domenica 10 ottobre 2010

Archeologia

Pubblico questo articolo di febbraio perchè pur non essendo recentissimo è importante.
Legami che uniscono?



Legami che uniscono è la traduzione letterale del titolo di un articolo in prima pagina sul Jerusalem Post di oggi. I legami che uniscono sono quelli, secondo il giornale conservatore israeliano, determinati dall'inserimento della Tomba dei Patriarchi a Hebron e della Tomba di Rachele a Betlemme nella lista dei 150 siti dell'identità nazionale israeliana. Una lista, a ora, da 400 milioni di shekel di investimenti, con opere di restauro e quant'altro. L'inserimento, però, di due siti nel cuore della Cisgiordania, della Palestina, nella lista dei luoghi della memoria di Israele ha già cominciato a creare polemiche, critiche e scontri. Come, d'altro canto, era facile immaginarsi. Stamattina sono stati lanciati sassi contro i soldati israeliani nella città vecchia di Hebron, la palestinese Al Khalil, una città vecchia da anni spettrale, con i negozi chiusi per la pesenza di qualche centinaio di coloni israeliani radicali nel centro storico, in cui la libertà di movimento è rotta dai checkpoint attorno alla Tomba dei Patriarchi
L'inserimento della Tomba di Patriarchi e della Tomba di Rachele (che si trova dentro Betlemme, circondata dal Muro di separazione) ricorda la politica seguita dallo stesso Benjamin Netanyahu nel suo precedente periodo alla guida del governo israeliano, iniziato nel 1996. Anche allora, il patrimonio culturale, l'identità culturale-religiosa furono sostenuti a prezzo di un aumento altissimo della tensione, con l'apertura del Tunnel Asmoneo nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme e la mini-intifada che scoppiò, con il suo carico di decine di morti e di centinaia di feriti.


La questione dell'eredità culturale e religiosa, del patrimonio nazionale, ha le sue forti nuance politiche anche oggi, dentro Gerusalemme. Ne è dimostrazione la questione rovente di Silwan e della Città di David, ai piedi delle possenti Mura di Solimano il Magnifico, proprio sotto la Moschea di Al Aqsa. Per chi vuole saperne di più, alcuni mesi fa l'associazione israeliana Ir Amin ha reso pubblico alcuni mesi fa un rapporto dettagliato sia sulla politica delle associazioni radicali dei coloni, sia sugli atti del governo e sulla sovrintendenza archeologica israeliana.

E a proposito di archeologia e patrimonio culturale, in questo posto in cui la trama delle memorie e delle identità è così intrecciata, non bisogna dimenticare che dall'altra parte ci sono eredità culturali che potrebbero essere rivendicate. Jaffa, Haifa, San Giovanni d'Acri, tutta quella parte della lunga storia di Israele/Palestina che per i palestinesi rappresenta anche oggi un pezzo importante della propria identità. La rincorsa alla definizione di un patrimonio culturale, insomma, rischia di scatenare una gara ad alta tensione, in cui a perdere, di nuovo, è la possibilità di un compromesso sostenibile per la pace.

Poco, infatti, si curano le sensibilità di tutti coloro che in questo posto vivono. Un esempio è quello che da anni sta succedendo attorno al cimitero musulmano di Mamilla, sulle cui tombe il centro Simon Wiesenthal sta costruendo un Museo della Tolleranza dal 2005. Le famiglia palestinesi di Gerusalemme est che hanno i loro cari sepolti nel cimitero hanno protestato anche recentemente, coinvolgendo le Nazioni Unite con una petizione all'Unesco. E la pressione, in questi anni, ha spinto Frank Gehry a rinunciare lo scorso gennaio a firmare il progetto del museo e a ritirarsi.

E a proposito di Unesco, la questione del patrimonio culturale e nazionale è talmente spinosa, che è ancora lungi dall'essere risolto il nodo dei siti palestinesi, Betlemme in primis, ma anche Gerico, Nablus, Sebastya, che non possono essere considerati nella lista dei siti patrimonio dell'umanità perché tra i paesi membri delle Nazioni Unite non c'è ancora uno stato chiamato Palestina. Ancora una volta, neanche l'archeologia, neanche la cultura, neanche le belle arti possono chiamarsi fuori dalla politica, in Medio Oriente.

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