venerdì 26 marzo 2010

Netanyahu contro la pace

* EDITORIALE | di Zvi Schuldiner
NETANYAHU CONTRO LA PACE
Durante la recente visita in Israele del vicepresidente degli Stati uniti, «per un puro errore burocratico» è stata annunciata la decisione di costruire altre 1.600 unità abitative a Gerusalemme est, vale a dire fuori dalla linea verde del 1967. L'«errore» è stato una vera provocazione, un insulto al vicepresidente americano.
Joe Biden era arrivato in Israele per celebrare la ripresa dei negoziati (indiretti) con i palestinesi; l'annuncio da parte del ministero dell'interno israeliano, guidato dal religioso fondamentalista Eli Ishai, ha invece innescato la furiosa reazione americana, andata in crescendo fino a che la conversazione telefonica tra la segretaria di stato Hillary Clinton e il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha chiuso l'incidente.
Washington ha usato la sopravvenuta crisi per fare pressione sul premier israeliano, il quale si è ripetutamente scusato dell'incidente. Ma non ha ceduto sulla sostanza: «Il diritto degli israeliani a continuare con le costruzioni di insediamenti a Gerusalemme, come hanno fatto tutti i governi dal 1967», questo il premier israeliano Netanyahu ha ripetuto all'affollata riunione annuale del Aipac, la lobby filo-israeliana negli Stati uniti. Per la prima volta però si ascolta una forte voce contraria: una nuova lobby di ebrei per la pace.
In primo luogo, è ben vero: dal 1967, senza grandi annunci, tutti i governo israeliani hanno continuato un'intensa campagna di colonizzazione che doveva assicurare una maggioranza ebraica a Gerusalemme. Allo stesso tempo ha fatto il possibile per rendere la vita così difficile ai palestinesi da spingerli ad abbandonare la città, cosa che in generale non hanno fatto.
Secondo: Gerusalemme è parte del processo di colonizzazione dei territori occupati nel 1967; come in tutti i territori occupati, ogni colonizzazione che non sia strettamente retta da motivi di sicurezza è contraria a quanto stipula il diritto internazionale e dunque è illegale.
Washington è sempre stata a conoscenza delle case costruite da Israele nei territori occupati.
Fino ad oggi però né gli americani, né gli europei hanno fatto nulla di serio per impedire la colonizzazione. Non si tratta solo della lotta per la terra.
Da parte di Israele si tratta in sostanza di costruire ostacoli che impediscano la costruzione di uno stato palestinese indipendente - nel migliore dei casi la frammentazione territoriale della Cisgiordania, con alcuni cantoni simili a bantustan.
La retorica ufficiale israeliana parla di una Gerusalemme unificata, ma questo è ben lontano dalla realtà. La realtà è una città retta dal governo israeliano per mezzo della forza, ma divisa in due città distinte: una israeliana, con tutti i benefici e servizi di uno stato economicamente sviluppato, e l'altra una serie di quartieri lasciati al degrado, senza adeguati servizi né scuole sufficenti, e soprattutto con cittadini di seconda categoria.
I governanti di Israele ancora una volta mentono. Gli israeliani possono abitare dove vogliono in città e ottenere permessi di costruzione, mentre i palestinesi non li ottengono. I tribunali hanno riconosciuto il diritto di alcuni israeliani a tornare nelle case evacuate dai loro avi nel 1948, ma a nessun palestinese è riconosciuto un simile diritto sulle migliaia di case evacuate durante la stessa guerra.
Bisogna saperlo: la discriminazione nazional-razzista imperante a Gerusalemme si sta aggravando, sotto un governo che combina nazionalismo estremo, fondamentalismo religioso e correnti razziste.
il premier Netanyahu preferisce mantenere intatta la sua coalizione, anche al prezzo di una conflagrazione. Nelle ultime settimane infatti la tensione è cresciuta a Gerusalemme - anche quando tentano di tenere un po' a freno un sindaco con tendenze piromani - e sono aumentati anche gli incidenti nei territori occupati.
Netanyahu arriva a Washington mentre Londra annuncia l'espulsione di un diplomatico israeliano per la presunta falsificazione di passaporti britannici serviti al Mossad nella recente avventura negli Emiradi, dove è stato assassinato un dirigente di Hamas.
Alla testa di un governo irresponsabile, che gioca con gli interessi israeliani mettendo a repentaglio la pace in tutto il medio oriente, il premier di israele reitera il «diritto» a continuare il processo di colonizzazione: la domanda è se il presidente degli Stati uniti metterà un freno agli impulsi bellici di Netanyahu verso l'Iran.
pochi giorni fa il generale David Petraeus, capo delle truppe usa nella regione e delle forze Nato in Afghanistan, ha detto che la mancanza di pace nella regione minaccia gli interessi americani. Martedì sera (probabilmente ormai nella notte, per noi), un presidente Obama rafforzato dalla vittoria della sua riforma sanitaria al Congresso dovrà chiarire se permetterà al premier israeliano di proseguire nel suo avventurismo. La chiave sta al governo degli Stati uniti: vedremo se riuscirà a moderare un governo di Israele estremista, fondamentalista, pericoloso per la stessa Israele e per la regione intera.

1 commento:

Andrea ha detto...

E' falso dire che Netanyahu è contro la pace, e sono i fatti a dirlo: da quando c’è Obama, Netanyahu ha accettato di impegnare la sua coalizione di centro-destra ad accettare uno stato palestinese, ha tolto decine di posti di blocco e di sbarramenti anti-terrorismo per facilitare la vita ai palestinesi, ha aiutato lo sviluppo economico della Cisgiordania al punto che il Pil palestinese è cresciuto di uno stupefacente 7% in un anno, e ha accettato di varare una moratoria delle costruzioni ebraiche in Cisgiordania: una concessione che la stesa Clinton ha definito “senza precedenti”. Quali gesti di reciprocità, per non dire concessioni, ha fatto Abu Mazen da quando Obama è presidente? Neanche uno. Anzi, già molto prima che si verificasse l’incidente diplomatico durante la visita di Biden, Abu Mazen già si rifiutava anche solo di riprendere negoziati diretti con Israele. E la Casa Bianca chiede che sia Israele a dimostrare la sua serietà verso la pace? Questo sì che è un insulto!