martedì 27 novembre 2012

Val la pena di essere equanimi?

di Paola Caridi Val la pena di essere equanimi? Era il titolo di un commento scritto sulla prima fase della guerra dei Balcani da uno dei miei più cari e mai dimenticati amici, Mauro Martini, grande slavista, morto nel 2005. Val la pena di essere equanimi? Val la pena di mettere sullo stesso piano i due contendenti, insomma, e dire che sono uguali, che hanno uguali colpe e uguali ragioni? Eppure è una domanda cruciale, non solo dal punto di vista meramente politico, ma dal punto di vista etico. Se valga la pena, oggi, di fronte a quello che sta succedendo a Gaza, e sottolineo a Gaza, essere equanimi. Non voglio più fare paragoni. Non voglio più paragonare un razzo sparato da Gaza con un raid aereo su Gaza. Non voglio più sprecare energia a soppesare gli oltre 800 razzi sparati da Gaza con gli oltre 1300 “obiettivi” colpiti dai caccia israeliani dentro la Striscia di Gaza. Non voglio più discutere se la massa della popolazione palestinese di Gaza, sotto assedio da così tanti anni che ce ne siamo dimenticati, sia ostaggio del regime di Hamas, in una striscia di terra di 400 chilometri quadrati in cui si è ostaggio solo della propria disperazione. E della impossibilità di scappare, di scappare in un rifugio (inesistente) o in un campo profughi. Gaza, dal 1948, è già stata trasformata in un enorme campo profughi, e solo chi non c’è mai stato può pensare a Gaza come a un posto normale, in cui ci sono città, campagna, caserme, sedi di governo, tutte suddivise, tutte distanti, e non invece accatastate, affastellate, mescolate… Non voglio più essere equanime, se l’equanimità significa ingiustizia. E lo dico dopo aver colloquiato con i miei amici israeliani a Tel Aviv, che le sirene dell’allarme le sentono. Non voglio più essere equanime, se equanimità significa ipocrisia (della comunità internazionale) senza costrutto, mancanza di qualsiasi strategia per il mondo arabo post-rivoluzioni, incapacità di dire al proprio alleato (Israele) che non è permesso fare qualsiasi cosa. Compreso colpire in cinque giorni oltre 1300 obiettivi (e non sono stati tutti obiettivi militari, come dimostra l’ultimo ‘episodio’, il massacro di una intera famiglia, 12 persone, tra le quali 4 bambini), uccidere circa 90 persone di cui buona parte civili, ferirne altre mille, terrorizzare oltre un milione e mezzo di persone con decine e decine e decine di raid ogni notte. Ho vissuto in Medio Oriente (e soprattutto a Gerusalemme) troppo a lungo perché mi si possa dire che è tutta colpa dei palestinesi e tutta colpa di Hamas. Ho dovuto lottare, nel 2005, perché non si dicesse (come invece si è detto) che Ariel Sharon era un fine stratega, e aveva capito come risolvere il conflitto israelo-palestinese ‘disimpegnando’ Israele da Gaza: ha fatto solo l’ennesimo, l’ultimo danno che poteva fare, tentando ancora una volta di spaccare Gaza dalla Cisgiordania, e dividere la Palestina. Ho dovuto lottare, per tutto il 2006 e il 2007, da Gerusalemme, per far comprendere che non si poteva caldeggiare le elezioni palestinesi, mandare 800 osservatori internazionali, e poi dire che si era sbagliati perché aveva vinto Hamas. Bisognava anzi, pragmaticamente, sfruttare questa occasione per sostenere l’ala pragmatica di Hamas e ‘blindarla’ in una cornice istituzionale. No, non l’abbiamo fatto. Anzi, per quanto possibile siamo riusciti anche a far emergere l’ala più dura, perché così potevamo continuare a usare le categorie precedenti e bearci di un processo di pace man mano avvizzito, consunto, comatoso. E ora definitivamente morto. Così, abbiamo continuato a leggere la realtà mediorientale secondo una trita visione orientalista che le rivoluzioni del 2011 hanno spazzato via. Ora, parliamo con i Fratelli Musulmani come se niente fosse, dopo averli emarginati per decenni: facciamo affari con loro, chiediamo la loro mediazione (egiziana) su Gaza e siamo diventati più realisti del re. Perché non ci siamo attrezzati prima, siamo stati travolti, e ora facciamo i Realpolitiker di basso cabotaggio. Non sono equanime, su questa ultima, inutile, vergognosa guerra su Gaza. Ne va della mia dignità, e della mia saldezza morale.

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