domenica 17 gennaio 2010

SCHIACCIARE LA PROTESTA NON VIOLENTA DEI PALESTINESI

Schiacciare la protesta pacifica dei palestinesi

di Neve Gordon
The Guardian, 23 dicembre 2009

Mi è stato spesso domandato perché i palestinesi non avessero mai sviluppato un movimento pacifista come l'israeliano Peace Now.

È un quesito in sé problematico, fondato su numerose assunzioni erronee, come la nozione che vi sia una simmetria tra le due parti (palestinese e israeliana) e che Peace Now rappresenti un movimento politicamente efficace. Ma la più importante è la falsa supposizione che i palestinesi abbiano fallito a creare un movimento popolare pacifista.

Nel settembre del 1967 – tre mesi dopo la guerra decisiva nella quale la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est furono occupate – i leader palestinesi decisero di lanciare una campagna contro l'introduzione di nuovi libri di testo israeliani nelle scuole palestinesi. Questo movimento non diede vita ad attacchi terroristici, come la letteratura dominante circa l'opposizione palestinese può portare a credere, ma i dissidenti palestinesi adottarono piuttosto delle metodologie ispirate a Mahatma Gandhi e si mobilitarono attraverso uno sciopero generale della scuola: gli insegnanti non andarono a lavorare, i bambini protestarono per le strade contro l'occupazione, e molti commercianti tenettero chiusi i propri negozi.

La risposta israeliana a quel primo sciopero fu immediata e severa, con una serie di ordini militari che criminalizzavano come insurrezione tutte le forme di resistenza – includendo le proteste, i raduni politici, lo sfoggiare bandiere o altri simboli nazionali, il pubblicare e distribuire articoli o fotografie dai connotati politici e persino cantare o ascoltare canzoni patriottiche.

Ma ancora più importante, Israele organizzò rapidamente delle forze di sicurezza per sopprimere l'opposizione, lanciando delle campagne punitive a Nablus, dove vivevano i leader dello sciopero. Come specifica nel suo libro “La carota e il bastone” il generale maggiore Shlomo Gazit, coordinatore delle attività nei territori occupati in quel periodo, il messaggio che Israele voleva imprimere era chiaro: ogni atto di resistenza si sarebbe concluso con una risposta israeliana spropositata, finalizzata a far soffrire la popolazione a tal punto che la resistenza sarebbe apparsa inutile.

Dopo alcune settimane di coprifuoco notturno, di linee telefoniche bloccate, di detenzione nelle carceri dei leader, e di una vessazione imposta alla popolazione sempre maggiore, Israele riuscì a spezzare lo sciopero.

Sebbene sia passata molta acqua sotto il ponte da quel primo tentativo di resistenza nella forma di “disobbedienza civile”, nel corso delle scorse cinque decadi i palestinesi hanno continuamente sviluppato metodi non violenti di opposizione per sfidare l'occupazione. Israele, d'altra parte, ha sempre utilizzato contromisure violente per soffocare questi tentativi.

Spesso ci si dimentica che persino la seconda Intifada, che si manifestò in un crescendo di violenza, iniziò invece come una rivolta popolare pacifica. Il giornalista di Haaretz Akiva Eldar ha rivelato molti anni dopo che i vertici della sicurezza israeliana avevano deciso di radicalizzare il livello dello scontro già durante le prime settimane della rivolta. Akiva cita Amos Malka, il generale dell'esercito responsabile dell'intelligence in quel periodo, dicendo che durante il primo mese della seconda Intifada, quando questa era ancora principalmente caratterizzata da proteste popolari non violente, l'esercito sparava già proiettili 1.3 millimetri in Cisgiordania e a Gaza. L'idea era di innalzare il livello di violenza dello scontro, pensando che questo avrebbe condotto ad una vittoria militare decisiva e al soffocamento della ribellione. La rivolta e la sua soppressione si radicalizzarono di conseguenza.

Ma di nuovo, negli scorsi cinque anni, palestinesi da villaggi e cittadine segnate come Bil'in e Jayyous hanno sviluppato nuove forme di resistenza pacifica che hanno attratto l'attenzione della comunità internazionale. Persino il primo ministro dell'Autorità palestinese (Anp) Salam Fayyad ha recentemente esortato i propri elettori ad adottare strategie simili. Israele, in risposta, ha decido di trovare il modo di metter fine alle proteste una volta per tutte, e ha iniziato una ben architettata campagna che prende di mira i leader locali di questa resistenza.

Uno di questi leader, Abdallah Abu Rhamah, un insegnate di scuola superiore, coordinatore del Comitato popolare contro il Muro di Bil'in, è uno dei tanti palestinesi sulla lista nera dei militari israeliani. Alle due del mattino del dieci dicembre (la giornata mondiale per i diritti umani), nove veicoli militari hanno circondato la sua casa. Soldati israeliani hanno fatto irruzione sfondando la porta, e dopo avergli concesso di salutare la moglie Majida e i tre figli, lo hanno bendato e preso in custodia. È stato accusato del lancio di pietre, del possesso di armi (in realtà vecchi lacrimogeni conservati al museo di Bil'in), e di istigazione dei seguaci palestinesi, che, tradotto, significa organizzare dimostrazioni contro l'occupazione.

Il giorno prima dell'arresto di Abu Ramah, l'esercito israeliano si è dispiegato in un'operazione coordinata nella regione di Nablus, irrompendo nelle case di quegli attivisti di base presi di mira per il loro impegno politico contro la violazione dei diritti umani. Wa'el al-Faqeeh Abu as-Sabe, di 45 anni, è una delle nove persone arrestate. È stato prelevato da casa sua all'una del mattino e, come Abu Ramah, è adesso accusato d'istigazione. Mayasar Itiany, conosciuta per il suo lavoro con la Women's Union di Nablus e attivista per i diritti dei prigionieri politici è stata anch'ella presa in custodia, come anche Mussa Salama, attiva nel Medical Relief for Workers. Anche Jamal Juma’, direttore di una ong chiamata Stop the Wall, è ora dietro le sbarre di una cella.

Gli arresti notturni mirati dei leader delle comunità palestinesi sono diventati pratica comune in Cisgiordiania, in special modo nel villaggio di Bil'in dove, sin dallo scorso giugno, 31 residenti sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nelle dimostrazioni contro il Muro. Tra questi c'è Abeed Abu Rhamah, un attivista di spicco che è rimasto in cella per circa cinque mesi e che rischia ora di essere imprigionato per ulteriori quattordici mesi.

Chiaramente, la strategia israeliana è quella di arrestare tutti i leader e di accusarli d'istigazione, innalzando il prezzo e il rischio nell'organizzare proteste contro l'oppressione subita dalla popolazione palestinese. L'obbiettivo è quello di metter fine alla resistenza popolare pacifica all'interno dei villaggi e di schiacciare una volta per tutte il movimento pacifista in Palestina.

Per questo motivo, la mia risposta a coloro che mi chiedono a proposito di un Peace Now palestinese è che un movimento pacifista dal basso è sempre esistito in Palestina. E al processo di Abdallah Abu Rhamah del prossimo giovedì (il riferimento è giovedì 31 dicembre, ndr) chiunque potrà essere testimone di alcuni dei metodi “legali” che sono stati costantemente sviluppati da Israele per distruggere tale movimento.

(Traduzione a cura di Indymedia Emilia Romagna)

1 commento:

Andrea ha detto...

Sono in tanti in Israele a sperare che i palestinesi passino alla "protesta non violenta", visto che dal 2000 al 2005 i kamikaze di Arafat hanno fatto in Israele 25.000 attentati contro la popolazione civile, 1300 morti e 10.000 feriti, e dal 2000 fino a pochi mesi fa hanno bombardato il sud del Neghev con 8000 missili.