venerdì 2 novembre 2012

Il commercio allontana la pace: gli aiuti europei forniscono un sostegno alle colonie israeliane

dalla Coalizione di 22 ONG L’Unione Europea importa dalle colonie israeliane illegali nei Territori Palestinesi Occupati quindici volte più di quanto non faccia dai palestinesi stessi, è ciò che oggi riporta un nuovo rapporto redatto da una coalizione di 22 ONG non governative, tra cui la Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), l’Aiuto Cristiano di Gran Bretagna e Irlanda e Diaconia. Il rapporto intitolato "Il commercio allontana la pace: come gli aiuti europei forniscono un sostegno alle colonie israeliane illegali", è il primo documento che confronta i dati disponibili delle esportazioni delle colonie israeliane e dei palestinesi, e mette in evidenza l’incoerenza che è al centro della politica europea. L’Unione Europea dichiara che "in base al diritto internazionale le colonie sono illegali, costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano di rendere impossibile la soluzione a Due-Stati", ma continua a fornire un mercato di primaria importanza per l’esportazione dei prodotti delle colonie. La maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea non è stata in grado di garantire che, nei negozi, le merci siano correttamente etichettate, lasciando i consumatori ignari dell’origine effettiva dei prodotti, in contrasto con le direttive stesse dell’Unione Europea. William Bell, responsabile della tutela legale e politica dell’Aiuto Cristiano della Gran Bretagna e Irlanda ha rilevato: "L’Europa dichiara che le colonie sono illegali secondo il diritto internazionale e continua a commerciare ancora con loro. I consumatori sono ignari di contribuire a un’ingiustizia con l’acquisto di prodotti che vengono etichettati erroneamente come provenienti da Israele, quando, in realtà, sono delle colonie nella West Bank." Il rapporto, che ha una prefazione dell’ex commissario per le relazioni esterne, Hans van den Broek, invita i governi europei ad adottare una serie di misure concrete per fermare l’espansione delle colonie e colmare il divario esistente tra le parole e la pratica. Come minimo, la coalizione chiede che si abbiano linee di guida chiare nel campo dell’etichettatura per garantire i consumatori europei che non acquistino senza saperlo generi provenienti dalle colonie. Tali linee guida esistono già in Gran Bretagna e in Danimarca, e sono allo studio in molti altri stati membri, tra i quali la Svezia e la Finlandia. Il commercio con le colonie è stato all’ordine del giorno dell’UE fin dal maggio scorso, allorché i ministri degli esteri hanno criticato fortemente "la forte accelerazione della costruzione delle colonie" e, per la prima volta, hanno richiesto la piena applicazione della legislazione dell’UE in vigore per quanto riguarda i prodotti provenienti dalle colonie. Il governo israeliano stima il valore delle importazioni europee dalle colonie di circa 230 milioni di Euro all’anno, rispetto ai 15 milioni l’anno per quanto riguarda i palestinesi. [1] Il divario è pilotato in parte dalla politica di Israele che fornisce ingenti sussidi ai coloni, che includono le infrastrutture, lo sviluppo delle attività economiche e l’agricoltura e che impone rigide restrizioni all’accesso palestinese ai mercati e alle risorse. I coloni godono di facile accesso ai mercati esteri e hanno istituito complessi agroindustriali moderni e zone industriali. Al contrario, l’economia palestinese è "fortemente limitata da un sistema di restrizioni a più livelli" imposto da Israele, tra cui blocchi stradali, posti di blocco e accesso limitato alla terra, all’acqua e ai fertilizzanti. Di conseguenza, le esportazioni palestinesi sono precipitate da oltre la metà del PIL nel 1980, a meno del 15% del PIL negli ultimi anni, che annulla di fatto l’accordo commerciale preferenziale dell’UE con i palestinesi. Il dottor Phillis Starkey, ex parlamentare britannico e amministratore fiduciario dell’ Aiuto Sanitario per i Palestinesi ha detto: "L’Unione Europea spende ogni anno centinaia di milioni di euro per supportare la costruzione dello Stato Palestinese, ma poi intacca tale assistenza commerciando con le colonie illegali, tanto da contribuire in tal modo alla loro produttività ed espansione." Tra i prodotti delle colonie in vendita in Europa ci sono datteri, uva, agrumi, erbe aromatiche, vini, cosmetici Ahava, alcuni dispositivi di carbonatazione per la SodaStream e mobili da giardino in plastica fatti dalla Keter. Souhayr Belhassen, presidente della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH) ha affermato che "Generi delle colonie nella West Bank vengono prodotti grazie alla demolizione di case, alla confisca di terre e all’occupazione militare. I governi devono alla fin fine superare la condanna retorica delle colonie, e come minimo garantire che, nei negozi, i consumatori possano prendere decisioni che siano documentate su tali prodotti. Questo non è altro che per rispetto del diritto europeo e internazionale." (tradotto da mariano mingarelli) [1] - Se si tiene conto che gli israeliani insediati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (territori occupati per la legge internazionale) sono circa 500mila, l'UE importa 100 volte di più da un colono che da un palestinese.

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