sabato 23 ottobre 2010

ISRAELE: NON VOGLIAMO ESSERE PARTE DI UNO STATO FASCISTA

ISRAELE: NON VOGLIAMO ESSERE PARTE DI UNO STATO FASCISTA

È scesa in piazza l’altra Israele. Oltre 100 accademici, scrittori e attori hanno manifestato il 10 ottobre scorso a Tel Aviv contro l’emendamento alla legge sulla cittadinanza approvato dal governo. “È come le leggi razziste del 1935” hanno protestato.


L'odore dell'Apartheid

di Yacov Ben Efrat

Il governo ha approvato la proposta di un emendamento alla legge sulla cittadinanza, secondo il quale chiunque chieda la cittadinanza israeliana dovrà dichiarare “fedeltà” a Israele in quanto Stato “ebraico e democratico”. Questo emendamento è considerato da molti come una provocazione non necessaria contro la popolazione araba del paese, anche se non è diretta visibilmente né contro cittadini arabi né contro cittadini ebrei, ma a coloro che richiedono la cittadinanza incluse le mogli arabe che richiedono la cittadinanza al fine della riunificazione familiare.

Nahum Barnea, giornalista, commenta con parole taglienti: “La legge proposta non solo sembra razzista, è razzista. Obbliga i non ebrei a dichiarare la loro volontà di essere fedeli allo Stato ebraico, ma non chiede lo stesso agli ebrei. Gli ebrei sono esentati, perché i rabbini Haredi non vogliono dichiarare la loro fedeltà, né allo Stato ebraico e sicuramente non allo Stato democratico. I risultati sono pesanti. Non siamo ancora alle leggi razziste di Norimberga, ma l'odore è lo stesso” (Yedioth Aharonoth Supplemento, 8 ottobre 2010).

Nella Dichiarazione di indipendenza e nelle leggi fondamentali (che per Israele sono una specie di Costituzione) Israele è stato dichiarato Stato ebraico molto tempo fa. I simboli dello Stato, la stella di David e la Menorah, non lasciano adito a dubbi.

E così anche le altre leggi come la legge del ritorno, e molti provvedimenti temporanei o decreti definitivi, che privilegiano gli ebrei, rispetto ai non ebrei.

Che cosa allora ha portato il ministro della Giustizia a proporre adesso un emendamento che interesserà solo poche migliaia di persone all'anno, la maggior parte delle quali non sono arabe e non mettono in discussione il carattere ebraico dello Stato?

Di fatto, dietro questo emendamento c'è un messaggio nascosto riguardante un dibattito nato circa 5 anni fa tra popolazione araba e Stato. Il conflitto è cominciato quando un allora membro della Knesset, Azmi Bishara, formò un partito con lo slogan “Uno Stato per tutti i suoi cittadini”, che aprì la strada a partiti e istituzioni arabe per sfidare lo Stato e portare alla luce la contraddizione strutturale insita nella sua auto-definizione come “ebraico e democratico”. Questo scontro filosofico tra la minoranza araba e lo Stato è servito a oliare le ruote di Avigdor Lieberman, oggi ministro israeliano degli Affari esteri, il cui partito ha guadagnato 15 seggi nelle ultime elezioni politiche con lo slogan “Nessuna cittadinanza senza fedeltà”.

Nel 2006 il Comitato arabo per il monitoraggio e il Comitato dei capi dei Consigli locali arabi hanno pubblicato un documento intitolato “La visione futura degli arabi palestinesi in Israele”. Secondo questo documento, “la definizione di Stato come Stato ebraico, e l'uso fatto della democrazia al servizio della propria ebraicità, ci esclude dalle sue fila e ci colloca all'opposizione della natura e dell'essenza dello Stato in cui viviamo”.

Il documento “Visione” solleva la questione se la democrazia di Israele possa realmente includere la minoranza araba e trattarla con piena uguaglianza. Il documento è una risposta alla alienazione che i cittadini arabi di Israele hanno vissuto per più di 60 anni. Non è la definizione di Israele come Stato ebraico che ha portato la dirigenza araba a sfidare lo Stato, ma la discriminazione istituzionalizzata di cui soffre la popolazione araba. La democrazia non può esistere in uno Stato che istituzionalizza la discriminazione. La vera questione non è cambiare l'inno nazionale o la bandiera, ma il futuro di decine di migliaia di giovani arabi che vedono il loro futuro espropriato dallo Stato.

La violenza che nasce nelle città e villaggi arabi, gli assassini alla luce del giorno a Nazareth e a Lod, esprimono il crollo del sistema educativo arabo, la disoccupazione crescente, la povertà, e l'impotenza delle autorità arabe locali che non riescono a fornire neanche servizi essenziali.

Lieberman in realtà non è interessato ad accertare la fedeltà di quelli che richiedono la cittadinanza. Vuole mettere in questione la lealtà dell'intera popolazione araba. L'emendamento alla legge è solo il principio. Il mese scorso nella Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva già presentato la sua visione dello Stato, secondo la quale la terra abitata dalla popolazione araba dovrebbe essere trasferita alla Autorità palestinese, in cambio delle colonie in Cisgiordania.

Se Netanyahu e il suo governo continuano a provocare la popolazione araba trasformeranno lo Stato in uno Stato di Apartheid, che malamente potrà coprirsi con la rivendicazione che Israele è insieme ebraico e democratico. La richiesta di definire Israele come “uno Stato di tutti i suoi cittadini” deriva dal fatto che definendosi come “ebraico e democratico” Israele ha mancato di applicare la seconda parte della equazione. L'”ebraicità” arriva a spese della democrazia. Ora, invece di prendere sul serio le richieste arabe di uguaglianza, il governo provoca di nuovo – non solo non avrete uno Stato di tutti i suoi cittadini, ma intendiamo continuare a escludervi e a discriminarvi in tutte le aree dove vivete.

Forse ci si potrebbe aspettare che uno Stato recentemente ammesso all'Ocse, uno Stato che cerca con forza di integrarsi nella economia globale, che si presenta come “la sola democrazia in Medio oriente”, debba cambiare il suo atteggiamento nei confronti della popolazione araba.

I rapporti della Banca di Israele e di varie autorità e le conclusioni della Commissione che ha investigato sugli avvenimenti di ottobre 2000, creano l'illusione che lo Stato stia nei fatti occupandosi dei problemi della istruzione, del lavoro, della salute e di altre questioni che la politica di discriminazione ha prodotto.

Tuttavia, tra il riconoscere l'ingiustizia, e il fare qualcosa per rimediarvi, c'è di messo un governo di destra che squilla la tromba della ideologia nazionalista e razzista. Gli sforzi dell'attuale governo per esacerbare il conflitto danno anche come risultato lo scetticismo, l'autoesclusione e l'estremo nazionalismo tra i cittadini arabi.

Gli scontri relativi al carattere dello Stato presentano inoltre un aspetto a cui non si fa abbastanza attenzione. Nella realtà oggi la società israeliana è profondamente divisa – non solo tra ebrei e arabi, ma tra ebrei ed ebrei. Lo Stato avanza con politiche discriminatorie contro tutti i lavoratori, ebrei o arabi: lavoratori a contratto, insegnanti di college, artisti, camionisti, lavoratori dell'industria, lavoratori migranti con i loro figli. Il loro diritto a un posto di lavoro sicuro con benefits sociali, è respinto. Israele “ebraico” serve giusto una ricca minoranza, un pugno di famiglie che hanno ricevuto proprietà e beni dallo Stato, e li usano a beneficio personale, senza vincoli sociali o responsabilità pubblica. Così, la posizione di Lieberman come guardiano di Israele ebraico si abbina felicemente con il fatto che è dentro fino alle orecchie in indagini per sospetto di corruzione. E non è il solo – molti politici fanno lo stesso, da un lato competono per l'onore di chi è più a destra, dall'altro, si accomodano i propri nidi strisciando ai piedi dei magnati.

Ha certamente senso discutere il carattere dello Stato. Tuttavia la visione che deve essere discussa riguarda il futuro di tutti i lavoratori, ebrei, arabi e altri.

Il solo Stato davvero democratico sarà quello dove le risorse vengono distribuite equamente e giustamente. Uno stato di questo tipo non avrà più bisogno della definizione di “ebraico”, che perpetua una falsa solidarietà tra gli ebrei di Israele e la discriminazione istituzionalizzata contro i suoi cittadini arabi.


da www.challenge-mag.com

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