venerdì 13 agosto 2010

L'ARTE DI NASCONDERE LA VERITA'

ESERCITO ISRAELIANO: L’ARTE DI NASCONDERE LA VERITA’
Sconto sulla pena per il soldato che, nel 2003 a Gaza, uccise l'attivista Tom Hurndall. Si apre invece l’indagine sull’uccisione a Bilin di Basem Abu Rahme. Dopo che per mesi l’IDF ha rifiutato di esaminare le testimonianze di chi quel giorno c'era.

DI BARBARA ANTONELLI – Roma, 20 luglio 2010 – Nena-news (foto www.palestinechronicle.com) -Torna libero il prossimo mese Taysir Heib, ex- soldato israeliano accusato della morte di Thomas Hurndall, il giovane attivista inglese ucciso a Gaza nell’aprile del 2003. Tom, uno studente di 22 anni era andato nella Striscia per compiere attivita’ di interposizione con la ISM, l’International Solidarity Movement: fu colpito alla testa mentre stava fotografando le demolizioni dei bullzoder isrealiani contro le case palestinesi a Gaza.

Nonostante nel 2005 abbia ricevuto una sentenza pari a 8 anni di carcere, con l’accusa di omicidio colposo (ma non volontario), ma anche per aver fornito una falsa testimonianza e aver ostacolato le indagini, un comitato interno all’esercito ha deciso di accorciare la sua pena, contravvevendo al parere del JAG (il giudice avvocato generale) Avichai Mendelblit.

Durante il processo, Heib dichiaro’ inizialmente di aver sparato mirando a un militante armato palestinese, portando a suo sostegno la testimonianza di un altro soldato, suo compagno nella stessa unita’, che invece ritratto’ tutta la versione dei fatti, dichiarando di non aver visto nulla.

Heib forni’ alla giuria una serie di testimonianze false e contraddittorie, cambiando piu’ volte la versione dei fatti. I giudici appurarono che Heib sparo’ a Tom con un’arma da tiratore scelto, dotata di sistema telescopico e Heib, in una seconda fase del processo, ammise candidamente di aver sparato a 10 cm dalla testa di Tom, per dare un avvertimento all’attivista, per spaventarlo e punirlo per essere entrato in una zona dichiarata militarmente off limits.

Nessuna delle autorita’ isrealiana si e’ presa pero’ la briga di informare la famiglia Hurndall che chi ha ucciso loro figlio torna in liberta’ il mese prossimo e – indignati e scioccati – i familiari di Tom hanno appreso la notizia dai numerosi giornalisti inglesi che li hanno chiamati per avere un commento.

Nello stesso periodo in cui un bolldozer israeliano uccideva Rachel Corrie, tre cittadini inglesi, — Iain Hook, Tom Hurndall e James Millar — sono stati vittime dei proiettili dell’esercito israeliano a Gaza e solo nel caso di Tom, e’ stata aperta e condotta un’indagine ed e’ stato trovato e punito il responsabile. Se poi ad essere uccisi sono civili palestinesi, il sistema interno all’esercito tenta ancora di piu’ di confondere e nascondere le prove, evitando qualsiasi indagine. Il 90% dei crimini commessi contro civili palestinesi per mano dell’esercito o della polizia israeliana, finisce con un file archiviato. Un sistema che da’ un chiaro messaggio ai soldati stessi: l’esercito e’ al di sopra della legge e l’entita’ che sta dietro ai soldati fara’ di tutto per proteggerli, nel caso non rispettino le regole di ingaggio.

Cosi e’ avvenuto anche per la morte di Bassem Abu Rahme, il giovane palestinese trentenne, impegnato nelle manifestazioni non violente con il comitato popolare di Bi’lin, villaggio della Cisgiordania che dal 2005 si batte contro la costruzione del muro e la confisca delle terre agricole. Una granata di gas lacrimogeno ha spezzato la vita di Pheel, l’elefante cosi lo chiamavano tutti, sia palestinesi sia israeliani. Trapassandogli il torace e colpendolo a distanza ravvicinata. L’esercito ha sempre evitato di aprire indagini, dichiarando il caso chiuso, dopo aver semplicemente ascoltato – nel corso di un debriefing organizzativo – le testimonianze dei soldati di turno a Bi’lin quel giorno: regole di ingaggio rispettate, il gas fu sparato – secondo l’esercito – da una distanza regolare e non fu volontariamente diretto a Bassem.

Ma quel 17 aprile a Bi’lin, di manifestanti ce n’erano centinaia, palestinesi, internazionali e israeliani. E tanti ripetono da 15 mesi che il candelotto che ha ucciso Bassem e’ stato lanciato da una distanza ravvicinata e seguendo una traiettoria orizzontale.

La famiglia di Pheel, si e’ rivolta alla studio di Michael Sfard, l’avvocato isrealiano che pochi mesi fa con un appello alla Procura israeliana e’ riuscito a far riaprire le indagini sul ferimento di Tristan Anderson, giovane attivista americano che ha subito – dopo essere stato ferito dall’esercito nel villaggio di Nilin- danni cerebrali permanenti. Anche nel caso di Anderson, il caso era stato chiuso senza avviare alcuna indagine approfondita.

In una lettera all’avvocato Sfard, il giudice (JAG) Mandelblit spiega di aver ordinato all’unita’ investigativa della polizia militare di aprire un’indagine – mentre fino a oggi si era sempre rifiutato. Un cambiamento dettato dal rischio che lo studio Sfard faccia appello all’Alta Corte di Giustizia.

Per seguire il caso di Basem, le due associazioni israeliane B’Tselem e Yesh Din hanno raccolto una lunga serie di testimonianze, video e fotografie e le hanno fatte analizzare da un gruppo di esperti indipendenti, redigendo un dettagliato report. Il report ricostruisce gli avvenimenti del 17 aprile, combinando approfondite analisi balistiche, in riferimento alle specifiche connotazioni del tipo di granata utilizzata (il modello 4431, da 40 mm, fabbricato da un’azienda della Pennsylvania), con le caratteristiche topografiche del terreno e le testimonianze video, secondo cui e’ possible risalire all’esatta posizione sia della vittima che del soldato che ha sparato. I diagrammi presentati nel report, elaborano le possibili traiettorie seguite dal candelotto lacrimogeno, dimostrando che se il soldato avesse sparato con una traiettoria a 60 gradi (come sostenuto dall’esercito), il gas sarebbe caduto molti metri dietro alla posizione in cui si trovava Basem.

Si aprono pertanto due possibili scenari, che portano a una simile evidente conclusione, cioe’ che le regole di ingaggio non sono state ripettate e il candelotto e’ stato sparato per colpire l’attivista, che si trovava a est del reticolato(che separa Bilin dalle terre agricole) e che non rappresentava alcuna minaccia per l’esercito.

Anche se si ipotizza infatti che la granata abbia colpito prima la rete metallica e poi il torace di Pheel, anche in questo caso, il soldato avrebbe dovuto trovarsi ad una distanza inferiore ai due metri dalla rete, cosa che non risulta tale dai video filmati da chi quel giorno era a Bilin.

Il ritardo nell’apertura delle indagini non trova nessuna giustificazione. E nemmeno i meccanismi che tutelano e coprono l’operato dei singoli soldati.

Ahmed, fratello di Basem ha dichiarato “siamo contenti che un’indagine sia stata aperta ma avrebbe dovuto avvenire lo stesso giorno che Basem e’ stato ucciso. Se l’esercito apre ora l’indagine, lo fa solo perche’ si sente costretto a farlo.” (nena-News)

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