domenica 25 aprile 2010

RACCONTO BEDUINO

di Rebecca Vilkomerson
Alcune sere fa ero a cena a casa di un caro amico, Ra’ed, il direttore dell’organizzazione ambientalista beduino-ebraica Bustan. Durante il pasto ho sentito una storia che è illuminante allo stesso modo dei fattori storico-politici che si sovrappongono e che contribuiscono a caratterizzare l’ingiustizia che permea la storia dei beduini in Israel. Si tratta di una faccenda come questa:


Due settimane fa, un venerdì pomeriggio, alcuni giovani beduini della cittadina di Qasr al-Sir stavano passeggiando sulla collina appena fuori dal villaggio. Senza preavviso, dall’altra parte delle colline furono sparati dei colpi e uno dei giovani venne ucciso, mentre l’altro rimase ferito. I colpi erano stati sparati da soldati che stavano esercitandosi all’interno di un poligono di tiro militare.
E’ stata una semplice, sfortunata tragedia? Non proprio.
Qasr al-Sir è un villaggio beduino nel Negev che è stato “riconosciuto” dal governo israeliano nel 2003. I residenti di Qasr al-Sir sono in effetti provenienti dall’area nella quale sorge attualmente la città israeliana di Dimona, ma nel periodo successivo alla guerra del 1948, vennero obbligati con la forza a trasferirsi su altre terre. Dimona divenne una ”città per lo sviluppo urbano” israeliano per nuovi immigrati, in particolar modo per quelli provenienti dal nord Africa e negli anni successivi dall’Unione Sovietica. Naturalmente, Dimona è famosa prevalentemente per l’impianto nucleare “segreto” che si trova proprio all’esterno della città.
Nella sua nuova ubicazione, Qasr al-Sir era un villaggio “non-riconosciuto” – a significare che esso non compariva su nessuna mappa, non usufruiva di alcun servizio di base, come acqua, elettricità, strade asfaltate, trattamento dei liquami, o raccolta dei rifiuti e le sue case potevano venir distrutte in ogni momento. Il gruppo dei villaggi che sono stati “riconosciuti” nel 2003 è oggetto di discussione, perché in cambio del riconoscimento, essi hanno dovuto cedere il diritto di proprietà sulla parte rimanente della propria area territoriale.
Per Qasr al-Sir, ciò sta a significare che, mentre ora il villaggio stesso usufruisce di alcune “amenità” – quali la scuola, alcune strade asfaltate, una protezione dalla demolizione delle case – esso sta ancora avendo a che fare con condizioni che sarebbero impensabili in comunità ebraiche in Israele. Uno di questi problemi è che, se si considerano i suoi confini reali, non contrassegnati , il villaggio risulta essere una zona militare per esercitazioni, dove i soldati possono sparare liberamente. Lo stesso villaggio è letteralmente recintato dall’esercito.
Per ciò che riguarda il sistema, questa non è una coincidenza, in quanto l’85% del Negev (o Naqab , in arabo) è stato recensito come zona militare chiusa o come riserva naturale. Questo è uno dei modi che sono stati utilizzati perché i beduini nel Negev fossero costretti a rinunciare alle loro terre e, di volta in volta sempre di più, obbligati a vivere in cittadine isolate e in aree rurali con servizi minimi, quando anche ci fossero.
Il giovane che è stato ucciso era un membro del nuovo programma di addestramento per costruzioni ecologiche di Bustan. Aveva 19 anni. Non c’è stata quasi nessuna informazione mediatica sulla sua morte – un paragrafo su YNET ( il sito web di Yediot Ahronot, il maggiore giornale scritto su carta) che ha definito erroneamente il villaggio come “non-riconosciuto” e che ha insinuato che gli uomini stessero sconfinando – e nulla di più. Parallelamente – non c’è stata alcuna indagine. Quando gente di Bustan ha chiamato il capo della polizia locale per capire come mai non c’era stata, egli ha reagito irritato e sprezzante alle loro lamentele.
Nessuno pensa che il ragazzo sia stato ucciso di proposito. Era venerdì pomeriggio, quasi Shabbat, un intervallo di tempo durante il quale tutto dovrebbe essere tranquillo e si dovrebbe poter camminare in collina senza pericolo. In tal senso, è stato un “errore”. Ma è stato un errore che dice tutto di un mondo.
Il villaggio era in tumulto? Ho chiesto a Ra’ed. No, ha infatti risposto. Due anni fa, altre due persone sono state uccise nello stesso modo.
Terrabin, il villaggio beduino “non-riconosciuto” che è vicino ad Omer, una delle comunità più ricche di Israele, alla fine è stato costretto a soccombere dopo anni di pressioni. Le case erano state ripetutamente distrutte e, lo scorso anno, erano stati allestiti dei checkpoint dove venivano angariati gli abitanti che entravano o uscivano dal villaggio. Gli abitanti acconsentirono a trasferirsi in altri luoghi come forma di risarcimento. Ora, Omer avrà la possibilità di espandersi.

Rebecca Vilkomerson è direttrice esecutiva della Voce Ebraica per la Pace.
(tradotto da mariano mingarelli)

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