venerdì 11 marzo 2011

La persistenza dell'occupazione

Perché l'occupazione di Israele non ha fine
di Omar H. Rahman



I leader politici di tutto il mondo credono di poter convincere i politici di Israele a porre fine all'occupazione del territorio palestinese, con scenari apocalittici e con argomenti intelligenti, nonostante decenni di esperienza dimostrino che non è possibile. E' più prudente pensare, tuttavia, che la determinazione a porre fine all'occupazione israeliana sarà basata sugli stessi fattori che tutti i politici considerano quando si arriva a una decisione. Cosa provoca lo status quo su di me? Quanto sarà duro da un punto di vista politico effettuare cambiamenti a lungo termine? La triste realtà è che i leader israeliani oggi hanno pochi incentivi immediati per affrontare la sfida di porre fine all'occupazione, nonostante le terribili conseguenze a lungo termine del non farlo. Pertanto, invece di aspettare il giorno dell’arrivo di uno statista israeliano visionario, il mondo deve prendere posizione e cambiare l'attuale analisi costi-benefici dell'occupazione che, secondo i politici israeliani, finora è favorevole.

E' importante capire che l'occupazione del territorio palestinese dopo la guerra del 1967, costituì un dilemma immediato e inconciliabile per i leader israeliani. Più di qualsiasi altro territorio, Israele ha cercato di annettersi la Cisgiordania; tuttavia, non ha voluto inglobare la numerosa popolazione palestinese che vi viveva già. E' stata una chiara dimostrazione di come Israele vuole la dote, ma non la sposa, e la situazione di oggi è una diretta espressione di tale dilemma.

Nel corso dei decenni successivi, l'occupazione del territorio palestinese è stata un'impresa a costo sufficientemente basso. I militari israeliani hanno gestito direttamente tutti gli aspetti della vita quotidiana della popolazione palestinese e hanno fornito servizi minimi come parte della loro responsabilità in quanto potenza occupante. Poi, durante la prima rivolta palestinese alla fine del 1980, il costo politico e militare del controllo di una popolazione palestinese civilmente disobbediente è diventato troppo alto per Israele. Per la prima volta, Israele è stato costretto a trattare con le aspirazioni nazionali del popolo palestinese, il cui esito finale è stato quello degli Accordi di Oslo firmati nel 1993 sul prato della Casa Bianca.

Tale accordo disegnava un graduale ritrarsi dell'occupazione e la sua sostituzione con istituzioni palestinesi, che si sarebbe concluso con il riconoscimento dello stato palestinese da parte di Israele. Il risultato reale, tuttavia, è stato quasi l'opposto: la nuova Autorità Nazionale Palestinese ha acquisito all’apparenza il controllo diretto dei centri abitati, mentre l'esercito israeliano ha intensificato l'occupazione di tutto il resto. In sostanza, Israele ha ceduto la responsabilità diretta sulla gente, pur continuando ad avanzare pretese sui vantaggi provenienti dalla terra. La fase intermedia di Oslo ha dato ai leader israeliani quello status quo che hanno sempre desiderato e l'illusione di una risposta al permanente dilemma della loro occupazione. Oggi, non solo Israele non paga per le conseguenze dell'occupazione, ma il paese in realtà si è trasformato in una fonte di profitto e l'interesse a porre fine all'occupazione è in gran parte scomparso dalla coscienza pubblica israeliana.

Infatti, la speculazione commerciale si estende dall’impresa dell’insediamento israeliano a tutti i settori dell'economia ed è diventata – quello che molti definirebbero - un grande affare. Ad esempio, Israele mantiene il completo controllo militare e amministrativo sulla Valle del Giordano, il tratto di terra immediatamente ad ovest del fiume Giordano, che rappresenta circa il 30 per cento della Cisgiordania. La Valle del Giordano, non solo possiede notevoli risorse naturali, ma è anche la riserva agricola della West Bank e include il Mar Morto, un'altra grande fonte di reddito. Israele gestisce l'intero settore agro-alimentare della Valle del Giordano, i cui prodotti si dirigono verso i mercati di tutto il mondo.

Israele mantiene anche il completo controllo, e il libero accesso alle risorse naturali della Palestina, compreso il campo elettromagnetico e le falde acquifere, per non parlare della decennale dipendenza di Israele dalla manodopera palestinese a basso costo. In realtà, degli 800 milioni di metri cubi di acqua attinta annualmente dalle falde acquifere nei territori occupati della Cisgiordania, Israele ne prende 688 milioni di metri cubi e che rivende in gran parte ai palestinesi per tornaconto economico.

Inoltre, Israele si serve attualmente di alcune importanti cave di pietra che si trovano in terreni occupati e le utilizza per la produzione di pietra da taglio e di cemento. Mentre nega ai palestinesi il diritto di costruire proprie fabbriche di cemento, Israele esporta 2 milioni di tonnellate di cemento all'anno ai palestinesi. Inoltre, Israele ha proibito ai palestinesi di costruire i propri impianti di energia elettrica, malgrado siano in grado di farlo e sia stata offerta loro per anni assistenza in tale campo da parte di terzi. Di conseguenza, i palestinesi acquistano 97,7 per cento della loro elettricità da Israele. In sostanza, Israele sta impedendo ai palestinesi lo sviluppo delle proprie capacità in modo che, non in grado di provvedere a se stessi, loro possano continuare a sfruttarne i mercati.

Il reato più eclatante e risaputo, tuttavia, è il regime di restrizioni imposte da Israele ai movimenti dei palestinesi nei territori occupati. Questo regime fa lievitare per i palestinesi il costo degli affari, dando alle società israeliane un netto vantaggio competitivo sul mercato palestinese. Andate in qualsiasi negozio di alimentari palestinese, e lo troverete pieno di prodotti israeliani perché i palestinesi hanno poche alternative. E questa è solo la punta dell'iceberg. L'elenco dello sciacallaggio commerciale si allunga sempre di più, dal turismo alla costruzione di opere di difesa, Israele sta facendo soldi con l'occupazione.

Tutto ciò distoglie i leader israeliani dalla realtà che l'occupazione della Palestina sta diventando una nuova forma di apartheid. Nel momento in cui Israele ha iniziato a trasferire la sua popolazione civile nei territori occupati è iniziato questo tragico processo. In tal modo, Israele ha creato un intero sistema che facilita il processo di separazione a vantaggio di un popolo rispetto a un altro. Leggi separate, strade, infrastrutture e gli insediamenti sono la realtà viva, profonda del territorio palestinese occupato. A meno che tutto questo non venga smantellato, il compromesso dei due-stati resterà un vuoto slogan senza futuro, e come molti stanno cominciando a supporre, potrebbe contribuire a determinare un risultato più brutto per i drammatici cambiamenti regionali in corso in questo momento. Ma resta a Israele il beneficio di prendere l'iniziativa per evitare che questo esito non si verifichi in assenza di incoraggiamento a causa dei costi e dei vantaggi a breve termine.

Purtroppo, il processo diplomatico che, a metà degli anni 1990, si proponeva di raggiungere un accordo permanente entro cinque anni si è protratto per oltre 15, con i palestinesi ai quali è stato detto che non hanno altra strada per la libertà al di fuori dei negoziati. Basta leggere i documenti rilasciati da Al Jazeera e The Guardian per verificare di persona che, anche nei negoziati, Israele non è interessato a raggiungere una soluzione definitiva che non soddisfi l'obiettivo di mantenere la propria presenza nel territorio occupato. Gli Stati Uniti sono stati complici di questo sforzo, bloccando ogni iniziativa per risolvere la questione palestinese al di fuori di interminabili negoziati bilaterali. La decisione degli Stati Uniti di bloccare una Risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ribadiva l'illegalità degli insediamenti israeliani è l'esempio più recente e illuminante di questa politica.

D'altra parte, molti leader israeliani, tra cui il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman - che attualmente vive in un insediamento illegale in Cisgiordania - hanno sostenuto che una soluzione a due-Stati non può essere raggiunta in un prossimo futuro. Lieberman ha proposto piuttosto una soluzione con confini provvisori. Allo stesso modo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta promuovendo l'iniziativa di una cosiddetta "pace economica". Entrambe sono forme per mantenere lo status quo, che servono solo a distruggere la possibilità di due-Stati, consentendo all’attività di colonizzazione di rafforzarsi ulteriormente. Tuttavia, il tempo per le mezze misure e gli accordi provvisori è finito. La risposta all'immobilità politica deve incidere sul processo decisionale, sostanzialmente, alterando l'equilibrio costi-benefici dell'occupazione.

Ci sono diversi modi per produrre questo risultato. In primo luogo, la comunità internazionale deve far capire ad Israele che ci sarà un costo politico ed economico dato dal protrarsi della sua occupazione. Rimproverare semplicemente gli israeliani non è sufficiente a farli agire - la comunità internazionale deve rispondere con la pressione economica e politica. Gli Stati terzi dovrebbero agire secondo i loro obblighi, come definito dalla Corte Internazionale di Giustizia e bandire dai propri mercati i beni prodotti nelle colonie israeliane. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe rafforzare questi divieti con misure pratiche per individuare e impedire a terzi di fare affari con, o nelle colonie. Il governo palestinese ha già adottato questo approccio e ha preso l'iniziativa di fare una distinzione e di boicottare i prodotti provenienti dalle colonie. Questa politica non si discosta dal consenso internazionale relativo agli insediamenti, ma fornisce piuttosto un modo pratico per gli Stati di dare attuazione alle posizioni da loro dichiarate tanto da aumentare i costi politici e finanziari dell'occupazione.

Un occasione d'oro si è presentata ai palestinesi ed essi devono cogliere questo momento, o rischiano di perdere per sempre. Lungi dal danneggiare o limitare le loro capacità, la fine delle trattative ha liberato i palestinesi in modo tale che ora possono agire nel modo migliore per i propri interessi. I due pilastri della liberazione nazionale palestinese, la lotta armata e i negoziati bilaterali, sono stati entrambi screditati per l'incapacità di produrre risultati positivi. Eppure, intorno a loro, in tutta la regione il cambiamento è radicale, grazie alla forza del "potere del popolo" che sta vincendo col duro lavoro e il sacrificio dei loro vicini arabi. Anche se i palestinesi non sono stati oppressi per decenni sotto il pugno di ferro di un dittatore “fatto in casa”, sono stati oppressi e continuamente espropriati dal braccio forte dell'occupazione. L'esercizio della lotta popolare non violenta contro gli strumenti dell’occupazione e delle colonie deve diventare il modus operandi di un movimento di liberazione neo-palestinese. Allo stesso modo in cui i palestinesi hanno già iniziato a manifestare pacificamente contro il muro di Israele in posti come Budrus e Bil'in, in tutti i territori i palestinesi , sempre e ovunque essi vivano, devono confrontarsi con tali strumenti con manifestazioni vaste, organizzate e pacifiche. Questo coinvolge anche i confini, oltre i quali grandi comunità di profughi hanno atteso invano per 62 anni una soluzione alla loro terribile situazione.

Finché Israele beneficerà dello stato attuale delle cose, è irragionevole aspettarsi che i politici israeliani modifichino drasticamente l'attuale situazione in vista di quello che potrebbe essere un probabile sconvolgimento su vasta scala. Inoltre, la natura della struttura politica frammentata di Israele, dove i piccoli partiti esercitano un'influenza sproporzionata, non facilita i cambiamenti. Il modo migliore per superare tutto ciò sta nell’esercitare una pressione sul centro di Israele, rendendo politicamente ed economicamente scomodo sostenere lo status quo. Tale azione avrà un impatto drammatico sul modo in cui i politici israeliani percepiscono l'impresa degli insediamenti e il futuro dell'occupazione. L'era in cui l'occupazione di Israele produce dividendi deve finire. Solo allora potremo vedere un cambiamento.

Omar H. Rahman è un giornalista che si occupa di questioni socio-politiche nella regione del Medio Oriente. È un ex consulente della squadra dei negoziatori palestinesi ed attualmente vive a Ramallah.

(tradotto da barbara gagliardi)

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