giovedì 11 agosto 2011

I testi scolastici israeliani pieni di pregiudizi e razzismo

di Harriet Sherwood - «The Observer».

GERUSALEMME - Nurit Peled-Elhanan, professoressa israeliana, madre e donna di idee politiche radicali, evoca l'immagine di una schiera di scolari ebrei che, chini sui loro libri, studiano i loro vicini, i palestinesi. Ma, dice, questi non sono mai chiamati palestinesi se non quando l'argomento è il terrorismo. Li chiamano arabi. “Arabi su cammelli, vestiti come Ali Baba. Li descrivono come spregevoli, devianti e criminali, gente che non paga le tasse, che vive a spese dello stato, che non vuole progredire” spiega. “Vengono rappresentati solo come rifugiati, agricoltori arretrati e terroristi. Non si vede mai un bambino palestinese, un dottore, un insegnante, un ingegnere o un agricoltore moderno.”
Peled-Elhanan, professoressa di lingue ed educazione all'Università Ebraica di Gerusalemme, ha passato gli ultimi cinque anni a studiare il contenuto dei testi scolastici israeliani, e i risultati delle sue ricerche, “La Palestina nei testi scolastici israeliani: ideologia e propaganda nell'istruzione”, saranno pubblicati nel Regno Unito questo mese. Vi si trovano descritte le forme di razzismo da lei rilevate e, peggio ancora, di un razzismo che prepara i giovani israeliani al servizio militare obbligatorio.

“Le persone non sono molto consapevoli di quel che leggono i loro figli nei libri di testo” ci dice. “Una domanda che tormenta tanta gente è come ci si può spiegare il comportamento brutale dei soldati israeliani verso i palestinesi, l'indifferenza alla sofferenza umana, le sofferenze che vengono inflitte. Ci si chiede come possano questi graziosi bambini e bambine ebrei diventare mostri una volta indossata l'uniforme. Io credo che la causa principale sia nell'educazione. Così ho voluto vedere come i testi scolastici rappresentano i palestinesi.”

Peled-Elhanan afferma di non aver trovato, in “centinaia e centinaia” di libri, una sola fotografia che mostrasse un arabo come una “persona normale”. La scoperta più importante, in tutti i testi analizzati – tutti autorizzati dal ministero dell'istruzione – riguarda la ricostruzione storica degli eventi del 1948, l'anno in cui Israele combatté una guerra per affermare la propria identità di stato indipendente, e centinaia di migliaia di palestinesi fuggirono dal conseguente conflitto.

L'uccisione dei palestinesi è raccontata come qualcosa che fu necessario per la sopravvivenza del nascente stato ebraico, afferma. “Non è che i massacri vengano negati, ma nei testi scolastici israeliani vengono presentati come eventi che nel corso del tempo si sono rivelati positivi per lo stato ebraico. Per esempio, a Deir Yassin [villaggio palestinese vicino a Gerusalemme distrutto nel 1948] i soldati israeliani compirono una terribile strage. Nei libri di scuola ti dicono che questo massacro diede inizio alla fuga in massa degli arabi da Israele e permise la fondazione di uno stato ebraico a maggioranza ebraica. Quindi fu una cosa buona. Forse spiacevole, ma alla lunga le conseguenze per noi sono state favorevoli.”

I bambini, dice, crescono per servire nell'esercito e interiorizzare l'idea che i palestinesi siano “gente la cui vita può essere sacrificata impunemente. E non solo questo, ma gente il cui numero deve essere ridotto.”

L'approccio di Peled-Elhanan all'argomento risente della sua formazione politica radicale. È figlia di un famoso generale, Matti Peled, che si convinse che il futuro di Israele dipendeva da una pace dignitosa con i palestinesi. E che, dopo aver lasciato l'esercito, divenne un attivista del movimento pacifista.

La famiglia creò un manifesto che invitava a una composizione pacifica del conflitto, in cui era ritratta l'unica figlia di Peled-Elhanan, Smadar.. Il messaggio era che tutti i bambini meritano un futuro migliore.

Poi, nel 1997, Smadar fu uccisa da un attentatore suicida palestinese mentre faceva shopping a Gerusalemme. Aveva 13 anni. Peled-Elhanan si rifiuta di parlare della morte della figlia, a parte uno o due accenni a quella che chiama la “tragedia”.

All'epoca, dichiarò che ne usciva rafforzata la sua convinzione che senza una soluzione del conflitto e una pacifica coesistenza con i palestinesi altri bambini sarebbero morti. “Gli attacchi terroristici come questo sono la diretta conseguenza dell'oppressione, della schiavitù, dell'umiliazione e dello stato d'assedio imposti ai palestinesi” disse ai reporter televisivi dopo la morte di Smadar.

La sua professione ha risentito delle sue idee politiche radicali. “I professori universitari smisero di invitarmi alle conferenze. E quando io parlo, la risposta più comune è 'tu sei antisionista'.” Chiunque contraddica la versione israeliana dominante della storia è fatto oggetto della stessa accusa.

Lei spera che il suo libro sarà pubblicato in ebraico, ma è rassegnata al pensiero che molti tra i politici che contano lo rifiuteranno.

Alla domanda se anche i libri di testo palestinesi riflettano un qualche dogma, risponde che questi distinguono tra sionisti ed ebrei. “Ribadiscono tale distinzione continuamente. Sono contro i sionisti, non contro gli ebrei.”

Ma riconosce che insegnare l'Olocausto nelle scuole palestinesi è “una questione ancora controversa”. “Alcuni insegnanti [palestinesi] si rifiutano di insegnare l'Olocausto finché gli israeliani non insegnano la Nakba [la “catastrofe” palestinese del 1948].”

In modo forse non sorprendente per una persona di idee così radicali, Peled-Elhanan è profondamente pessimista sul futuro del suo paese. Il cambiamento, dice, arriverà soltanto “quando gli americani smetteranno di elargirci un milione di dollari al giorno per mantenere questo regime di occupazione, razzismo e supremazia”.

All'interno di Israele, dice, “vedo solo un avanzamento verso il fascismo. Ci sono 5,5 milioni di palestinesi controllati da Israele che vivono in un'orribile condizione di apartheid, senza diritti civili né umani. L'altra metà sono ebrei e stanno anch'essi perdendo i loro diritti, giorno dopo giorno” dice, riferendosi a una serie di tentativi di restringere il diritto degli israeliani a protestare e criticare il loro governo.

Peled-Elhanan non crede nella sinistra israeliana perché è sempre stata numericamente esigua e timida, ma oggi lo è ancora di più. “Non c'è mai stata una vera sinistra in questo paese.” È convinta che il sistema educativo aiuti a perpetuare uno stato ingiusto, non democratico e insostenibile.

“In ogni cosa che fanno, dalla scuola materna fino alle superiori, vengono imbottiti in tutti i modi possibili, attraverso le letture, le canzoni, le vacanze e i passatempi, di nozioni patriottiche scioviniste.”




Fonte: http://www.guardian.co.uk/world/2011/aug/07/israeli-school-racism-claim.
Traduzione a cura di Roberta Verde





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