giovedì 15 settembre 2011

HEBRON, L’ATTESA DELLA TEMPESTA

Hebron, emblema dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, si prepara alla dichiarazione del 20 settembre. Qui più che in ogni altro posto si teme la rabbia dei coloni che gia' tormentano la popolazione della città vecchia

GIORGIA GRIFONI

Hebron (Cisgiordania), 15 settembre 2011, Nena News
“Non sono affatto ottimista riguardo alla dichiarazione del 20 settembre. Tutti qui hanno paura. I coloni potrebbero diventare molto violenti, e i soldati anche”. La signora Zlikha, 50 anni, non nasconde la sua apprensione per quello che da molti viene considerato un momento storico per il popolo palestinese. Assieme a circa 150.000 palestinesi, teme per le manifestazioni che i coloni potrebbero organizzare dopo il voto nelle strade di Hebron, la loro città.

Il cuore del centro storico è l’emblema dell’occupazione israeliana della Cisgiordania. Una linea orizzontale spacca in due la città, dividendola in zona H1 e H2: la prima è abitata da palestinesi, la seconda è stata occupata gradualmente dai coloni israeliani a partire dal 1978, dieci anni dopo la fine della guerra dei sei giorni. La “via dei Martiri”, che attraversa la città vecchia da est a ovest, è diventata una strada fantasma: chiusa al transito per persone e veicoli palestinesi , è caratterizzata da tutta una serie di porticine da cui i palestinesi non possono uscire. Per raggiungere la moschea al-Ibrahimi, che si trova a due minuti di cammino, devono uscire dalla porta sul retro o dal tetto, prendere tortuose strade che aggirano il quartiere e dopo una ventina di minuti sono a destinazione. Una volta questa via ospitava una parte del suq, ma quando sono arrivati i coloni (per i quali Hebron è il secondo luogo sacro dopo Gerusalemme per via delle tombe dei Patriarchi)- per “riprendersi il quartiere che appartiene alla comunità ebraica da millenni”, le saracinesche dei commercianti palestinesi si sono lentamente chiuse una dopo l’altra. Spesso attaccati a sassate e calci dai coloni –ebrei ultraortodossi che mirano a riconquistare la totalità della Palestina storica o Eretz Yisrael, sotto gli occhi annoiati dei soldati israeliani che dovrebbero garantire anche la loro sicurezza, i palestinesi rimasti in via dei Martiri si sentono in gabbia e hanno paura.


“I coloni creano problemi quasi tutti i giorni qui –racconta Badia, 33 anni, dell’ associazione “Youth against the settlements”- e i soldati non li fermano mai. Proteggono i coloni, ma dovrebbero proteggere anche noi, secondo il protocollo di Hebron del 1997. I settlers sono considerati come civili dall’esercito, e quindi per loro viene applicato il codice civile: ma per noi, che viviamo magari nello stesso palazzo, viene applicata la legge militare”.

L’unita dell’esercito israeliano di stanza nella città di Hebron è la Brigata Kfir, la più giovane dell’Idf, ed è dispiegata un po’ in tutta la Cisgiordania. “È l’unità peggiore –sostiene Murad, 27 anni, anche lui dell’associazione “Youth against the settlements”- perché è quella che era di stanza anche a Gaza. Sono molto aggressivi. E le cose si complicano quando uno di questi soldati èoriginario di Hebron stessa”.

Badia racconta di alcuni episodi in cui i soldati non si sono dati pena di intervenire neanche per i turisti attaccati da coloni. “Una volta ho visto alcuni soldati mandare dei bambini a disturbare un gruppo di visitatori europei: per la legge israeliana, i soldati non possono toccare i bambini dei coloni, e ovviamente non si sono disturbati a fermarli neanche quando hanno bastonato un turista handicappato”.


Il balcone della signora Zlikha, quello che da su via dei Martiri, è completamente circondato da una gabbia. Sopra di essa ci sono molti sassi. “Prima che mettessi questa gabbia – lamenta Zlikha- i coloni erano soliti arrampicarsi su per il muro ed entrare in casa mia. Una volta sono tornata da casa di mio fratello e ho trovato il mio soggiorno pieno di sassi e vetri. I soldati guardano, e non fanno nulla. Quando protestiamo, ci dicono di andare a casa. Una volta ho chiesto a uno di loro perche mai ci dicessero di andare a casa, o ci imponessero il coprifuoco: ha risposto che per loro è più facile controllare noi, perchè i coloni sono fuori controllo”.

Ma se sono davvero fuori controllo, e armati fino ai denti, perche l’Idf li sta preparando a suon di granate assordanti e lacrimogeni a fronteggiare un eventuale attacco palestinese dopo il voto? “Se nelle altre colonie della Palestina li stanno preparando con tecniche di autodifesa e armi- continua Zlikha- qui è anche peggio. Dieci giorni fa ho assistito a un’esercitazione di militari, qui nella strada. Una trentina di soldati da una parte interpretavano i Palestinesi: sventolavano bandiere, facevano rotolare i copertoni e tiravano sassi. Dall’altra parte c’erano almeno 50 soldati e una decina di veicoli militari che cercavano di attaccarli. Eco quello che ci aspetta, ecco cosa vuol dire essere “protetti” da loro”.

Che i palestinesi organizzino o meno delle manifestazioni all’indomani del voto, molti sostengono che saranno semplicemente delle marce pacifiche. Anche Abu Mazen ha invitato il popolo palestinese a non cedere alle provocazioni dei coloni. Zlikha è convinta che sia questa la strategia giusta da seguire per resistere all’occupazione, ed e quello che incoraggia nei bambini. “Più rispondiamo in modo non violento e più i soldati e i coloni diventano furiosi. Una volta, ad esempio, i soldati hanno fatto irruzione a casa di mio fratello e pretendevano che tenessimo chiusa una porta che ci permetteva di passare nell’appartamento accanto. Al nostro rifiuto, ci hanno portati tutti per strada e lasciati lì per più di quattro ore. Allora ho chiesto a mia cognata che era in casa di prepararci dei pop corn e della limonata: quando li abbiamo offerti ai soldati israeliani pensavo che sarebbero esplosi. Questo tipo di resistenza li fa impazzire di rabbia”.

Nella via palestinese un tempo affollata e centro di commerci ora sventolano le bandiere di Israele

“I coloni parlano di preparazione agli scontri – conclude Badiah- ma noi non permetteremo che questo accada. Non lasceremo che ci trascinino sul terreno della violenza, il loro terreno preferito. L’unica cosa che faremo sarà far valere i nostri diritti: perche questa è la nostra terra e noi abbiamo il diritto di avere uno Stato sulla nostra terra”. Nena News

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