venerdì 1 luglio 2011

Sciopero della fame dei prigionieri palestinesi contro l'inasprimento delle misure detentive

Israele vuole inasprire le misure detentive?!?! E cosa vuole fare di più? /00 bambini arrestati all'anno, torturati, maltrattati, impossibilitati a vedere parenti e avvocati, 11mila prigionieri di cui la maggior parte in detenzione amministrativa, arbitri, abusi, torture, isolamento,cibo guasto, uccisioni e morte durante la tortura inumana....C'è da rimanere allibiti. Se c'è qualcosa da inasprire questa dovrebbe essere un cumulo di sanzioni da parte della comunità internazionale contro questo paese sempre più criminale. Ma come sappiamo ciò non avverrà. Gli stati occidentali sono molto interessati alle capacità israeliane di contenere e reprimere e i loro sistemi di sicurezza esportati ovunque sono utili per qualsiasi forma di opposizione,Israele insegna e l'Occidente impara come schiacciare esseri umani e diritti. Questa è l'Israele che ci aspettiamo.


articolo di
di Marta Fortunato

Le condizioni nelle carceri israeliane peggioreranno. Lo ha annunciato il primo ministro israeliano Benjamin Natanyahu durante la Conferenza Presidenziale svoltasi a Gerusalemme: Israele “cambierà il trattamento che riserva ai prigionieri palestinesi”. In particolare “l'assurda pratica secondo la quale i prigionieri possono iscriversi e studiare all'università”.
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Prigioniera palestinese (a sinistra) saluta una parente dall'auto della Croce Rossa




Ulteriore inasprimento delle misure detentive, già terribili e crudeli. Per questo più di 6000 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane aderiranno allo sciopero della fame che si terrà il 3 luglio 2011 per protestare contro la politica repressiva dell'autorità israeliana.

Martedì 28 giugno i prigionieri hanno rilasciato una dichiarazione nella quale invitano i palestinesi che vivono dentro e fuori i Territori Occupati ad effettuare uno sciopero della fame di due ore come simbolo di solidarietà. Hanno inoltre lanciato un appello ai partiti politici palestinesi perché agiscano contro le crudeli misure a cui vengono sottoposti i prigionieri e perché questi temi vengano discussi durante i meeting della Lega Araba. E ora le condizioni, già precarie, nelle carceri israeliane peggioreranno.

Centinai di prigionieri vengono tenuti in isolamento, o viene loro impedito di veder i propri famigliari.

Na'el Barghouti, leader di Hamas arrestato nel 1978 e prigioniero al mondo detenuto da più tempo in carcere, è stato messo in isolamento dopo essersi rifiutato di denudarsi per sottoporsi ad una perquisizione da parte della autorità israeliane. Pratica che, secondo l'associazione dei prigionieri palestinesi, è una “copertura legale e politica per continuare ad umiliare e a torturare i detenuti palestinesi”.

Nello stesso tempo, il Ministro palestinese degli affari dei detenuti ha denunciato che almeno un terzo delle famiglie dei prigionieri palestinesi non può fare visita ai propri cari nelle carceri israeliane. Alcuni genitori non vedono i propri figli da più di quindici anni. Martedì scorso, Wadhah Daamsa, 80 anni, è morta senza aver mai avuto la possibilità di andare a trovare il figlio Yahya, detenuto dal 2002 in una prigione israeliana.


La situazione dei palestinesi nelle carceri israeliane è disumana. Secondo Addameer, l'Ong palestinese sui diritti dei prigionieri, più di 6800 palestinesi della Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme Est e della Palestina del 1948, sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane. Di questi, più di 300 sono minorenni, 34 sono donne, 18 sono rappresentanti palestinesi eletti e circa 300 sono in detenzione amministrativa.

Si calcola che dal 1967, inizio dell’occupazione militare israeliana della Cisgiordania, sono stati 650mila i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, circa il 20% della popolazione dei Territori Palestinesi Occupati. Tuttavia, se si considera il fatto che la maggioranza dei detenuti sono uomini, il numero di palestinesi che sono stati arrestati rappresenta il 40% della popolazione maschile dei Territori Occupati (TPO)

Ci sono 24 centri detentivi per i prigionieri politici palestinesi, di cui solo tre all'interno dei TPO. Gli altri si trovano in Israele, in aperta violazione dell'articolo 76 della Quarta Convenzione di Ginevra secondo il quale “tutte le persone accusate di un reato devono essere detenute all'interno del paese occupato e se vengono condannate, devono scontare la condanna nel paese “.

Inoltre le leggi discriminano tra palestinesi ed israeliani: i primi possono essere tenuti in detenzione per 26 giorni senza l'intervento di un giudice mentre gli israeliani 48 ore. Un palestinese può esser tenuto in carcere senza alcuna prova d'accusa per 30 giorni (che possono essere estesi a 6 mesi) mentre il tempo massimo per un cittadino israeliano è di 15 giorni (estendibili per un massimo di altri 15 giorni). Palestinesi ed israeliani sono sottoposti a due sistemi penali diversi:i palestinesi agli ordini militari israeliani, mentre i secondi fanno capo al codice penale israeliano.

In un report pubblicato dal centro per gli studi sui prigionieri domenica 26 giugno, la Giornata Internazionale contro la Tortura, si legge che le autorità israeliane fanno uso di più di cento diverse tecniche di tortura fisica e mentale contro i prigionieri palestinesi, tecniche che “sono bandite a livello internazionale”, come ad esempio quelle di versare acqua calda e fredda sulle teste dei detenuti durante gli interrogatori, di privarli delle medicine, di esporli per ore alla luce artificiale, di non farli dormire per giorni e di spegnere sigarette sui loro corpi. Alcuni prigionieri sono morti a causa dei maltrattamenti subiti. Torture e trattamenti degradanti espressamente vietati dalle Convenzioni di Ginevra dalla Convenzione Internazionale per i diritti civili e politici e dalla convenzione contro la Tortura e il trattamento crudeli e inumani. Eppure Israele “per necessità di difesa” viola costantemente queste leggi: un detenuto palestinese può essere interrogato per un periodo totale di 180 giorni durante i quali gli può essere impedito di rivolgersi ad un avvocato (per un massimo di 60 giorni).

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