, strade, reti elettriche ed idriche, impianti fognari e reti telefoniche.
Questa volta è ancora più grave perché Gaza sta affrontando le peggiori condizioni economiche, politiche e sociali da decenni. Il blocco imposto da Israele contro la Striscia di Gaza nel giugno del 2007 è stato solo lievemente attenuato all’inizio del giugno 2010. Poco dopo l’attacco omicida contro la Freedom Flottilla per Gaza il 31 maggio 2010, la pressione internazionale ha obbligato il governo di Benjamin Netanyahu ad aumentare il numero ed il volume dei beni ammessi nella fascia costiera.
Inoltre, i crescenti sforzi egiziani di distruggere i tunnel, che sono iniziati durante il governo del presidente Mohammed Morsi e notevolmente incrementati dopo la destituzione del presidente, ha privato le autorità di Hamas a Gaza di una fonte vitale di risorse e forniture di materie prime così come di beni intermedi e di prodotti finiti. Questa situazione ha reso estremamente difficile per il governo di Hamas pagare i salari ai suoi 50.000 dipendenti, molti dei quali attualmente non hanno ricevuto lo stipendio da parecchi mesi.
Allo stesso modo, nonostante la firma il 23 aprile 2014 di un accordo di riconciliazione, il recente governo di unità nazionale ha realizzato molto poco per affrontare le necessità immediate di Gaza. Per esempio, non ha pagato i salari dei dipendenti pubblici che sono stipendiati da Hamas, portando il governo di unità su un terreno ancora più precario nel mezzo di una crisi [sempre] più grave. Ciò è largamente imputabile al rifiuto israeliano di riconoscere [questo governo] o di permettere ai suoi membri di muoversi liberamente tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Una stima preliminare dei danni
Le dimensioni delle distruzioni dell’estate 2014 possono essere valutate dalle seguenti stime preliminari calcolate all’11 agosto. Queste indicano che:
1. Ottomilaottocento case sono state distrutte in modo irreparabile e 7.900 sono state parzialmente distrutte, soprattutto nelle zone di confine di Shuja’iyah a est di Gaza City, Beit Hanoun e Beit Lahiya a nord e Khuza’a, Abasan e Rafah a sud est della Striscia di Gaza.
2. Molte delle circa 475.000 persone obbligate a lasciare le proprie case e a rifugiarsi nelle strutture dell’UNRWA (United Nations Refugee and Works Agency) e nelle scuole statali, così come nei parchi e chiese non saranno in grado di ritornare alle loro abitazioni in quanto sono state rese inagibili. Queste persone non hanno perso solo le proprie case ma anche tutte le proprietà, compresi mobili, vestiti, automobili e documenti.
3. Depositi contenenti 300.000 litri di combustibile industriale destinati all’unica stazione di produzione dell’elettricità nella Striscia di Gaza sono stati distrutti e la centrale è stata messa fuori uso. Senza energia elettrica, le scorte di cibo vanno a male, la fornitura di acqua per le abitazioni è interrotta, gli scarichi fognari non possono essere trattati e gli ospedali sono obbligati a contare su generatori di elettricità poco sicuri. Oltretutto otto delle dieci linee elettriche che arrivano da Israele e che riforniscono la Striscia di Gaza sono state scollegate, facendo scendere la fornitura di elettricità importata da Israele dai 120 megawatt a meno di 30.1
4. L’enorme danno fatto alle infrastrutture, comprese strade, impianti elettrici ed idrici che sono stati distrutti, costituisce un potenziale disastro per l’ambiente e per la salute.
5. Dozzine di fabbriche e di aziende commerciali sono state distrutte, compresi negozi, stazioni di servizio e stabilimenti di calcestruzzo preconfezionato nell’area di confine e nella zona industriale di Beit Hanoun. Le forze armate israeliane hanno distrutto con i bulldozer migliaia di dunam [1 dunam= 1.000 mq.] di terra coltivata e serre nell’area di confine con il pretesto di colpire i tunnel.2
6. In base ai rapporti preliminari, anche molte istituzioni governative sono state colpite, compresi i ministeri delle Finanze, degli Interni e degli Affari Religiosi (awgaf), così come l’Amministrazione centrale del personale, oltre a dozzine di moschee. Nel corso degli eventi, documenti ufficiali e registrazioni, difficili o impossibili da recuperare, sono andati distrutti.3
Un bilancio completo sicuramente metterà in luce una dimensione ancora maggiore delle distruzioni. Gli sforzi di superare le conseguenze di questa guerra dovranno far fronte a parecchi ostacoli insormontabili.

Evitare gli errori del passato
La natura, le dimensioni e l’efficacia degli sforzi per la ricostruzione si baseranno sulle clausole di un accordo di tregua. Questo potrà spaziare da uno stop unilaterale di Israele alle sue operazioni militari, come ha fatto nel 2008-09, fino ad un rinnovo dell’accordo di cessate il fuoco concluso nel novembre 2012, che stabilì di alleggerire il blocco, di eliminare la zona cuscinetto lungo i confini tra Gaza e Israele e di estendere la zona di pesca da tre a sei miglia, con l’accordo di entrambe le parti per porre fine alle ostilità. Il governo israeliano ha applicato in parte queste condizioni per un tempo limitato. Il terzo e più positivo scenario è naturalmente la fine della guerra, il riconoscimento da parte di Israele del governo di unità [palestinese] e l’abolizione totale del blocco in preparazione di negoziati per una pace giusta e complessiva.
Molte domande sono sorte durante gli sforzi internazionali per la ricostruzione dopo un conflitto, nel momento in cui passano da un intervento [di ricostruzione] immediato a uno sviluppo complessivo e sostenibile. Per esempio, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla ricostruzione e sulla ristrutturazione [degli edifici esistenti] o sulla costruzione [di edifici nuovi] e sullo sviluppo? Nel secondo dopoguerra, per esempio, in Giappone la questione era:” Ci dobbiamo concentrare nella ristrutturazione di quello che la guerra ha distrutto o nel costruire tutto dalle fondamenta? L’approccio corretto risiede nella combinazione efficace delle due alternative. Ma, al di la dell’esperienza internazionale, ci sono insegnamenti specifici da imparare dai precedenti interventi a Gaza, specialmente in quanto non hanno avuto successo nel rimettere in piedi Gaza, per usare un eufemismo.
Il più grave errore che i donatori hanno fatto nel passato è stato di escludere i rappresentanti di Gaza, incluso Hamas stesso, negli sforzi di ricostruzione. Questo è successo durante la conferenza dei donatori di Sharm al-Sheikh nel marzo 2009 per ricostruire Gaza dopo l’attacco israeliano del 2008-09.
Erano presenti i rappresentanti di 70 Stati e 16 organizzazioni regionali, ma le istituzioni di Gaza, compresi i dirigenti di Hamas, erano assenti. Inoltre, il fatto che il piano fosse presentato solo in inglese (la versione in arabo fu disponibile solo mesi dopo) sottolineò la scarsa importanza che l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) attribuiva alla partecipazione della società civile nazionale, di istituzioni accademiche e non.
In quella conferenza l’ex primo ministro Salam Fayyad presentò un piano di 2.8 miliardi di dollari, ma più di metà di questo (il 52%) era destinato a finanziare il bilancio dell’ANP e a ridurne il deficit. Nei fatti, vennero assunti impegni per 4.48 miliardi di dollari- il 167% in più rispetto alle richieste dell’ANP-, un fatto raro nella storia delle donazioni. Ma l’attuale terribile situazione di Gaza, dove le infrastrutture e le persone soffrono ancora per i danni inflitti in quella guerra, solleva domande riguardo a se tali aiuti sono stati effettivamente ricevuti e se così [fosse], come e dove sono stati sborsati.
Infatti fino ad ora non esistono dati esaurienti che forniscano questa informazione. Coloro che sono sinceramente impegnati alla reale e duratura ricostruzione di Gaza, nell’attuale congiuntura dovrebbero porre queste domande, per evitare che la storia si ripeta.
Anche se Hamas non sarà presente alla conferenza dei donatori prevista per settembre in Norvegia – e non si prevede che verrà invitato, in base a fonti attendibili – ci sono altre istituzioni e voci da Gaza che potrebbero partecipare. Ciononostante, probabilmente Hamas sarà molto desideroso di fornire tutte le informazioni di cui l’ANP ha bisogno per fare la supervisione del processo di ricostruzione perché è interesse di Hamas farlo. Allo stesso tempo, Hamas vuole essere tenuto al corrente e coinvolto, anche se presumibilmente in secondo piano, in modo da garantire che la ricostruzione sia fatta correttamente. Ovviamente è anche desideroso di mostrare alla popolazione di Gaza che è partecipe del processo e di continuare a recuperare la propria popolarità.

Aiuti urgenti e necessità di sviluppo
In termini di aiuti urgenti alla popolazione, le necessità più impellenti sono le seguenti:

1. Riparare le reti idriche ed elettriche per garantire che i residenti di Gaza, soprattutto quelli più colpiti, abbiamo accesso a acqua sicura per prevenire gravi ripercussioni sulla salute pubblica
dovuti alla carenza di acqua potabile.

2. Riparare le linee elettriche che portano l’elettricità da Israele e cercare di aumentare l’importazione di corrente di 120 MW per ridurre la carenza a causa della chiusura dell’impianto locale di energia e per venire incontro ai bisogni attesi.

3. Importare e produrre in loco ripari prefabbricati che offrano un minimo di servizi di base per sistemare le migliaia di famiglie che hanno perso la casa durante la guerra e per riattivare l’economia. Questo sforzo dovrebbe includere sussidi economici per alcune di quelle famiglie perché affittino appartamenti nella Striscia di Gaza per alleggerire la pressione sociale e politica che si potrebbe accumulare se rimanessero senza un rifugio adeguato.

4. Aiutare il sistema sanitario a curare le migliaia di persone ferite durante la guerra. A causa delle molte strutture sanitarie parzialmente o totalmente distrutte, si avrà bisogno di ospedali da campo e di assistenza dall’estero. Dovrà essere prestata una speciale attenzione alle persone con disabilità e agli orfani che hanno perso le loro famiglie nella guerra.

5. Aumentare e sviluppare servizi di appoggio psicosociale per curare le decine di migliaia di cittadini, soprattutto bambini, che sono stati sottoposti a traumi psicosociali per aver perso le loro famiglie o per effetto della guerra stessa.

A medio termine, gli aiuti per lo sviluppo dovrebbero concentrarsi su:

1.Progetti ad alta intensità di lavoro negli ambiti abitativo, infrastrutturale, agricolo e peschiero per creare da subito lavoro e attività di sviluppo economico.

2. Coltivare le terre agricole nelle zone di confine per garantire che il settore agricolo contribuisca non solo alla creazione di lavoro ma anche all’approvvigionamento alimentare per la popolazione e fieno per il bestiame.

3. Ripulire alcune delle zone distrutte per permettere alle famiglie di tornare alle loro case, se abitabili, e per prevenire rischi per la salute nelle aree distrutte nei primi giorni della guerra.

4. Spazzare via e rimuovere i detriti dalle strade e dai luoghi pubblici per creare lavoro, incentivare le attività economiche e lottare contro la povertà e la miseria che molte famiglie hanno sofferto a causa della guerra e dell’attuale assedio.

Modi per far rivivere Gaza
Per ottenere quanto detto sopra, la comunità internazionale deve esercitare pressioni su Israele per mettere fine all’assedio e permettere l’entrata di materie prime a Gaza. Altrimenti Gaza nei prossimi anni sarà obbligata a vivere di aiuti.
Inoltre, come detto sopra, non si devono fare gli stessi errori. L’ANP così come i donatori internazionali e regionali dovrebbero consultarsi costantemente e regolarmente con i dirigenti di Hamas, le organizzazioni non governative, le associazioni di imprenditori e le università di Gaza per verificare i danni, progettare interventi e realizzarli. L’enfasi dovrebbe essere posta sul coinvolgimento ove possibile di imprese e istituzioni locali per ampliarlo il più possibile con lo scopo di garantire che la ricostruzione sia un processo nazionale piuttosto che internazionale e che la società palestinese riceva la maggior parte dei finanziamenti previsti.
C’è una necessità di coordinamento tra gli aiuti locali, regionali ed internazionali e le campagne per la raccolta fondi a favore di Gaza. Inoltre il lavoro sul terreno deve essere organizzato correttamente per evitare sovrapposizioni. Deve essere messo in atto un meccanismo trasparente di monitoraggio e accompagnamento di queste donazioni e [si devono] orientare i beneficiari perché vi abbiano accesso. Le iniziative dell’ente scelto per gestire questi fondi e le regole che dovrà applicare devono essere di dominio pubblico.
I palestinesi della diaspora potrebbero anche dimostrare di essere utili, contribuendo soprattutto con denaro e competenze, ma devono essere interpellati e coinvolti nel processo fin da subito. Il loro contributo e coinvolgimento non servirà solo a consolidare la riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma anche ad aiutare a dare un senso e un obiettivo a coloro che, nella diaspora, sono pronti a offrire il proprio aiuto. Essi possono anche servire a creare vincoli più forti tra loro e le comunità ed istituzioni di Gaza.
E’ altrettanto importante discutere il modo di utilizzare i depositi accumulati nel settore bancario, ad esempio tutti quelli delle banche che operano nei Territori occupati palestinesi, i cui fondi hanno raggiunto gli 8 miliardi di dollari. Una possibilità è che l’ANP prenda prestiti da queste banche e li usi per contrarre e pagare mutui per fornire appartamenti a favore di famiglie che hanno perso la propria casa durante la guerra. Vale la pena di notare che, ad esempio, qualche migliaio di appartamenti, soprattutto a Gaza City, ma anche in altre parti di Gaza, rimangono vuoti perché non sono a prezzi accessibili. Un sistema di mutui può essere istituito per utilizzare questi depositi e risolvere la crisi abitativa. Su larga scala, strumenti di investimento riconosciuti a livello internazionale come il franchising, collaborazioni strategiche e jont ventures possono essere utilizzati, soprattutto nel campo dell’energia e dell’elettricità, nella costruzione di un porto e di un aeroporto e in progetti di sviluppo regionale.
Queste sono solo alcune delle modalità per aiutare a ripristinare una vita normale e la dignità per i palestinesi di Gaza. Nel 2012, l’ONU stimava che Gaza sarebbe diventata invivibile nel 2020 se fosse continuato l’attuale andamento; questo prima dell’ultimo attacco israeliano. Se il milione ottocentomila palestinesi di Gaza non saranno condannati ad un luogo invivibile, la corretta ricostruzione deve iniziare al più presto.


Omar Shaban è il fondatore e direttore dell PalThink di Studi Strategici di Gaza, un gruppo di studio indipendente senza affiliazioni politiche. E’ un analista di politica economica del Medio Oriente e uno scrittore e commentatore fisso per media arabi ed internazionali. Omar è il fondatore dei gruppi palestinesi di Amnesty International, [è] vice presidente del consiglio di amministrazione di Asala, un’associazione che promuove il microcredito per le donne e un membro dell’Istituto per la Buona Amministrazione.

Al-Shabaka, il network politico palestinese, è un’organizzazione indipendente, senza affiliazione partitica e no profit, il cui scopo è di sviluppare e alimentare un pubblico dibattito sui diritti umani e sull’autodeterminazione dei palestinesi nel quadro delle leggi internazionali. Le sintesi politiche di Al-Shabaka possono essere riprodotte con la debita attribuzione ad Al-Shabaka.
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Note

1 Intervista dell’autore al direttore dell’autorità energetica per Gaza, agosto 2014
2 Intervista dell’autore al ministro dell’Agricoltura di Gaza, agosto 2014.
3 Rapporto per la stampa stilato dal ministero dell'informazione di Gaza, agosto 2014.

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