mercoledì 8 settembre 2010

21 luglio 2010 Nablus

La mattina partiamo per Nablus dove incontreremo il governatore della città e visiteremo l’università Al Najah oltre alla sede locale della MLR.
Noto che il pullman della MLR con cui ci spostiamo, ha le bandierine palestinesi sul cruscotto, ma le scritte “non si fuma” o “uscita di emergenza” sono in ebraico.
Se qualcuno passasse per queste strade senza conoscere la situazione, non identificherebbe subito le colonie sulle colline come tali, gli insediamenti sono dappertutto, ma non c’è scritto fuori “Colonia ebraica” sembra tutto normale, un paesaggio qualunque. L’apartheid è invisibile, ma l’assedio è serrato, invasivo, incombente. La libertà di movimento dura fino al prossimo check point. Ci togliamo la kefia a ogni posto di blocco. Ci dicono che quando il check point di Hewara all’ingresso di Nablus serra i cancelli tutta la città rimane chiusa dentro.
Nablus è una città straordinaria, bellissima, una delle città più grandi della Cisgiordania e una delle più antiche del mondo.
Ci fermiamo e scendiamo in un punto dove si vede il monte Garizim, il monte dove secondo la Bibbia fu creato Adamo. Dal lato opposto in lontananza si intravede il bagliore della cupola della Moschea della Roccia.
Il governatore non c’è, ci riceve la vice governatrice. Ci sediamo intorno al tavolo dove sono stati posti per ogni sedia un piattino di dolci e una bevanda, Sarà così per ogni incontro, perciò non avremo mai un calo di zuccheri. Non c’è un palestinese, che sia un personaggio illustre o una persona semplice che non ti accolga offrendoti qualcosa.
“La questione della Palestina è politica” ci dice la vice-governatrice “voi tutti siete i nostri ambasciatori, perché potrete raccontare ciò che avete visto qui. Noi ci contiamo.”
La signora è una donna sui 40-50 anni, senza velo, vestita all’occidentale. “Siamo l’unico popolo sotto occupazione” prosegue, “ma vi rassicuro, siamo convinti del nostro diritto di avere uno stato. Tutti i governi di occupazione hanno distrutto le nostre strutture per impedircelo. Negli ultimi dieci anni la macchina militare israeliana ha distrutto tutto a Nablus, anche l’apparato militare. Questa regione, che è la più grande della Cisgiordania ha resistito per 120 giorni di assedio: 340mila abitanti, 60 villaggi più 4 campi profughi, gli israeliani hanno disposto 110 check point interrompendo la comunicazione, prendendo di mira migliaia di persone. Abbiamo avuto più di 10mila feriti, per quanto riguarda l’alto numero dei feriti abbiamo ancora difficoltà al momento attuale. Hanno distrutto case per un costo di molti milioni, abbiamo ricostruito mentre ancora distruggevano, ma c’è ancora tanto da fare.”
Ci racconta che è stata volontaria della MLR ed è stata ferita tre volte durante le operazioni di soccorso, qui non è un’eccezione, ma fa parte della normalità. “Quando hanno distrutto le scuole, abbiamo insegnato nelle case, nelle moschee, nelle chiese,” ci dice.
Nablus è una città industriale, ma durante l’Intifada, o meglio durante la repressione violentissima dell’Intifada, le fabbriche erano nell’impossibilità di lavorare, le stesse forze dell’ordine non potevano garantire nessuno. Mi viene in mente la fabbrica del sapone, un’istituzione a Nablus, rasa al suolo in quegli anni.
“In quei giorni” prosegue la vice-governatrice, era un caos per quanto riguarda la sicurezza. Noi avevamo l’obiettivo di rafforzare la resistenza della gente e mantenere la bussola sul progetto nazionale. La mancanza del rispetto degli accordi da parte di Israele ha indebolito l’ANP e preparato il terreno ad Hamas. Il tasso di povertà è salito al 56%, al 70% quello di disoccupazione. Abbiamo il problema di difenderci dai coloni, ce n’erano 40 raggruppamenti, ora sono 30. I coloni di qui sono i più estremisti, nemmeno l’esercito poteva impedire i loro progetti, ma non mancano certo invasioni dell’IDF: arrestano, distruggono e se ne vanno. La notte scorsa sono entrati dopo le 11 di sera e arrestato varie persone. Dalle due del mattino alle cinque le forze dell’ordine palestinesi non possono uscire lasciando loro il campo libero. Ma anche quando ci sono, gli israeliani entrano e arrestano davanti a loro, per delegittimarli di fronte ai cittadini. In questa fase il nostro obiettivo è di rafforzare la lotta popolare (non violenta) ma se le condizioni non cambiano potremo riconsiderare altre opzioni. Le forme della resistenza sono molte, abbiamo cominciato a costruire uno sviluppo sociale-economico, stiamo preparando un piano strategico per 5 anni di sviluppo sociale e culturale e stiamo cercando di dare più possibilità di lavoro nell’ambito del nostro progetto strategico. Ora la disoccupazione è scesa al 13% e le famiglie al di sotto del livello di povertà sono il 47%. Se l’occidente ha sofferto per la crisi mondiale, noi qui abbiamo sofferto per l’occupazione. Tanti bambini hanno dovuto lasciare la scuola per lavorare, ora stiamo cercando di recuperare questa situazione. Abbiamo creato un Centro di collocamento al lavoro tramite corsi di formazione. Dopo il decreto di Fayyad e Abu Mazen abbiamo lanciato il boicottaggio contro i prodotti israeliani perché è importante creare una nostra economia. Nel nostro piano strategico abbiamo dato attenzione a donne e giovani, abbiamo più del 53% di donne laureate. Le donne devono avere un ruolo primario nella nostra società. Siamo riusciti a creare nuove strutture con donne palestinesi, israeliane e internazionali per il BDS.”
Ascoltiamo con attenzione e prendiamo appunti, la vice-governatrice ci dice di credere molto nella nostra amicizia e nel nostro lavoro, anche perché “la situazione è nera, vogliamo la pace ma non accetteremo una pace meno che giusta. I palestinesi profughi del ‘48 vengono definiti infiltrati e cacciati, la nostra economia sarà sempre dipendente da Israele, non accetteremo meno di uno stato sovrano. L’idea di uno stato disarmato come pretendono, è pazzesca. Vorrebbero la valle del Giordano1) ma quello è “il cestino da dove mangiamo” e intanto buttano le acque di scolo nelle nostre acque, inquinandole. Crediamo che la società civile internazionale abbia un ruolo molto più importante di prima, più della Comunità Internazionale. Abbiamo fatto un gemellaggio tra La nostra città e Como”.

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