lunedì 24 maggio 2010

Un'accurata analisi

“Come Israele ha portato Gaza sull’orlo della catastrofe umanitaria”
Il professore di relazioni internazionali ad Oxford, Avi Shlaim, ha prestato servizio nell’esercito israeliano e non ha mai contestato la legittimità dello stato. Ma la sua spietata aggressione a Gaza lo ha portato a conclusioni sconvolgenti.
di Avi Shlaim

L’unico modo per dare un senso alla guerra israeliana entro Gaza, che è priva di senso alcuno, è quello che passa attraverso la comprensione del contesto storico. La fondazione dello stato di Israele nel maggio del 1948 ha comportato una monumentale ingiustizia nei confronti dei palestinesi. Ufficiali britannici si sono risentiti amaramente per la parzialità americana a favore del neonato stato. Il 2 giugno 1948, Sir John Troutbeck scrisse al Segretario degli Esteri, Ernest Bevin, che gli americani erano responsabili della creazione di uno stato criminale guidato da “una serie di leader totalmente privi di scrupoli”. Ero portato a pensare che questo giudizio fosse stato troppo duro, ma la brutale aggressione di Israele alla popolazione di Gaza, e la complicità dell’amministrazione Bush, hanno riaperto la questione.

Scrivo in quanto persona che ha prestato servizio lealmente nell’esercito israeliano a metà degli anni ’60 e che non ha messo mai in discussione la legittimità dello stato di Israele all’interno dei confini che precedono il 1967. Ciò che respingo del tutto è il progetto coloniale sionista oltre la Linea Verde. L’occupazione israeliana della West Bank e della Striscia di Gaza nel periodo successivo alla guerra del giugno del 1967 ha avuto a che fare ben poco con la sicurezza, mentre ha avuto a che fare con l’espansione territoriale. Lo scopo era quello di dar vita ad una Grande Israele grazie al controllo permanente di tipo politico, economico e militare sui Territori Palestinesi. Ed il risultato è stato quello di una delle più prolungate e brutali occupazioni militari dei tempi moderni.
Quattro decenni di controllo israeliano hanno danneggiato in modo incalcolabile l’economia della Striscia di Gaza. Con una popolazione numerosa, costituita da profughi del 1948, stipata entro una sottile striscia di terra, senz’alcuna infrastruttura o risorsa naturale, le prospettive di Gaza non erano mai state brillanti. Tuttavia, Gaza non rappresenta semplicemente un caso di sottosviluppo economico, bensì soltanto un caso crudele di recessione deliberata. Per usare una frase della Bibbia, Israele ha convertito la popolazione di Gaza in taglialegna e portatori di acqua, in una fonte di lavoro a buon mercato e in un mercato assoggettato per i prodotti israeliani. Lo sviluppo dell’industria locale è stato interdetto con vigore tanto da far sì che sia impossibile che per i palestinesi abbia fine la loro dipendenza da Israele e che si possa avere un rafforzamento economico che è essenziale per una politica di reale indipendenza.
Gaza è un caso classico di sfruttamento coloniale in una era post-coloniale. Le colonie ebraiche nei territori occupati sono immorali, illegali e rappresentano un ostacolo insormontabile per la pace. Esse sono nel contempo strumento di sfruttamento e simbolo dell’odiata occupazione. A Gaza, nel 2005, il numero dei coloni ebrei assommava a sole 8.000 persone, rapportate a 1,4 milioni di residenti del posto. Ancora, i coloni controllavano il 25% del territorio, il 40% del terreno coltivabile e facevano la parte del leone sulle scarse risorse idriche. Molto vicino a questi intrusi stranieri, la popolazione del luogo viveva in una povertà degradante e in un’inimmaginabile miseria. L’80% di tale popolazione sopravvive ancora con meno di 2$ al giorno. Le condizioni di vita nella Striscia restano un affronto ai valori della civiltà, favoriscono un poderoso precipitare verso la resistenza e costituiscono un terreno fertile per estremismi politici.
Nell’agosto 2005, un governo del Likud con a capo Ariel Sharon, organizzò un disimpegno israeliano unilaterale da Gaza, con il ritiro di tutti gli 8.000 coloni e la distruzione delle case e delle fattorie che avevano lasciato dietro di sé. Il movimento di resistenza islamica, Hamas, aveva condotto una campagna reale per cacciare gli israeliani da Gaza. Il ritiro rappresentò un’umiliazione per le Forze di Difesa Israeliane. Nei confronti del mondo, Arien Sharon presentò il ritiro da Gaza come un contributo per la pace sulla base della soluzione a due-stati. Ma nell’anno successivo, altri 12.000 coloni si insediarono nella West Bank, riducendo ulteriormente l’opportunità per la costituzione di uno stato palestinese indipendente. L’accaparramento di terre e la realizzazione della pace sono semplicemente incompatibili. Israele ha avuto un’occasione ed esso ha scelto la terra al posto della pace.
Il proposito effettivo che sta dietro a questa mossa è stato quello di ridisegnare unilateralmente i confini della Grande Israele incorporando i principali blocchi di colonie della West Bank nello stato di Israele. Il ritiro da Gaza non è stato perciò un preliminare ad un trattato di pace con l’Autorità Palestinese, ma il preludio ad una ulteriore espansione sionista nella West Bank. E’ stata una mossa unilaterale israeliana portata avanti, da ciò che si poteva vedere, in modo errato secondo la mia opinione, come se fosse nell’interesse nazionale israeliano. Facendo perno su un fondamentale rifiuto dell’identità nazionale palestinese, il ritiro da Gaza è stato parte del tentativo a lungo termine di impedire al popolo palestinese di ottenere una qualsiasi esistenza politicamente indipendente sulla propria terra.
I coloni di Israele erano stati ritirati, ma i soldati israeliani hanno continuato a controllare tutti gli accessi alla Striscia di Gaza per via di terra, di mare e di cielo. Gaza è stata convertita in breve tempo in una prigione a cielo aperto. Da questo momento in poi, l’aviazione israeliana ha goduto della libertà incondizionata di sganciare bombe, di produrre boati volando a bassa quota e rompendo il muro del suono e di terrorizzare gli sventurati abitanti di questa prigione.
A Israele piace fare un ritratto di sé come di un’isola di democrazia in un mare di autoritarismo. Fino ad ora, in tutta la sua storia, Israele non ha mai fatto nulla per promuovere la democrazia dalla parte araba, mentre ha fatto moltissimo per metterla a repentaglio. Israele ha una lunga storia di collaborazioni segrete con regimi arabi reazionari per sopprimere il nazionalismo palestinese. Nonostante tutte le difficoltà, il popolo palestinese è riuscito a costruire la sola genuina democrazia nel mondo arabo, con la possibile eccezione del Libano. Nel gennaio 2006, elezioni libere e corrette per il Consiglio Legislativo dell’Autorità Palestinese hanno portato al potere un governo guidato da Hamas. Tuttavia, Israele si è rifiutato di riconoscere il governo democraticamente eletto, affermando che Hamas è un’organizzazione puramente e semplicemente terroristica.
America ed Unione Europea si sono unite spudoratamente ad Israele nell’ostracizzare e nel demonizzare il governo di Hamas e nel cercare di farlo cadere con il trattenere le entrate derivate dalle tasse e l’aiuto estero. Si è sviluppata così una situazione surreale con una gran parte della comunità internazionale che impone sanzioni economiche non contro l’occupante, bensì contro l’occupato, non contro l’oppressore, ma contro l’oppresso.
Come è successo tanto spesso nella tragica storia della Palestina, le vittime sono state incolpate delle loro stesse disgrazie. La macchina della propaganda di Israele si è rifornita tenacemente della nozione secondo la quale i palestinesi sono dei terroristi, del fatto che essi respingono la coesistenza con lo stato ebraico, che il loro nazionalismo è qualcosa di più dell’antisemitismo, che Hamas è veramente un gruppo di fanatici religiosi e che l’Islam è incompatibile con la democrazia. Ma la semplice verità sta nell’essere il popolo palestinese un popolo normale con aspirazioni normali. Essi non sono meglio, ma neppure peggio di qualsiasi altro gruppo nazionale. Ciò cui loro aspirano, sopra ogni altra cosa, è un pezzo di terra da poter dire propria e sulla quale vivere in libertà e con dignità.
Come altri movimenti radicali, Hamas ha cominciato con il moderare il suo programma politico subito dopo la sua ascesa al potere. Dalla posizione di rifiuto ideologico della sua carta fondativa, ha cominciato a spostarsi in direzione della risoluzione pragmatica di una soluzione a due-stati. Nel marzo 2007, Hamas e Fatah hanno formato un governo di unità nazionale che era disponibile a negoziare un cessate il fuoco di lunga durata con Israele. Ciò nonostante, Israele si è rifiutato di trattare con un governo che comprendeva Hamas.
Ha continuato a portare avanti il vecchio gioco del “divide et impera” tra le fazioni palestinesi rivali. Negli ultimi anni ’80, Israele aveva sostenuto il nascente movimento di Hamas al fine di indebolire Fatah, il movimento nazionalista laico guidato da Yasser Arafat. Ora Israele ha cominciato ad incoraggiare i corrotti e duttili dirigenti di Fatah a scalzare i loro rivali politici religiosi e a riprendere il potere. Gli aggressivi neo-consevatori americani sono stati partecipi del sinistro complotto per scatenare una guerra civile tra palestinesi. La loro ingerenza è stato il principale fattore del collasso del governo di unità nazionale e della presa di potere a Gaza da parte di Hamas nel giugno del 2007 per prevenire un colpo di stato di Fatah.
La guerra scatenata da Israele a Gaza il 27 dicembre è stata il culmine di una serie di scontri e di litigi con il governo di Hamas. In senso più ampio, tuttavia, è una guerra tra Israele e il popolo palestinese, in quanto era stato il popolo ad eleggere il partito perché assumesse il potere. Lo scopo dichiarato della guerra è quello di indebolire Hamas e di aumentare la pressione fino a fare accettare dai suoi dirigenti un nuovo cessate il fuoco secondo i termini fissati da Israele. Lo scopo non dichiarato è quello di assicurarsi che a Gaza i palestinesi siano visti dal mondo semplicemente come un problema umanitario e quindi far deragliare il senso della loro lotta per l’indipendenza e per il diritto ad uno stato.
Il momento scelto per la guerra è stato determinato dall’opportunità politica. Le elezioni generali sono in programma per il 10 febbraio e, nel periodo pre-elettorale tutti i principali contendenti stanno cercando un’opportunità per dimostrare la loro fermezza. I pezzi grossi dell’esercito stavano mordendo il freno per dare un colpo tremendo ad Hamas e rimuovere così l’onta lasciata sulla loro reputazione dal fallimento della guerra contro gli Hezbollah in Libano, nel luglio del 2006. I cinici dirigenti di Israele potevano inoltre far conto sull’apatia e sull’impotenza dei regimi arabi filo-occidentali e sul cieco sostegno da parte del Presidente Bush al crepuscolo dei termini del suo mandato alla Casa Bianca. Bush si è impegnato subito attribuendo tutta la colpa per la crisi ad Hamas, opponendo il veto alle proposte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per un immediato cessate il fuoco e dando il via libera ad Israele per l’attuazione di un’invasione terrestre di Gaza.
Come sempre, Israele afferma in modo possente di essere la vittima dell’aggressione palestinese, ma l’assoluta asimmetria della forza tra le due parti lascia poco spazio al dubbio, come pure su chi è la reale vittima. Di fatto, questo è un conflitto tra Davide e Goliath, ma le immagini bibliche sono invertite – un piccolo e indifeso Davide palestinese affronta un Goliath israeliano, fornito di armi pesanti, spietato e prepotente. Il ricorso alla forza bruta dell’esercito viene accompagnato, come sempre, dalla stridula retorica della condizione di vittima e di un groviglio di autocommiserazione ricoperta di ipocrisia. In ebraico tutto ciò è noto con il nome di sindrome di “bokhim ve-yorim”, del piangere e sparare.
Per certo, in questo conflitto Hamas non è una parte del tutto innocente. Impedito di trarre frutto dalla sua stessa vittoria elettorale e messo a confronto con un avversario senza scrupoli, esso ha fatto ricorso all’arma del terrore del debole. Militanti di Hamas e della Jihad Islami hanno continuato a lanciare attacchi con razzi Qassam contro gli insediamenti israeliani prossimi al confine con Gaza fino a che, lo scorso giugno,. l’Egitto ha mediato un cessate il fuoco di sei mesi. Il danno prodotto da questi razzi rudimentali è minimo, ma l’impatto psicologico è immenso, tanto da spingere la gente a chiedere protezione al proprio governo. Per queste circostanze, Israele ha avuto il diritto di agire in propria difesa, ma la sua risposta alle punture di spillo degli attacchi dei razzi è stata del tutto sproporzionata. I numeri parlano da soli. Nei tre anni successivi al ritiro da Gaza, sono morti 11 israeliani, uccisi dal fuoco dei razzi. Dall’altra parte , solo negli anni tra il 2005 e il 2007, l’IDF ha ucciso a Gaza ben 1.290 palestinesi, dei quali 222 sono bambini.
Qualsiasi sia il numero, l’uccisione dei civili è un’ingiustizia. Questa regola vale per Israele tanto quanto per Hamas, ma il primato completo di Israele è quello di una sfrenata brutalità senza limiti nei confronti degli abitanti di Gaza. Inoltre, Israele ha conservato il blocco di Gaza anche dopo che è entrato in funzione il cessate il fuoco, in previsione del fatto che i dirigenti di Hamas sarebbero arrivati ad una violazione dell’accordo. Durante il cessate il fuoco, Israele ha impedito qualsiasi esportazione il partenza dalla Striscia in netta violazione di un accordo del 2005, con la conseguente caduta a picco delle opportunità di lavoro.

Ufficialmente, il 49,1% della popolazione è disoccupato. Allo stesso tempo, Israele ha ridotto drasticamente il numero degli autocarri che trasportano a Gaza cibo, carburante, bombole di gas per cucinare, parti di ricambio per impianti idrici e sanitari e scorte mediche. E’ difficile capire come il fare morire di fame e di freddo la popolazione civile di Gaza potrebbe proteggere la gente sul lato israeliano del confine. Ma anche se fosse così, ciò sarebbe ugualmente immorale, una forma di punizione collettiva che è tassativamente proibita dal diritto internazionale umanitario.
La brutalità dei soldati di Israele ben si accorda con la falsità dei suoi portavoce. Otto mesi prima del lancio dell’attuale guerra a Gaza, Israele ha costituito un Comitato Direttivo Nazionale dell’Informazione. Il nucleo essenziale dei messaggi che questo comitato ha fatto pervenire ai mezzi di informazione è che Hamas ha rotto gli accordi di cessate il fuoco; che l’obiettivo di Israele consiste nella difesa della sua popolazione; e che le forze di Israele stanno ponendo la massima attenzione a non colpire civili innocenti. Le persone incaricate di mettere in buona luce Israele hanno ottenuto un notevole successo nello spargere a giro un messaggio di questo tipo. Ma, in sostanza, tutta questa propaganda non è altro che una massa di bugie.
C’è un ampio divario che separa la realtà delle azioni compiute da Israele dalla retorica dei suoi portavoce. Non è stato Hamas, bensì Israele a rompere il cessate il fuoco. Lo fece il 4 novembre con una spedizione all’interno di Gaza con la quale uccise sei uomini di Hamas. L’obiettivo di Israele non è affatto la difesa della sua popolazione, ma l’eventuale rovesciamento del governo di Hamas a Gaza, facendo rivoltare il popolo contro i propri governanti. E molto lontano dal preoccuparsi di risparmiare i civili, Israele è responsabile di bombardamenti indiscriminati e del blocco della durata di tre anni che ha portato gli abitanti di Gaza, attualmente 1,5 milioni di persone, sull’orlo di una catastrofe umanitaria.
L’ingiunzione biblica di occhio per occhio è abbastanza barbara. Ma l’insensata offensiva di Israele nei confronti di Gaza sembra seguire piuttosto la logica di un occhio per una ciglia. Dopo otto giorni di bombardamenti, che hanno portato ad un pedaggio di morte di più di 400 palestinesi e di 4 israeliani, il consiglio dei ministri guerrafondaio ha ordinato l’invasione terrestre di Gaza le cui conseguenze sono incalcolabili.
Nessun ammontare dell’incremento dell’attività militare può offrire ad Israele l’immunità dagli attacchi dei razzi lanciati dall’ala militare di Hamas. Nonostante tutte le morti e le distruzioni che Israele ha inflitto loro, essi proseguono nella loro resistenza e continuano a sparare i loro razzi. Questo è un movimento che glorifica lo stato di vittima e il martirio. Per ciò che riguarda il conflitto, tra le due comunità non c’è semplicemente alcuna soluzione possibile di tipo militare. Il guaio per ciò che è implicito nel concetto di sicurezza di Israele sta nel fatto che esso nega la più elementare sicurezza alle altre comunità. Il solo modo perché Israele consegua sicurezza non lo può ottenere sparando, bensì avviando colloqui con Hamas, che ha dichiarato ripetutamente la sua disponibilità a negoziare un cessate il fuoco di lungo termine con uno stato ebraico all’interno dei confini precedenti al 1967 di 20, 30, o perfino di 50 anni. Israele ha respinto questa offerta per la stessa ragione per cui disdegnò il piano di pace della Lega Araba del 2002, che è tuttora sul tavolo: esso implica concessioni e compromessi.
Questa breve rassegna dei primati di Israele nelle quattro decadi passate rende difficile resistere alla conclusione che esso è divenuto uno stato canaglia con “un gruppo di dirigenti totalmente privi di scrupoli”. Uno stato canaglia viola abitualmente il diritto internazionale, possiede armi di distruzione di massa e pratica il terrorismo – l’uso della violenza contro civili per scopi politici. Ebbene, Israele soddisfa tutti e tre questi canoni; il cappello va bene e lo si deve indossare. La reale aspirazione di Israele non è la coesistenza pacifica coi i suoi vicini palestinesi, ma il dominio militare. Esso continua ad aggravare gli errori del passato con altri nuovi ed ancor più sciagurati. I politici, come tutti gli altri, sono naturalmente liberi di ripetere le menzogne e gli errori del passato. Ma non è obbligatorio che lo facciano.
Avi Shlaim è professore di relazioni internazionali all’Università di Oxford ed autore de Il muro di ferro: Israele e il mondo arabo e del Lion of Jordan: King Hussein’s Life in War and Peace.
(tradotto da mariano mingarelli)
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1 commento:

Andrea ha detto...

Che Gaza possa essere un territorio diversamente governabile a te non passa proprio in mente??