mercoledì 4 gennaio 2012

Feste di rovine: storie di giovani travolti dal terrorismo e dalla guerra

Osservatorio Iraq

Bambini e giovanissimi travolti dal terrorismo e dalla guerra, vite spezzate e famiglie distrutte. E' questo il filo rosso che unisce la Palestina all'Iraq in “Festa di rovine”, l’ultimo libro di Miriam Marino, edizione Città del Sole*.





Ambientato nella Palestina dei primi anni del 2000, ai tempi della Seconda Intifada e della feroce repressione israeliana, e nella Baghdad dell’occupazione americana del 2003.

Nella raccolta i tanti bambini palestinesi uccisi, che l'autrice nomina uno ad uno, in un tempo in cui i nomi non si fanno più, pur di "ancorarli alla memoria, per trarli dall’indifferenza dei tanti annunci che frettolosamente ci raccontano i telegiornali, mentre noi non ascoltiamo nemmeno, la mente altrove, dietro i nostri problemi… per farli vivere dentro di noi, per impedire che scivolino come anonime ombre nell’oblio, per dar loro consistenza, per onorarli, per affermare che saranno per noi sempre presenti, per fare in modo che il loro martirio non sia stato inutile e possa servire almeno a scolpire nella nostra coscienza l’imperativo morale che quell’orrore, quella sconfinata ingiustizia, quella strage di innocenti non sia mai più…..perché la loro morte non rotoli via senza lasciare traccia come se non fossero mai esistiti. Perché siano tenuti i conti della tragedia e non scivoli tutto nell’indistinto. Perché sia gridato e aborrito lo scandalo della loro uccisione, perché gli indifferenti e gli ipocriti si fermino a riflettere se era veramente giusto e necessario spargere quel sangue innocente”.

Nel 2000, le speranze del dopo-Oslo sono ormai sfumate e l’Autorità palestinese appare lontana dai veri problemi della gente, che è sempre più povera e delusa, tradita e disperata, mentre la crescita degli insediamenti israeliani e dei check-point impedisce lo sviluppo di una autonoma economia palestinese.

E’ in questo clima che si arriva alla camminata di Sharon sulla spianata della Moschea, esito di un piano meticolosamente preparato e prestabilito da parte dei governi israeliani dopo Oslo: di fronte a questo affronto la reazione dei palestinesi è devastante e anche la conseguente feroce repressione.

Nel clima di guerra che si instaura, non vi è più posto per la lotta nonviolenta, e i giovani, gli stessi che erano stati contro i fondamentalisti e i kamikaze, vengono travolti dall’odio e si abbandonano a posizione sempre più estreme.

Sono proprio loro a cedere per primi al richiamo della violenza, come Samira, dolce e giovanissima infermiera, che aveva scelto di dedicarsi alla cura dei feriti, ma le era stato impedito. Un mattino è uscita di casa con una bomba nella borsa.

Si parla anche dei giovani gettati nelle carceri, distrutti per sempre, dopo aver sperimentato torture ben studiate e codificate, che non vengono risparmiate neppure a bambini e donne, come il cappuccio puzzolente di piscio e di vomito con cui veniva coperta la testa delle vittime.

Ma c’è anche chi, nonostante tutto questo orrore, decide di non farsi cancellare, come Nabil, che sopravvissuto a uno scontro con i coloni, capisce di essere stato usato cinicamente, e di essere stato mandato a morire da gente che aveva approfittato della sua rabbia.

E c’è Ilan, ragazzo figlio di coloni, che dopo essersi trovato per caso in mezzo a un gruppo di giovani palestinesi che tirava sassi a un carro armato israeliano, decide di ribellarsi alla sua famiglia e di stare dalla parte dei suoi ex nemici.

Nella seconda parte si parla dei bambini di Baghdad, vittime di un’altra guerra, quella americana del 2003. Qui, l'autrice ci fa rivivere l’attesa dei bombardamenti attraverso il racconto di una famiglia irachena di Baghdad.

All’inizio, nel vedere le imponenti manifestazioni contro la guerra che si svolgono in tutto il mondo, nell’incontrare tanti giovani occidentali venuti a fare gli “scudi umani”, vi è speranza.

Ma quando partono tutti, proprio tutti, l’atmosfera cambia, arriva la vera paura e comincia un'attesa sempre più spasmodica finchè un mattino, all’alba, quando già stava subentrando il sollievo perché anche quella notte era trascorsa senza bombardamenti, il primo boato squassa il mattino.

Da quel momento è l’inferno. La loro casa verrà squarciata da un missile.

Si narra poi della tragedia di un’altra famiglia, vittima di un rastrellamento indiscriminatoche che li porterà a conoscere l’orrore di Abu Ghraib, dove le loro tracce si perdono.

Proprio in questi giorni sono usciti i numeri ufficiali degli iracheni morti dopo il 2003: si parla di 162 mila persone, in gran parte civili, ma si ritiene che la cifra sia largamente sottostimata.

Infine il libro si chiude con una poesia di Mahmud Darvish, che introduce l’ultimo racconto del libro, dal titolo: “Almeno al cimitero”.

Si narra dell’incontro, nella tomba, tra Hani, ragazzo palestinese morto in battaglia a Kan Yunis, e un israeliano ebreo, che, incapace di sopportare l’orrore che aveva visto a Sabra e Chatila, si era suicidato appena tornato a casa.



Io sono te nelle parole
e un medesimo libro ci unisce
Siamo coperti dalla stessa cenere.
Eravamo nell’ombra
solo due vittime, due testimoni,
due brevi poemi sulla natura
mentre si conclude
la festa delle rovine…
(Mahmud Darvish)



*Miriam Marino è una scrittrice ed artista italiana, proveniente da famiglia di cultura ebraica, attivista che si batte per il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese. Il libro sarà presto nelle principali librerie, l'editore è Città del Sole.

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