sabato 19 novembre 2011

Liberati? Nessuno è libero in Palestina.

Israele interroga e minaccia prigionieri palestinesi appena liberati
di Mikaela Levin


Un gruppo di prigionieri palestinesi liberati nello scambio con il soldato Shalit sono stati soggetto di intimidazione da parte dell’esercito israeliano e delle forze di sicurezza.


Nael e Fakhri Barghouti, rilasciati appena tre settimane fa dalle prigioni israeliane (Foto: Ana Alba)

Era la loro 25ima notte di libertà. Si trovavano nella loro casa, ancora godendosi la meraviglia del cibo fatto in casa e la compagnia dei loro cari, quando hanno sentito soldati israeliani entrare nel villaggio. Kobar è una piccola cittadina poco fuori Ramallah, dove tutto conoscono tutti. Ogni angolo, ogni muro, ha graffiti e disegni con i volti dei prigionieri della famiglia Barghouti.





Ieri, lunedì 14 novembre, poco dopo le 2 di notte, soldati israeliani hanno bussato alle porte della casa dei due ex prigionieri, Nael e Fakhri Barghouti, liberati nello massiccio scambio di detenuti palestinesi con il soldato Gilad Shalit. I militari hanno consegnato loro degli ordini di comparizione, ordinando di recarsi la mattina seguente al carcere di Ofer per un interrogatorio.

Uno dei cugini, anche lui di nome Fakhri, ha parlato dell’interrogatorio all’Alternative Information Center: “Hanno incontrato l’ufficiali dell’intelligence responsabile per l’intera regione, un capitano. Era un semplice interrogatorio con domande ordinarie. Voleva solo presentarsi”.

Durante il cosiddetto interrogatorio, il capitano israeliano ha ricordato agli ex detenuti che avrebbero dovuto evitare di compiere qualsiasi atto “pericoloso”.

Secondo i media palestinesi, altri nove ex prigionieri liberati in cambio di Shalit hanno ricevuto la stessa notifica per un incontro con un ufficiale israeliano. Alcuni hanno ricevuto l’ordine domenica notte. Come riportato dall’agenzia di stampa palestinese WAFA, un gruppo di soldati israeliani hanno fatto irruzione nella casa di Somud Karajeh a Saffa, città ad Est di Ramallah: hanno portato tutta la famiglia fuori, hanno perquisito l’abitazione e hanno controllato le carte di identità di tutti i familiari.

Karajeh stava scontando una pena di vent’anni di carcere per aver accoltellato un soldato israeliano nel checkpoint di Qalandyia, quando è stata liberata nell’accordo tra Hamas e Israele dello scorso 18 ottobre. Solo poche ore dopo che i militari israeliani si erano presentati nella sua casa per consegnarle l’ordine di comparizione, si è recata nel carcere di Ofer per l’interrogatorio con il capitano dell’intelligence.

Stessa scena a Qalqilya, città completamente circondata dal Muro di Separazione e a soli 15 chilometri da Tel Aviv; nella città di Jenin; e nel campo profughi di Balata, vicino alla città di Nablus. Alcuni dei detenuti liberati hanno subito restrizioni al movimento per ragioni di sicurezza – Nael Barghouti, ad esempio, non è autorizzato a lasciare il distretto di Ramallah per i prossimi tre anni – ma alcuni no. Alcuni di loro stavano scontando un ergastolo, altri dai 5 ai 14 anni di prigione.

Solo due settimane fa dopo il rilascio, l’AIC ha parlato con i cugini Barghouti nella loro casa. Stavano ancora tentando di riabituarsi alla presenza dei familiari intorno a loro. Erano felici, ma cauti. Nael Barghouti aveva sottolineato: “La lotta non è finita. Siamo liberi, ma l’occupazione c’è ancora, ci opprime tutti”.

L’ordine di comparizione consegnato di notte e il cosiddetto interrogatorio con il capitano dell’intelligence provano che Barghouti ha ragione.

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