lunedì 15 marzo 2010

ISRAELE, DIPLOMAZIA DA CIRCO BARNUM

Tel Aviv da' il benvenuto a Biden: 1.600 insediamenti a Gerusalemme Est, ovvero il modo migliore di vanificare i colloqui di pace

Dopo aver trascorso gran parte della giornata a celebrare 'l'indistruttibile' legame tra Usa e Israele, il vicepresidente statunitense, Joseph Biden, si e' visto piombare addosso l'inatteso macigno: la decisione del ministro degli Interni dello Stato ebraico di costruire 1.600 nuove unità abitative a Gerusalemme Est.

Il circo Barnum. Obbediente al protocollo, alla forma, e alla cerimonia della diplomazia, Biden, dopo essersi detto 'ignaro e stupito' della decisione, ha incassato l'umiliazione di tale tempestivo annuncio senza pero' poter fare a meno di condannarla formalmente: "E' esattamente il passo che mina la fiducia di cui abbiamo bisogno oggi", ha detto il vicepresidente Usa. Una doccia gelata per Biden, che aveva incassato, come preludio alla sua visita, un analoga decisione da parte del ministro della Difesa Ehud Barak: la costruzione di 112 insediamenti a Beitar Illit, in Cisgiordania, ufficializzata due giorni fa. Decisione presa per 'ragioni infrastrutturali e di sicurezza'. Il Primo ministro israeliano Benyamin Netaniahu sembra essere stato colto ieri dal medesimo stupore di Biden, perche' le sue dichiarazioni sono state le seguenti: "La decisione e' stata appena notificata anche a me". La sequela di ipocrisie e acrobazie da circo Barnum e' grottescamente proseguita oggi, quando il ministro degli Interni, Eli Yishai, si e' addirittura scusato per "aver provocato un terremoto nazionale e internazionale". Anche lui, Yishai, ha detto di essere stato all'oscuro dei tempi di presentazione del progetto, perche' la materia, regolata dallla Commissione distrettuale per la pianificazione urbanistica, andava avanti da tre anni, ed era semplicemente 'materia tecnica di routine, una semplice autorizzazione'. Lo stesso Yishai ha detto alla radio israeliana che la commissione non avrebbe potuto prevedere che l'approvazione avrebbe generato una tale tempesta politica.

C'e' da domandarsi se il copione di questa girandola di assurde esternazioni sia stato scritto da qualche commediografo, o se gli israeliani credono davvero che i palestinesi, l'opinione pubblica internazionale, o anche solo chi ha uno sguardo minimamente partecipe agli sviluppi della questione mediorientale, possa bersi d'un sorso queste palesi cialtronate.

Ovvero: come ritenere verosimile che l'annuncio sia stato puramente coincidentale con l'arrivo di Biden?

Con un vicepresidente statunitense in casa, e un inviato speciale (George Mitchell) in arrivo per gestire tecnicamente i colloqui di prossimita' (cosi' e' stata definita la sessione negoziale coi palestinesi, ripresa dopo un anno di stallo), tali dichiarazioni rappresentano una interpretazione particolarmente maldestra del concetto di ospitalita'.

Con un popolo che storicamente vede in Gerusalemme Est la capitale del proprio futuro Stato, estendere un'insediamento proprio in quell'area, nel quartiere di Ramat Shlomo, comunita' ultraortodossa di 20mila persone, aggiungendovi 1.600 abitazioni per un totale approssimativo di almeno 7mila persone in piu', tali dichiarazioni rappresentano un'insulto, e una catastrofe per i vicini villaggi palestinesi.

Con l'esplicita richiesta di Obama di congelare ogni nuova estensione urbanistica in un'area annessa militarmente dopo la guerra del 1967, ma non riconosciuta dal diritto internazionale come parte integrante dello Stato israeliano, tali dichiarazioni rappresentano, ogni volta, una conferma dell'illegalita' e dell'impunita' israeliana di fronte non solo agli Stati Uniti, ma al mondo intero.

Con un processo di pace i cui fili ormai sempre piu' esili rischiano di spezzarsi nuovamente, un processo che ha come cardine fondamentale, oltre alla questione della sorte dei profughi palestinesi e degli insediamenti in Cisgiordania, soprattutto lo status della stessa Gerusalemme Est, tali dichiarazioni rappresentano una chiara dimostrazione dell'indifferenza, se non dell'assoluta negligenza di Tel Aviv nell'impegno a favore della pace.

Dietro l'apparente comicita' delle scuse di Yishai si nasconde pero' qualcosa di ben piu' oscuro e pericoloso per i tanto decantati, e probabilmente infruttuosi, colloqui di pace. Il vice-presidente della Knesset, Danni Danon, riferiva ieri al Washington Post che "nel salutare il vice-presidente Joseph Biden, amico e sostenitore di lunga data, consideriamo tuttavia un insulto che non sia venuto il presidente Obama in persona". Secondo Bradley Burston, commentatore di Haaretz, il comportamento irrispettoso e indegno tenuto dal governo israeliano, o perlomeno da alcuni dei suoi membri, ha una sua contropartita politica, da incassare negli ambienti della destra intransigente. "Fa perno - scrive Burston - su un filone emotivo che si situa su un segmento relativamente piccolo ma potente dell'elettorato israeliano, che ritiene che insultare l'alleato piu' indispensabile per Israele corrisponda al riaffermare l'indipendenza dello Stato ebraico". Un'interpretazione che getta luce sulla reale presenza - e influenza - della lobby dei coloni non solo in certi strati della burocrazia ma, prima di tutto, nelle scelte di politica interna e internazionale dello Stato di Israele.

Luca Galassi

1 commento:

Andrea ha detto...

Fin dove intendono spingersi gli Stati Uniti nel prendere le distanze da Israele pur di compiacere i palestinesi nella speranza di convincerli che è nel loro interesse tornare al tavolo dei negoziati?