giovedì 3 settembre 2009

NUOVI COLONI AMERICANI

“Ragazzi americani sono tornati in Israele per combattere”

In questi giorni, ragazzi statunitensi non stanno andando in Israele giusto per vivere in un kibbutz – alcuni tra loro sono disposti ad essere assunti nelle forze armate israeliane che operano nella West Bank.
di Matt McAllester

Quest’anno, al più tardi, il 21 enne Ephraim Khantsis riempirà due valigie, saluterà sua madre, lascerà la sua casa a Brooklyn e se ne andrà in Israele. Al suo arrivo a Gerusalemme si iscriverà ad una yeshiva, o scuola religiosa, che è benvista dagli americani. Dopo pochi mesi egli prenderà la sua strada diretta a nord, verso un luogo che questo giovane americano sente come la sua vera casa: la colonia ebraica di Kfar Tapuach.

Appollaiata su una collina appena fuori la Route 60, la strada principale nella West Bank occupata con direzione nord-sud, Kfar Tapuach è nota come una comunità particolarmente integralista. Abitata da circa 600 persone, la colonia ha una storia di accoglienza nei confronti degli immigrati americani le cui convinzioni ed attività hanno alzato il livello di allarme tra i servizi segreti israeliani, spingendoli a tenerla sotto controllo essendo un porto sicuro per sospetti terroristi.

Khantsis, che sta per ottenere la cittadinanza israeliana, si adatterà completamente. Come il rabbino assassinato Meir Kahane, nato a Brooklyn, l’uomo che a Kfar Tapuach taluni considerano come il loro capo spirituale, anche Khantsis ritiene che tutti gli arabi ed i palestinesi dovrebbero essere allontanati con la forza dal territorio controllato da Israele, compresa la West Bank.

“Questo è il modo più umano per risolvere la situazione,” sostiene Khantsis – appena laureato alla Stony Brook University di Long Island in scienza del computer – mentre, nel giugno di quest’anno, sta sorseggiando una soda in una pizzeria kasher gestita da israeliani in Bensonhurst, a Brooklyn,.Egli riconosce che quello che sta sostenendo risulta una pulizia etnica.

Mentre un tale punto di vista è improbabile che venga a prevalere in Israele, c’è una promessa, fatta da Khantsis, che potrebbe essere ancor più preoccupante per le autorità israeliane, e che è ancora possibile sentire pronunciata dagli americani che vivono tuttora nelle colonie: Se le forze armate israeliane dovessero venire per toglierlo dalla sua nuova casa – e molti in Israele ritengono che una tale eventualità sia verosimile – lui non se ne andrà pacificamente.

“Io mi sarei opposto con tutte le mie forze, e non avrei lasciato nulla di intentato pur di cercare di impedirlo,” afferma il ragazzo magro con una yarmulka nera in capo. Egli parla così sottovoce che, al momento, è molto difficile percepirlo. “Se loro usano la violenza, allora, noi siamo giustificati se ci comportiamo allo stesso modo.”

Avrebbe incluso anche l’uso delle armi?

“Si,” risponde.

Sarebbe stato assolutamente certo che avrebbe rivolto le armi contro i soldati israeliani?

“Davvero. Mi auguro ardentemente che mai accada,” dice. Ma “nel caso in cui loro ci stiano già sparando addosso, non ho scelta. Non ritengo che sia giusto porgere l’altra guancia. Non è cosa da ebreo comportarsi in questo modo.”

Dopo che Israele vinse la guerra dei sei giorni del 1967 e assunse il controllo della Striscia di Gaza e della West Bank – aree palestinesi che erano state rette rispettivamente dall’Egitto e dalla Giordania – ebrei religiosi e conservatori cominciarono subito a insistere per la fondazione di comunità su quella che consideravano la terra loro promessa da Dio. All’inizio, il governo israeliano si rifiutò di permettere loro di edificare nei territori occupati, ma con il passare degli anni, saltarono fuori all’improvviso case ed affari.

1 commento:

Andrea ha detto...

In un editoriale pubblicato sabato sul Washington Post, l'ex presidente Usa Jimmy Carter ha scritto che “la maggioranza dei dirigenti palestinesi che ho incontrato pensano seriamente a un unico stato bi-nazionale tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo, abbandonando il sogno di una Palestina indipendente” a fianco di Israele. Lo stesso Carter aggiunge che “nel giro di qualche anno” gli arabi costituirebbero la maggioranza dell’ipotetico stato bi-nazionale.