martedì 14 febbraio 2012

CRISI SIRIANA, I PALESTINESI SEGUONO CON ATTENZIONE

Il veto russo-cinese all'Onu ha bloccato la spallata al regime di Bashar al Assad. Sinistra palestinese rassicurata, ben diverse le posizioni di Autorita' nazionale palestinese e Hamas.

di IKA DANO

Roma, 06 Febbraio 2012, Nena News (nella foto, il capo di Hamas Meshaal con il presidente siriano Assad) – Russia e Cina hanno bloccato con il veto la risoluzione ONU contro il regime di Bashar al Assad. Una decisione che “disgusta” gli Stati Uniti ma che fa tirare un sospiro di sollievo a tanti palestinesi, specie quelli dei movimenti di sinistra, timorosi che un eventuale cambio di regime a Damasco, storico sostenitore della causa palestinese, possa indebolire ulteriormente cio’ che rimane dfel fronte arabo avversario di Israele e Stati Uniti. Piu’ cauto e’ l’atteggiamento dell’Autorita’ nazionale palestinese di Abu Mazen che, sin dai tempi dello scomparso presidente Yasser Arafat, ha avuto relazioni turbolente con il regime di Damasco. Abu Mazen e il suo partito, Fatah, tacciono ma probabilmente auspicano un cambiamento a Damasco. Il movimento islamico Hamas da parte sua, dopo aver goduto per anni dell’ospitalita’ e dell’appoggio di Damasco, adesso prende le distanze e cerca nuovi alleati nel Qatar e nella Turchia.

La campagna internazionale internazionale avviata da America, Europa e i loro alleati del Golfo non è bastato a far cambiare idea all’alleato storico della Siria, la Russia. Né alla pragmatica Cina, che a interventi militari preferisce il dialogo e la diplomazia, per quanto dichiari di “non supportare il regime di Assad”, come ha precisato il ministro degli esteri Liu Weimin in una conferenza a Pechino. Con il veto al Consiglio di Sicurezza ONU contro la risoluzione supportata da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e da tutti i 15 membri non permanenti, la possibilità di un imminente intervento militare per forzare un cambio di regime a Damasco si è allontanata per la seconda volta, dopo il primo veto dello scorso ottobre.

Cosa significherebbe un cambio di regime in Siria per la questione palestinese?

“Cosa sta succedendo oggi in Siria non è un conflitto locale, ma un’espressione delle aspirazioni americane di costruire il ‘Nuovo Medio Oriente’ – dichiara l’analista palestinese Nassar Ibrahim a Nena News – Il risultato di questo conflitto, che mira alla distruzione del ruolo storico della Siria nel supportare i movimenti di resistenza, avrà un ruolo fondamentale negli sviluppi in Palestina”. “Un cambio di regime forzato rafforzerebbe l’alleanza USA-Israele in Medio Oriente – continua Ibrahim – aumentando la pressione sulla già indebolita resistenza palestinese”. La posizione contraria di tanti palestinesi d’orientamento progressista ad un intervento in Siria sulla falsariga di quello libico è più di una ferma opposizione ad interferenze coloniali in Medio Oriente.

Dal punto di vista di quei palestinesi che indicano la priorità assoluta nella fine dell’occupazione israeliana, Damasco ha sempre avuto un ruolo cruciale. Le cose, pensano questi palestinesi, potrebbero cambiare profondamente se con la caduta di Assad verrà appuntato il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), opposizione siriana riconosciuta e appoggiata da USA, UE e paesi del Golfo. Il suo leader designato, Burhan Ghalioun, ha già fatto sapere a chiare lettere che un suo potenziale governo sarà in linea con gli interessi occidentali. Dalla Turchia, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano americano The Wall Street Journal: “Non ci saranno rapporti speciali con l’Iran, e di conseguenza cambierà anche il rapporto con l’Hizbollah. Hamas ha cambiato politica e coopera ora con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP): non sarà più la stessa Hamas supportata dal regime siriano”. In breve, niente appoggio al movimento islamico ma rapporto preferenziale con l’Autorità Nazionale Palestinese – dominata da Fatah – che dal canto suo è in collisione con il regime siriano sin dalla firma degli accordi di Oslo del 1994, fortemente contrastati da Damasco. Per quanto riguarda la questione irrisolta delle Alture del Golan occupate dal 1967, Ghalioun ha annunciato toni moderati con Tel Aviv, con cui grazie al “rapporto speciale con gli Europei e i Peasi occidentali” si negozierebbe la restituzione del Golan.

Se è vero che il doppio veto russo-cinese è un ostacolo ai disegni americani in Medio Oriente – e l’interesse USA non coincide con l’autodeterminazione del popolo palestinese – la cauta reazione di Hamas non assomiglia all’euforia. Sin dall’inizio degli scontri lo scorso marzo, ha mantenuto una posizione molto vaga. Supportata ed ospitata a Damasco da decenni, Hamas deriva però dallo stesso movimento dei Fratelli Mussulmani che in Siria – insieme ad altri gruppi – chiede la caduta di Assad ed è target della sua violenta repressione. Secondo fonti riportate dall’agenzia Reuters, Hamas avrebbe abbandonato – seppur senza annunci ufficiali – i quartieri generali di Damasco, e vaglierebbe la possibilità di inviare singoli membri del movimento in Qatar, l’alleato degli Stati Uniti fervente sostenitore della caduta del regime siriano, dove tra l’altro quest’oggi il capo di Hamas Khaled Meshaal ha firmato l’accordo di riconciliazione con il partito Fatah. Nena News.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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