domenica 25 aprile 2010

DEMOLIZIONI IN ISRAELE E NEI TERRITORI OCCUPATI DI CASE PALESTINESI

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DIRITTI UMANI

“Agli occhi dello stato, noi, qui, non esistiamo.”

di Nora Barrows-Friedman



Mercoledì 14 aprile, le Forze Israeliane hanno portato a termine le operazioni di demolizione di alcune case di maggiori dimensioni all’interno di tre aree distinte nella West Bank occupata. Le demolizioni hanno lasciato senza casa dozzine di persone ad Hares (vicino alla città settentrionale di Tulkarem); e nelle cittadine di Beit Sahour e al-Khader vicine a Bethlehem. Ah Hares, pure alcuni negozi di proprietà di palestinesi sono stati ridotti in un cumulo di macerie, mentre ufficiali israeliani hanno minacciato gli abitanti di future demolizioni nell’area.



Jonathan Pollack degli Anarchici Contro il Muro e del Comitato di Coordinamento di Lotta Popolare in un comunicato stampa ha scritto: “Un enorme bulldozer israeliano ha demolito la casa di Ali Mousa [in al-Khader], che fungeva da abitazione per nove persone, compreso un bambino di un anno di età, mentre i soldati impedivano a chiunque di avvicinarsi alla casa – incluso l’avvocato della famiglia, che aveva mostrato ai soldati una ingiunzione [contro] la demolizione, emessa dal tribunale nel 2006.”

Questi attacchi di mercoledì evidenziano la crisi in corso dell’espansione della confisca israeliana delle terre palestinesi – ma queste pratiche non si limitano alle sole zone di confine della West Bank occupata e della Striscia di Gaza. Martedì, nel deserto del Negev, la polizia israeliana ha invaso il villaggio beduino di al-Araqib, distruggendo tre case. Nello stesso momento, a Twail Abu Jarwal le Forze Israeliane hanno raso al suolo, una volta ancora, tutte le tende, le baracche e i contenitori per la raccolta dell’acqua, con una operazione che il portavoce del Consiglio Regionale dei Villaggi Non-riconosciuti nel Negev ha dichiarato essere questa la “quarantesima volta in quest’ultimi pochi anni” in cui erano state demolite case e strutture.

E lunedì 12 aprile, nel villaggio di Dhammash, un villaggio non-riconosciuto lontano dal Negev e dall’attenzione dei mezzi di informazione, la polizia israeliana aveva distribuito 13 ordini di demolizioni di case ad altrettanti proprietari di abitazioni palestinesi.

Dhammash si trova tra due delle città più grandi tra quelle che, in Israele, vengono dette “città miste”, Lyyd e Ramla. A dieci minuti di distanza dall’aeroporto internazionale Ben Gurion, quest’area è uno dei siti nel Medio Oriente più antichi e abitati con continuità. Durante gli ultimi 62 anni i palestinesi hanno dovuto combattere per poter restare a Dhammash, sulla loro terra, dato che il governo israeliano continua a mettere in pratica provvedimenti draconiani per eliminarli.

Insieme ai 13 ordini di demolizione di case di questa settimana, la polizia israeliana sta tentando di chiudere da sud la strada per il villaggio di Dhammash, tra l’adiacente ferrovia e la città di Ramle. “Questo è un passo ulteriore per costringerci ad andarcene,” ha chiarito il portavoce della comunità di Dhammash, Arafat Ahmed Ismayil . “Gli abitanti [israeliani] di Dhammash risultano cittadini israeliani. Pagano le tasse. Votano durante le elezioni nazionali. Parlano sia l’arabo che l’ebraico. Ma come per tutti i cittadini palestinesi di Israele, nei loro confronti vengono fatte sistematicamente discriminazioni per costringerli a partire,” ha sostenuto Ismayil, “ proprio come se fossero cittadini di decima classe”

Ha precisato, “Noi non siamo provvisti di un sistema fognario o di una fornitura sufficiente di elettricità o di un servizio idrico. Siamo stati costretti a rivolgerci al tribunale diverse volte per ottenere che il governo procuri ai nostri figli degli autobus scolastici. Il sistema scolastico stesso per i giovani palestinesi è di per sé completamente discriminatorio – la qualità dell’istruzione è ben al di sotto del livello di quella dei ragazzi ebrei.”

Mentre stavano camminando attraverso il villaggio di Dhammash, responsabili della comunità hanno raccontato ad Electronic Intifada che le autorità israeliane hanno distrutto strategicamente un terreno agricolo pubblico, rendendolo sterile, per impiantare nel bel mezzo del villaggio un centro altamente inquinante per la lavorazione all’aperto di rottami metallici. “Ora, quello è l’unico posto dove la gente può trovare un lavoro a Dhammash,” ha aggiunto uno dei responsabili.

Ismayil ha detto che a Dhammash ci sono circa 600 palestinesi che vivono in 70 case. Molte delle case esistevano fin da prima della Naqba del 1948, quando circa tre-quarti dei palestinesi vennero cacciati o fuggirono dalla Palestina storica. Tutte le case – ha affermato – sono, e lo sono state per molti anni, sul ceppo per la decapitazione. Sei case vennero demolite fin dal 2005, ed ogni pochi mesi gli abitanti devono fare petizioni ai tribunali israeliani e firmare una istanza dopo l’altra per far ritirare i bulldozer che sono entrati nel villaggio.

“Loro vogliono costruire in quest’area un complesso condominiale per soli ebrei,” ha chiarito Ismayil. “Questo è il motivo per cui vogliono che ce se ne vada il più presto possibile.”

Secondo le statistiche più recenti, ci sono circa 110.000 palestinesi e beduini che vivono nei cosiddetti “villaggi non-riconosciuti” all’interno dello stato di Israele, l’80 % dei quali vivono nella regione del Negev. Questi villaggi non sono reperibili in alcuna mappa e tutti debbono confrontarsi con la prassi della continua demolizione delle abitazioni e con la mancanza totale di servizi di base.

Ismayil ha raccontato che sulle loro carte d’identità israeliane il governo si è rifiutato di indicare Dhammash come loro luogo di residenza. “Loro ci suddividono entrambi fra Lydd o Ramle,” ha detto. “Secondo loro noi non facciamo parte di nessun luogo. Agli occhi dello stato, noi, qui, non esistiamo.”

Mercoled’ 14 aprile, gli abitanti di Dhammash e i responsabili della comunità si sono recati in due diversi tribunali – per la questione della strada bloccata, alla corte suprema di Gerusalemme e, per il problema degli ordini di demolizione, al tribunale regionale di Petah Tikwa. “Loro hanno ascoltato i nostri casi ed hanno detto che sarebbero stati messi a ruolo per la prossima settimana,” ha spiegato più tardi quella sera. “Ma non ci hanno detto quando sarà quella data. E’ tutto molto oscuro. Noi non siamo certi su ciò che accadrà.”

Ismayil ha asserito che le politiche di demolizione delle case imposte ai palestinesi all’interno di Israele sono esattamente le stesse che vengono applicate nei Territori Occupati, compresa Gerusalemme Est, e nella Striscia di Gaza.

“Non c’è alcuna differenza,” ha affermato. “Quando vogliono demolire una casa, impongono il coprifuoco, chiudono l’area, portano centinaia di poliziotti e di soldati con cani. Elicotteri si librano sulla testa. Portano con loro comitive di coloni estremisti ebrei per svuotare le case dei mobili ed arrestare le persone che si rifiutano di essere sfrattate.”

“Noi stiamo sperimentando qui, nelle terre del ’48 [Israele], le stesse pratiche di apartheid che sono operative nei Territori Occupati,” ha aggiunto Ismayil. “La gente di fuori pensa che noi stiamo godendo del dono della democrazia di Israele. Mentre noi siamo esattamente nella stessa situazione. Qui, non c’è alcuna pace, né alcuna democrazia.”

Nora Barrows-Friedman è conduttrice associata e produttrice di grado elevato di Flashpoint, una trasmissione di inchieste di attualità su Pacifica Radio. E’ pure corrispondente per Inter Press Service. Ella invia regolarmente articoli dalla Palestina, dove tiene corsi di giornalismo per giovani nel campo profughi di Dheisheh, nella West Bank Occupata.
(tradotto da mariano mingarelli)

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