martedì 19 ottobre 2010

L'incredibile tira e molla del complice egiziano di Israele

L'attesa partenza per El Arish di lunedì mattina non c’è stata. Dopo una
convulsa giornata di trattative e di snervante attesa, il convoglio
VivaPalestina5 è ancora bloccato nella città portuale di Lattakya.

Chiediamo a tutto il movimento che in Italia è impegnato a fianco del popolo
palestinese di mobilitarsi per elevare una dura protesta nei confronti
dell’Egitto, con tutte le iniziative che potranno essere intraprese e che in
parte sono già in corso.

Chiediamo alle forze politiche e sindacali italiane di far sentire la loro voce.

Chiediamo ai parlamentari europei, ma anche ai membri del parlamento italiano,
di sollevare la questione nelle rispettive sedi con interpellanze formali.

Chiediamo alle ambasciate italiane al Cairo e a Damasco, chiediamo al Governo e
al Ministero degli Esteri italiano, di tutelare i nostri diritti e la nostra
integrità e di sollevare una ferma protesta nei confronti del governo egiziano.

La situazione va sbloccata non nell’arco di giorni, ma di ore.

Noi, 14 componenti del gruppo italiano, insieme agli altri 380 partecipanti al
Convoglio Viva Palestina5, siamo trattenuti in una forma illegale di sequestro
dal 2 ottobre, da oltre 17 giorni in questa città siriana, impediti dal governo
egiziano di arrivare a El Arish e da li, per un tragitto di 40 km di entrare
nella striscia di Gaza.
Fino ad ora la leadership del convoglio ha tenuto volutamente e pazientemente un
atteggiamento di estrema collaborazione con le autorità egiziane per non offrire
nessun appiglio a possibili irrigidimenti. E tuttavia, pur avendo ottemperato a
tutte le richieste non otteniamo ancora il permesso per l’ingresso.
Questa situazione da qualsiasi punto la si osservi è assolutamente illegale.
Noi vogliamo far arrivare nella Striscia di Gaza, sottoposta a un embargo
illegale secondo il diritto internazionale, condannato dall'ONU e anche dall'UE,
medicine e articoli sanitari, materiale per gli scolari di Gaza, un insieme di
aiuti umanitari.
Non trasportiamo armi, droghe o altre sostanze illecite.
Non esportiamo valuta.
Non siamo qui per praticare turismo sessuale.
Non siamo finanziati da potenze straniere.
Trasportiamo solo gli aiuti umanitari offerti dai tanti donatori italiani che ci
hanno generosamente sostenuto e che ci hanno permesso di realizzare questa
missione per la popolazione di Gaza, sfiancata da un assedio e da un
boicottaggio letale che dura dall'inizio del 2006.
Se avessimo compiuto una o più di queste azioni le autorità egiziane, ma anche
quelle turche o siriane avrebbero avuto tutto il diritto di arrestarci e
giudicarci.
Non è questo il caso.
Siamo stati sempre accolti con grandissimo calore e, possiamo dirlo, in
particolare noi italiani, con grande simpatia, in Turchia come in Siria.
Il comportamento del governo egiziano ci costringe a una sosta che lede
gravemente i nostri diritti, a cominciare dal diritto alla libera circolazione.
Abbiamo adempiuto a tutte le richieste presentare il 5 ottobre, in un incontro a
Damasco, dall'ambasciatore egiziano.
Poi il 16 ottobre è arrivata da parte egiziana una lista di proscrizione per 17
attivisti (nessuno del gruppo italiano) che le autorità egiziane hanno
dichiarato “non graditi”, basata su dati inconsistenti e su errori grossolani,
solo un ulteriore espediente per rinviare ancora la partenza.
Tra questi, fatto particolarmente odioso, due parenti delle vittime della Mavi
Marmara, che vorrebbero unire la terra delle tombe dei loro cari a quella
palestinese di Gaza per piantare un albero di ulivo.

E' evidente che si sta giocando contro di noi una partita squisitamente politica
e che siamo vittime di una forma di “sequestro di persona”, tenuti in ostaggio
per motivi che sono facilmente intuibili e dietro i quali si vede chiaramente la
volontà dello Stato di Israele di contrastare queste missioni di pace. Il
governo egiziano deve essere consapevole che non è tollerabile che si neghi
l’ingresso ai pacifisti, mentre lo si auspica e lo si sollecita per i turisti!
Tutti e tutte sono decisi/e a resistere a oltranza, ma abbiamo famiglie e
impegni di lavoro e dovremmo rientrare al più presto nelle nostre case. Chi è
partito dall'Inghilterra è in viaggio da più di un mese, noi che siamo partiti
dall'Italia da 29 giorni.

La mobilitazione in Italia, in Europa e nel mondo deve unirsi alla nostra
indignazione e alla nostra resistenza.

ISM-Italia

Lattakya, 19 ottobre 2010

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