sabato 12 febbraio 2011

La ribellione egiziana e le sue implicazioni in Palestina

Questo articolo è stato scritto il 29 gennaio e come a dimostrare la giustezza delle analisi di Ali Abunimah, il primo febbraio il re giordano Abdallah ha licenziato il vecchio primo ministro sostituendolo con Maarouf Bakhit. L’obiettivo del monarca giordano era quello di stemperare la determinazione delle folle popolari che chiedevano riforme economiche e politiche oltre a manifestare solidarietà con il popolo tunisino ed egiziano. Il tentativo è miseramente fallito, ed è di oggi la notizia che le tribù beduine più vicine alla casa regnante hanno rotto un silenzio decennale per accusare la regina di corruzione.
Il 2 febbraio il dittatore yemenita, Ali Abdallah Saleh, ha tentato dal canto suo di tendere una mano all’opposizione, che da giorni è in piazza per chiedere la fine del regime, annunciando che alla fine del suo mandato, nel 2013, non si ripresenterà ed avvierà nel frattempo riforme politiche.
Come è noto, inoltre, molti altri Paesi della regione mediorientale, compresi i territori di Cisgiordania e Gaza, sono stati teatro, dopo la stesura di questo articolo, di manifestazioni che coniugano la solidarietà verso l’Egitto e rivendicazioni interne politiche, economiche e culturali, nonostante i divieti e le azioni repressive dell’ANP di Abu Mazen in Cisgiordania e di Hamas a Gaza. [C.N.]





La ribellione egiziana e le sue implicazioni in Palestina

Abunimah Ali
29 Gennaio 2011
n°20056

Siamo nel mezzo di un terremoto politico nel mondo arabo e la terra non ha ancora smesso di tremare. Fare previsioni quando gli eventi sono così mutevoli è rischioso, ma non c’è dubbio che la ribellione in Egitto – comunque finisca – avrà un impatto drammatico nella regione mediorientale e in Palestina.

Se il regime di Mubarak cadesse, e fosse rimpiazzato da uno meno legato a Israele e agli Stati Uniti, Israele perderebbe. Come ha commentato Aluf Benn su Haaretz, “Il dissolversi del potere del governo del presidente Hosni Mubarak in Egitto lascia Israele in uno stato di angoscia strategica. Senza Mubarak, Israele resta quasi senza amici in Medioriente; lo scorso anno, Israele ha visto indebolirsi la sua alleanza con la Turchia”. [1]

Inoltre, Benn osserva: “Israele ha due alleati strategici nella regione: la Giordania e l’Autorità Palestinese.” Ma ciò che Benn non dice è che nemmeno questi due “alleati” saranno immuni dagli effetti di ciò che sta avvenendo.

Nelle ultime due settimane sono stato a Doha a esaminare i Palestine Papers resi pubblici da Al Jazeera. Questi documenti sottolineano fino a che punto la divisione tra l’Autorità Palestinese a Ramallah (appoggiata dagli Stati Uniti e capeggiata da Mahmoud Abbas e da Fatah), da un lato, e Hamas nella striscia di Gaza, dall’altro, è stata il risultato di una decisione politica di tre attori regionali: gli Stati Uniti, l’Egitto e Israele [2]. Questa politica includeva la rigorosa applicazione da parte dell’Egitto dell’assedio di Gaza.

Se il regime di Mubarak cadesse, gli Stati Uniti perderebbero l’enorme influenza che hanno sulla situazione in Palestina e l’Autorità Palestinese di Abbas perderebbe uno dei suoi principali alleati contro Hamas.
Già screditata dal livello della sua collaborazione, come è dimostrato dai Palestine Papers, l’Autorità Palestinese sarà indebolita maggiormente. Senza un credibile “processo di pace” a giustificare il suo continuo “coordinamento della sicurezza” con Israele, o addirittura la sua esistenza, potrebbe cominciare il conto alla rovescia per l’implosione dell’Autorità Palestinese. Anche il supporto al repressivo Stato di polizia in costruzione dell’Autorità Palestinese da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea non sarebbe più politicamente difendibile. Hamas sarebbe l’immediato beneficiario di questa situazione, ma non necessariamente per lungo tempo. Per la prima volta da anni stiamo vedendo ampi movimenti di massa che, se includono anche le organizzazioni islamiche, non sono necessariamente dominati o controllati da queste.
C’è anche un effetto dimostrativo per i palestinesi: la durata dei regimi tunisino e egiziano si è basata sulla percezione che essi fossero forti e sulla loro capacità di terrorizzare alcune fasce di popolazione e di cooptarne delle altre. La relativa facilità con cui i tunisini si sono liberati del loro dittatore e la velocità con cui l’Egitto, e forse anche lo Yemen, sembrano seguire la medesima strada, possono rappresentare un messaggio per i palestinesi: né le forze di sicurezza israeliane, né quelle dell’Autorità Palestinese sono imbattibili come appaiono. In verità, la “deterrenza” di Israele ha già subito un duro colpo a causa del fallimento del tentativo di sconfiggere Hezbollah in Libano nel 2006 e Hamas a Gaza con gli attacchi dell’inverno 2008-2009.
Per questo motivo per l’Autorità Palestinese di Abbas, non è mai stato speso tanto denaro internazionale in forze di sicurezza con risultati così scarsi. Il segreto di Pulcinella è che senza l’occupazione da parte di Israele della Cisgiordania e senza il suo assedio a Gaza (con l’aiuto del regime di Mubarak), Abbas e i suoi apparati di sicurezza sarebbero caduti molto tempo fa. Sulla base di un falso processo di pace, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Israele col supporto dei decrepiti regimi arabi che sono ora sotto la minaccia della loro popolazione, hanno costruito in Palestina un castello di carte che probabilmente non starà in piedi ancora molto a lungo.
Questa volta il messaggio può essere che la risposta non sia tanto la resistenza militare quanto piuttosto il potere del popolo e la forte enfasi delle proteste popolari. Oggi, i palestinesi sono almeno metà della popolazione nella Palestina storica – Israele, la Cisgiordania e la striscia di Gaza unite. Se insorgessero tutti insieme per chiedere uguali diritti, cosa potrebbe fare Israele per fermarli? La brutale violenza di Israele e la sua forza letale non hanno fermato regolari manifestazioni nei villaggi della Cisgiordania inclusi Bilin e Beit Ommar.
Israele deve comunque mettere in conto che rispondendo a ogni ribellione con la forza, il suo già precario supporto internazionale possa cominciare a svanire velocemente come quello verso Mubarak. Il regime di Mubarak, sembra, stia subendo una rapida “delegittimazione”. I leader israeliani hanno chiarito di temere l’eventuale venir meno del supporto internazionale molto più di qualsiasi minaccia militare esterna. Col potere che stanno acquisendo le popolazioni arabe contrapponendosi ai loro regimi, i governi arabi potrebbero non essere in grado di continuare a essere complici silenziosi, come hanno fatto per anni, mentre Israele opprimeva i palestinesi.
Per quanto riguarda la Giordania, un cambiamento è già in corso. Ieri ho assistito a una protesta di migliaia di persone nel centro di Amman. Queste pacifiche e ben organizzate proteste, indette da una coalizione di organizzazioni islamiche e partiti di sinistra, si sono tenute per settimane nelle città di tutto il Paese. I manifestanti chiedono le dimissioni del governo del Primo Ministro Samir al-Rifai, lo scioglimento del parlamento, eletto in quelle che sono da molti viste come elezioni fraudolente del novembre 2010, nuove elezioni libere basate su leggi democratiche, giustizia economica, la fine della corruzione e l’annullamento del trattato di pace con Israele. Ci sono state grandi manifestazioni di solidarietà con il popolo egiziano.
Nessuno di questi partiti durante la manifestazione ha chiesto che una rivoluzione simile a quella che è avvenuta in Tunisia ed Egitto si realizzasse in Giordania e non ci sono ragioni per credere che uno sviluppo simile sia imminente. Ma gli slogan uditi durante le manifestazioni non hanno precedenti nella loro audacia e nella loro sfida diretta alle autorità. Qualsiasi governo sensibile ai desideri del popolo dovrà rivedere la sua relazione con Israele e gli Stati Uniti.
Oggi solo una cosa è certa: qualsiasi cosa accada nella regione, la voce del popolo non può più essere ignorata.
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Note
[1] “Without Egypt, Israel will be left with no friends in Mideast,” 29 January 2011.
(“Senza l’Egitto di Mubarak e con le relazioni con la Turchia in bilico, Israele potrebbe essere costretto a trovare nuovi alleati.”)

[2] Vedi i Palestianian Papers e il “colpo di Stato di Gaza”.

* The Electronic Intifada, 29 January 2011:
http://electronicintifada.net/v2/ar...

*Ali Abunimah è co-fondatore di Electronic Intifada, autore di “One Country: A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse” e ha contribuito a “The Goldstone Report: The Legacy of the Landmark Investigation of the Gaza Conflict” (Nation Books).

Traduzione Letizia Menziani

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