venerdì 28 maggio 2010

LICENZA DI UCCIDERE

ISRAELE, POLIZIA AL DI SOPRA DELLA LEGGE
Il caso del bambino Ahmed Moussa. Il poliziotto che gli sparo' e’ stato accusato solo di omicidio colposo

Ramallah, 27 maggio 2010, Nena News - Dal 2001 ad oggi il gruppo per i diritti umani BT’selem ha seguito 35 casi di palestinesi feriti o uccisi da proiettili sparati dalla polizia israeliana. Solo per due di questi la giustizia israeliana si e’ attivata per trovare e incriminare i responsabili. Uno di questi e’ il caso di Ahmed Moussa. Martedi il poliziotto israeliano che gli ha sparato alla testa a Ni’lin nel luglio del 2008, uccidendolo, e’ stato accusato solo di omicidio colposo e non di omicidio volontario.

Durante la seconda Intifada, il 90% dei crimini commessi contro civili palestinesi per mano dell’esercito o della polizia israeliana e sottoposti al MPCDI (Dipartimento di polizia militare per indiagini criminali) sono finiti con un file archiviato. Senza che venisse formulato alcun capo d’accusa. Visto che esercito e polizia sono quasi sempre al di sopra della legge, in alcuni casi sono le stesse associazioni israeliane per i diritti umani, a farsi carico della raccolta di prove, dell’apertura dei file, del monitoraggio dell’iter legale e della richiesta di ulteriori indagini.

Ahmed Moussa aveva 10 anni. Nel luglio del 2008, e’ stato sparato alla testa, nel corso di una protesta contro il muro di separazione israeliano a Ni’lin, uno dei numerosi villaggi in cui va avanti la resistenza non-violenta contro la costruzione della barriera e l’espansione delle colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata.
Finora il responsabile non era stato perseguito e martedi’ un ufficiale della polizia di confine israeliana e’ stato incriminato solo per omicidio colposo.

Il 29 luglio 2008 Ahmed era con alcuni suoi compagni alla protesta del venerdi a Ni’lin. Secondo quanto riportato dagli altri manifestanti, Ahmed cercando di scappare dai gas lacrimogeni tirati dall’esercito israeliano per disperdere i manifestanti, ha perso una scarpa e mentre si chinava a raccoglierla, un ufficiale gli ha sparato un proiettile. Ahmad e’ arrivato morto all’ospedale di Ramallah, mentre a suo padre l’esercito ha negato di accompagnare il figlio in ospedale, imponendo un coprifuoco su tutto il villaggio, che e’ durato per oltre tre giorni.
Due organizzazioni israeliane, Bt’selem e Yesh Din hanno condotto ricerche dopo l’uccisione di Ahmed: le testimonianze raccolte cosi’ come le dichiarazioni dei medici di Ramallah che hanno esaminato la ferita, hanno confermato che Ahmed e’ stato colpito con un proiettile da arma da fuoco.
Solo dopo che le due organizzazioni hanno fatto quindi appello alle autorita’, la polizia ha finalmente aperto un’indagine ufficiale. E un incontro congiunto tra esercito e Polizia di frontiera ha concluso che la morte del ragazzino era stata provocata da “fuoco israeliano”. Durante l’interrogatorio, l’ufficiale ha ammesso di aver sparato proiettili come mezzo di ammonimento ai dimostranti. A febbraio, l’accusa aveva sostenuto -per l’ufficiale sospetto – l’omicidio colposo come capo d’imputazione. Nel corso dell’udienza, le richieste della difesa sono state rifiutate e martedi l’ufficiale israeliano e’ stato incriminato per omicidio colposo.

Una notizia subito diffusa dalle associazioni israeliane, visto che dal 2000 si contano su un palmo della mano i casi in cui ufficiali della polizia o dell’esercito israeliano sono stati perseguiti dalla legge per i crimini commessi contro i palestinesi.
Dal 2001, sempre Bt’selem ha seguito 35 casi di palestinesi uccisi e feriti. Solo per 16 casi e’ stata aperta un’indagine. Solo in due casi e’ stata formulato un capo d’accusa. Uno di questi e’ il caso di Ahmed. (red) Nena News

1 commento:

Andrea ha detto...

E sull'eroica giustizia amministrata secondo la Sharia da Hamas nulla da dire? Hamas può vantare il record mondiale di condanne a morte – niente male per un governo che si vuole religioso